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Diocesi di Milano: Il “caso Granelli” (maggio 1958)
Il Quotidiano – organo di stampa dell’Azione Cattolica – 16 gennaio 1959: La volpe sotto l’ascella (orginale)
Cardinal Montini: Lettera a monsignor Dell’Acqua: «Dc in mano alla Base, Dio ci aiuti» (18 settembre 1959)
Che brutto mestiere fare la moglie del ministro (Francesco Alberoni, Corriere della Sera, 20 ottobre 1986) | La sig.ra Granelli risponde ad Alberoni (Corriere della Sera, 21 ottobre 1986)
Alvaro Ranzoni: Addio Terzo Mondo crudele (la Repubblica, 26 luglio 1987) «Questo Terzo Mondo ignorato, sfruttato, disprezzato come il Terzo Stato (nel 1789) vuole anch’ esso contare qualcosa. (Alfred Sauvy, l’ Observateur, 14 agosto 1952). Sono passati 35 anni da quell’ articolo rimasto celebre in cui un demografo francese usò per primo il termine ” Terzo Mondo “. Fortunata invenzione: diventò subito una scienza e poi, negli anni Settanta, un’ ideologia i cui confini spaziavano dal solidarismo cristiano all’ internazionalismo comunista. In mezzo, un mare di movimenti giovanili pronti a identificarsi con le lotte di liberazione dei popoli di Asia, Africa e America Latina inneggiando a Ho Chi Minh, Amilcar Cabral, Ernesto Che Guevara …. Nella Dc, Luigi Granelli, che è stato il primo a rappresentare il suo partito come vicepresidente dell’ Ipalmo .. ».
Gaetano Volpe: Impegno e partecipazione (“Emigrazione” n. 10, ottobre 1988, pag. 13) «Due anni circa durò la preparazione della prima conferenza nazionale dell’emigrazione. Il comitato organizzatore si riunì la prima volta a fine dicembre 1973 al ministero degli esteri. Lo presiedeva l’On. Luigi Granelli. La conferenza si svolse a fine febbraio 1975. Fu un periodo di lavoro intenso. le grandi questioni da esaminare erano, in sostanza, due: gli argomenti da sottoporre alla conferenza, le analisi dello stato dell’emigrazione e i riferimenti economici e politici in Italia e all’estero; la scelta dei delegati alla conferenza».
Francesco Brancato: L’EMIGRAZIONE SICILIANA NEGLI ULTIMI CENTO ANNI (Pellegrini Editore, Cosenza, 1995): pagg. 326-327 «Al problema dell’emigrazione un fascicolo speciale ha dedicato la rivista “Il Ponte” nel 1975 …. Va segnalato in particolare l’articolo Emigrazione di ritorno di Luigi Granelli che tocca, come sappiamo, uno dei problemi più vivi e scottanti del fenomeno migratorio oggi. Mette in rilievo il Granelli che tutta la preparazione e pubblicità che si son fatte in occasione della Conferenza Nazionale dell’Emigrazione, che peraltro “ha animato riflessioni e dibattiti in ogni parte del mondo”, tra i nostri connazionali, non hanno suscitato tanto interesse nell’opinione pubblica italiana quanto invece le notizie del ritorno di molti lavoratori dalla Germania e dalla Svizzera in conseguenza dello stato di recessione in atto in Europa. “La circostanza conferma – continua il Granelli – quanto sia radicata, nel nostro paese, la vecchia e inaccettabile filosofia dell’emigrazione come valvola di sicurezza al fine di non affrontare, in tutta la sua portata, nei termini di un diverso e più equilibrato sviluppo economico nazionale, il problema del pieno utilizzo delle nostre risorse di manodopera. È bastato che una parte, sinora minima, dei quasi 6 milioni di italiani residenti all’estero, di cui poco meno della metà in Europa, fosse costretta al rientro da una sfavorevole congiuntura economica per distruggere l’illusione che gli anni del boom avessero risolto una volta per tutte, i problemi dell’emigrazione e che l’Italia, dal canto suo, potesse pensare al proprio sviluppo economico e civile senza farsi carico del diritto al lavoro di tutti i nostri connazionali”». J. Krige, A. Russo, L. Sebesta: A HISTORY OF THE EUROPEAN SPACE AGENCY. 1958-1987 (Vol. II, The story of ESA, 1973 to 1987, Noordwijk, European Space Agency, 2000 – www.esa.int): «Firstly, a decade after the second package deal of July 1973, ESA’s major programmes had reached maturity and the ongoing health of the European space effort, and of the Agency, required that it be given a “financial boost”, as the Italian Minister of Science and Technology Mr. Luigi Granelli said in opening the Rome Conference. The cost of the ongoing programmes, he pointed out, which was 853 MAU in 1985 would drop away to 303 MAU in 1990. If all the effort expended between 1973 and 1983 (totalling 7840 MAU) was not to be “frittered away” – what Granelli called an “unforgivable error” –, Europe would have to put in place a new ten-year Long-Term Space Programme. It needed a new package of programmes to guide it into the new millennium otherwise, as the Italian delegation put it, “everything we have achieved to date could be in vain and wasted, mere items in museum collections on the world history of Space.”» (p.68) «A common position on the Long-Term Space Programme and on US-European cooperation was reached thanks to bilateral meetings between the Executive and the national delegations and through the creation, during the Summer 1984, of a Delegate Council Working Group to define the text of the resolutions to be adopted at the ESA Ministerial Council Meeting. The meeting took place in Rome, on 30-31 January 1985; the Minister of Research of the hosting country, Granelli, played a leading role in support of participation in the American Space Station and in finding a suitable compromise among Member States. The Council resolution on the “Long-Term European Space Plan” called for a balanced long-term European Space Plan for the following decade “leading to a comprehensive autonomous European capability in space and containing the following major elements: an in-orbit infrastructure programme, a space transportation systems programme and programmes for Earth observation [meteorology and remote sensing], telecommunications, microgravity, space science and technology.»
Pierluigi Castagnetti (Segretario del Partito Popolare Italiano): Prima conferenza degli Italiani nel mondo (13 dicembre 2000): «Sono onorato di portare a questa Prima Conferenza degli Italiani nel Mondo il saluto dei Partito Popolare Italiano. Mi sia consentito ricordare, in questa occasione straordinaria, prosecuzione naturale delle prime Conferenze dell’Emigrazione a iniziare dal 1975, la figura di Luigi Granelli, un compagno di partito che ci ha lasciati un anno fa avendo dedicato parte della sua vita alla causa degli italiani nel mondo. Quando altri ancora non lo facevano, egli se n’è occupato in modo non clamoroso, non roboante e propagandistico, mai partigiano e sempre attento alla condizione dei nostri connazionali che vivevano all’estero.»
