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Relazione del Sen. Luigi Granelli , Presidente del Forum Italiano per la sicurezza e la cooperazione in Europa a nel Mediterraneo al 3° seminario internazionale sul Mediterraneo

SOMMARIO

1 – La peculiarità della situazione mediterranea.

2 – L’urgenza di una pace globale nel Medio Oriente.

3 – Riduzione armamenti a sicurezza nel Mediterraneo.

4 – Prospettive di una ampia cooperazione economica.

5 – Proposta: una Conferenza parlamentare mediterranea.

1 – La peculiarità della situazione mediterranea.

1.1 Il terzo Seminario internazionale sul Mediterraneo, organizzato dal Forum italiano, si svolge in un momento grave e carico di incertezze. Questa stessa relazione risente dell’imprevedibilità di una situazione che può diventare, all’improvviso, del tutto incontrollabile. Le speranze sollevate ad Helsinki, nell’agosto del 1975, sembrano lontanissime. L”impasse” della Conferenza di Madrid conferma le difficoltà che ostacolano l’urgente ripresa del colloquio tra Est ed Ovest per bloccare una inquietante corsa al riarmo, riequilibrare al livello più basso possibile gli armamenti nucleari e quelli convenzionali nel centro-europa, aprire qualche spiraglio alla distensione. In questo preoccupante quadro internazionale la situazione del Mediterraneo risulta aggravata dal crescente stato di tensione nel Medio Oriente. La persistenza di questi fattori negativi non deve tuttavia spingere alla rassegnazione. Bisogna al contrario mobilitare 1’opinione pubblica, accentuare la vigilanza dei Parlamenti, stimolare l’azione dei Governi, per contrastare con iniziative e proposte concrete pericoli che possono mettere a repentaglio la stessa pace mondiale.

1.2 L’ormai tradizionale incontro di Venezia, che vede riuniti e disposti ad un franco dialogo studiosi ed esponenti politici di diverso orientamento di quasi tutti i Paesi rivieraschi del Mediterraneo è una occasione che acquista importanza proprio per la gravità della situazione. Gli sforzi per costruire in questa area una zona di sicurezza e di cooperazione politica ed economica incontrano sempre maggiori difficoltà. Eppure questa strategia non ha alternative. Lo stesso progetto di pace separata tra Egitto a Israele, che ancora impedisce un dialogo generalizzato tra tutti i Paesi mediterranei, appare fortemente logorato dopo i primi risultati w rischia di essere travolto dalla crescente destabilizzazione che in investe il Medio Oriente. In mancanza di un approccio globale la crisi si estende e si aggrava. Lo dimostra da ultimo il gravissimo e deplorevole atto di forza dell’aviazione israeliana che in spregio al diritto internazionale ha in questi giorni distrutto il centro atomico iracheno di Tammuz. Il raid è stato generalmente condannato. Altre sono le forme di controllo, a cominciare dagli interventi dell’Alto Commissariato di Vienna, per vigilare sul non utilizzo delle risorse nucleari a scopi militari da parte dell’Ira che, a differenza di Israele, ha sottoscritto i vincoli del Trattato di non Proliferazione. Ma restano le conseguenze politiche e militari dell’avventurosa iniziativa israeliana che introduce un ulteriore elemento di destabilizzazione in una regione sconvolta da contrasti e provoca reazioni e contromisure a catena. Essa si aggiunge ai rischi di una possibile guerra tra Israele e Siria, alle costanti minacce alla sovranità e all’integrità del Libano. Lo stato di tensione si allarga se si pensa al conflitto tra Ira e Iran, all’invasione sovietica nell’Afghanistan, all’ipotesi di una maggiore presenza degli Stati Uniti nell’area del Golfo, alla ripresa di una offensiva dell’URSS in punti strategici dello schieramento arabo e dell’Africa.

