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Giovanni Battista Montini nacque il 26 settembre 1897 a Concesio, Il 29 maggio del 1920 ricevette l’ordinazione sacerdotale nella cattedrale di Brescia.
Il 13 dicembre 1937 venne nominato sostituto della Segreteria di Stato; iniziò a lavorare strettamente al fianco del cardinale segretario di stato Eugenio Pacelli. Il 10 febbraio 1939, per un improvviso attacco cardiaco, Pio XI morì. Alle soglie della Seconda guerra mondiale, Eugenio Pacelli venne eletto pontefice con il nome di Pio XII. Poche settimane dopo, Montini (sempre con il ruolo di sostituto) collaborò alla stesura del radiomessaggio di papa Pacelli del 24 agosto per scongiurare lo scoppio della guerra, ormai imminente; sono sue le storiche parole: «Nulla è perduto con la pace! Tutto può esserlo con la guerra».
Nel 1925 viene nominato assistente ecclesiastico dell’FUCI (con Igino Righetti presidente).
Durante il periodo bellico fu l’oscuro organizzatore delle trattative che la principessa Maria José di Savoia, nuora del re Vittorio Emanuele III, in tutta segretezza andava allestendo con gli Americani per giungere ad una pace separata. I Savoia cercavano infatti di sganciarsi da Benito Mussolini, per potersi distinguere dagli autori della prevista disfatta e garantirsi quindi la sopravvivenza politica a guerra conclusa. Il ruolo di Montini era proprio quello del mediatore che ricercò i contatti e condusse gli incontri.
Il 1º novembre 1954, dopo la morte di Alfredo Ildefonso Schuster, Pio XII lo nominò arcivescovo di Milano. A molti questo parve un allontanamento dalla Curia romana, perché improvvisamente egli venne estromesso dalla Segreteria di stato e assegnato all’arcidiocesi ambrosiana per precise disposizioni di papa Pacelli.
Montini fu il primo cardinale nella lista dei porporati creati da Giovanni XXIII nel Concistoro del 15 dicembre 1958.
Dopo la morte di Giovanni XXIII il breve conclave successivo si concluse con l’elezione di Montini, che assunse il nome di Paolo VI, il 21 giugno 1963.
Di rilievo fu la sua scelta di rinunciare, nel 1964, all’uso della tiara papale, mettendola in vendita per aiutare, con il ricavato, i più bisognosi. Il cardinale Francis Joseph Spellman, arcivescovo di New York, la acquistò e da allora è conservata nella basilica dell’Immacolata Concezione di Washington.
Il 27 marzo 1965, Paolo VI in presenza di Sua Ecc.za Mons. Angelo Dell’Acqua, lesse il contenuto di una busta sigillata, che in seguito rinviò all’Archivio del Sant’Uffizio con la decisione di non pubblicare il contenuto. In questa lettera, vi era scritto il Terzo segreto di Fatima.
Durante tutto il suo pontificato, la tensione tra il primato papale e la collegialità episcopale rimase fonte di dissenso. Il 14 settembre 1965, anche per effetto dei risultati conciliari, Paolo VI annunciò la convocazione del Sinodo dei Vescovi, escludendo però dall’ambito di questo nuovo organismo la trattazione di quei problemi riservati al papa, dei quali apprestò una ridefinizione. Il 7 dicembre 1965 – in conclusione del Concilio – pubblica la costituzione pastorale Gaudium et Spes “sulla Chiesa nel mondo contemporaneo”, uno dei principali documenti del Concilio Vaticano II e della Chiesa Cattolica.
Nel 1966, Paolo VI abolì, dopo quattro secoli, e non senza contestazioni da parte dei porporati più conservatori, l’indice dei libri proibiti.
Il 26 marzo 1967 pubblica l’enciclica Populorum Progressio sullo sviluppo dei popoli.
Nel 1967 annunciò l’istituzione della Giornata mondiale della pace, che si celebrò la prima volta l’1 gennaio 1968.
La notte di Natale del 1968 Paolo VI si recò a Taranto e celebrò la messa di mezzanotte nelle acciaierie dell’Italsider. Fu la prima volta in assoluto che la messa di Natale venne celebrata in un impianto industriale. Con questo gesto il pontefice volle rilanciare l’amicizia tra Chiesa e mondo del lavoro in tempi difficili.
Importante fu il messaggio di Paolo VI sul disarmo pronunciato il 24 maggio 1978 all’ONU.