Fabrizio Ravelli: Spie usa a caccia di giovani leader (la Repubblica, 22 dicembre 2000): «In quei mesi esplodeva il caso Sifar-De Lorenzo, si scopriva il progetto di golpe di tre anni prima, in Parlamento fioccavano dall’opposizione denunce sui 136 mila fascicoli stilati dal nostro servizio segreto. Il funzionario del consolato americano a Milano, par di vederlo, buttava un’occhiata distratta ai titoli dei giornali. Poi continuava il suo lavoro di schedatura. Era il maggio del 1967. L’anno delle prime proteste contro la guerra in Vietnam, dei fermenti nelle università, dell’Enciclica Populorum Progressio. Il Dipartimento di Stato Usa raccoglieva, dai suoi uffici diplomatici in Italia, lunghi elenchi di personaggi che erano considerati «leaders potenziali» nella politica, nei sindacati, nella cultura, nel giornalismo, nell’industria e nella finanza. Quella che pubblichiamo è la «Potential leader biographic reporting list» compilata allora dal consolato. Sono 93 le persone indicate come degne di futura attenzione, come «promesse» della classe dirigente milanese sulle quali la diplomazia Usa scommetteva. La lista è stata scoperta negli archivi di Washington da un consulente della Commissione stragi. All’epoca era siglata come «secret». Ora è stata declassificata. L’elenco è il primo passo di un lavoro di «attenzione» che il Dipartimento di Stato affidava poi ai servizi di Intelligence. Per molti di questi nomi esistono certamente, da qualche parte, schede personali più dettagliate, frutto di quel lavoro. In testa all’elenco, per quanto riguarda i partiti politici, c’è la Democrazia cristiana. E il primo della lista di 14 nomi in ordine alfabetico è Piero Bassetti: «38 anni, segretario regionale e consigliere comunale di Milano». I funzionari del consolato, nel suo caso, si può dire che abbiano vinto la scommessa: Bassetti è stato a lungo un personaggio di spicco della vita politica milanese. Così come Egidio Carenini, Vittorio Colombo, Luigi Granelli, Filippo Hazon, Vittorio Rivolta. Democrazia Cristiana batte Partito comunista 14 a 3: per il Pci il «Milan consular district» si limita a segnalare «Cervetti, Giovanni, 34: Milan City Secretary», poi «Esposito Tortella Aldo, 41», che a tutti gli effetti dev’essere Aldo Tortorella, indicato come segretario regionale e membro del Comitato centrale, e infine Gianfranco Rossinovich, 39 anni, deputato. Fra i liberali il solo giudicato degno di attenzione è Antonio Baslini, 40 anni, deputato. Tre sono i nomi di esponenti del Psiup, e fra questi il giovanissimo Andrea Margheri che sarebbe poi passato al Pci. Più interessanti, in quel 1967 per il Dipartimento di Stato, i socialisti del Psu («Unified Socialist Party»). Sono 6 le «promesse». C’è Aldo Aniasi, ci sono Giovanni Baccalini, Cesare Bensi, Giovanni Mosca (che era anche segretario nazionale della Cgil), Renzo Peruzzotti. E c’è, naturalmente, Bettino Craxi. Aveva allora 32 anni, era segretario regionale e provinciale insieme, oltre che membro del Comitato centrale. I leader sindacali accreditati di buone speranze erano per la Cgil Baccalini («Gabrielle», secondo l’elenco) e Di Pol. Cinque i dirigenti Cisl: Pierre Carniti (30 anni, segretario nazionale della Fim), con Gavazzeni, Quaglia, Romei e Zeni. Per la Uil sono indicati Polotti («Guillio» e non Giulio), con Cornelli, Pecci e Ravecca. Sette i «Cultural leaders»: Arturo Colombo, il provveditore Nicola D’Amico, Giancarlo Masini, Giancarlo Mazzocchi, Piero Milani, Antonio Pasinetti e Giuseppe Russo, limitati all’ambiente accademico. Nel campo del giornalismo i segnalati sono 5. Ci sono Franco Di Bella, «City editor» cioè capocronista del Corriere della Sera, e c’è Piero Ottone, «Senior writer» dello stesso giornale. Con loro, il direttore del Sole24 ore Mauro Masone, insieme a Giovanni Lovisetti dell’Ispi e, curiosamente, a Vincenzo Cecchini che era direttore del Giornale di Brescia. Significativa, infine, l’attenzione dedicata agli «Industry and Commerce Leaders». Ben 43 nomi sui 93 totali. C’è Giangiacomo Feltrinelli, «owner and director of Feltrinelli Publishers», che ben più stretto interesse avrebbe suscitato in seguito nei servizi americani. E poi Silvio Garattini, Eugenio Artom, due Borletti (Aldo e uno lasciato anonimo), due Mondadori (Alberto e Giorgio). C’è Leopoldo Pirelli. Numero 40 della lista è Michele Sindona, un altro che in seguito si sarebbe guadagnato un fascicolo rilevante. Ultimo in ordine alfabetico Giordano Zucchi, che aveva allora 39 anni.Vincenzo La Russa: IL MINISTRO SCELBA (Rubbettino, 2002): «E’ il periodo in cui fioccano le riviste di ispirazione cattolica, quasi tutte di sinistra, molto raffinate nei contenuti e nello stile austero degli autori, cioè i periodici che ispirano e affiancano la nuova linea della DC di Moro, se non addirittura la critichino per eccessiva moderazione e la scavalchino a sinistra. Sono il “Gallo” di Genova, “Questitalia” di Venezia diretta da Wladimiro Dorigo, “Politica” di Firenze diretta da Nicola Pistelli, “Stato Democratico” di Luigi Granelli, “Relazioni Sociali” degli ex fucini milanesi Franco Bassanini, Valerio Onida, Pippo Ranci, Fabrizio Onida, diretta da Emanuele Ranci Ortigosa,”Il tetto” di Napoli e alcuni altri.»
Riccardo Rossi: Cristiani nella vita pubblica. Le condizioni per un rilancio (L’Apricitta – trimestrale delle ACLI di Bologna, ottobre 2003): «Presentato a Bologna il libro “L’idea popolare” di Bianchi e Gaiani, dedicato alla memoria di Luigi Granelli e Livio Labor «cattolici di fede, democratici di convinzione», il libro si propone di verificare l’attualità dell’idea popolare passata attraverso vari gradi di sviluppo (e involuzione) che si declina oltre la tradizione e la fine del partito dei cattolici. Dopo la prefazione di p. Bartolomeo Sorge (riportata in queste pagine) Bianchi e Gaiani ripercorrono la storia del movimento popolare dal “non expedit” alla fine della Democrazia Cristiana formalizzata da Mino Martinazzoli a cui si deve la rinascita del Partito Popolare nel 1994, a 75 anni dalla Fondazioni di Luigi Sturzo. Dopo questo excursus storico (in cui spesso risalta il ruolo delle Acli) vengono affrontati alcuni temi. Si comincia con il partito che oggi deve misurarsi con due fenomeni di tipo nuovo quali la indisponibilità della società civile a conferire mandati irrevocabili e con il processo di personalizzazione imperniata sulla leadership; sic continua con il centro) non più soggetto politico ma piuttosto luogo della competizione politica per un elettorato sempre più d’opinione. Si passa a società e stato (garantita l’autonomia delle formazioni sociali nella loro organizzazione e attività resta il ruolo dello stato come presidio contro la frammentazione particolaristica che favorirebbe i più forti), a globalizzazione e mercato (creare una vera e propria alternativa di società perché la globalizzazione non è una maledizione biblica ma il risultato di precise scelte politiche) a sussidiarietà e solidarietà (la sussidiarietà come condizione per la promozione di una reale uguaglianza dei cittadini come prescritto dall’art. 3 della Costituzione) a persona e comunità (nel progetto personalista il pluralismo si esercita anche in economia, esaltando il primato del lavoro sul capitale) per concludere sul tema chiesa e laicità in cui gli autori scrivono: «La fine della vicenda del partito d’ispirazione cristiana non deve essere interpretata come occasione per accantonare una volta per tutte il tema della presenza dei cristiani nella vita pubblica ma anzi la condizione per il rilancio in termini più esigenti del pensiero sociale cristiano». Segue una galleria di personaggi che hanno connotato il popolarismo: Romolo Murri e P.G. Frassati, Achille Grandi (il promotore delle Acli fu nel ’44 –con Di Vittorio e Canevari- autore di un accordo che diede vita alla Cgil), F.L. Ferrari, A. De Gasperi (la sua esistenza fu contrassegnata da un divorante senso del dovere e da un altrettanto acuto senso del possibile), G. Dossetti (riteneva che la DC dovesse trovare in se stessa la capacità di riformare il paese senza venire a patti con il liberalismo e rispettando – pur nella netta distinzione da esse- le forze di matrice marxista che rappresentavano rappresentavano Istanze sociali reali), G. La Pira (incarnazione novecentesca dell’idea del “Giullare di Dio”), G. Lazzati (visse la sua vocazione di laico consacrato essenzialmente come educatore dei giovani), A. Fanfani (fu anche per suo merito se l’art. 1 della costituzione recita “l’Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro), A. Moro (con la sua uccisione la storia del paese prese un corso diverso e peggiore). Particolarmente affettuoso il ricordo di Livio Labor – un “laburista cristiano”- cui le Acli debbono la fondamentale impostazione della scuola centrale di fondazione e di Luigi Granelli che da operaio metalmeccanico divenne un leader politico connotato da una forte passione civile. Il libro si chiude con una lettera ai popolari di… dopodomani. Dopo aver notato che nel corso degli anni si è approfondita una profonda contraddizione tra il contenuto dell’idea popolare ed il contenitore organizzativo gli autori si pongono la domanda su quale debba essere il ruolo del popolarismo declinato al futuro. Dopo un commosso omaggio a Nino Andreatta che aveva avvertito come l’essenza della crisi attuale consiste nella divaricazione drammatica tra sviluppo economico-sociale e declino delle motivazioni etiche civili, gli autori concludono: «Il trinomio programma-autonomia- conflitto rimane dunque centrale nell’elaborazione popolare, sapendo che il primo termine evoca un metodo, il secondo la base sociale, il terzo la forma dell’organizzazione della forma partito, giacché preparazione e gestione del conflitto significano concretamente promozione della partecipazione popolare alla politica e formazione di nuovi gruppi dirigenti». Tutto questo per evitare l’avvento in una società secolarizzata e globalizzata di quella che è stata definita la “democrazia” degli impresari.»
