PROPOSTE DI RIFORMA DEI COMITATI REGIONALI DEL PARTITO
Introduzione
La coscienza della importanza della riforma regionale, come occasione di ristrutturazione generale dello Stato, in Italia, deve tradursi per la Democrazia Cristiana in un impegno anticipatore nell’adeguare il partito ai compiti nuovi che in tale prospettiva vengono delineandosi. In questo quadro si colloca l’esigenza di una urgente e profonda riforma della struttura regionale del partito, essendo l’attuale largamente insoddisfacente, nell’ambito di una visione organica delle trasformazioni necessarie oggi per rilanciare la funzione ed i modi di presenza della Democrazia Cristiana nel paese. Le proposte contenute in questo Cahier, elaborate seguendo di proposito lo schema del questionario lanciato per l’Assemblea nazionale di Sorrento, hanno il significato di un contributo tendente ad aprire un dibattito, e ad avviare un’azione concreta e consapevole, su di una riforma che può senz’altro essere ritenuta fondamentale date le conseguenze che da essa scaturiscono anche per risolvere i problemi della struttura politica, organizzativa, funzionale, del partito ai vari livelli. È quindi augurabile che, in vista dell’attuazione dell’ordinamento regionale e del rilancio della Democrazia Cristiana, l’azione riformatrice interna si avvalga della discussione avviata e non si sviluppi con ritardo anche in un campo in cui il non perdere ulteriormente tempo prezioso dipende unicamente dalla nostra volontà e dal nostro coraggio.
6 ‑ Il partito e le regioni (pag. 24).
« La politica di programmazione pone al partito nuovi compiti di iniziativa, di presenza e di coordinamento in sede regionale.
Cosa si propone per assolvere alle nuove funzioni del partito nelle Regioni a statuto speciale e nelle Regioni a statuto ordinario? ».
Per indicare i nuovi compiti del partito in sede regionale, di fronte alla politica di programmazione, e trarre da essi lo spunto per un coerente modello organizzativo, funzionale, e soprattutto politico, occorre anzitutto richiamare sinteticamente la concezione che la D.C. dovrebbe avere della programmazione.
E’ noto che anche nei sistemi politici e amministrativi più centralistici la programmazione economica ha sollevato il problema di una articolazione spaziale (regioni in senso amministrativo o comprensori territoriali) sia pure per motivi tecnici o di efficienza. A maggior ragione, sulla base della nostra concezione pluralista della società, e di una visione non puramente economicista dei problemi dello sviluppo, la programmazione economica e la sua articolazione regionale si collocano in un contesto politico che attribuisce al momento istituzionale, vale a dire alla democratizzazione dello Stato ed al potenziamento delle autonomie locali, una importanza primaria al fine di garantire, con la razionalizzazione del processo di sviluppo e l’uso delle risorse in base ad una precisa scala di valori, il controllo e la partecipazione popolare e un concreto allargamento della sfera della libertà.
In entrambi i casi, ovviamente, il partito si trova di fronte a compiti nuovi che richiedono strumenti adeguati e funzioni diverse da quelle tradizionali, ma è chiaro che i modelli organizzativi, funzionali e politici che ne discendono non possono non divergere profondamente tra di loro.
Con il primo tipo di programmazione, cui ci si avvierebbe fatalmente se dovesse permanere l’attuale organizzazione centralistica dello Stato (per nulla intaccata dalla costituzione per decreto ministeriale delle C.R.P.E.), si apre ad esempio la via a nuove forme di consultazione, di coordinamento, di sintesi, in sé positive, ma oltre a lasciare irrisolto il problema del trasferimento dei centri di decisione si rischia di operare un pericoloso spostamento di potere dalle sedi democratiche ai tecnici, ai gruppi d’interesse, alle istanze amministrative condizionate da esigenze circoscritte e particolari, e con la depoliticizzazione che ne conseguirebbe aumenterebbero anche le difficoltà per superare in una visione più generale, e quindi politica, gli inevitabili contrasti campanilistici o di interesse. In questa ipolesi l’adeguamento della struttura regionale del partito, in ogni caso necessaria, potrebbe anche ridursi a pochi ritocchi (soprattutto in materia di formazione degli organi e di competenze statutarie) dal momento che l’obiettivo del coordinamento, con tutti i suoi limiti, prevarrebbe su quelli della iniziativa e della presenza diretta che sono invece essenziali per lo svolgimento di una effettiva funzione di guida politica sulla base di un potere di scelta legittimo a vincolante.
Con il secondo tipo di programmazione, invece, diventano fondamentali l’attuazione dell’ordinamento regionale e la revisione della legislazione sulle autonomie locali, in stretta coerenza con il dettato costituzionale e quindi attraverso un effettivo trasferimento di poteri e di funzioni dal centro alla periferia, e pur essendo indispensabile anche in questo caso il ricorso a forme di consultazione, di coordinamento, di sintesi, vengono radicalmente mutati, con evidenti garanzie di ordine democratico e minori rischi corporativi, i compiti, le funzioni, le responsabilità politiche del partito. In questa ipotesi l’adeguamento della struttura regionale del partito non solo risulta più impegnativo, ma diviene anche un elemento centrale delle riforme da introdurre perché condiziona e modifica, con la creazione di una dimensione regionale dotata di effettivi poteri di scelta e di indirizzo politico, le stesse strutture centrali e periferiche nel quadro di una visione organica, non solo regionalistica, dei nuovi compiti da assolvere.
