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By noviia agency5 Marzo 2024In Luigi

ANNOTAZIONI POLITICHE DA “MOUNIER TRENT’ANNI DOPO”

Atti del convegno di studio dell’Università Cattolica, 17-18 ottobre 1980

La mia vuol essere solo una testimonianza, la reazione di un uomo politico alle suggestioni di Mounier.

Voglio dire subito che sono molto onorato di prendere la parola in questo convegno, perché gli uomini della mia generazione hanno un debito molto grande nei confronti di Mounier e della cultura francese di quel tempo.  Allora ero molto giovane, dopo la Resistenza, e ricordo che ci affacciammo alla vita politica venendo dall’Azione cattolica, dopo la lunga notte oscurantista del fascismo, e senza guide morali, culturali e politiche.  In quegli anni riscoprimmo tutto un patrimonio culturale, politico e filosofico del cattolicesimo italiano e insieme, segno di uscita dal provincialismo italiano, fummo fortemente influenzati dai cattolici francesi di quel tempo. 

Mounier e Maritain, soprattutto, facevano parte di un bagaglio importantissimo delle nuove generazioni cattoliche che arrivavano alla politica nel nostro paese. Lazzati ha già detto, ed è stato appena ripetuto, quanta influenza ebbe la concezione personalistica e comunitaria sui Costituenti italiani, cioè sui cattolici che contribuirono con altre forze a dar vita all’insieme delle nostre istituzioni. Tornerò brevemente su questo punto, ma mi si consenta una digressione. Sarebbe ridurre il contributo di Mounier se dovessimo limitarci a misurare l’influenza di questo pensatore sulla costruzione giuridica del nostro ordinamento costituzionale.

In realtà Mounier ebbe su noi, sulle generazioni di allora, un grande impatto culturale per quanto riguardava l’ambizione, oggi purtroppo un po’ sepolta, di costruire non soltanto delle istituzioni, ma di dar vita ad una società diversa, che è cosa ben più complessa e profonda. 

Oggi, che sono caduti i miti delle rivoluzioni, anche quelle di tipo marxista, è abbastanza facile assumere una posizione di scetticismo nei confronti di ipotesi rivoluzionarie.  Ma allora, accanto alla nozione di personalismo e di comunità, affermare l’esigenza di una rivoluzione significava creare scompiglio negli ambienti ben pensanti, significava ricordare a quanti si impegnano in politica che non dovevamo solo disegnare un’architettura dello Stato, ma dovevamo andare contro corrente per modificare, insieme alle strutture giuridiche, economiche e sociali, un costume, un modo di vivere, un rapporto tra religione e storia, tra fede e politica, che fossero diversi da quelli a cui eravamo abituati.  In questo contesto fu molto importante per noi il senso della cultura della crisi che era ben presente in Mounier.  Più volte è stato istituito un parallelo tra gli anni trenta e gli anni ottanta, perché siamo immersi oggi come cinquant’anni fa in una grande crisi economica, culturale, sociale.

Credo però che questo parallelo ci porterebbe su di una via sbagliata se si dimenticasse che uno dei pregi più importanti di Mounier è stato quello di ricordare che la “grande crisi” del 1929 non nasceva solo dal crollo della Borsa di Wall Street, ma veniva prima, risaliva addirittura alla prima guerra mondiale, ed era radicata nell’uomo, nei suoi rapporti, nel suo modo di concepire la società, l’economia, lo Stato. Il senso della crisi non era legato soltanto al malessere della condizione economica del dopoguerra, ma scavava più a fondo e lasciava sin da allora in molti ‘di noi, che siamo stati inquieti anche durante gli anni del miracolo economico, il germe vitale della coscienza che la crisi era latente nel sistema, lasciato al suo spontaneo sviluppo, e sarebbe riapparsa palesemente quando le condizioni economiche avessero dovuto subire delle modificazioni.

Sta proprio in questo l’ammonimento di Mounier a non considerare la storia come una linea continuativa, uno sviluppo senza fine, un percorso senza interruzioni. Mounier poneva in discussione questa concezione illuministica del divenire storico e ci ricordava che nel momento del benessere l’illusione della ripartizione dei beni materiali ricostruiti era solo un modo effimero per tentare il superamento di una crisi molto più profonda.  Se noi guardiamo al nostro recente passato, dobbiamo dire che la crisi degli anni ottanta è in questo molto vicina a quella degli anni trenta.’E’ opportuno ritornare a questo senso della crisi, di una crisi più profonda, al di là della congiuntura economica, al di là della redistribuzione dei beni, cioè di una crisi che investe l’uomo.