1.3 E’ del tutto naturale che tale stato di crisi coinvolga il Mediterraneo, aumenti l’insicurezza e la corsa agli armamenti, complichi le relazioni tra i Paesi europei e quelli emergenti dell’Africa e del Medio Oriente, ostacoli il negoziato in altre situazioni difficili (Cipro, l’allargamento delle garanzie per la neutralità di Malta, il problema del Sahara), determini una presenza sempre maggiore e conflittuale delle “grandi potenze”. L’ampiezza della crisi conferma l’analisi che, nei precedenti Seminari di Venezia, aveva messo in evidenza la “specificità” dei problemi aperti nell’area mediterranea e 1’urgenza di affrontarli, con una visione d’insieme, nel quadro della sicurezza europea e valorizzando le iniziative diversificate dei Paesi che operano nella regione. Il Mediterraneo si presenta infatti come un’area assai complessa che vede affacciarsi, sullo stesso mare, Paesi industrializzati ed in via di sviluppo, culture e concezioni religiose di grande tradizione ed importanza, Stati “non allineati” e membri di alleanze politico-militari, “grandi potenze” presenti in funzione di una strategia mondiale che trascende il contesto regionale. Questa complessità offre tuttavia un potenziale di iniziative bilaterali e multilaterali largamente inutilizzato. Tutti i Paesi mediterranei hanno un interesse particolare ad intese politiche che portino ad una reale pacificazione in un’area che si trova al centro delle relazioni tra Est ed Ovest e tra Nord e Sud. Una più autonoma iniziativa di questi Paesi può contribuire a realizzare senza mutamenti della loro diversa collocazione internazionale, un più giusto equilibrio mondiale e a risolvere, con maggiore aderenza agli interessi specifici del Mediterraneo, quei problemi della sicurezza, della cooperazione economica, dei rifornimenti di energia, dai quali dipende il loro futuro.

1.4 I Paesi europei avevano giustamente sostenuto ad Helsinki, nel 1975, il coinvolgimento nella Conferenza per la Sicurezza e la Cooperazione Europea di “tutti gli Stati del Mediterraneo al fine di contribuire alla pace, di ridurre le forze armate nella regione, di consolidare la sicurezza, di diminuire le tensioni e ampliare 1’ambito della cooperazione”.Ma la generosità dell’impegno e una certa inerzia degli stessi proponenti hanno impedito, prima a Belgrado e poi a Madrid, di fare passi concreti in questa direzione. Gli Stati mediterranei “non partecipanti”, associati all’Atto finale di Helsinki, hanno pertanto ragione di rivendicare una partecipazione politica e a pieno titolo e di diffidare, in caso contrario, di una sede internazionale che continui a considerarli “partners” utili soltanto ai fini della cooperazione economica. Il problema rimane aperto. Non è tuttavia solo a questo proposito che è indispensabile una più vigorosa iniziativa europea. Di fronte al rapido e continuo aggravarsi della crisi che investe l’area mediterranea, ai rischi di una presenza crescente degli Stati Uniti e dell’Unione Sovietica ispirata alle rispettive politiche di potenza (non sempre coincidenti con gli interessi dei Paesi amici ed alleati), è urgente che la Comunità Economica Europea assuma autonome e precise responsabilità. Il dialogo già in corso con i Paesi emergenti e “non allineati” presenti nel Mediterraneo deve pervenire a risultati concreti e aprire la via ad un negoziato globale. Non si tratta di estendere al Sud una presunta “finlandizzazione” dell’Europa. I vincoli contratti con alleanze difensive e geograficamente delimitate, così come la fedeltà a collocazioni internazionali liberamente scelte, non sono in discussione. Si tratta, per quanto riguarda la NATO, di ridefinire anche nel rapporto con gli Stati Uniti, in un quadro di solidarietà effettiva che non ammette subordinazioni passive lo specifico ruolo europeo. per una soluzione ispirata ad una effettiva volontà di pace dei problemi della sicurezza e della cooperazione politica ed economica in Europa e nel Mediterraneo. 

2 – L’urgenza di una pace globale nel Medio Oriente.