E’ chiara dunque l’importanza della scelta politica da compiere circa il tipo di programmazione che si vuole realizzare e circa il quadro istituzionale in cui essa si colloca al fine di una ricerca coerente del modello organizzativo, funzionale e politico, da adottare per la regionalizzazione della struttura del partito.
Assumendo come scelta quella relativa al secondo tipo di programmazione economica, corrispondente alle concezioni di fondo della D.C., strettamente legata all’attuazione dell’Ente regionale, gli obiettivi da raggiungere con la riforma interna possono essere riassunti nei seguenti punti essenziali:
1) dotare gli organi regionali del partito dei necessari poteri di scelta e di indirizzo politico;
2) garantire il carattere democratico del mandato anche in relazione alla consistenza e al ruolo delle diverse rappresentanze;
3 ) stabilire un collegamento organico, di condizionamento reciproco, tra le strutture regionali e quelle centrali e periferiche;
4) realizzare strumenti operativi efficienti soprattutto nel collegamento con le istanze amministrative e tecniche, rispetto all’attività dell’Ente Regione e ai compiti della programmazione regionale e nazionale.
Rinviando alle risposte riguardanti un’altra parte del questionario lo sviluppo dei punti 1‑2‑3, rimane da precisare in termini più concreti il punto 4 che si collega direttamente ai compiti nuovi che attendono il partito in sede regionale.
Il compito più urgente che si pone al partito in sede regionale è quello di recare il proprio contributo politico alla elaborazione delle linee della programmazione ponendo in tale ambito, secondo le proprie finalità, la soluzione dei problemi economici, sociali, amministrativi, riguardanti la regione garantendo un collegamento, sul terreno politico, tra la programmazione regionale e quella nazionale. E’ noto, infatti, che le Regioni sono costituzionalmente chiamate a svolgere, oltre a compiti diretti relativi all’ambito di competenza, una funzione collaborativa e di controllo in materia di elaborazione dei programmi economici nazionali.
A questo fine è in pratica rivolta la costituzione, sia pure con i limiti ricordati, delle C.R‑P.E, che dovrebbero appunto assicurare, a quanto si legge nella relazione presentata dai Ministri del Bilancio e del Tesoro sulla situazione economica, ” l’apporto delle collettività locali al primo programma quinquennale ” attraverso un inserimento immediato nei procedimenti di programmazione in atto. Non è possibile immaginare che l’elaborazione sia pure indicativa dei programmi economici regionali che richiede scelte di priorità e orientamenti precisi in materia di trasporti, di discipline del territorio, di localizzazioni industriali e residenziai, di qualificazione settoriale dello sviluppo, di concezione delle infrastrutture e dei servizi civili, (tanto per indicare i problemi più importanti) possa avvenire al di fuori di una efficace direttiva politica, riguardante evidentemente le opzioni fondamentali della programmazione, da parte del partito. Non è possibile immaginare un contributo regionale alla elaborazione della programmazione nazionale, in una prospettiva che eviti cioè gli egoismi regionali o il puro scontro di interessi, al di fuori di quel taglio politico che soltanto il partito, sensibile ai problemi delle autonomie ma anche dotato di concezioni generali valide nazionalmente, è in grado di dare.
Si tratta di compiti di presenza, di ricerca, di scelta, di indirizzo, che sono tipici dei partiti politici e che non sono quindi delegabili, se non in sede operativa, a rappresentanti che sono portatori individualmente dell’ideale del partito, ma che sono anche investiti da mandati particolari non facilmente superabili su di un piano di maggiore respiro. Queste osservazioni non devono far pensare ad una specie di politicismo partitico soffocatore delle responsabilità o degli apporti amministrativi, tecnici, di settore; al contrario si tratta di creare le condizioni istituzionali affinché, tanto sul terreno della elaborazione che su quello operativo, le varie istanze possono trovare la sede naturale del loro confronto e dar vita ad indirizzi politici e di programma di cui il partito, come del resto avviene a tutti gli altri livelli, possa rendersi garante in modo qualificato e unitario.
Se dall’esigenza di affrontare i compiti derivanti dalla programmazione in sede regionale al partito, sia attraverso le attuali e transitorie procedure che in fasi successive ancor più impegnative, si passa a quelle connesse alla attuazione dell’ordinamento regionale, alla riorganizzazione delle strutture amministrative oggi dipendenti dai Ministeri centrali, alla elaborazione dei programmi da presentare nelle future Assemblee, alla formazione di una classe dirigente adeguata, alla sensibilizzazione dell’opinione pubblica alla tematica regionale in senso corretto, si ha la misura dell’importanza e dell’urgenza di una radicale trasformazione delle attuali articolazioni organizzative, funzionali, politiche, esistenti nelle singole regioni.
Di fronte ai compiti richiamati, certamente più complessi di quanto possa apparire dalle sintetiche osservazioni fatte, le attribuzioni degli attuali Comitati regionali del partito, come la loro struttura funzionale e operativa, sono nettamente insufficienti.