E’ già stato ricordato l’influsso di Mounier sul gruppo di quei costituenti, Lazzati, Moro, La Pira, Dossetti, che hanno trasferito nel nostro testo costituzionale elementi così importanti come quelli indicati da Mouníer col suo personalismo e con la sua idea di comunità.  Possiamo rileggere il testo pubblicato il 20 luglio del 1946, in un supplemento agli Atti della Costituente, della proposta di Costituzione stesa da Mounier, ripresa poi da La Pira.  E’ interessante che la pubblicazione faccia riferimento non solo al testo originario, ma anche alle correzioni che Mounier vi aveva apportato dopo averlo pubblicato su « Esprit » a seguito di una discussione pubblica sull’argomento.  Dobbiamo sottolineare che nella concezione di Mounier questo progetto non era riferito ad un singolo Stato.  La sua premessa concettuale era quella di una convenzione internazionale sulla base della quale poi ogni singolo Stato potesse darsi un ordinamento.  Comincia proprio così il preambolo: « Gli stati firmatari riconoscono … ». Al centro di tutto l’ordinamento viene poi posta la persona, l’universo che si fa comunità.  Quando si pensa alla difficoltà che oggi incontra il superamento del nazionalismo, si comprende come dobbiamo essere grati a Mounier che vede in questo embrione di convenzione internazionale i germi giuridici di quell’ordinamento nuovo dell’economia mondiale, del rispetto dei singoli e delle comunità, della convivenza fra i popoli, che, non a caso, è oggetto di tanti appelli di Giovanni Paolo II quando insiste sulla necessità di giungere a un rapporto più equilibrato fra paesi poveri e paesi ricchi, tra ordinamenti forti e ordinamenti deboli, da realizzare anche sul piano mondiale.  Si è già detto quanto la nostra Costituzione sia permeata da questi elementi di Mounier.

Al di là dell’analisi letterale tra il progetto elaborato da Mounier e il testo della nostra Costituzione, voglio solo fare un’osservazione.  Nella nostra Costituzione repubblicana, tutta la parte relativa ai diritti dei cittadini mi sembra essere a metà strada tra l’idea dell’individuo e della persona.  La nostra Costituzione non è soltanto garantista, non afferma soltanto i diritti dell’individuo contrapposto alla società, ma anche accompagna l’affermazione dei diritti personali con l’indicazione dei doveri, nel senso della solidarietà.  A differenza del vecchio garantismo liberale, indica nella Costituzione anche i mezzi idonei a rimuovere le cause che impediscono a tutti di fruire dei diritti che sono affermati.  Ritroviamo qui la simbiosi fra personalismo e comunità che in Mounier è così forte.  Così come quando nella nostra Costituzione c’è l’affermazione esplicita che la proprietà è pubblica e privata, così che prende corpo un sistema misto di economia, non siamo forse di fronte al rifiuto del collettivismo?  Ma da questo non deriva l’accettazione del sistema capitalistico e della libera concorrenza economica con tutte le sue conseguenze.

Concludendo direi che l’amarezza viene dal severo richiamo che ha fatto ieri Lazzati quando ha ricordato che quei due propositi di fondo, che sono scritti nella Costituzione, sono rimasti lettera morta perché non hanno trovato una traduzione coerente, anche per le responsabilità dei cristiani impegnati nella politica.

Questi elementi strategici di una correzione politica costituzionale ci so.no ancora, e basterebbe riprenderli e ‘portarli a coerenti attuazioni per por re rimedio alla crisi di credibilità delle nostre istituzioni.

Dovrei infine rispondere alla domanda, che è anche una provocazione: che senso ha per la coscienza dei cristiani impegnati in politica, questa rimeditazione di Mounier oggi.  Vorrei rispondere ricordando l’attenzione e l’interesse con cui Aldo Moro avvertì taluni problemi decisivi: la protesta giovanile, il ruolo della donna, come questione non puramente rivendicativa ma come visione complessiva di una società meno prevaricatrice.  Quando io domandavo ad Aldo Moro perché era sollecitato a porre in modi così decisi questi temi, egli rispondeva: «Se noi abbandoniamo l’idea di persona rispetto alla società che cresce o rispetto alla società che muore, noi non lasciamo nessuna traccia nella vita contemporanea». Ecco come il personalismo, che si rifà alla radice della persona e il senso comunitario della società non ci hanno lasciato soltanto un Carta costituzionale che reca l’influsso positivo di Mounier e di Maritain, ma ripropongono a molti cattolici inquieti anche oggi questo senso dell’andar contro corrente, del porre certi problemi, dello scuotere una certa pigrizia intellettuale ed è in questo spirito che è doveroso ricordare oggi soprattutto Mounier.  Perché, a distanza di trent’anni, noi sentiamo ancora il valore morale, culturale complessivo dell’insegnamento di Mounier?  Ricordo quando leggevo su «Esprít» e su altre riviste cattoliche francesi certi richiami assai critici e severi e ancora mi chiedo: cosa vale difendere i nostri valori se poi non li viviamo e se di essi non si trova traccia nella trasformazione della società?  E’ una domanda valida anche per oggi.

Luigi Granelli
estratto dal volume “Mounier trent’anni dopo”
Edizioni Vita e Pensiero, Milano, 1981

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