2. 1. La Comunità Economica Europea aveva colto positivamente, nel Consiglio di Venezia di un anno fa (12-13 giugno 1980), la necessità di una svolta nel negoziato relativo al Medio Oriente. Le posizioni assunte avevano incontrato 1’apprezzamento dei Paesi arabi e “non allineati”. Ma il bilancio delle azioni concrete intraprese da allora ad oggi è assai deludente. Anche 1’attendismo europeo è responsabile dell’aggravarsi della situazione. Basta ricordare gli elementi essenziali delle affermazioni di principio adottate dal Consiglio Europeo di Venezia per rendersene conto. I Nove avevano anzitutto chiesto ad Israele di “porre fine all’occupazione territoriale che mantiene dal conflitto del 1967, così come ha fatto per una parte del Sinai”. Tale occupazione era ed è illegale per il diritto internazionale e costituisce un grave ostacolo per la pace nel Medio Oriente. Esplicito era stato anche il riconoscimento dei diritti nazionali e legittimi del popolo palestinese, del diritto all’autodeterminazione, della necessità di associare 1’Organizzazione per la liberazione della Palestina ad un negoziato globale. Tale regolamento globale di pace, preferibilmente garantito dalle Nazioni Unite, doveva includere il “diritto di vivere in pace, entro frontiere sicure, riconosciute e garantite” per tutti i Paesi della regione. Il Consiglio Europeo aveva respinto le iniziative unilaterali tendenti a “cambiare lo status di Gerusalemme” ed invitando le parti a rinunciare “alla minaccia e all’impiego dell’uso della forza” aveva infine chiesto di porre fine a tutti gli atti contrari “all’integrità del Libano, nonché all’autorità del suo governo”.

2.2 E’ innegabile che le indicazioni date per superare progetti di pace separata (Camp David) e ricercare una soluzione globale del conflitto arabo-israeliano, si muovono nella direzione di una svolta concreta del negoziato per il Medio Oriente. Questa posizione complessiva doveva a deve essere fatta valere dagli europei nei confronti di tutte le parti interessate e, per quanto li riguarda, degli stessi Stati Uniti. Anche questo intento era stato opportunamente sottolineato. “I nove Paesi della Comunità Europea – dice testualmente il comunicato del giugno 1980 – ritengono che i legami tradizionali e gli interessi comuni che uniscono 1’Europa al Medio Oriente impongano loro di svolgere un ruolo particolare e li sollecitino, oggi, ad operare in maniera più concreta a favore della pace” Le ripetute e inconcludenti missioni dei rappresentanti della Comunità Economica Europea nel Medio Oriente sono però apparse lontane da quel ruolo “particolare” e “più concreto” che ci si era impegnati a svolgere. L’attesa per la definizione della nuova politica americana verso il Medio Oriente, a seguito del passaggio da Carter a Reagan, non solo non è stata sfruttata per ridefinire i rapporti tra Stati Uniti ed Europa su un problema così qualificante e decisivo, ma ha lasciato svolgere tra difficoltà crescenti e sul vecchio binario il negoziato in corso. I pericoli, anziché diminuire, si sono così accresciuti. Il quadro esistente muta con rapidità e 1’iniziativa europea si trova ora di fronte anche ad un crescente attivismo dell’Unione Sovietica che si accinge a sfruttare a proprio vantaggio le incertezze americane.

2.3 La tensione nel Medio Oriente era notevolmente salita , prima del1’inammissibile bombardamento israeliano in Ira, a causa della esplosiva situazione libanese. L’abbattimento di due elicotteri siriani da parte dell’aviazione israeliana, in violazione dell’accordo tra i due Paesi del 1976, ha come noto provocato l’installazione di alcune batterie di missili terra-area SAM 2 e SAM 6 nella valle del Bekaa allo scopo di rafforzare la difesa antiaerea. I rischi di un conflitto tra Siria ed Israele, alimentati dall’aumento dei contrasti interni al Libano, hanno immediatamente provveduto ad internazionalizzare la crisi. Gli Stati Uniti, costretti a mediare tra Israele ed i Paesi arabi più intransigenti con la sempre meno fortunata missione di Habib, hanno persino richiesto un intervento della Unione Sovietica sulla Siria dopo aver svolto opera di moderazione su Tel Aviv, limitando momentaneamente anche talune forniture militari. Il Comitato arabo ristretto (Arabia Saudita, Kuweit, Siria, Libano), con 1’assistenza della Lega Araba , è intervenuto tempestivamente per il varo di un “cessato il fuoco” che, in vista di una nuova riunione del 4 luglio, è stato accolto da tutte le forze interne libanesi. Tutti questi episodi hanno completamente rovesciato la situazione medio-orientale . Il Presidente Sadat appare sempre più isolato e non a caso ha affermato che il raid israeliano su Tammuz può avere conseguenze gravi anche sulla pace tra Egitto ed Israele. L’insieme dei Paesi arabi, dai più moderati ai più intransigenti, ritrovano momenti di unità contro le destabilizzanti iniziative israeliane. In una situazione di grandi difficoltà per gli Stati Uniti, in cui sono in gioco gli stessi risultati ottenuti a Camp David, 1’Unione Sovietica appare si muova sulla scena del Medio Oriente occupando, paradossalmente , lo spazio che l’iniziativa europea ha di fatto compromesso con i suoi ritardi.