Si tratta, anzitutto, di modificare l’art. 55 dello statuto (e di riflesso l’intero Titolo V) integrando chiaramente la funzione di coordinamento, ea in termini molto generici di studio, con compiti di iniziativa, di decisione, di rappresentanza, di controllo, di collegamento con la direzione centrale e con i comitati provinciali e cittadini realizzando un sistema di consultazioni che garantisca, in campi ben definiti, le reciproche autonomie.
Per evitare degerazioni partitocratiche sarebbe opportuno disciplinare anche i rapporti tra amministratori, tecnici, rappresentanti di istanze particolari, sia attraverso la formula della partecipazione di diritto degli esponenti più significativi negli organi di partito sancita statutariamente, sia attraverso la creazione di alcune commissioni specifiche (staff) che svolgano una funzione di consulenza nello svolgimento dell’attività regionale.
La riforma statutaria, di cui si sono indicati solo i criteri ispiratori perché è tecnicamente impossibile arrivare alla stesura di proposte concrete che non tengano conto anche delle altre parti dello statuto, deve naturalmente essere accompagnata dalla creazione di una struttura di uffici regionali, essenziali e coerenti con le funzioni stabilite, che consentano di svolgere la propria attività al Comitato, alla Giunta ed alla Segreteria regionali e di esercitare, anche sul piano dei rapporti esterni, la propria funzione di iniziativa e di guida politica.
Il problema che sorge è quello di una indispensabile precisazione, in rapporto a questa nuova dimensione regionale del partito, delle competenze e funzioni degli altri livelli, sia centrale che periferico, ma ciò investe, evidentemente, temi riguardanti altre parti del questionario dell’Assemblea nazionale: è certo tuttavia che le scelte in materia di regionalizzazione del partito non potranno non influenzare, in un senso o nell’altro, la riconsiderazione dell’intera struttura interna in tutti i suoi aspetti.
Per quanto riguarda, infine, i compiti particolari riguardanti le Regioni a statuto speciale si ritiene che, almeno sul terreno della struttura organizzativa, funzionale, politica, del partito, il discorso, salvo alcune esigenze peculiari da risolvere ad hoc, può essere analogo a quello riguardante le Regioni a statuto ordinario: quello che muta è il contenuto dell’azione e la necessità di svolgere, a fronte di istituzioni già operanti, funzioni di iniziativa e di guida già in atto e bisognose, semmai, di ulteriori perfezionamenti. Ma questo, evidentemente, è un problema politico concreto.
« Quali iniziative deve prendere la D.C. per coordinare l’attività legislativa di competenza del Parlamento Nazionale con quella di competenza delle Regioni? ».
La potestà legislativa attribuita dalla Costituzione alla Regioni, come è noto, si svolge nei limiti dei principi fondamentali delle leggi dello Stato (leggi quadro) e semprechè le norme emanate non siano in contrasto con l’interesse nazionale e quello di altre regioni (art. 117). In questo ambito deve manifestarsi, e anzi deve essere impostato sin dall’inizio con molta chiarezza, il coordinamento politico per realizzare un’intesa di linea generale tra Direzione centrale del partito e organi regionali, sulle materie specifiche della legislazione.
E’ evidente che l’intesa ed il coordinamento non possono significare limitazione dell’autonomia, nell’ambito della legge e dei presupposti ideali e politici del Partito, delle rispettive funzioni; a questo fine, oltre all’intervento degli organi politici per le decisioni di grande rilievo, è necessario prevedere una completa ristrutturazione dell’Ufficio legislativo e procedure di consultazione tra esso e gli Uffici legislativi regionali. Utile potrebbe anche essere una pubblicazione periodica specifica che, oltre ad illustrare le direttive generali e le iniziative delle singole regioni, mantenga aggiornato un repertorio di tutti i disegni di legge presentati o approvati per le diverse materie.
« In qual modo e con quali strumenti si può favorire la cooperazione fra i membri democristiani del Parlamento Nazionale e quelli delle Assemblee Regionali? » .
Come si è già detto il modo di favorire la cooperazione auspicata è quello del rispetto della reciproca autonomia, fermo restando i limiti di legge ed i principi ispiratori del Partito, nel porre in essere i necessari procedimenti di coordinamento e di scambio dei reciproci punti di vista: gli strumenti potrebbero essere quelli di commissioni ristrette regionali composte da rappresentanze di parlamentari nazionali e regionali delle singole Regioni, con l’obbligo di riunioni periodiche per l’esame dei problemi legislativi sul tappeto, e di una consulta nazionale composta con più ampia rappresentatività, per l’esame delle questioni di carattere generale, e presieduta dal Segretario politico del Partito.
15 ‑ Il Comitato regionale (pag. 54).
« In vista dell’attuazione dell’ordinamento regionale autonomo, come va potenziato e organizzato il Comitato Regionale? ».
Nella risposta alle domande n. 6 (il partito e le regioni) si era rinviato lo svolgimento di alcuni punti essenziali che dovrebbero presiedere, in vista del potenziamento del partito in sede regionale, la riforma interna tra cui:
1) dotare gli organi regionali del partito dei necessari poteri di scelta ea di indirizzo politico;
2) garantire il carattere democratico del mandato anche in relazione alla consistenza e al ruolo delle diverse rappresentanze.