Riflessioni sulle nostre radici nella continuità delle idee – inaugurazione del Circolo La Margherita “Luigi Granelli” (Montefalcione, 12 aprile 2003), copertina
Roberto Sani: LA “CIVILTA’ CATTOLICA” E LA POLITICA ITALIANA NEL SECONDO DOPOGUERRA (1945-1958) (Vita e Pensiero, Milano, 2004) – pagg.166-167 «La linea politica di mons. Dell’Acqua appare destinata a subire un profondo rivolgimento, così come si avvia a un mutamento profondo il rapporto ira la Chiesa e la DC. A ricoprire l’incarico di Segretario di Stato, rimasto vacante per molti anni per volontà di Pio XII, il nuovo papa chiama mons. Domenico Tardini. Il 25 gennaio 1959, su «Stato Democratico», Luigi Granelli pubblica una lettera aperta a Nenni. Nella lettera, l’uomo politico della sinistra DC prospetta – una volta che il PSI abbia abbandonato il progetto della «alternativa democratica» – un’alleanza di governo tra socialisti, cattolici e laici sulla base di un allargamento al partito di Nenni della vecchia alleanza di centro dell’età degasperiana. La proposta di Granelli suscita forti reazioni nel mondo cattolico. In difesa dell’esponente della Base scende in campo «Aggiornamenti sociali». È senz’altro azzardato – scrive il gesuita milanese padre Macchi – accusare per questo solo – cioè per la lettera scritta a Nenni – il Granelli di disubbidienza alla Chiesa (il titolo dell’articolo è: Lettera aperta all’on. Nenni. Sull’intera questione cfr. Baget-Bozzo, Il partito cristiano e l’apertura a sinistra, pp. 154 ss). L’intervento a sorpresa di «Aggiornamenti Sociali», che per la prima volta avalla esplicitamente i collegamenti tra la sinistra democristiana e i socialisti, rivela il mutamento di clima avvenuto con l’avvento di Giovanni XXIII. (A. MACCHI, Il XXIII Congresso del PSI, «Aggiornamenti Sociali», arzo 1959). L’orientamento sostanzialmente religioso del nuovo pontificato si manifesta anche nell’ambito delle vicende interne a «La Civiltà Cattolica». Di lì a qualche mese, padre Calogero Gliozzo è rimosso dalla direzione della rivista. Al suo posto è nominato padre Roberto Tucci, al quale il papa affida il compito di rinnovare la rivista secondo gli orientamenti religiosi del nuovo pontificato. In una lettera al nuovo direttore, il delegato generale della Compagnia pone severi limiti all’attività degli scrittori: «Che padre Messineo e gli altri scrittori della Civiltà Cattolica – scrive padre Arnon – non scrivano nulla sui giornali non cattolici. Quando i superiori daranno il permesso di scrivere in giornali cattolici, veglino che i NN. non abbiano ad entrare in questioni puramente politiche: tali sono anche le opinioni contrarie delle diverse tendenze della Democrazia Cristiana». (Padre Arnon a padre Tucci, 22.10.1959. in ACC, CMess., f. Rapporti con Direzione rivista e Superiori) Appare evidente come le nuove disposizioni tendano a porre fine al massiccio coinvolgimento de «La Civiltà Cattolica» nelle vicende politiche italiane. La limitazione imposta agli scrittori della rivista non rappresenta un fatto isolato, ma si inserisce in quella profonda riforma del rapporto tra Chiesa e politica che caratterizza il pur breve pontificato roncalliano. Alla vigilia del Concilio Valicano II, «La Civiltà Cattolica» di padre Tucci, abbandonata ogni caratterizzazione di ordine politico, si prepara alla svolta fondamentale degli anni Sessanta, sulla scia del più largo e profondo rinnovamento della Compagnia di Gesù intrapreso dal nuovo prepósito generale, padre Arrupe. Mentre la Chiesa si avvia al grande appuntamento conciliare, in Italia, la nascita del centro-sinistra, con il superamento della pregiudiziale net confronti del PSI, apre la strada a una nuova stagione politica. (Sugli anni del centro-sinistra vedi C. TAMBURRANO, Storia e cronaca del centrosinistra, Milano 1971)»
Filippo Ceccarelli: Quando l’Italia smise di sentirsi cattolica (La Stampa, 7 maggio 2004): «Pochi democristiani potevano proclamare altrettanto. Costretti per pigra acquiescenza a predicare nelle piazze cose in cui non credevano più, vi incontrarono un’Italia che non riconoscevano più, ostile ai loro ragionamenti capziosi o lacrimevoli sull’indissolubilità del matrimonio e sui travagli della vita coniugale. Il povero Luigi Granelli, che pure era un uomo aperto, una volta a Trieste si vide interrompere il suo pacato fervorino da una signora che in piedi sotto il palco, a mani giunte, gli gridava: “Ohè, per favore, basta: che ne vuoi sapere tu di cazzo e fica?”.»Zorzo: Il vecchio DC dai pensieri lunghi (http://zorzo.ilcannocchiale.it/, 20 gennaio 2005)
Marco Damilano: DEMOCRISTIANI IMMAGINARI. Tutto quello che c’è da sapere sulla Balena bianca (Vallecchi editore, 2006): pag 219 «E un leader carismatico, il milanese Luigi Granelli, oratore trascinante, le regie congressuali gli lasciavano l’orario di massimo ascolto perché era uno dei pochi in grado di tenere incollati i delegati alle sedie senza claques organizzate. Da giovane era stato operaio specializzato nei cantieri Italsider di Dalmine, poi partigiano. Nel ’58 si era candidato alla Camera, ma la curia milanese di Montini lo aveva boicottato per la sua posizione favorevole all’apertura a sinistra. Scorrendo le foto che il figlio Andrea ha messo on line, si capisce cosa è stata una certa sinistra democristiana: si vede Granelli con Salvador Allende in Cile prima del Golpe. E c’è il ricordo di una delle sue ultime battaglie: contro l’operazione Enimont.»
Giuseppe Chiarante: TRA DE GASPERI E TOGLIATTI. Memorie degli anni Cinquanta (Carocci editore, 2006)
Eliana Versace: MONTINI E L’APERTURA A SINISTRA. Il falso mito del “vescovo progressista” (Guerini e Associati, 2007): Capitolo 3. Gli anni di transizione. Dal neocentrismo al governo Zoli: “Il Congresso di Trento e lo scontro con la Base” (pagg.116-122) Capitolo 3. Gli anni di transizione. Dal neocentrismo al governo Zoli: “Montini, il governo Zoli e ‘l’apertura a sinistra’” (pagg.125-130) Capitolo 5. Le elezioni del 1958 e il “caso Granelli” (pagg. 151-177) Capitolo 7. Da Santa Dorotea alle “convergenze parallele”: “Granelli, Montini e la mediazione dei Gesuiti” (pagg.203-207) Altre citazioni: pagg. 18, 187, 195, 201, 203, 214, 246 Brani “interessanti” – lettera di Montini a Gemelli (pag 53) – riflessioni su “laicità e laicismo” (pag. 142) – lettera del card. Lercaro a Montini (pagg. 221-222) – nota di Montini dove afferma che il suo giudizio non era politico ma pastorale “nel momento presente e nella forma ora prospettata” (pagg. 229-230) – presa di posizione de Il Giorno (pag. 230) – lettera del card. Lercaro a Montini (pag. 253)
Mario Menichella: PROFESSIONE SCIENZIATO. Interviste scelte a personaggi famosi (SciBooks Edizioni, 2005): Intervista ad Arturo Falaschi «Intorno agli anni 1983-84, il governo italiano cominciò a considerare l’idea di fare un’offerta per la sede del costituendo ICGEB, il Centro Internazionale di Ingegneria Genetica e Biotecnologia, promosso dalle Nazioni Unite. Io, in qualità di consulente per la genetica dell’allora ministro della Ricerca, Luigi Granelli, fui così incaricato di promuovere la candidatura italiana. Accompagnai il ministro in varie missioni, tra cui la più importante fu quella in India, dove stipulammo l’accordo con Indira Ghandi per costruire in Italia e in India, a Nuova Delhi, due laboratori gemelli ma con direzione generale a Trieste. Nel 1986 la candidatura italiana vinse, e nell’87 fui nominato direttore della componente triestina dell’ICGEB. Dopo due anni il direttore del Centro, un americano, lasciò l’incarico, che andai a ricoprire io, mentre il mio venne assegnato all’argentino Francisco Baralle. Il Centro partì assolutamente da zero, con un edificio provvisorio privo persino di scrivanie. Cominciai a reclutare varie persone e quando, nell’aprile 2004, ne lasciai la direzione, vi lavoravano circa 400 persone in totale, di cui 200 a Trieste e altrettante in India, provenienti da una quarantina di paesi diversi. A quel punto, il board of governance dell’ICGEB creò per me il posto di distinguished scientist: così, lì ho ancora un gruppo di ricerca, ma non più mansioni di gestione. Contemporaneamente, il 1° aprile 2004, la Scuola Normale di Pisa mi aveva offerto un posto di professore a contratto di biologia molecolare. Perciò, oggi divido il mio tempo tra il gruppo di ricerca di Trieste – il lavoro più di “politica internazionale” col quale aiuto l’odierna direzione dell’ICGEB – e il laboratorio di biologia molecolare della Normale. In quest’ultimo, di cui sono responsabile, sto facendo partire anche un programma di ricerca completamente mio.