Il 21 aprile 1978 scrisse una struggente lettera agli uomini delle “Brigate Rosse” implorando la liberazione di Aldo Moro.
Il 6 agosto 1978 alle 21,40 si spense nella residenza di Castel Gandolfo a causa di un edema polmonare.
Lasciò un bellissimo testamento, scritto durante il terzo anniversario della sua incoronazione (il 30 giugno 1965) e completato, nel 1972 e nel 1973, da alcune brevi aggiunte.
Giovanni Battista Montini è stato a lungo considerato un esponente delle gerarchie ecclesiastiche tra i più aperti alle novità e alle sollecitazioni del Novecento. Figlio di un deputato del Partito popolare, scettico nel 1929 nei confronti del Concordato, sostituto alla Segreteria di stato durante il pontificato di Pio XII insieme al cardinale Ottaviani per compensarne gli aspetti più conservatori, estimatore del mondo cattolico francese e consigliere di De Gasperi nella costituzione della Democrazia cristiana, viene sempre dipinto come un uomo del dialogo e del confronto.
Negli anni sessanta divenne il papa del Concilio e soprattutto il promulgatore della Populorum progressio, l’enciclica nella quale si mettevano a nudo le responsabilità del Nord del mondo nelle condizioni del sottosviluppo del Sud; tali analisi legittimarono i movimenti più radicali nati in America Latina e in particolare il sorgere della Teologia della liberazione, verso la quale Paolo VI non mancò di esprimere il suo dissenso, e la cui elaborazione fu poi stroncata con determinazione da Ratzinger, prefetto della Congregazione per la dottrina della fede durante il pontificato di Giovanni Paolo II.
Di tutte le encicliche, la Populorum Progressio fu certamente quella più celebre e che riscosse le maggiori approvazioni. Per la prima volta dalla Rerum novarum di Leone XIII (1891) un pontefice riaffrontava in modo specifico, quasi analitico, i problemi di una società mai, come in questi anni, in rapida trasformazione. Celebri i passi:
«È come dire che la proprietà privata non costituisce per alcuno un diritto incondizionato e assoluto. Nessuno è autorizzato a riservare a suo uso esclusivo ciò che supera il suo bisogno, quando gli altri mancano del necessario.» (§ 23)
«I popoli della fame interpellano oggi in maniera drammatica i popoli dell’opulenza. La Chiesa trasale davanti a questo grido di angoscia.» (§ 37)
In alcuni ambienti tradizionalisti questo documento venne tacciato di essere vicino ad una dottrina sociale troppo clemente verso la sinistra e il suo pensiero. All’indomani di quest’enciclica, il quotidiano del MSI il Secolo d’Italia titolò in tono polemico: “Avanti Populorum!”. In pratica, si ripeté la critica avanzata a Giovanni XXIII con l’enciclica del 1963 Pacem in terris, (ribattezzata sempre negli stessi ambienti “Falcem in terris”). Le due encicliche vennero studiate dai due Pontefici con gli stessi collaboratori.
Montini, dal 1954 al 1963, fu arcivescovo di Milano e, finora, si è creduto che la prima giunta di centrosinistra in Italia fosse nata proprio nel capoluogo lombardo nel gennaio del 1961 grazie all’atteggiamento non ostile a tale ipotesi politica del presule.
I difficili rapporti con i basisti erano acuiti dal fatto che Montini vedeva dietro al gruppo un progetto, ordito dall’Eni di Enrico Mattei, per influenzare la linea politica del partito e per fare compiere alla Dc un passo in direzione di una maggiore autonomia dalle gerarchie ecclesiastiche.
Anche nei confronti di don Primo Mazzolari (1890-1959), punto di riferimento per quanti si battevano per la pace e contro la povertà, l’arcivescovo si mosse con molta cautela, pur giudicando – nota Versace – “improprie e inopportune” certe iniziative del parroco di Bozzolo (in provincia di Mantova) e delle persone a lui vicine. Del resto, contro i cattolici più inquieti, armò nel 1955 la penna di monsignor Olgiati che, sulla “Rivista del clero italiano” pubblicò una lettera anonima, ma da lui redatta con la supervisione dell’arcivescovo, in cui un sedicente sacerdote si scagliava contro le riviste “Adesso”, “La Base”, “Prospettive” e “Dibattito politico”, ree di mancanza di rispetto, venerazione e ossequio nei confronti dell’autorità ecclesiastica.