Condizione preliminare per poter dotare gli organi regionali del partito di effettivi e vincolanti poteri di scelta e di indirizzo politico con le necessarie garanzie democratiche e di rispetto delle diverse rappresentanze è quello della eliminazione, nella composizione del Comitato Regionale, dello attuale rapporto paritetico che non valorizza i comitati provinciali in relazione alla propria consistenza numerica, (e tantomeno a quella degli elettori) e altera spesso il ruolo delle diverse comunità provinciali (ad esempio la grande metropoli ed il piccolo centro urbano) nell’ambito regionale.
Il numero dei membri dei Comitati regionali, anzitutto, dovrebbe essere determinato sulla scorta di dati obiettivi the ne sottolineino la diversa importanza: usando il criterio già adottato per i Comitati provinciali, nell’art. 43 del1’attuale statuto, è necessario in primo luogo fissare un numero di eletti variabili in rapporto alla popolazione residente nelle singole regioni (ad esempio da un massimo riguardante un indice di popolazione residente superiore ai 7 milioni ad un minimo per le regioni con popolazione residente inferiore al milione: in base al censimento 1961 solo la Lombardia supererebbe il massimo, con i suoi 7 milioni e 408 mila abitanti, e nel minimo rientrerebbero il Trentino Alto‑Adige, l’Umbria, la Basilicata, la Valle d’Aosta, mentre le restanti regioni oscillano tutte tra questi due valori) che potrebbe attestarsi attorno ad un massimo di 60 membri e ad un minimo di 30; successivamente è necessario ripartire proporzionalmente, anche qui con riferimenti obiettivi, il numero di membri del Comitato Regionale spettante ad ogni provincia in base ad un indice ponderato che tenga conto della popolazione ‑ che riflette l’importanza dei singoli centri urbani ‑ e dei voti validi raccolti dalla D.C. nelle ultime elezioni ‑ che riflette la forza reale del Partito ‑ in modo da assicurare una effettiva rappresentatività politica al massimo organo deliberativo delle singole regioni.
Da un punto di vista strettamente democratico la formula migliore sarebbe quella di un unico congresso regionale, in cui la ripartizione proporzionale dei seggi deriverebbe automaticamente dal diverso peso delle singole rappresentanze provinciali, ma essa presenta ‑ ad una riflessione attenta ‑due inconvenienti: il primo è che tale formula richiede un collegamento diretto organizzativo ed elettorale tra comitato regionale e sezioni (a cominciare dal tesseramento) che eliminerebbe, praticamente, la funzione e l’autonomia dei comitati provinciali; il secondo è che per tale via si determinerebbe, fatalmente, una spinta regionalistica di tipo federativo in un certo senso contrastante con il compito di sintesi politica che un partito pluralista e a respiro nazionale ha l’obbligo, pur in presenza di un’ampia articolazione di autonomie regionali e provinciali, di salvaguardare.
L’ipotesi di una elezione del comitato regionale da una assemblea formata da tutti i membri dei comitati provinciali della regione, che viene suggerita da qualche parte per i suoi pregi di praticità, avrebbe il valore di una pseudo riforma in quanto il principio della pariteticità delle rappresentanze provinciali, che è il vero difetto del sistema attuale, non verrebbe affatto superato dalla lieve diversità numerica dei comitati provinciali fissata dall’art. 43 dello statuto in rapporto ad un generico indice della popolazione. Questo sistema, inoltre, avrebbe anche tutti i difetti della elezione indiretta che oltre a prestare il fianco alle pure combinazioni di vertice impedisce di sensibilizzare, attraverso congressi provinciali che discutono di problemi riguardanti la regione, il partito nelle sue istanze di base. La proposta avanzata, invece, tiene conto del peso della popolazione, indicativo del fabbisogno di esigenze civili e politiche generali, della forza reale del partito, principale fonte di legittimità, di un sistema di elezione diretta dai congressi provinciali che non altera i rapporti di autonomia e di collaborazione dialettica tra comitato regionale e comitati provinciali.
I criteri di applicazione possono essere variabili (perciò vengono indicati rapporti di tipo diverso: popolazione‑voti, iscritti‑voti, iscritti, voti, ecc.) ma la loro funzionalità rispetto agli obiettivi della regionalizzazione della struttura del partito, in un articolato sistema di autonomie, sembra essere maggiore di quella garantita da altre soluzioni proposte.
(Si veda l’allegato n. 1: esempi di applicazione del sistema per determinare la composizione del comitato regionale).
Una volta stabilita la composizione del Comitato Regionale, e la ripartizione proporzionale tra le varie provincie dei suoi membri, le singole delegazioni dovrebbero essere elette a seguito di un dibattito sui temi della politica regionale direttamente dai congressi provinciali, eventualmente in contemporaneità con l’elezione dei Comitati Provinciali, attraverso il sistema proporzionale corretto in vigore per tutti i livelli del Partito; (le proposte in materia elettorale rientrano in altra parte del questionario).
