RELAZIONE SULL’ATTIVITA’ DELLA COMUNITA’ EUROPEA
Il 18 dicembre 1980 al Senato della Repubblica è stata discussa, ricevendo larghi consensi, la Relazione annuale della Giunta per gli Affari delle Comunità europee. Di questo importante documento, redatto dal relatore senatore Luigi Granelli, pubblichiamo la parte dedicata alla “Coesione europea per un’ attiva politica estera”.
Abbiamo avuto modo di ripetere spesso, nel Parlamento italiano ed in quello europeo, che una Comunità politica di vaste dimensioni non può svilupparsi, nell’interesse degli stessi Stati membri, se è priva di un ruolo specifico attivo sulla scena internazionale. Questa consapevolezza è venuta via via consolidandosi nell’ambito della CEE. Ne è una riprova l’ultimo Consiglio europeo, svoltosi quest’anno a Venezia che è stato dedicato a decisioni politiche di grande rilievo sul Medio Oriente, sull’Afghanistan e sul Libano in un momento internazionale delicato e pieno di drammatiche tensioni. E’ interessante notare che la cooperazione politica nel campo di aspetti rilevanti della politica estera si sia venuta rafforzando attraverso una prassi che interpreta in modo estensivo gli stessi Trattati.
Già nel rapporto Tindemans sull’Unione europea, nel 1975, si indicava tra i vari obiettivi da raggiungere quello di un’azione comune dei principali settori delle relazioni estere: la politica estera, la sicurezza, la cooperazione economica, nel quadro di una pace reale fondata sul diritto e sulla giustizia. Anche l’allargamento della Comunità alla Spagna ed al Portogallo, dopo la Grecia corrisponde non solo all’affermazione contenuta nei trattati circa la volontà di associare tra di loro tutti gli Stati europei caratterizzati da regimi di democrazia parlamentare e pluralistica, per rafforzarli contro ogni pericolo autoritario, ma è un’occasione per aumentare il ruolo della CEE sia sul piano internazionale che nell’ambito del Mediterraneo. Esistono certo problemi da risolvere, difficoltà da superare, specie per quanto riguarda il settore agricolo e quello finanziario, ma non vi è ragione per non rispettare la scadenza del 1983 superando le reticenze avanzate negli ultimi tempi dal presidente Giscard d’Estaing. Problemi e difficoltà, come si è più ampiamente dimostrato, esistono anche nella Comunità dei Nove ed è anzi prevedibile, per un riequilibrio interno che si determinerà, che la prospettiva dell’allargamento e la sua realizzazione potranno influenzare positivamente sia l’adozione di politiche adeguate, sia l’indispensabile rafforzamento istituzionale. E’ quindi auspicabile una sempre maggiore presenza europea, nel rispetto dei vincoli di solidarietà e di alleanza contratti dagli Stati membri, per contribuire attivamente alla soluzione delle grandi questioni internazionali.
A questa finalità si è costantemente ispirata anche nel 1979 l’azione della Comunità, dettagliatamente richiamata nella relazione sull’attività svolta presentata dal Governo, e particolarmente impegnative appaiono talune scadenze ne11980 e negli anni successivi. Per quanto riguarda il 1979, oltre alla firma del trattato di adesione della Grecia che diverrà il decimo Stato membro nel gennaio de11981, vanno principalmente ricordati la conclusione dei laboriosi negoziato per il Tokyo Round, il varo della Convenzione di Lomé II che sviluppa una cooperazione tra uguali con i Paesi ACP, ì contatti tra la CEE ed il COMECON, il rinnovo o la conclusione di accordi con il Gruppo andino, l’avvio di trattative con i cinque Paesi dell’ASEAN, le conversazioni esplorative con il Brasile e l’India. Nell’ambito più strettamente europeo sono da segnalare la particolare attenzione allo sviluppo delle relazioni con la Turchia, Paese associato dal 1964, e soprattutto gli importanti accordi raggiunti con la Iugoslavia che rappresentano uno sviluppo notevole delle relazioni già esistenti nell’assoluto rispetto della collocazione internazionale di questo Paese. La Comunità, inoltre, ha continuato a svolgere un ruolo attivo nelle deliberazioni dell’ONU ed è continuata la prassi di esprimere ad una sola voce, per mezzo della Presidenza di turno, le posizioni comuni sui più importanti problemi mondiali.