L’ICGEB è un istituto di eccellenza che si occupa di ricerca e di formazione per l’ingegneria genetica e per la biotecnologia. Rivolto particolarmente ai paesi in via di sviluppo, rappresenta uno dei più importanti laboratori di biologia esistenti in Italia. Presenta uno spettro di ricerche molto ampio: dalla batteriologia alla proteomica, dallo sviluppo di biotecnologie allo studio della biologia molecolare, dalla microbiologia alla bioinformatica, dalla genetica molecolare umana alla virologia tumorale. Il Centro, in sostanza, si occupa molto di ricerca di base e di ricerca applicata sul versante medico, soprattutto a Trieste. Nella sede di Nuova Delhi viene compiuta anche ricerca biologica applicata in campo agricolo: si studiano i geni che permettono sia la crescita delle piante in condizioni di alta concentrazione salina e di scarsità d’acqua, sia l’attività citocida di alcune tossine batteriche nei confronti di larve parassite del riso, sia, ancora, l’induzione in piante di cotone di una maggior resistenza agli insetti. Quindi, il Centro ha una lunga serie di progetti che mirano a differenti obiettivi: capire alcuni processi fondamentali, come ad esempio nel caso del mio programma o di quello di Baralle; mettere a punto metodologie di terapia genica, nel caso di Mauro Giacca; oppure studiare e capire determinate malattie. In particolare, vi vengono studiati virus responsabili di importanti patologie: in Italia, Lawrence Banks si occupa di un papillomavirus, Oscar Burrone dei retrovirus, lo stesso Giacca dell’HIV, e Francisco Baralle si è occupato a lungo dell’epatite B. In India, invece, per quanto riguarda la ricerca medica, si studiano l’epatite E, il dengue e la malaria. Il vantaggio della biologia di oggi sta nel fatto che la sua ricerca di base e il suo aspetto applicativo risultano molto vicini: perciò, in essa non ha senso distinguerli.
L’ICGEB svolge attività di ricerca ma anche un’intensa attività di formazione, attraverso una ventina di corsi all’anno di dottorato, borse di studio, eccetera. Al Centro di Trieste lavora uno staff permanente composto da una trentina di persone, tra ricercatori e tecnici di vari paesi, compresa l’Italia; le restanti 170 persone sono tutte borsiste dei circa 40 paesi membri dell’ICGEB, e restano lì da un minimo di 2 a un massimo di 4 anni. All’ICGEB possono venire anche studenti appartenenti a paesi non membri – per esempio, quelli europei e quelli industrializzati – purché usufruiscano di una borsa di studio non pagata dalla struttura. Gli italiani coinvolti nella ricerca, dai semplici studenti di dottorato ai capigruppo, rappresentano circa il 30 percento dell’intero personale. Quindi, formiamo anche gli italiani: in collaborazione con la SISSA, la Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati di Trieste, teniamo un dottorato in genetica molecolare. Inoltre, abbiamo stipulato una convenzione con la Open University inglese e, da qualche anno, una con la Scuola Normale Superiore: per cui una parte dei dottorandi dell’ICGEB proviene proprio da quest’ultima. Tra l’altro, mio predecessore come docente di biologia molecolare alla Normale era il mio allievo Mauro Giacca – ora direttore della componente triestina dell’ICGEB – il quale, circa tre anni fa, fondò per questa un laboratorio di biologia molecolare presso l’Istituto di fisiologia clinica, del CNR, che lo ospita e con cui è legato da una convenzione. Quindi, i dottorandi in biologia molecolare della Normale possono scegliere di frequentare il laboratorio di Pisa oppure quello dell’ICGEB di Trieste.»
Francesco Mores: Autonomia e soggezione. A proposito dell’ultimo libro di Giuseppe Chiarante (Studi e ricerche di Storia contemporanea” n.66, dicembre 2006, ISREC Istituto Bergamasco per la storia della resistenza e dell’età contemporanea) «Il caso, ricordato diffusamente da Giuseppe Chiarante [L’esperienza controcorrente del “Dibattito politico”, pp. 119-165], della rivista “Il dibattito politico”. Fondato nei primi mesi del 1955, il settimanale, largamente ispirato da Franco Rodano, iniziò le sue pubblicazioni il 9 aprile dello stesso anno [p. 125]. Otto mesi dopo, il 15 gennaio 1956, “Il dibattito politico” fu investito da una «pesante censura vaticana» … La censura de “Il dibattito politico” fornisce un ulteriore prova della validità del binomio autonomia/soggezione come chiave interpretativa di Tra De Gasperi e Togliatti. La scelta di autonomia compiuta da Chiarante si contrappose ad una serie di fortissimi condizionamenti esercitati, «in modo non dichiarato», sulla rivista stessa e su «quell’area di sinistra cattolica che aveva guardato con interesse all’iniziativa del “Dibattito politico” […]. Per il momento, anzi, erano ancora prevalenti le resistenze anche ad un’operazione assai più modesta come l’“apertura a sinistra” limitata al PSI» [p. 137], come dimostrò la posizione assunta dall’arcivescovo di Milano, Giovanni Battista Montini (futuro sostenitore della linea di Aldo Moro), contro l’ipotesi di una candidatura di un esponente di punta della sinistra Dc a Milano, Luigi Granelli, alle politiche del 1958 [n. 4 p. 137].»
Edoardo Castagna: Montini “rosso”? Un mito falso (Avvenire, 4 maggio 2007) .pdf
Giuseppe Biorci: Riflessioni sul futuro di Internet
Achille Lissoni: Verso il PD
Giovanni di Capua: GIANFRANCO MIGLIO. Scienziato impolitico (Rubettino, 2006) – GoogleBooks
Paolo Butturini: La Rai è solo “un pezzo” del welfare della comunicazione (Quarta fase, gennaio 2007): foto di papà
Giacomo Castiglioni: BUONA STRADA. Riccardo Colombo (2007) «In questi anni Riccardo ha l’occasione di conoscere persone che per la loro serietà, entusiasmo e comuni ideali lo affascinano. I suoi ricordi particolari erano per Giuseppe Guzzetti, Antonio Spallino, Marcora, Granelli, Borghi, Casati, Piovan. Da queste esperienze nasce l’impegno dentro le istituzioni, prima come consigliere comunale di minoranza nel 1970, successivamente come Sindaco di Rovellasca e poi come assessore.»
Bruno Vespa: STORIA D’ITALIA DA MUSSOLINI A BERLUSCONI (RAI ERI-Mondadori, 2007): pag 57 «Quando Montini era arcivescovo di Milano» ricorda Andreotti «sentiva Dell’Acqua tutti i giorni. La vita pastorale in diocesi gli fu molto utile. Montini conobbe il mondo operaio, che non aveva mai frequentato. Non legò mai con Enrico Mattei, pur avendolo nominato presidente del comitato per la costruzione delle nuove chiese, in polemica con il mondo industriale lombardo che non ebbe mai molta simpatia per il futuro pontefice. E non legò mai con la corrente democristiana della sinistra di base. Quando uno dei suoi principali esponenti, Luigi Granelli, in vista della sua prima candidatura parlamentare andò a consultarsi con lui, Montini gli chiese: “Lei obbedirà al suo vescovo?”. Granelli gli rispose di sì. “E allora non si presenti” gli consigliò il prelato.»
Adriana Guerini Granelli: Marcora e gli amici. Una comunità cultural politica (ottobre 2007)
Giovanni di Capua: ALBERTINO MARCORA. Politico del fare (Rubettino, 2007)
Matteo Landoni, TESI: Ricerca, innovazione, politica nei discorsi programmatici dei governi repubblicani (1954-1992) (www.lastoria.org , gennaio 2008)
Alfredo Canavero, Guido Formigoni, Giorgio Vecchio: LE SFIDE DELLA PACE. Istituzioni, movimenti intellettuali e politici tra Otto e Novecento (Edizioni LED, 2008). Guido Formigoni: “La Dc e il dibattito sulla Pace nel mondo cattolico post-conciliare”: «Intanto anche la sinistra di Base tentava di rilanciare una proposta riformatrice sulla politica estera italiana. Il convegno di Gorizia del 10-11 maggio del 1969 vide una importante relazione di Luigi Granelli, che partiva dalla constatazione della “insopportabilità del rigido schema dei blocchi militari contrapposti” e chiedeva, sulla base di “un maturo realismo storico”, di rielaborare la politica estera democristiana, in vista di “uno smantellamento, graduale e reciproco, dei patti militari che si fronteggiano sul nostro continente”, che favorisse “la costruzione di una grande Europa politica, libera da tentazioni isolazionistiche e terzaforziste, interlocutrice autorevole delle grandi potenze mondiali e ponte concreto verso i paesi dei terzo mondo” (La relazione è online all’indirizzo http://www.agranelli.net/luigi/PUBBL/convegno2.html).»