Per garantire la partecipazione diretta al Comitato Regionale di personalità particolarmente qualificate in sede regionale, dal punto di vista amministrativo, tecnico o culturale, sembra opportuno conservare il principio della cooptazione (art. 56 attuale) attraverso la elezione con voto limitato, da parte dei membri eletti dalle singole provincie, di un numero variabile di membri da 3 a 7 a seconda dei criteri fissati per la composizione dei Comitati stessi.
Tra i membri di diritto, con voto consultivo, dovrebbero essere previsti:
a) i segretari provinciali;
b) i delegati regionali dei movimenti;
c) il segretario del comitato comunale del capoluogo di regione;
d) i deputati regionali;
e) i parlamentari della regione in proporzione di un rappresentante ogni cinque parlamentari o numero minore;
f) i1 direttore del quotidiano o del periodico regionale.
II Comitato Regionale, così costituito dovrebbe poi eleggere al suo interno il Segretario regionale ed il Segretario regionale amministrativo, a maggioranza semplice; e la Giunta esecutiva regionale (non meno di cinque e non più di undici membri) con voto limitato a due terzi allo scopo di garantire una qualificata presenza delle minoranza; alla Giunta esecutiva dovrebbero essere chiamati a far parte con voto consultivo: a) il Presidente democratico cristiano della giunta di governo dell’Ente Regione;
b) il capo gruppo dell’Assemblea;
c) il direttore del quotidiano o del periodico regionale;
d) i delegati dei movimenti.
Ad affiancare l’operato della Segreteria regionale, che risponde dell’indirizzo politico del comitato regionale, dovrebbe essere prevista statutariamente la costituzione di una consulta politico‑amministrativa, per l’esame periodico dei problemi amministrativi della regione, così composta:
a) i membri della giunta regionale del partito;
b) i sindaci ed i presidenti democratici cristiani del le amministrazioni comunali a provinciali capoluogo di provincia;
c) i capi gruppo delle amministrazioni di cui al comma b).
L’attuale Titolo V dello statuto, relativo ai Comitati regionali dovrebbe ‑ infine ‑ essere completato con precise norme riguardanti le incompatibilità con l’incarico delta Segreteria, senza possibilità di eccezioni (questo dovrebbe essere un criterio esteso ad ogni livello), le facoltà e i limiti degli interventi organizzativi e disciplinari, le competenze specifiche dei vari organi elettivi, con riferimento ai compiti più volte richiamati, la loro durata, la periodicità delle riunioni, poteri di convocazione dei diversi organi, ecc.
« Quali compiti dovrebbero essere attribuiti ai Comitati Regionali? ».
Del significato politico e programmatico dei Comitati regionali, in vista dell’attuazione dell’Ente Regione e della programmazione economica, si è già detto nella risposta alla domanda n. 6: rimane da precisare il discorso sugli strumenti per l’espletamento di tali compiti. In relazione a ciò si è richiamata l’esigenza di “stabilire un collegamento organico, di condizionamento reciproco, tra le strutture regionali e quelle centrali e periferiche ” del partito (punto 3 ).
Dal punto di vista funzionale l’articolazione degli uffici di lavoro del comitato regionale, affidati alla responsabilità politica di membri della Giunta che presiede anche alla loro organizzazione, dovrebbe essere estremamente essenziale per evitare dispersioni, inefficienze, settorialismi: ad esempio, un “ufficio programmazione”, che racchiuda la competenza dei problemi economici, sociali, urbanistici, ecc., un “ufficio studi “, che si occupi di tutti i problemi della ricerca, dell’approfondimento, dell’attività culturale e formativa, un “ufficio organizzativo “, riguardante tutti i problemi del coordinamento e dell’attività interna di partito, un “ufficio propaganda e stampa “, che presieda a tutte le iniziative in materia editoriale e di formazione dell’opinione pubblica, in modo da assicurare la necessaria uniformità di indirizzo sulla base delle direttive fissate dagli organi deliberanti.
E’ chiaro che tale semplificazione, spinta al massimo per ragioni dimostrative, può essere articolata diversamente sia dal punto di vista tecnico‑funzionale che da quello della loro specifica denominazione. Sembra tuttavia opportuno ricordare che anche la terminologia ha la sua importanza per riqualificare una funzione nuova rispetto a quella tradizionale: l’esempio maggiore, in questo senso, è dato dal concepire l’ufficio programmazione non come un settore, ma come lo strumento di una concezione nuova e sintetica dell’attività politico‑amministrativa a livello regionale. Ciò vale anche per tutti gli altri uffici, per i quali è evidentemente aperto il discorso sia numerico che qualitativo, in relazione all’obiettivo della massima efficienza delle funzioni che devono essere assolte.
Naturalmente, per compensare la rigida semplificazione funzionale sarebbe necessario ricorrere, all’interno dei singoli ” uffici “, alla formazione di ristretti ” gruppi di lavoro” (ad esempio: urbanistica, trasporti, ecc.; analisi di ambiente, corsi formativi, ecc.; convegni di dirigenti e coordinamento della attività delle singole provincie, ecc.; pubblicazioni particolari, collegamento periodici, ecc.) composti da esperti e dai dirigenti provinciali dei singoli settori (si veda nell’allegato n. 2: organigramma della struttura regionale del partito).