2.4 E’ ormai evidente quello che noi abbiamo sempre sostenuto e cioè che il problema chiave della crisi nel Medio Oriente è la questione dei diritti nazionali del popolo palestinese. Su questa base, aspramente contrastata da Begin , è possibile avviare un negoziato globale. Solo in una seconda fase e dopo una effettiva svolta nelle trattative sarà possibile garantire, entro frontiere sicure e riconosciute , il diritto all’esistenza di uno Stato come quello di Israele che non è minacciato e continua di volta in volta a violare le più elementari norme internazionali. Senza questa svolta non è pensabile una evoluzione . L’intransigenza israeliana, che toglie carte ai difensori di soluzioni equilibrate, alimenta le posizioni più estremiste tra gli Stati arabi e accentua lo scontro in una situazione che richiede a tutte le parti in causa senso della misura e moderazione. Per questo 1’iniziativa europea non può tardare ulteriormente. La proposta di un negoziato globale che si proponga, nel quadro dello ONU, di affermare il diritto legittimo dei palestinesi a disporre di un proprio Stato, di garantire la integrità territoriale e la sovranità del Libano, di porre fine con trattative realistiche ad ogni conflitto nel Medio Oriente, di tutelare internazionalmente il diritto di vivere in pace di ogni Paese della regione, è 1’unica realistica proposta che può evitare un aggravamento irreparabile della crisi. In caso contrario, le “grandi potenze” diverranno ancora una volta decisive , nello scontro o nell’intesa, per un assetto precario nel Medio Oriente che sancirebbe 1’emarginazione dell’Europa e la riduzione del Mediterraneo da area capace di risolvere, autonomamente , i propri problemi a zona marginale in un equilibrio mondiale sostanzialmente bipolare. Non è solo 1’esigenza di salvaguardare i propri rifornimenti petroliferi che deve spingere 1’Europa a muoversi con grande determinazione prima che sia troppo tardi. Le conseguenze su questo terreno potrebbero essere gravi perché, a differenza degli Stati Uniti, gli europei non hanno alternativa al petrolio arabo e a quello sovietico. Ma la posta in gioco è ben più alta perché si tratta di realizzare un nuovo ordine internazionale, fondato sul diritto di tutti i popoli, che assicuri sicurezza e cooperazione in tutto il mondo con il contributo non esclusivo delle stesse “grandi potenze”.

2.5 La riprova della fondatezza di questa impostazione può essere data dal modo diverso in cui si porrebbero, nel caso di una regolamentazione globale e  pacifica della crisi medio-orientale, i problemi del Golfo Persico . Non c’è dubbio che in questa area sono in gioco approvvigionamenti vitali per il mondo industrializzato. E’ tuttavia errato pensare a garanzie puramente militari o ad interventi che, ancora una volta, annullerebbero la vocazione mediterranea dell’Europa. Gli Stati Uniti stanno organizzando una “task force” di pronto intervento, che dovrebbe disporre di 350.000 uomini entro il 1985. La decisione di proteggere militarmente la regione del Golfo e le rotte del petrolio non può tuttavia coinvolgere la NATO, i cui compiti sono strettamente difensivi e geograficamente limitati , nè la Comunità Economica Europea che può contribuire alla sicurezza dei Paesi rivieraschi del Golfo, alla libertà di navigazione dove transita il petrolio destinato all’occidente, solo a seguito di un accordo politico e non solo militare con tutte le parti interessate. Nessuna confusione deve essere fatta sulla doverosa disponibilità dell’Italia a far fronte, nel Mediterraneo, ai compiti di difesa previsti dall’alleanza atlantica. L’iniziativa degli Stati Uniti di utilizzare, ad altri scopi, flotte navali diversamente impegnate in precedenza non può che essere frutto di una autonoma decisione americana. Il problema della sicurezza del Golfo è, apparentemente, distinto dai problemi della sicurezza e della cooperazione nel Mediterraneo. Ma il criterio di qualsiasi intervento non può mutare per gli europei. Il Consiglio per la cooperazione nel Golfo Persico (Arabia Saudita, Unione degli emirati arabi, Qatar, Bharein, Oman e Kuwait), che intende affrontare in autonomia i problemi politici, di sicurezza, di cooperazione, dell’area, non esclude, a tal fine, intese esterne capaci di garantire da ogni interferenza la libertà di navigazione a la tutela dei propri interessi. E’ a questo livello che va affrontato, se mai, il problema di un coinvolgimento europeo politico, prima the militare, in una applicazione di misure di sicurezza che nulla ha a che vedere con una surretizia applicazione dei compiti della NATO al Medio Oriente e al Golfo che contrasterebbe con lo stesso Trattato del Nord Atlantico.