Franco Locatelli: Hi-tech, Europa protagonista (Il Sole 24 Ore, 26 novembre 2008): «… il ministro dell’Istruzione, università e ricerca Mariastella Gelmini ha raccolto ieri, con un discorso “rigorosamente in italiano”, un successo fuori casa con la nomina per acclamazione all’Aja a presidente per tre anni del Consiglio dei ministri dell’Esa. Dell’Agenzia l’Italia è uno dei maggiori finanziatori ma era da vent’anni, e cioè dai tempi del ministro Luigi Granelli, che non vedeva riconosciuta la propria leadership al vertice dell’Esa, la più importante istituzione europea per la ricerca e sviluppo in campo spaziale di cui fanno parte 17 Paesi più il Canada.»
Beppe Pisanu: secondo Beppe Pisanu, nell’intervento dell’8 maggio 2009 alla Sala delle colonne di palazzo Marini in Roma nel corso della presentazione del libro di Corrado Guerzoni Aldo Moro, Moro dissentì dall’entusiasmo di Granelli e degli altri della sua corrente che nel 1977 prevedevano una vittoria della DC spagnola alle prime elezioni post-franchiste, e richiesto del perché (al ritorno dal suo viaggio a Madrid) spiegò a Pisanu: “Lì nessuno dei nostri amici democratici cristiani s’è incaricato di traghettare nella democrazia le masse che per mezzo secolo hanno inneggiato a Franco; non supereranno il 4 per cento dei voti”. Manco a dirlo, la previsione, ha concluso Pisanu, risultò precisa al millesimo.
Paolo Frascatore: Una Nuova Resistenza (Quarta Fase, 7 maggio 2009)
Angelo Simonazzi: l’imprenditore populista (Avanti, 11 Maggio 2009): «Si tenne a Firenze il VII Congresso nazionale della Dc, dal 23-28 ottobre 1959, ove Moro intendeva – dopo la fine dell’esperienza dossettiana e fanfaniana – ridefinire premesse, metodi e prospettive dell’azione del Partito cattolico. Rigettava, Aldo Moro, sul Partito liberale la responsabilità della rottura della maggioranza “centrista” e criticava aspramente le posizioni alternativistiche di Nenni, per concludere tuttavia dicendo “che è dovere della Dc tenere aperto il problema del Partito socialista”. Fanfani al Congresso si schierò con le posizioni di Moro, che poté – nonostante l’opposizione della “sinistra di Base” e di “Rinnovamento” (Granelli, Galloni, Di Mita, Sullo, Pastore e Donat Cattin) – concludere l’assise in maniera largamente unitaria sulla linea politica, coinvolgendo anche il gruppo dirigente “doroteo” (al quale pure Moro apparteneva, ma con diverse sfumature) e la “destra” di Pella e di Scelba e, perfino, Giulio Andreotti, che finirono per fare corpo tutti insieme nella votazione conclusiva. E così l’apertura a sinistra era stata rinviata quasi “sine die”. Ma la “destra” democristiana non si diede per vinta, e prese a suo pretesto, per farsi sentire, gli inquietanti esiti della visita ufficiale a Mosca del 3 marzo ’60 del presidente Gronchi. Da questa sua iniziativa di politica estera, presa senza interpellare il ministro degli Esteri Pella, e vincendo molte altre resistenze, Gronchi intendeva favorire, soprattutto, un processo di distensione a sinistra (utile anche ai fini della politica interna) ed era fortemente sollecitato anche da interessi industriali privati e pubblici e, tra questi, in modo particolare quelli dell’Eni di Mattei, desideroso quanto mai di non lasciar perdere le occasioni di allargamento dei rapporti di scambio con l’Urss, in mano ai francesi e agli inglesi, per lo più, che allora si mostravano tra i concorrenti più interessati.»
Paolo Frascatore: I cattolici democratici “scomodi” (Quarta fase, 2 settembre 2009)
Giampaolo Pansa: I CARI ESTINTI. Faccia a faccia con quarant’anni di politica italiana (Rizzoli, 2010) pagg.278-279; 354-359
Gianluigi Ravasio: Un libro per ricordare l’impegno di Luigi Granelli (Eco di Bergamo, 2 giugno 2010)
Eliana Versace: Il dossettiano che rimpiangeva De Gasperi (Osservatore Romano, 29 settembre 2010): testo
Eliana Versace: Luigi Granelli, l’impegno cristiano per la democrazia (Giornale di Brescia, 29 settembre 2010): «Sarà presentato oggi alle 18 all’Istituto Luigi Sturzo di Roma il volume “Luigi Granelli. L’impegno di un cristiano per lo stato democratico”, a cura di Eliana Versace e Maria Chiara Mattesini (Rubbettino). Pubblichiamo la presentazione di una delle curatrici …»
Angelo Paoluzi: Le battaglie di un innovatore (Europa, 4 novembre 2010) dossier
Gianluigi Ravasio: L’attualità del democristiano Luigi Granelli (L’Eco di Bergamo, 30 gennaio 2011) dossier
Ennio Muraro: Luigi Granelli: una storia popolare e democratica (PD Monza, gennaio 2011)
Enrico Ferrone: CARLO BUONGIORNO. LO SPAZIO DI UNA VITA: Intervista al primo direttore generale dell’Agenzia Spaziale Italiana (Logisma, 2011, Vicchio (FI))
Massimo De Giuseppe: LE RELAZIONI TRA L’ITALIA E IL “TERZO MONDO”: La vicenda dell’Ipalmo (Rubettino, 2011) «La stagione in cui Piero Bassetti è stato presidente dell’Istituto per le relazioni tra l’Italia, i Paesi dell’Africa, dell’America latina e del Medio oriente (Ipalmo) è stata segnata da una profonda ridefinizione delle relazioni tra Nord e del Sud del mondo. La sua presidenza è infatti iniziata nella primavera del 1976 e si è conclusa nel marzo del 1988. Un arco temporale lungo oltre un decennio, apertosi negli anni delle crisi petrolifere (segnati dall’avvento dei G7 e dalla trasformazione del Movimento dei non allineati), passato attraverso le tensioni della «nuova guerra fredda» e chiusosi idealmente alle soglie della fase finale del bipolarismo. Analizzare le trasformazioni e le attività dell’Ipalmo in quella stagione ci offre una serie di interessanti spunti di riflessione. Innanzi tutto ci permette di rileggere i legami tra politica internazionale e nazionale (compresa la «svolta» del delitto Moro), attraverso la ricostruzione dei lavori e delle plurime attività di un organismo del tutto singolare, in cui attori politici, rappresentanze partitiche, diplomatici, accademici ed esponenti della società civile (cruciale in tal senso fu l’apporto di figure non strettamente organiche come il direttore scientifico Calchi Novati ma anche Marcella Glisenti, Dina Forti, Incisa, Liliana Magrini) si muovevano intorno ad un insolito tavolo di confronto. Questo percorso offre spunti interpretativi non solo sui caratteri del dialogo tra «atlantisti» e «terzomondisti», ma anche sulla concezione della politica estera italiana, sui suoi orizzonti, limiti e specificità. Al contempo questo decennio «lungo» evidenzia un passaggio storico da un impegno terzomondista italiano, forgiatosi nella stagione della decolonizzazione, del Concilio e delle lotte di liberazione, verso una sua graduale «depoliticizzazione» e «tecnicizzazione» che da un lato ha visto indebolirsi i modelli statuali tradizionali dall’altro ha posto al centro del dibattito il tema della cooperazione internazionale, dello sviluppo e del dialogo con le organizzazioni internazionali. L’Ipalmo, sotto la presidenza Bassetti promosse le due conferenze nazionali sulla Cooperazione internazionale del 1981 e del 1985 e svolse un ruolo decisivo nella formulazione della legge 73 del 1986 che portò all’istituzione di un’Agenzia specializzata. Il saggio si basa su fonti inedite e a stampa: in primo luogo le carte conservate nell’Archivio Bassetti (verbali di riunioni, appunti, note, meoriali….), integrati con materiali documentali di altri interlocutori politici di quella stagione (archivio Granelli e archivio Pajetta), con gli articoli della rivista «Politica internazionale», le pubblicazioni e altri materiali dell’archivio dell’Ipalmo. Si è ricorsi anche a fonti orali con interviste ai protagonisti di quell’esperienza (Bassetti, Bonalumi, Calchi Novati).»