Per realizzare il collegamento tra strutture funzionali del Partito ai diversi livelli (centrale, regionale, provinciale), è evidentemente indispensabile che l’impostazione degli uffici centrali e di quelli provinciali sia, se non uniforme data la diversità dei compiti specifici, per lo meno impostata sugli stessi principi organizzativi e quindi raccordabile attraverso rapporti semplici ed essenziali. Questi problemi investono altre parti del questionario, ma il richiamo in questa sede è fatto per ricordare che la stesura dei singoli articoli dello statuto, almeno per quanto riguarda le competenze specifiche, le materie miste, le autonomie ed i rapporti gerarchici, dovrebbe essere contestuale per i tre livelli più importanti della struttura del partito, anche per evitare contraddizioni, dimenticanze, o sovrapposizioni di poteri.
« Il Comitato Regionale dovrà essere eletto nello stesso modo dei Comitati provinciali, oppure con elezioni di secondo grado? ».
Al presente quesito si è già risposto precedentemente a proposito dell’organizzazione del Comitato Regionale e perciò ci limitiamo a riassumere.
Il Comitato Regionale è formato:
‑ dai membri spettanti ad ogni provincia eletti dai congressi provinciali con sistema proporzionale;
‑ da un numero di membri particolarmente qualificati in sede regionale cooptati con voto limitato da parte dei membri eletti dalle provincie.
Il Segretario politico e il segretario amministrativo regionali sono eletti a maggioranza semplice dal Comitato Regionale successivamente alla cooptazione.
La Giunta esecutiva regionale è eletta:
‑ dal Comitato Regionale con voto limitato ai 2/3.
Il tipo di elezione proposto, che conferisce una larga base di investitura democratica diretta e la partecipazione delle minoranze agli organi regionali del partito, consentirebbe di superare l’attuale rappresentanza territoriale del consigliere nazionale eletto, nel congresso nazionale, dalle singole regioni attraverso la statuizione della partecipazione di diritto delle minoranze agli organi regionali del partito, consentirebbe, oltre ad un diretto e più stretto collegamento tra organi centrali e periferici, anche un più unitario criterio di elezione del consiglio nazionale sulla base di scelte politiche maggiormente qualificate in sede congressuale nazionale.
Allegato n. 1
ESEMPI DI APPLICAZIONE DEL SISTEMA PER DETERMINARE LA COMPOSIZIONE DEL COMITATO REGIONALE
Nell’effettuare i calcoli relativi agli esempi the seguono (Lombardia, Emilia, Campania, Umbria, Liguria, Sardegna) si è tenuto conto dei seguenti criteri
1) la ripartizione dei seggi tra i fattori confrontati corrisponde al 50%, ma tale rapporto è ovviamente variabile sulla base di una scelta discrezionale;
2) la distribuzione proporzionale dei seggi è stata calcolata contenendo le percentuali alte e maggiorando quelle basse in termini di arrotondamento;
3) la distribuzione proporzionale dei seggi rapportata ad un solo fattore si ottiene raddoppiando la ripartizione delle singole colonne;
4) per consentire in ogni caso la partecipazione delle minoranze il minimo dei seggi attribuiti alle singole province dovrebbe essere di due unità applicando una eventuale ulteriore riduzione alle rappresentanze più forti.
ESEMPIO DI GRANDE REGIONE SETTENTRIONALE CON FORTE CAPOLUOGO
LOMBARDIA
Rapporto iscritti-voti
COMPOSIZIONE COMITATO REGIONALE PARTITO
(membri eletti dalle singole provincie: N. 60)
PROVINCIE | Iscritti tesseram. 1963 | % sul totale | Seggi 50% | Voti D.C. politiche 1963 | % sul totale | Seggi 50% | Ripartizione Proporzionale Seggi prov. |
VARESE COMO SONDRIO MILANO BERGAMO BRESCIA PAVIA CREMONA MANTOVA | 10.745 13.662 4.571 57.372 28.538 8.778 8.768 8.344 31.481 | 6,2 7,9 2,7 33,3 16,6 5,1 5,1 4,8 18,3 | 2 2 1 9 5 2 2 2 5 | 163.408 200.626 49.169 696.903 276.304 109.673 101.446 85.338 267.463 | 8,4 10,3 2,5 35,7 14,2 5,6 5,2 4,4 13,7 | 2 3 1 10 4 2 2 2 4 | 4 5 2 19 9 4 4 4 9 |