3 – Riduzione armamenti a sicurezza nel Mediterraneo.

3.1 La soluzione negoziata dei problemi del Medio Oriente e del Golfo Persico, decisiva per la stessa sicurezza del Mediterraneo, porterebbe ad un significativo mutamento di clima internazionale capace di favorire, con il ricorso ad un metodo analogo, la pacifica soluzione di altri conflitti che direttamente o indirettamente coinvolgono i Paesi rivieraschi. Dalla composizione dei contrasti a Cipro a più estese garanzie di neutralità per Malta, dal ritorno alla normalità costituzionale in Turchia al riconoscimento del diritto alla autodeterminazione e all’indipendenza di tutti i popoli arabi e africani, il ricorso al negoziato e a ragionevoli intese politiche allargherebbe le possibilità di una pacifica stabilizzazione dell’area mediterranea. In questo contesto potrebbe aprirsi, anche nel Mediterraneo, quel processo di riduzione degli armamenti, di riequilibrio delle forze al più basso livello possibile, per la realizzazione di uno “status” di vicendevole sicurezza che lo stesso Atto finale di Helsinki proponeva a tutti gli Stati interessati. Se invece continua una grave tensione, con il diffondersi dei conflitti e delle prove di forza, è del tutto velleitario proporsi gli obiettivi pur importanti di una minore proliferazione di armi, di flotte, nel Mediterraneo. Per questo è assoluta mente necessario che 1’eventuale Conferenza europea per il disarmo, in discussione a Madrid come mezzo per ampliare e rendere vincolanti i dispositivi del primo cesto dell’Atto finale di Helsinki, non trascuri la sicurezza nel Mediterraneo e 1’applicazione anche a questa area di “misure capaci di rafforzare la fiducia”.

3.2 L’Istituto Internazionale per la pace di Stoccolma (SIPRI) ha diffuso, in questi giorni, un rapporto allarmante sulla corsa al riarmo. Secondo questi dati, oltre all’aumento delle spese militari delle “gran di potenze” e dei Paesi che fanno parte delle più importanti alleanze, è da segnalare il costante incremento, nell’ultimo decennio, dell’acquisizione di armi da parte del “Terzo Mondo”. Nel 1980 1’aumento delle spese militari del “Terzo Mondo” è stato del 16%, sul totale mondiale, rispetto al 9% del 1971. Sei dei maggiori importatori di armi del “Terzo Mondo” si trovano nel Medio Oriente. A questa tendenza, strettamente connessa al persistere dei conflitti in corso, si deve aggiungere la sempre maggiore presenza delle flotte delle “grandi potenze” nel Mediterraneo. E’ noto che è stata particolarmente intensa, negli ultimi anni, la trasformazione della flotta sovietica da forza di difesa costiera, come era negli anni ’50, in moderna flotta d’alto mare. In ogni momento, per fronteggiare qualsiasi crisi, 1’Unione Sovietica è in grado di schierare nel Mediterraneo consistenti forze navali in assetto di guerra. Non minore, nonostante lo spostamento di una flottiglia da combattimento nell’Oceano Indiano, è la presenza della VI flotta americana che, come è dimostrato dalle ultime decisioni, risponde alla duplice finalità di garantire la difesa atlantica e di dare sostegno alla presenza militare degli Stati Uniti in una strategia mondiale. Se si pensa, inoltre, alla presenza di un’industria nazionale degli armamenti in Israele, ai mezzi di difesa dei Paesi rivieraschi del Mediterraneo, alle basi disponibili, ad Est e ad Ovest, per eventuali offensive militari delle “grandi potenze”, il panorama complessivo non può non essere altamente preoccupante.