Paolo Frascatore: IL CENTRO A SINISTRA – recensione su Il Domani d’Italia – supplemento al numero novembre-dicembre 2012 (link alla rivista su GoogleDrive)
Francesco Butini: Centro-sinistra, 50 anni fa (Istituto di studi politici “Renato Branzi” di Firenze, 4 dicembre 2012)
Ezio Cartotto: GLI UOMINI CHE FECERO LA REPUBBLICA (Sperling & Kupfer, 2012)
dedica «A don Luigi Giussani, Giorgio La Pira, Giovanni Marcora, Luigi Meda, Luigi Granelli, Giovannino Guareschi ed Emmanuel Mounier, sentieri luminosi della mia vita intellettuale, spirituale e politica.»
capitolo “Luigi Granelli L’intellettuale Autodidatta” (p.195-199) «Luigi Granelli si colloca tra i maggiori dirigenti della DC lombarda e nazionale. Estremamente forte fu il suo legame con Marcora, senza che sfociasse mai in forme di servilismo. Bergamasco, nato alla fine degli anni Venti, fu uno dei più giovani partigiani della sua zona e militò, data la sua educazione cattolica, nelle brigate dei partigiani bianchi. Ancora ragazzo, alla fine della guerra ritornò a lavorare con il padre, facendo l’imbianchino. A sedici anni verniciava di minio i cancelli della Dalmine. Di media statura, aveva lineamenti fini ed era dotato di una straordinaria intelligenza dialettica e oratoria. Per queste ragioni, agli inizi degli anni Cinquanta fece una rapida carriera nella DC di Bergamo, ricoprendo il ruolo di direttore del giornale locale Le Campanarie e collaborando con altri personaggi dotati di una cultura più vasta della sua, come Beppe Chiarante e Luigi Magri, futuri parlamentari del PCI. Granelli si formò da solo e quando la stima nei suoi confronti crebbe cominciò a essere chiamato fuori dalla sua provincia. Dopo la fondazione della corrente di Base fu avvicinato da Marcora, che gli propose di dirigere una rivista chiamata proprio La Base. In quella redazione incontrò la giovane dottoressa Adriana Guerini, assistente alla cattedra di Diritto costituzionale alla Cattolica di Milano, con la quale si sposò. Impegnati entrambi in politica, ebbero un solo figlio. Quando Fanfani divenne segretario al congresso nazionale di Trento, si scontrò subito con Granelli che lo accusava di voler fare e agire senza pensare e progettare. Sprezzante Fanfani gli rispose: «Non si preoccupi, per voi faremo un pensatoio!» In seguito Fanfani sospese dal partito Granelli, Magri, Chiarante, l’onorevole Bartesaghi di Lecco e Mario Melloni, ovvero l’umorista Fortebraccio. Mentre Magri, Chiarante e Bartesaghi finirono nel PCI, Granelli resistette nella DC con l’aiuto di Marcora, di sua moglie e della professoressa Brisca Menapace, di origine trentina e docente alla Cattolica di Milano. Anche quest’ultima finirà nel PCI e poi al Manifesto. Granelli si trasferì a Milano dove, a metà degli anni Cinquanta, Marcora aveva vinto il congresso provinciale, dando respiro a nuove e importanti prospettive. Divenne, come capiterà più tardi a me, prima dirigente degli enti locali e in seguito direttore del Popolo Lombardo, il settimanale della DC milanese. Granelli tentò, ancora giovanissimo, di presentarsi candidato alle elezioni del 1958, sfruttando le sue capacità dialettiche e di abile giornalista. Purtroppo in quella circostanza si scontrò con il vicario della diocesi di Milano monsignor Manfredini, futuro vescovo e delegato dall’arcivescovo Montini ai rapporti con il laicato cattolico milanese. Granelli era convinto sostenitore di quell’apertura a sinistra che prevedeva un accordo con il PSI, rifacendosi alla famosa frase di De Gasperi: «La DC e un partito di centro che guarda a sinistra». Per lui, la Base era la sinistra degasperiana, cioè una sinistra più laica di quella aclista di Vittorino Colombo a Milano o di La Pira a Firenze. Monsignor Manfredini, invece, era su posizioni decisamente diverse, che lo portavano a caldeggiare il mantenimento del centrismo sia al comune di Milano sia in provincia. (pag.195-196) … (manca pag. 197) … settimana e contemporaneamente seguire la mia attività politica a Milano, dove presto divenni direttore del Popolo Lombardo, entrai a far parte del comitato regionale e perfino del consiglio di amministrazione dell’ATM, l’Azienda dei trasporti. In quel periodo potevo contare su una squadra di amici quasi tutti laureati o studenti universitari che costituivano i miei più stretti collaboratori e con cui avevamo preso una felice abitudine: incontrare una volta alla settimana l’onorevole Granelli, vero maestro di politica. A volte le nostre chiacchierate nel suo ufficio di corso Pellegrini finivano ben oltre le 2 del mattino. Luigi Granelli era il personaggio politico che invitavamo sempre a concludere i corsi di formazione dei giovani democristiani, perché aveva il raro dono di accendere istantaneamente l’entusiasmo. Una volta, a un congresso nazionale, gli toccò la parola in un momento favorevole in cui la riunione era affollata e, forse spinto dai tanti applausi e incoraggiamenti, fece un incredibile exploit. Rivolgendosi alla maggioranza dorotea e fanfaniana disse: «Non ho alcun dubbio che il nostro gruppo, ricco come è di giovani intelligenze, sarà domani l’intera DC». Questa frase divenne famosa e noi, orgogliosi di essere le «giovani intelligenze» di cui sopra, la ripetemmo ovviamente in tutta Italia. Granelli era venuto con noi nelle università occupate a Milano e in altre città e aveva polemizzato molto abilmente con il professor Miglio, favorevole all’ipotesi di nazioni guidate da élite conservatrici. Granelli divenne in seguito membro del governo in qualità di sottosegretario agli Esteri e si avvicinò molto, insieme con l’onorevole Galloni, alle posizioni di Aldo Moro. Questo suo atteggiamento suscitò il rancore di Marcora e De Mita, che si sentivano più affini a Piccoli e Forlani. Quando cadde sulla nostra testa il fulmine della morte di Marcora, che avveniva a pochi anni di distanza dall’assassinio di Moro, Granelli diventò il sostituto di Marcora a Milano, prendendo anche il suo posto di senatore nel collegio di Vimercate, senza peraltro lasciare la vita governativa, che continuò come ministro delle Partecipazioni statali. Anche lui fu però danneggiato dall’arrivo nella segreteria del partito di De Mita, che decise di collocare nei punti chiave uomini della sua squadra, per esempio Tabacci in Lombardia. Nel linguaggio demitiano Granelli divenne «la Vecchia Guardia», e ciò segna sempre l’inizio del declino. Luigi, però, non si arrese tanto facilmente e, a differenza di me, imparò a usare le nuove tecniche informatiche, continuando a partecipare al dibattito politico. Da quando Luigi è morto, poco più che settantenne, ho sofferto della sua assenza come di pochi altri, e spesso e volentieri mi ricordo il pensiero e le frasi così belle e vigorose di quest’autodidatta destinato a diventare un maestro, per me tra i più grandi.»