TOTALI | 172.259 | 100 | 30 | 1.950.330 | 100 | 30 | 60 |
Rapporto popolazione-voti
COMPOSIZIONE COMITATO REGIONALE PARTITO
(membri eletti dalle singole provincie: N. 60)
PROVINCIE | Popolaz. censim. 1961 | % sul totale | Seggi 50% | Voti D.C. politiche 1963 | % sul totale | Seggi 50% | Ripartizione Proporzionale Seggi prov. |
VARESE COMO SONDRIO MILANO BERGAMO BRESCIA PAVIA CREMONA MANTOVA | 581.528 622.132 161.450 3.156.815 744.670 882.949 518.193 351.160 387.255 | 7,9 8,4 2,2 42,6 10,1 11,9 7,0 4,7 5,2 | 2 3 1 13 3 4 2 1 1 | 163.408 200.626 49.169 696.903 276.304 109.673 101.446 85.338 267.463 | 8,4 10,3 2,5 35,7 14,2 5,6 5,2 4,4 13,7 | 2 3 1 10 4 2 2 2 4 | 4 5 2 23 7 6 4 3 5 |
TOTALI | 7.406.152 | 100 | 30 | 1.950.330 | 100 | 30 | 60 |
ESEMPIO DI GRANDE REGIONE CON PREVALENTE ORIENTAMENTO DI SINISTRA
EMILIA
Rapporto iscritti-voti
COMPOSIZIONE COMITATO REGIONALE PARTITO
(membri eletti dalle singole provincie: N. 50)
PROVINCIE | Iscritti tesseram. 1963 | % sul totale | Seggi 50% | Voti D.C. politiche 1963 | % sul totale | Seggi 50% | Ripartizione Proporzionale Seggi prov. |
BOLOGNA FERRARA FORLI’ MODENA PARMA PIACENZA RAVENNA REGGIO E. | 11.647 6.475 8.579 13.880 10.439 5.378 5.609 10.560 | 16,1 8,9 11,8 19,1 14,4 7,4 7,7 14,6 | 4 2 3 5 3 2 2 4 | 137.655 51.523 91.333 96.055 80.335 66.861 55.346 71.873 | 21,1 7,9 14,0 14,8 12,3 10,3 8,5 11,1 | 5 2 4 4 3 2 2 3 | 9 4 7 9 6 4 4 7 |
TOTALI | 72.567 | 100 | 25 | 650.981 | 100 | 25 | 50 |
Rapporto popolazione-voti
COMPOSIZIONE COMITATO REGIONALE PARTITO
(membri eletti dalle singole provincie: N. 50)
PROVINCIE | Popolaz. censim. 1961 | % sul totale | Seggi 50% | Voti D.C. politiche 1963 | % sul totale | Seggi 50% | Ripartizione Proporzionale Seggi prov. |
BOLOGNA FERRARA FORLI’ MODENA PARMA PIACENZA RAVENNA REGGIO E. | 841.474 403.218 521.128 511.355 389.199 291.059 329.559 379.688 | 22,9 11,0 14,2 14,0 10,6 7,9 9,0 10,4 | 6 3 2 4 3 2 2 3 | 137.655 51.523 91.333 96.055 80.335 66.861 55.346 71.873 | 21,1 7,9 14,0 14,8 12,3 10,3 8,51 1,1 | 5 2 4 4 3 2 2 3 | 11 5 6 8 6 4 4 6 |
TOTALI | 3.666.680 | 100 | 25 | 650.981 | 100 | 25 | 50 |
ESEMPIO DI GRANDE REGIONE MERIDIONALE CON FORTE CAPOLUOGO
CAMPANIA
Rapporto iscritti-voti
COMPOSIZIONE COMITATO REGIONALE PARTITO
(membri eletti dalle singole provincie: N. 50)
PROVINCIE | Iscritti tesseram. 1963 | % sul totale | Seggi 50% | Voti D.C. politiche 1963 | % sul totale | Seggi 50% | Ripartizione Proporzionale Seggi prov. |
AVELLINO BENEVENTO CASERTA NAPOLI SALERNO | 27.772 15.594 38.634 74.490 40,938 | 14,1 7,9 19,6 20,7 37,7 | 4 2 5 9 5 | 105.943 74.438 159.670 452.823 195.183 | 10,7 7,5 16,2 45,8 19,8 | 3 2 4 11 5 | 7 4 9 20 10 |
TOTALI | 197.428 | 100 | 25 | 988.057 | 100 | 25 | 50 |
Rapporto popolazione-voti
COMPOSIZIONE COMITATO REGIONALE PARTITO
(membri eletti dalle singole provincie: N. 50)
PROVINCIE | Popolaz. censim. 1961 | % sul totale | Seggi 50% | Voti D.C. politiche 1963 | % sul totale | Seggi 50% | Ripartizione Proporzionale Seggi prov. |
AVELLINO BENEVENTO CASERTA NAPOLI SALERNO | 464.904 313.020 649.327 2.421.243 912.265 | 9,8 6,6 13,6 50,8 19,2 | 2 2 3 13 5 | 105.943 74.438 159.670 452.823 195.183 | 10,7 7,5 16,2 45,8 19,8 | 3 2 4 11 5 | 7 4 7 24 10 |
TOTALI | 4.760.759 | 100 | 25 | 988.057 | 100 | 25 | 50 |
ESEMPIO DI PICCOLA REGIONE CON PREVALENTE ORIENTAMENTO DI SINISTRA
UMBRIA
Rapporto popolazione-voti
COMPOSIZIONE COMITATO REGIONALE PARTITO
(membri eletti dalle singole provincie: N. 60)
PROVINCIE | Popolaz censim. 1961 | % sul totale | Seggi 50% | Voti D.C. politiche 1963 | % sul totale | Seggi 50% | Ripartizione Proporzionale Seggi prov. |