3.3 Per giungere, nel Mediterraneo come nel centro-Europa, a garanzie reciproche di sicurezza in una riduzione parallela, riequilibratrice, degli armamenti di vario tipo, il negoziato va esteso, in forme appropriate, anche all’area mediterranea. E’ difficile fare previsioni in questo campo. Se la Conferenza per la sicurezza e la cooperazione in Europa, con i suoi auspicabili seguiti, non coinvolgesse a pieno titolo i Paesi mediterranei “non partecipanti” verrebbe meno la possibilità di affrontare, in tale sede, i problemi di una estensione delle “misure capaci di rafforzare la fiducia”, di una riduzione bilanciata degli armamenti, di un graduale allontanamento delle flotte delle “grandi potenze”, che riguardano in modo specifico il Mediterraneo. Dato che la sicurezza in Europa e nel Mediterraneo è interdipendente, come è riconosciuto dallo stesso Atto di Helsinki, si impone in ogni caso o 1’esame dei problemi che abbiamo richiamato nell’ambito della futura Conferenza Europea sul disarmo o la ripresa in tempi opportuni della iniziativa formulata anni fa dal compianto Ministro degli esteri italiano Aldo Moro, di una Conferenza ad hoc di tutti gli Stati rivieraschi per concordare misure adeguate e corrispondenti ad un generale sforzo di sicurezza e di riduzione equilibrata degli armamenti. Altre proposte possono essere prese in considerazione. Nel precedente Seminario di Venezia non si era esclusa nemmeno la possibilità di allargare la trattativa di Vienna per la riduzione delle armi convenzionali, attualmente bloccata, ai Paesi dell’Europa centro-meridionale come primo passo in vista di un negoziato più generale. Così come non deve essere esclusa a priori, nell’ambito della trattativa globale tra Est ed Ovest, la possibilità di una applicazione delle “misure di fiducia” alla notifica dei movimenti e delle manovre delle flotte presenti nel Mediterraneo, di accordi bilaterali o multilaterali per il controllo delle acque mediterranee nei cosiddetti “punti stretti” . (Si veda in proposito la Convenzione di Montreux). L’importante è che il problema della sicurezza militare nel Mediterraneo, al livello più basso possibile di armamenti e di presenze esterne, venga affrontato con decisione e a garanzia degli stessi accordi politici capaci di porre fine, per un lungo periodo, ai conflitti in corso nel Medio Oriente a altrove.

4 – Prospettive di una ampia cooperazione economica.

4.1 E’ noto che, negli ultimi tempi, hanno avuto scarse possibilità di sviluppo, tranne alcune positive eccezioni bilaterali, i programmi di una più intensa cooperazione economica nell’ambito del Mediterraneo. Lo stesso dialogo euro-arabo, che aveva sollevato speranze, non ha potuto conseguire progressi significativi a causa delle difficoltà politiche che, in relazione all’aggravarsi delle tensioni nel Medio-Oriente, hanno rappresentato un ostacolo pregiudiziale. Ma è evidente la necessità della intensificazione, bilaterale e multilaterale, dei rapporti di cooperazione economica. Il Mediterraneo non può essere considerato una regione chiusa in se stessa. Il suo isolamento sarebbe motivo di inevitabile decadenza. Come si è già osservato 1’area mediterranea si pone, sotto il profilo degli interessi economici, al centro del difficile dialogo Nord e Sud. La creazione di condizioni più favorevoli allo sviluppo commerciale, ai rifornimenti di energia, agli scambi tra materie prime e tecnologie, rappresenta un interesse comune per i Paesi rivieraschi del Mediterraneo. Ma più ambiziosa e di maggiore respiro deve essere 1a prospettiva futura della cooperazione economica. L’appartenenza a diversi schieramenti internazionali non è un limite. La Comunità Economica Europea, i Paesi arabi e africani che si affacciano direttamente o indirettamente al Mediterraneo, i Paesi “non allineati” come la Jugoslavia, possono far leva sulla complementarietà dei loro sistemi economici, sulle risorse di cui dispongono, per fornire 1’esempio di una cooperazione che vada al di là di ristrette delimitazioni geografiche. Anche questi fattori di diversificazione rappresentano una specificità di un’area mediterranea consapevole di una propria vocazione di pace, di sicurezza, di cooperazione, e quindi aperta ad intese più vaste, che non escludano, nemmeno le “grandi potenze”, per la realizzazione di un nuovo ordine economico mondiale.

