Un autentico mentor non è solo un formatore che deve rafforzare sul campo il carattere e le competenze esistenti e integrarle con le nuove competenze che il mercato richiede lavorando sull’”ultimo miglio” del cambiamento, né solo un coach che deve allenare una squadra a recuperare lo smarrimento causato da inesperienza, crisi e fallimenti per vincere il più possibile, è piuttosto un compagno di viaggio che – unendo formazione, coaching e, con sempre maggiore frequenza anche consulenza (advisorship) – affianca imprenditori, professionisti e manager nell’affrontare sia situazioni inedite che momenti e percorsi complessi, aiutandoli a guardare in faccia e poi superare le crisi e a rafforzare alcune competenze strategiche (cultura digitale, sguardo al futuro, abilità persuasivo-negoziali e intelligenza emotiva) per far sì che si appassionino alle sfide e alle novità … e conoscano qualcosa di più di loro stessi.
Una sorta di preparatore emotivo, mentale e culturale che diventa anche advisor su come, perché e quando irrobustirsi e, talvolta, anche su come agire.
Uno dei contributi più frequenti è la messa a punto di un purpose personale – in armonia con quello aziendale – ma in grado di orientare non solo il comportamento professionali ma anche lo sviluppo individuale.
Per poter svolgere questi compiti, il mentor deve anche possedere il gusto dell’innovazione e quindi continuare a studiare e sperimentare nuove (talvolta antiche) tecniche di allenamento, coerenti sia con le sfide della contemporaneità sia come le specificità dell’essere umano contemporaneo.
La trasformative mentorship è un servizio di mentorship il cui fine è completare l’ultimo miglio del cambiamento – quello più personale che tocca non solo i comportamenti ma anche la sensibilità, la mentalità e la percezione di sé (e conseguentemente l’autostima). L’obiettivo è accompagnare l’individuo o il team in una nuova zona di confort legata al possesso di nuove competenze – prevalentemente soft skill – coerenti con le sfide che il contesto pone.
Questa mentorship lavora sulle competenze/capacità e sul mindsetma interagisce anche con la dimensione emotivo-psicologica, più però come dato di partenza (per riconoscere le forme di disagio legate all’incapacità di padroneggiare ciò che il cambiamento richiede) che non come strumento di intervento; non è cioè un’attività di coaching, anche se alcuni cambiamenti devono essere emotion-enabled.
La sua efficacia richiede la compresenza di tre specifiche «capacità»:
manageriali, legate all’esperienza maturata sul campo, per creare empatia e credibilità reciproca e ri-conoscere velocemente situazioni tipiche;
tecniche, per aiutare il o i mentee(s) a completare e mettere a terra quella specifica competenza;
emotivo-psicologiche, per saper «gestire» il disagio, il timore e il senso di inadeguatezza che nasce (anche) dal cambiamento.