Antonio Airò: LA BASE. Storia di una corrente, laboratorio di idee nella vecchia DC (Avvenire, 27 settembre 2013)
«“Se non vi divertite con la politica, siete molto seri e pensosi”. Lo scrive al senatore Luigi Granelli lo storico Gabriele De Rosa cogliendo il significato di un’esperienza e anche di una presenza dei cattolici democratici (certamente minoritaria nel corpo più ampio della “balena bianca”} che aveva iniziato a concretarsi, mentre la stagione del centrismo degasperiano si era ormai esaurita, nella nascita di una corrente della DC, quella della Base, avvenuta a Villa Carlotta di Belgirate il 27 settembre 1953. A sessant’anni di distanza, in un periodo che vede la crisi della politica, la fine dei partiti tradizionali, che ha conosciuto e conosce le degenerazioni di un sistema esteso di corruzione per l’occupazione del potere per il potere, che vede i cattolici non solo frantumati, ma anche afoni e oggi quasi invisibili, ancora a Villa Carlotta di Belgirate domani, sabato 28 settembre, un convegno di studio ripercorrerà, grazie a interviste, testimonianze e documenti raccolti In un libro dal giornalista Gianni Borsa (La Base in Lombardia, storia, testimonianze, eredità, Studium), la storia di questa peculiare esperienza, culturale e politica insieme; non tanto per riproporla con qualche rimpianto, che sarebbe inattuale, ma per recuperare uno siile, e soprattutto una passione per la politica che certamente, anche se con limiti, errori e tradimenti, ha caratterizzato l’impegno di non pochi nelle istituzioni e nel partito (oltre a Borsa, domani alle 15.30 parleranno Gianni Mainini e Virginio Rognoni). Soprattutto ciò è avvenuto in Lombardia, dove la ferrea capacità operativa del senatore Giovanni Martora e dei suoi collaboratori si era tradotta in una capillare presenza della Base a tutti i livelli. Non a caso quattro suoi esponenti sono stati presidenti della Regione, Piero Bassetti («la Base era un ambiente vivace; si respirava un clima attento alle novità»), Cesare Golfari. Giuseppe Guzzetti e Bruno Tabacci E lombardi sono stati, nel corso degli anni, oltre a Marcora, i ministri espressi dalla Base, Camillo Ripamonti, Luigi Granelli. Maria Pia Garavaglia, Virginio Rognoni Mino Maninazzoli. affiancati da un plotone di parlamentari, e da un esercito di segretari di sezione, sindaci, assessori, consiglieri comunali e provinciale testimone di una estesa classe dirigente di qualità (nonostante alcune pecore nere). Lombardo e concreto sostenitore della Base per via della comune partecipazione alla Resistenza, oltre al valtellinese Ezio Vanoni, fu Enrico Mattei, il quale fu però informato della nascita della corrente a cose fatte da un “irritato” Fanfani. Della nascita Base fu informato a Bozzolo don Primo Mazzolari. Questo predominio lombardo, che non mancò di suscitare frizioni e tensioni in altre aree dell’Italia, non impedì però alla Base di acquisire una dimensione nazionale (anche se sempre minoritaria, discussa e contestata nel partito) divenendo una sorta di laboratorio di idee, come l’ha definitala storica Maria Chiara Mattesini. Ciò è avvenuto grazie a una rete di periodici e di circoli (segnati anche da un filo di superbia intellettuale) pubblicati in quegli anni a Milano, Firenze, Venezia ed esprimenti l’esigenza di un profondo rinnovamento della politica (si pensi al tema sempre presente della riforma dello Stato, a un diverso rapporto tra potere centrale e autonomie locali, alla ricerca di un nuovo equilibrio tra economia e politica per via delle tante aziende a partecipazione statale) e battendosi per ampliare la partecipazione politica alle classi popolari tino ad allora escluse dal governo (il passaggio, non facile, al centrosinistra con i socialisti e poi la “questione comunista” affrontata dalla Base senza alcuna sudditanza come avrebbe poi fatto Moro). Senza dimenticare, nel resto d’Italia alcuni basisti di razza: da Galloni a Ciriaco De Mita, Gerardo Bianco, Riccardo Misasi. Una corrente quella della Base che sottolinea con forza la laicità del suo impegno in politica in una Chiesa ancora lontana dal Concilio, una scelta che non è stata priva di tensioni e di incomprensioni come testimonia nel libro la moglie di Granelli, Adriana, ricostruendo il «doloroso scontro» che il marito ebbe nel 1958 con Montini, arcivescovo di Milano, che si opponeva alla sua presentazione nelle liste della DC alla Camera. Per dieci anni Granelli è rimasto silenzioso, rinunciando con amarezza a candidarsi scegliendo di fare il consigliere comunale a Milano e impegnandosi a fondo per la crescita della corrente. Nel 1963, alla vigilia del conclave, ci sarebbe stato un chiarimento tra il politico e il suo vescovo. E nel 1968 Granelli con Marcora sarebbero entrati in Parlamento. Ma le difficoltà per la Base non sarebbero finite.»
Matteo Landoni: IL LABORATORIO DELLE IDEE PERDUTE. Luigi Granelli: Innovazione tecnologica e processo di modernizzazione del paese (www.storiaestorici.it, 15 giugno 2013)
Venticinque anni fa si chiudeva la prima conferenza internazionale sul “progetto Milano”. Il ministro della ricerca scientifica Luigi Granelli rivolse il suo intervento di chiusura al rischio di veder svanire gli sforzi innovatori per la Milano del futuro sotto il peso della retorica e della speculazione, al rischio che una pianificazione senza una strategia definita condannasse la città a cumulare altro ritardo nei confronti dell’Europa e del mondo. Un messaggio che, soprattutto oggi, alle prese con il caso Expo, mostra tutta la sua lucida attualità.
* * *
Abbiamo di fronte a noi la data simbolo, l’anno 2015, e abbiamo già attrezzato un laboratorio atto a costruire il futuro della nostra società, a fornire la svolta in grado di rilanciare il paese. Questo laboratorio è Milano, la città destinata a ospitare l’Expo 2015, l’evento verso cui ogni sforzo di rinnovamento è rivolto. La fucina del “progetto Milano” è però già aperta da anni, ma non ha lasciato memoria di attività frenetica, di un ripensamento efficace, di un progresso palpabile. Chi ha eletto Milano a baluardo dell’eccellenza e dello sviluppo di tutto il paese, a laboratorio delle idee che si fanno concrete, non ne ha memoria, dimentica che Milano sta cercando una via per tenere il passo del Mondo che corre senza ottenere risultati da troppo tempo.
Sono passati 25 anni – era il giugno del 1984 – da quando si è chiusa la prima conferenza internazionale sul “progetto Milano”, sulla città che rappresenta il punto di riferimento dell’efficienza e del progresso in Italia. Già allora, come oggi, la città si interrogava sull’impatto dei profondi cambiamenti che gravavano sul mondo e sulla strada da percorrere per affrontarli, e oggi come allora, le occasioni per discutere del progetto Milano si ripetono e prendono visibilità.
Di quella conferenza è giusto ricordare ciò che oggi appare più utile, gli ammonimenti che miravano a superare la lunga fase delle idee discusse e dei progetti avventati. La chiusura della conferenza ha volto lo sguardo verso il rischio di non saper trasformare in azione proposte che si tramutavano troppo facilmente in esercizi di retorica. Di quella chiusura fu autore Luigi Granelli, esponente di spicco della DC milanese, uomo politico che non appartiene alla stretta cerchia dei grandi manovratori del potere della storia recente italiana, ma politico votato alla concretezza e dotato di una sensibilità verso l’innovazione tecnologica assente nel resto della nostra classe politica. Dalla sua posizione di ministro per la ricerca scientifica e tecnologica, Granelli rappresentò la voce del governo Craxi, ma non dedicò la chiusura alla facile retorica politica, al sentimento di incosciente rincorsa al benessere che attraversa la Milano della metà degli anni Ottanta. Già allora, dalle sue parole, emerse la preoccupazione verso la facile speculazione che si consuma ogniqualvolta la città ripensa se stessa, la preoccupazione, allora come oggi, a “non commettere un errore che forse noi abbiamo commesso, cioè quello di perdere molto tempo a discutere in astratto sulla città ideale o sulla città a turbina proprio negli anni in cui il nostro territorio veniva saccheggiato e le sistemazioni urbane avvenivano secondo una logica di interessi e non seguendo una capacità di governo e di guida della politica del territorio”.
Alla minaccia per l’immediato successo dell’iniziativa si univa il pericolo di condizionare il futuro sviluppo della città e perdere altro terreno contro le più dinamiche città europee. Un percorso di innovazione scoordinato, legato a interessi locali e personali piuttosto che a un progettualità sistemica del territorio urbano avrebbe lasciato in eredità un freno per lo sviluppo a venire. “Rinnovare soltanto quello che può essere rinnovato in un sistema che resta tradizionale significa precludersi per un cinquantennio la possibilità di innovare realmente”, osservò il ministro Granelli al termine del suo intervento. Sono passati 25 anni da allora. Interventi, Milano, ne ha visti e subiti molti, ma l’innovazione reale è rimasta distante, e ancora oggi si lavora e si discute per restituire un ruolo guida al capoluogo lombardo. Siamo a metà strada di quel “cinquantennio” privo di innovazione. Fino a oggi quella strada è stata malauguratamente rispettata, gli errori compiuti continuano a seguirci lungo il percorso.