4.2 L’ampio orizzonte della cooperazione economica non deve certo far trascurare i problemi più immediati. Importante, a questo proposito , è 1’accettazione a Madrid della proposta italiana di realizzare un Conferenza ad hoc sui problemi della cooperazione economica nel Mediterraneo, da tenersi a Venezia nel 1982, che consentirà utili approfondimenti. A determinare in gran parte il successo dell’iniziativa saranno, ancora una volta, le condizioni politiche generali. Una analoga iniziativa, decisa a Belgrado nel 1977 e realizzata due anni dopo a La Valletta, ha registrato Il fallimento per la diserzione pressoché totale dei Paesi interessati, sia pure a livello di esperti, a causa del perdurante dissidio tra Egitto e Israele ed il resto dei Paesi arabi. Il richiamo a questa precedente esperienza serve a sottolineare che il dialogo politico tra tutti i Paesi mediterranei, la comune volontà di affrontare insieme i problemi aperti, è la premessa di utili progressi anche nel campo economico. Ci sono certamente eccezioni a questa regola. Sul piano delle relazioni bilaterali, ad esempio, possono essere ricordati 1’accordo di Osimo tra 1’Italia e la Jugoslavia che, oltre a porre fine al contenzioso dell’ultima guerra secondo i principi enunciati ad Helsinki, ha aperto la via a progetti importanti di scambio e di cooperazione economica ed ha favo rito una intesa ampia e di grande significato tra uno dei più autorevoli Paesi “non allineati” e la Comunità Economica Europea. Altro esempio significativo è 1’accordo tra 1’Italia e 1’Algeria per la realizzazione del gasdotto che unisce la due sponde del Mediterraneo, che non solo rafforza i legami di amicizia e di collaborazione tra due Paesi rivieraschi ma pone in essere una struttura strategica che coinvolge, oltre alla Tunisia, 1’interesse di altri Paesi africani e dell’intera Europa.

4.3 Se si passa dai rapporti bilaterali a quelli multilaterali è evidente 1’importanza che assume, in una ottica di superamento delle divisioni tra Nord e Sud, 1’allargamento alla Spagna e al Portogallo, dopo la Grecia, della Comunità Economica Europea.Tale allargamento avrà conseguenze di rilievo anche per i Paesi della sponda sud del Mediterraneo. Il passaggio dall’Europa dei nove a quella dei dodici implica , di per sé, un superamento degli attuali squilibri interni, una maggiore democratizzazione, 1’abbandono di barriere protezioniste che, nonostante 1’ampio impegno, hanno sin qui reso difficili i rapporti con i Paesi in via di sviluppo. Gli stessi accordi di associazione che legano oggi la Comunità Economica Europea a molti Paesi mediterranei, in una logica di liberalizzazione degli scambi più che di una efficace cooperazione economica, andranno ripensati a rinegoziati tenendo conto anche di un maggiore riequilibrio nel trasferimento di risorse e tecnologie tra Nord e Sud. Non mancano occasioni per far emergere, nel contesto di una generale pacificazione e di una effettiva sicurezza, la potenzialità sommerse di un’area mediterranea che nello sviluppo dei rapporti economici, nel confronto ricco e vitale delle culture, nella messa in comune delle risorse, nella complementarietà delle esigenze, può diventare un ponte tra 1’Europa ed il”Terzo Mondo ” ed un punto di incontro, alieno da tentazioni equidistanti e ” terzaforziste”, tra Est ed ovest, tra Stati Uniti e Unione Sovietica, per la realizzazione di un nuovo ordine mondiale libero da vecchie a nuove forme di dominio e capace di assicurare una pace fondata sulla giustizia internazionale e sui diritti di tutti i popoli 

5 – Proposta: una Conferenza parlamentare mediterranea.