Dal contesto di queste prese di posizione, che vanno dalla condanna delle violazioni del diritto internazionale (come nei casi del sequestro dei diplomatici americani in Iran, dell’intervento vietnamita in Cambogia e della ritorsione cinese in Vietnam) ad una presenza pacificatrice ed in favore dell’indipendenza in Africa e nel Sud-Est asiatico, dai rapporti con la Cina alla solidarietà con i popoli oppressi da dittature militari in America Latina, si possono trarre indicazioni sulle più importanti scadenze che attendono una coerente iniziativa della Comunità a partire dagli ultimi mesi del 1980. Esse sono, in particolare, le seguenti: 1) la Conferenza sull’applicazione dell’Atto finale di Helsinki, di imminente apertura a Madrid, per uno sviluppo della sicurezza e della cooperazione in Europa che include anche i problemi del dialogo Est-Ovest sul disarmo; 2) i seguiti alla dichiarazione di Venezia per favorire, con un negoziato esteso a tutte le parti interessate (Organizzazione per la liberazione della Palestina compresa), una pace giusta e globale nel Medio Oriente; 3) la soluzione negoziata della crisi in Afghanistan che favorisca, con il ritiro completo delle truppe sovietiche, uno status di autodeterminazione, di non allineamento e di sicurezza per quel Paese; 4) lo sviluppo positivo del negoziato globale nell’ambito del dialogo Nord-Sud, che si svolge presso l’ONU a New York, per aprire la via ad una costruttiva cooperazione tra Paesi industrializzati e Paesi in via di sviluppo certamente decisiva per il superamento della crisi economica mondiale.
E’ estremamente importante che, in rapporto all’insieme di queste scadenze, la Comunità si esprima con una “voce sola” e sviluppi comportamenti conseguenti sia in sede multilaterale che bilaterale. La coesione politica europea è una condizione decisiva per il successo dell’iniziativa comunitaria. E’ sorta, negli ultimi mesi, la preoccupazione che iniziative di singoli Paesi europei, o il ritorno ad accordi privilegiati francotedeschi, possano indebolire l’azione dei Nove o introdurre, addirittura, elementi di disgregazione nella Comunità. II pericolo esiste, ma il modo per scongiurarlo è di intensificare le azioni europee corrispondenti alle decisioni prese in sede di cooperazione politica nel cui quadro, se mai, le iniziative bilaterali possono collocarsi in ipotesi di rafforzamento della strategia comune. Le conseguenze possono essere negative quando le iniziative dei singoli Paesi danno l’impressione, per la carenza o la scarsa tempestività di azioni collegiali, di occupare un vuoto anziché arricchire uno sforzo in atto.
Per gli stessi ideali di libertà, di pace, di giustizia che sono alla base della sua costituzione l’Europa dei Nove ha interesse vitale alla ripresa della distensione e deve contribuire ad affrontare positivamente le quattro scadenze già ricordate. Le prime tre riguardano una ripresa costruttiva dei rapporti Est-Ovest. Corrisponde all’interesse del mondo intero che, alla Conferenza di Madrid, si manifesti il massimo impegno affinché: a) si compiano seri progressi, anche adottando nuove iniziative, per una riduzione bilanciata degli armamenti nel centro-Europa, compresi i missili di “teatro” installati o di futura installazione, che integri la ratifica dei Salt 2 e garantisca la reciproca sicurezza in vista di un disarmo generalizzato; b) si applichi integralmente la parte dell’Accordo finale di Helsinki, relativo ai diritti fondamentali in un clima di mutua fiducia sulla serietà degli impegni; c) si sviluppi, nei vari campi, una cooperazione economica e tecnico-scientifica tra sistemi politici e sociali diversi in un momento in cui è in atto, per tutti, una grave crisi economica. Non c’è dubbio che concrete azioni europee parallele alla continuazione degli sforzi avviati a Camp David, per una pace globale nel Medio Oriente che riconosca diritti legittimi e statuali del popolo palestinese ed il diritto alla vita ed alla sicurezza di tutti gli Stati dell’area, da Israele al Libano, sono essenziali per estendere al Mediterraneo, con iniziative ad hoc, gli impegni assunti nel quadro della CSCE. E’ fuori discussione che la rimozione, per via negoziale, dell’atto di forza compiuto dai sovietici contro i diritti del popolo afghano sia una condizione indispensabile per il rilancio della distensione, così come è urgente una iniziativa che rimuova la decisione del governo israeliano di fissare la propria capitale a Gerusalemme, condannata significativamente dall’ONU, che rischia di vanificare gli stessi risultati di Camp David a di precludere, ponendo in crisi anche le posizioni di Sadat, quel processo verso una pace giusta e globale nel Medio Oriente che la Comunità ha indicato come un obiettivo irrinunciabile al Consiglio europeo di Venezia.