PERUGIA TERNI | 570.149 224.596 | 71,7 28,3 | 11 4 | 116.672 39.382 | 74,8 25,2 | 11 4 | 22 8 |
TOTALI | 794.745 | 100 | 15 | 156.054 | 100 | 15 | 30 |
Rapporto iscritti-voti
COMPOSIZIONE COMITATO REGIONALE PARTITO
(membri eletti dalle singole provincie: N. 60)
PROVINCIE | Iscritti Tesseram. 1963 | % sul totale | Seggi 50% | Voti D.C. politiche 1963 | % sul totale | Seggi 50% | Ripartizione Proporzionale Seggi prov. |
PERUGIA TERNI | 12.85 75.155 | 71,4 28,6 | 11 4 | 116.672 39.382 | 74,8 25,2 | 11 4 | 22 8 |
TOTALI | 18.012 | 100 | 15 | 156.054 | 100 | 15 | 30 |
ESEMPIO DI PICCOLA REGIONE CON PREVALENTE ORIENTAMENTO DEMOCRATICO
LIGURIA
Rapporto popolazione-voti
COMPOSIZIONE COMITATO REGIONALE PARTITO
(membri eletti dalle singole provincie: N. 40)
PROVINCIE | Popolaz censim. 1961 | % sul totale | Seggi 50% | Voti D.C. politiche 1963 | % sul totale | Seggi 50% | Ripartizione Proporzionale Seggi prov. |
GENOVA IMPERIA LA SPEZIA SAVONA | 1.031.091 202.160 239.256 268.842 | 59,2 11,6 13,8 15,4 | 12 2 3 3 | 210.342 55.617 54.063 67.321 | 54,3 14,3 14,0 17,4 | 11 3 3 3 | 23 5 6 6 |
TOTALI | 1.741.349 | 100 | 20 | 387.343 | 100 | 20 | 40 |
Rapporto iscritti-voti
COMPOSIZIONE COMITATO REGIONALE PARTITO
(membri eletti dalle singole provincie: N. 40)
PROVINCIE | Iscritti Tesseram. 1963 | % sul totale | Seggi 50% | Voti D.C. politiche 1963 | % sul totale | Seggi 50% | Ripartizione Proporzionale Seggi prov. |
GENOVA IMPERIA LA SPEZIA SAVONA | 18.370 6.825 5.752 7.042 | 48,4 18,0 15,1 18,5 | 10 3 3 4 | 210.342 55.617 54.063 67.321 | 54,3 14,3 14,0 17,4 | 11 3 3 3 | 21 6 6 7 |
TOTALI | 37.989 | 100 | 20 | 387.343 | 100 | 20 | 40 |
ESEMPIO DI PICCOLA REGIONE A STATUTO SPECIALE
SARDEGNA
Rapporto popolazione-voti
COMPOSIZIONE COMITATO REGIONALE PARTITO
(membri eletti dalle singole provincie: N. 60)
PROVINCIE | Popolaz censim. 1961 | % sul totale | Seggi 50% | Voti D.C. politiche 1963 | % sul totale | Seggi 50% | Ripartizione Proporzionale Seggi prov. |
CAGLIARI NUORO SASSARU | 754.965 283.206 381.191 | 53,2 20,0 26,8 | 8 3 4 | 149.808 69.880 89.066 | 48,52 2,6 28,9 | 8 3 4 | 16 6 8 |
TOTALI | 1.419.362 | 100 | 15 | 308.754 | 100 | 15 | 30 |
Rapporto iscritti-voti
COMPOSIZIONE COMITATO REGIONALE PARTITO
(membri eletti dalle singole provincie: N. 60)
PROVINCIE | Iscritti Tesseram. 1963 | % sul totale | Seggi 50% | Voti D.C. politiche 1963 | % sul totale | Seggi 50% | Ripartizione Proporzionale Seggi prov. |
CAGLIARI NUORO SASSARU | 33.431 18.072 14.359 | 50,8 27,4 21,8 | 8 3 4 | 149.808 69.880 89.066 | 48,5 22,6 28,9 | 8 3 4 | 16 6 8 |
TOTALI | 65.862 | 100 | 15 | 308.754 | 100 | 15 | 30 |
(1) COMPOSIZIONE COMITATO REGIONALE
- membri eletti da ogni congresso provinciale con sistema proporzionale rapportato ad un indice che tenga conto della popolazione residente e dei voti validi ottenuti dalla DC
- membri cooptati con voto limitato da parte dei membri eletti dai congressi provinciali
- membri di diritto con voto consultivo:
segretari provinciali delegati regionali movimenti segretario comitato comunale capoluogo regione deputati regionali parlamentari della Regione (1 rappresentante ogni 5 parlamentari ) il direttore del quotidiano o periodico regionale.
(2) COMPOSIZIONE CONSULTA POLITICO‑AMMINISTRATIVA
- membri della giunta esecutiva
- sindaci e presidenti democratici cristiani delle amministrazioni comunali e provinciali capoluogo di provincia
- capigruppo amministrazioni sopra indicate
(3) GIUNTA ESECUTIVA REGIONALE
- membri eletti con voto limitato a due terzi
- membri di diritto con voto consultivo
- presidente DC della giunta esecutiva di governo dell’Ente regione
- capo gruppo assemblea
- direttore quotidiano o periodico regionale
- delegati movimenti
Settembre 1965
Luigi Granelli