5.1 L’analisi dei problemi connessi ad una realistica prospettiva di sicurezza, di intesa politica, di cooperazione economica, nel Mediterraneo non può far dimenticare che la gravità della situazione richiamata all’inizio può rendere vano ogni sforzo in proposito. Non è in discussione il nostro impegno. Esso aumenterà proprio in rapporto al crescere delle difficoltà. Ma è chiaro che senza una vigorosa presenza della Comunità Europea nella crisi del Medio Oriente, per modificare il corso del negoziato anche attraverso un coraggioso chiarimento con gli Stati Uniti, tutto è destinato a deteriorarsi nell’area Mediterranea. Così come è altrettanto chiaro che senza una ripresa del dialogo Est ed Ovest che consenta di concludere la verifica di Madrid con il lancio della progettata Conferenza europea sul disarmo, assai lontana sarà la possibilità di avviare, nelle sedi più opportune, un confronto per applicare anche al Mediterraneo le “misure di fiducia” e per avviare, con la necessaria gradualità, un processo di riduzione degli armamenti, di controllo reciproco delle flotte in vista di uno “status” di sicurezza nella regione in corrispondenza a quanto sarà possibile realizzare nel centro-Europa.

5.2 Su un piano di medio periodo sembra comunque opportuno mobilitare 1’opinione pubblica, sensibilizzare i Parlamenti, stimolare i governi dei Paesi rivieraschi del Mediterraneo per una intensificazione dei rapporti diplomatici bilaterali su tre punti essenziali:

  • a) ricerca di intese politiche per favorire il negoziato e la soluzione pacifica delle crisi aperte in un’area di comune interesse come quella Mediterranea;
  • b) sviluppo di azioni congiunte, bilaterali o multilaterali affinché il problema della riduzione degli armamenti, al più basso livello possibile,sia affrontato anche per il Mediterraneo nell’ambito della Conferenza Europea sul disarmo o nelle sedi ritenute più idonee;
  • c) intensificazione, in ogni campo, della cooperazione economica, scientifica, culturale per creare un clima favorevole alla soluzione dei problemi comuni soprattutto in vista dell’allargamento ad altri Paesi mediterranei della Comunità Economica europea.

L’esperienza dimostra che nei momenti particolarmente difficili il dialogo politico-diplomatico, nelle forme possibili, è 1’unico strumento per contrastare ulteriori aggravamenti della situazione.

5.3 Vi è poi, per concludere, 1’insieme delle iniziative che il Forum italiano si propone di attuare, anche sulla base delle proposte che il dibattito porrà in luce, per dare seguiti coerenti al 3° Seminario Internazionale, sul Mediterraneo e preparare, in un clima che ci si augura più favorevole, il nostro quarto appuntamento a Venezia. Tra le proposte emerse in passato e non attuate vi è quella che merita considerazione, di promuovere una “Conferenza parlamentare” dei rappresentanti di tutti i Paesi rivieraschi del Mediterraneo per analizzare ad un livello di massima autorevolezza, capace di influenzare gli stessi Governi, i problemi politici, militari, economici, di comune interesse. I contatti avuti nei vari Paesi in preparazione del nostro incontro confermano che non manca un positivo apprezzamento per una iniziativa del genere. L’Unione Interparlamentare ed il Consiglio d’Europa, che hanno manifestato particolari sensibilità per la situazione mediterranea, potrebbero patrocinare la Conferenza proposta o suggerire le forme più utili per raggiungere obiettivi che riteniamo siano condivisi. Rimane infine la necessità di proseguire il dialogo avviato negli ultimi anni, di confrontare le nostre opinioni su temi ancora controversi, di coinvolgere le energie disponibili nei nostri rispettivi Paesi, affinché i nostri popoli partecipino più direttamente alla salvezza della pace e alla realizzazione, nel Mediterraneo e altrove, di un assetto di sicurezza e di cooperazione. La causa è troppo importante, per noi e per le future generazioni, per lasciarla solo ai governi e alle diplomazie ed il momento è troppo grave per non anticipare con coraggio un messaggio di speranza coerente con il dovere morale e politico di non rassegnarci all’ineluttabile.

Luigi Granelli
Venezia, Fondazione Cini
12 giugno 1981