In vista di questi obiettivi l’Europa dei Nove può e deve muoversi con decisione, senza per questo scivolare in posizioni di equidistanza tra gli USA e l’URSS ma anzi tenendo fede, con un dinamismo compatibile con i doveri di lealtà, ai vincoli militari della NATO – a quelli più ampi di una solidarietà occidentale che non deve essere alibi per colpevoli inerzie e passivi allineamenti. Questa attitudine al dinamismo nel rispetto delle ragioni di fondo di una libera solidarietà vale, a maggior ragione, per la quarta scadenza – quella del negoziato globale Nord-Sud – che è decisiva per il decollo economico dei Paesi poveri ed in via di sviluppo cui per tanta parte è legata, nell’attuale fase di recessione mondiale, la possibilità di una ripresa durevole dei Paesi industrializzati.
Anche il vertice di Venezia dei Paesi più industrializzati ha avvertito questa necessità. Ma la Comunità europea, che deve affrontare anche il problema di essere presente in quanto tale, più che in ordine sparso a questi vertici tendenti ormai ad una propria istituzionalizzazione, deve esprimersi con decisione e con una “voce sola” al negoziato di New York. I risultati raggiunti a Ginevra, con la costituzione del Fondo per le materie prime, sono incoraggianti. Ma i problemi posti dal “Gruppo dei 77”, che supera ormai un centinaio di Paesi, sono complessi e difficili ed attendono risposte che non siano evasive.
Il risanamento graduale dell’economia mondiale, la soluzione dei problemi monetari e finanziari, un riequilibrio dei poteri a favore dei Paesi in via di sviluppo nelle istituzioni economiche internazionali, l’abolizione delle residue misure restrittive e protezionistiche, il rapporto tra energia, materie prime, trasferimenti di tecnologie e aiuto allo sviluppo, alla vigilia del terzo decennio per lo sviluppo dell’ONU, rappresentano un insieme di questioni interdipendenti da affrontare coraggiosamente e con mutua buona volontà se si vuole contribuire ad una graduale edificazione di un nuovo ordine economico. Anche qui non bisogna dimenticare che la Comunità europea è legata, più di ogni altro gruppo di Paesi industrializzati, al resto del mondo dalla storia, dalla cultura, dagli interessi e dal commercio, come ha detto testualmente il presidente Jenkins il 12 febbraio 1980 al Parlamento europeo, e che di conseguenza la ripresa delle nostre economie non può essere dissociata dallo sviluppo dei Paesi più poveri e dall’aumento della domanda mondiale.
Un autorevole appoggio a queste tesi, anche in vista del negoziato in materia presso l’ONU, è venuto dal costruttivo rapporto Brandt – frutto di un appassionato lavoro di una Commissione internazionale composta di esperti e statisti di vari Paesi – riguardante la problematica di grande attualità delle relazioni Nord-Sud. E’ degna di attenzione e di comportamenti coerenti la tesi, contenuta in questo rapporto, di dar vita ad un programma di emergenza 1980-1985, in attesa di misure a più lungo termine, per assicurare assistenza ai Paesi ed alle regioni più gravemente minacciate dall’attuale crisi, per aumentare la disponibilità al finanziamento dei deficit di Paesi a medio reddito, per incrementare soprattutto nei “Terzo mondo” la produzione di sostanze alimentari con l’assistenza internazionale, per razionalizzare e sviluppare diversificandola la produzione di fonti energetiche, per riformare -con l’adeguata partecipazione di tutte le parti interessate – l’attuale ed insufficiente sistema monetario mondiale e per migliorare, infine, le condizioni del commercio di prodotti di base e di manufatti dei Paesi emergenti. Si possono certamente discutere le singole proposte, ma non vi è dubbio che la via da percorrere è quella indicata perché non c’è futuro per le stesse economie industrializzate se la maggior parte del mondo non sarà aiutata a promuovere, in piena indipendenza, il proprio decollo economico.
Anche nel campo delle relazioni esterne della Comunità, siano esse relative al dialogo Est-Ovest o al negoziato Nord-Sud, l’Italia è fortemente interessata ad una funzione dell’Europa dei Nove che sia pacificatrice e garante del diritto di tutti i popoli, aperta alla cooperazione e al riequilibrio, secondo giustizia, dell’economia mondiale, e non può che riservare allo sviluppo di azioni coerenti con queste scelte di fondo il massimo sostegno possibile.
Il fatto che il confronto parlamentare sull’attività della Comunità europea nel 1979 e sugli orientamenti della politica comunitaria per il 1980 avvenga, dopo anni di profonda crisi, alla vigilia di un impegnativo decennio giustifica il carattere forse troppo ampio della presente relazione. Si è ritenuto utile fornire come base del dibattito in Parlamento, insieme ai documenti anch’essi ricchi di informazioni e di giudizi presentati dal Governo, un’analisi dettagliata degli ostacoli che si frappongono alla continuità del processo di integrazione economica e sociale, delle ragioni che militano in favore di un urgente rafforzamento e sviluppo delle istituzioni comunitarie, dei doveri cui un’Europa dei Nove politicamente unita non può sottrarsi sulla scena internazionale in un periodo di crisi sconvolgenti. Il rilancio delle motivazioni originarie della costruzione europea, che erano prima politiche e poi economiche, appare problematico e difficile. L’ottimismo e la retorica sarebbero fuori luogo.
Non bisogna tuttavia dimenticare che nel 1979, per la prima volta nella storia del nostro continente, i popoli della Comunità hanno eletto a suffragio universale diretto un Parlamento europeo che è l’espressione, oltre che di preoccupazioni comprensibili, di speranze per troppo tempo disattese. L’idea politica di un’Europa unita, in un mondo che sappia vivere in pace e in cooperazione, è ancora un’idea valida che può unire le nuove generazioni che aspirano a cambiamenti profondi e quelle che hanno visto, con le aberrazioni del nazismo e del fascismo, i guasti del nazionalismo e del protezionismo che ha fatto seguito alla crisi mondiale degli anni ’30.
L’Italia, a differenza di molti altri Paesi europei, non è divisa, come nei primi anni del dopoguerra, dalla scelta europea e occidentale. C’è, naturalmente, un modo diverso di intendere le conseguenze di questa scelta, le azioni da compiere, ma utili convergenze destinate a rafforzare la credibilità ed il prestigio dell’iniziativa italiana nel quadro europeo possono manifestarsi anche tra partiti diversamente collocati, al governo o all1’opposizione, nel libero gioco parlamentare. Si tratta di una grande potenzialità politica nazionale. Ma non basta incoraggiare il Governo ad essere, anche in forza di queste circostanze, più conseguentemente europeo,
Non si può essere europei a Bruxelles se non lo si è anche a Roma e nel resto dei Paese.
Il risanamento dell’economia italiana, la uscita da un sistema in gran parte assistenzialistico, la volontà di puntare su di un diverso tipo di sviluppo che privilegi i servizi rispetto agli eccessi di consumo privato, vanno affrontati in un’ottica europea ma vanno affrontati – in un grande sforzo di solidarietà nazionale – se vogliamo inserirci con un successo non privo di vantaggi in quel rilancio della costruzione europea che, con altri, intendiamo determinare. Analoga riflessione vale per la riforma, secondo la Costituzione, delle istituzioni repubblicane e della nostra amministrazione pubblica. Il ministro Scotti ha recentemente ricordato, in un rapporto presentato in sede CNEL, che, anche tenendo conto di alcune correzioni fornite in particolare dal Ministero dell’agricoltura, i “residui passivi” non utilizzati dall’Italia, che secondo fonti di Bruxelles ammonterebbero a 2.700 miliardi di lire, sono comunque estremamente elevati e contrastano con le richieste di ulteriori aiuti che sollecitiamo in sede comunitaria. Questo problema – ha osservato il Ministro per gli affari europei – non si pone per gli altri Stati membri, i quali sono in grado di tenere il passo dell’azione comunitaria con le ordinarie strutture amministrative e pertanto non hanno dovuto ricorrere ad interventi specifici.. Del resto è noto che, fra molte a vivaci critiche, è stato di recente approvato dal Senato un disegno di legge che delega al Governo di emanare norme per adeguare la legislazione italiana a cento direttive della Comunità che ancora attendono applicazione.
E’ quindi del tutto raccomandabile la richiesta del Presidente della Giunta, senatore Scelba, di dedicare più spazio nella relazione governativa agli effetti della politica comunitaria su quella italiana e allo stato della sua attuazione del nostro Paese.
Per tutte queste ragioni l’impegno per la costruzione di un Europa unita, equilibrata nei suoi rapporti economici e sociali, democratica e funzionale nelle sue istituzioni, non è dissociabile da quello, non meno urgente, per un’Italia rinnovata in tutti i campi e disponibile, con le enormi energie su cui può contare, a portare nell’ambito della Comunità un crescente contributo politico sorretto da una larga partecipazione popolare. E’ quindi confortante che il Governo italiano, chiamato ad operare in situazioni difficili sul piano interno e su quello internazionale, all’inizio degli anni ’80, possa avvalersi di un largo sostegno nel Parlamento e nel Paese nello sviluppare una coerente iniziativa europeistica ad ogni livello.
Relazioni Internazionali
N. 1-2
10 gennaio 1981
Luigi Granelli