Gianni Borsa, Gianni Mainini (a cura di): LA BASE IN LOMBARDIA. Storia, testimonianze, eredità (Edizioni Studium Roma, 2013): copertina
Luigi, il Vescovo e le alleanze politiche Fino ad ora ho parlalo soprattutto di me e Luigi. Tutti, credo, ricordano il 1958 e il famoso scontro con il vescovo Montini. Anche per questo c’è il bel libro di Eliana Versace, Montini e l’apertura a sinistra, Il falso mito del vescovo progressista (Guerini e Associati, Milano 2007), che ha fatto un grande lavoro nell’archivio milanese di Montini. Di quel momento ho una chiara visione dei fatti. Fanfani, segretario del partito, sa che Montini è contrario all’inclusione di Granelli nella lista elettorale della DC. Prima di un comizio in piazza del Duomo, va in Curia per giustificare la presenza di Luigi in lista perché in quanto membro della direzione nazionale, non è possibile escluderlo. Montini dice addirittura: «Perché al suo posto non mettete qualche buon borghese?». Ovviamente la lista è piena di buoni borghesi! A questo punto Luigi va da Montini a chiarire la sua posizione sulla necessità di allearsi con le altre forze politiche che condividono le nostre proposte sul terreno sociale. Non basta volere le riforme, bisogna anche trovare gli alleati per portarle realizzare. Da qui la proposta di alleanza con i socialisti, che non significa commistione o subordinazione, ma semplice alleanza sui programmi. Nel suo diario Montini annoterà: «Il signor Granelli (e in questo signor c’è una lieve nota di disprezzo, non essendo il Granelli laureato) è venuto da me per discutere, non per ascoltare. Fatto, a suo giudizio, gravissimo. L’autonomia dei cattolici in politica, sostenuta da Sturzo e da De Gasperi («Il cattolico in politica impegna se stesso non la sua chiesa»), è considerata una grave forma di disobbedienza da Montini. «Vi diremo noi quando sarà, eventualmente, il momento di fare questa alleanza», dice. E naturalmente il momento verrà quando saranno già insediate le prime giunte comunali e poi l’alleanza nazionale.
Prima i richiami, poi l’affetto fraterno A conferma di questi miei appunti e ricordi personali, ci tengo a richiamare il testo scritto da Luigi che riferisce in terza persona di un convegno “A vent’anni dalla morte di Giovan Battista Montini – La politica è la forma più alta di carità”, svoltosi nella sala comunale di Seregno il 15 dicembre 1998 e pubblicato su «Il Popolo» il 18 dicembre 1998; «Nella parte centrale del suo intervento il senatore Granelli si è riferito, dopo quarant’anni in cui non ne aveva mai parlato in pubblico, ai rapporti tra la sinistra di Base della DC e la Curia milanese che registrarono nel 1958 un doloroso scontro con il cardinal Montini proprio per la sua candidatura alla Camera. Richiamato il periodo di sbandamento politico per la crisi del centrismo e di rischi dì una compromissione a destra dei cattolici, contro cui maturarono nella DC le prime proposte di apertura a sinistra, Granelli ha sottolineato l’importanza della missione voluta in quegli anni da monsignor Montini per dare ai cattolici una maggior coscienza dei problemi che dovevano affrontare. Gli ambienti cattolici più conservatori criticarono fortemente questa impostazione pastorale di Montini e alcuni gli attribuirono persino la responsabilità dell’azione della DC milanese che propugnava apertamente l’apertura a sinistra. In un lungo colloquio, alla vigilia delle elezioni del 1958, l’arcivescovo Montini manifestò a Granelli tutte le sue perplessità per le posizioni della Base. Il confronto non fu facile, anche se animato da doveroso rispetto del credente rispetto al proprio Vescovo – precisa Granelli, sottolineando che occorre conservare la memoria storica anche dei momenti difficili – perché monsignor Montini non considerava l’apertura a sinistra un errore dottrinale, in questo caso vincolante, ma solo una scelta non opportuna soprattutto per la scarsa preparazione dei cattolici ad affrontare i suoi rischi Ma per chi non doveva venire meno, secondo l’insegnamento di Sturzo, alla coscienza dell’autonomia delle scelte politiche era impossibile rinunciare ad agire per ostacolare i pericoli dell’involuzione a destra e per far evolvere una situazione non del tutto matura. Il dissenso permase, pur nell’auspicio di utili approfondimenti. Fu ricomposto solo sulla comune convinzione che i valori cristiani, da porre alla Base del rinnovamento, rischiavano di risultare compromessi anche per una miope gestione del potere». Indiscrezioni della stampa fecero pensare a qualche avallo alle posizioni della Base e si rese necessaria una precisazione della Curia sul quotidiano «L’Italia» che aprì la via a una lacerante campagna elettorale. «Granelli, che non fu eletto per un migliaio di voti, considera quella prova altamente formativa anche perché aveva messo in luce, tra i cattolici, l’importanza a le difficoltà non sottovalutabili dell’apertura a sinistra. Qualche anno dopo il centrosinistra venne attuato sia a Milano, senza interventi della Curia, sia sul piano nazionale. Alla vigilia del Conclave che lo avrebbe nominato papa, l’arcivescovo, nominato nel frattempo cardinale da Giovanni XXIII, prese l’iniziativa di un nuovo colloquio con Granelli. In tale occasione, dopo aver dimostrato stupore per la decisione di Granelli di preferire l’impegno nel Consiglio comunale di Milano alla ripresentazione, nel 1963,ad apertura a sinistra avviata, la sua candidatura al Parlamento, il cardinal Montini lo incoraggiò a continuare nella battaglia di rinnovamento del partito. Incontrandolo poi a Roma insieme ai parlamentari milanesi e in varie occasioni pubbliche, Paolo VI manifesterà fraterno affetto».
Riprendo il filo dei miei ricordi: Luigi, con grande senso di fedeltà al partito e alle idee che sosteneva, ritornò nei paesi in cui aveva fatto campagna elettorale dove alcuni militanti volevano abbandonare il partito e in alcuni casi addirittura la Chiesa, a ribadire che perdere in un’elezione è un fatto politico non drammatico, ma la battaglia di sinistra nella Dc «leve continuare perché diventi la battaglia di tutto il partito. Dopo questo episodio che suscitò molta risonanza nel partito, grazie alla perfetta intesa tra Marcora e Granelli, la Base ebbe un notevole sviluppo in Lombardia e iniziò un’espansione in tutto il Paese.
Marco Garzonio: IL RISCATTO DELLA POLITICA. La proposta di dedicare una via a Luigi Granelli (Corriere della Sera – edizione Milano e Lombardia, 3 dicembre 2013): articolo
Arturo Bodini: IL PPI: UN PROGETTO FALLITO. L’assordante silenzio di un partito: le proposte di Luigi Granelli (1994-1999) (1 dicembre 2014): articolo
Arturo Bodini: IN RICORDO DI LUIGI GRANELLI (1 dicembre 2014)
L’attività politica di Luigi Granelli legata alla corrente di Base e al sodalizio con Marcora è ben nota a tutti. Mentre la battaglia politica nell’ultima fase della sua vita è poco nota, ma riveste particolare interesse ed ha molti agganci con l’attualità. Egli fu un protagonista sul piano delle idee da quando iniziò tangentopoli e fino alla sua morte. Conobbi Luigi Granelli nel marzo del 1993 in Monza. Egli era allora vice presidente del Senato ed aveva assunto l’onere di commissario della Dc di Monza. Ero da poco entrato in politica ed avevo visto franare uno dopo l’altro i partiti della prima Repubblica sotto le inchieste dei giudici. L’epicentro di queste inchieste fu la Lombardia con vertici a Milano, Varese, Monza. Granelli nella DC apparve come l’ultimo baluardo a questa frana che stava distruggendo tutta una classe politica. Ogni giorno i giornali davano notizie di nuovi inquisiti, personaggi che fino a pochi giorni prima sembravano intoccabili venivano esposti alla gogna mediatica.
Granelli nel 1993 si era impegnato in una dura battaglia per conservare il nome della DC ma alla fine accettò l’idea di fondare un nuovo partito. Martinazzoli gli dava ampie garanzie ed entrambi ebbero come riferimento il Partito Popolare fondato da Sturzo nel 1919 considerando ancora valide gran parte delle idee fondative di questo partito. Rinunciò alla candidatura alle elezioni politiche ma non si rese del tutto conto che la sua uscita dalle istituzioni avrebbe notevolmente depotenziato le sue proposte innovative.
Continuò la sua battaglia contro la legge Mammì, con la scandalosa disparità tra chi controlla potenti “mass media” e chi non è garantito nemmeno dal Servizio pubblico. Tornerà più volte sull’argomento contro il sostanziale monopolio televisivo di Berlusconi.
Chiuse con atto notarile la corrente di Base temendo che questo strumento potesse essere usato per scopi politici non conformi alla sua storia.
Il 27-03-1994 alle elezioni Nazionali per la Camera, il PPI ottenne l’11,1%. Il giorno dopo Martinazzoli presentò le dimissioni mediante un fax. Subito dopo Granelli avviò la costruzione della associazione Popolari Intransigenti, i cui principali obiettivi erano la diffusione e l’affermazione, in base ad una corretta laicità dell’agire politico, dei valori cristiani e democratici in campo culturale, sociale e istituzionale per rafforzare un popolarismo intransigente e contrario ad ogni compromissione conservatriceme per favorire lo sviluppo di un confronto costruttivo tra le varie espressioni del cattolicesimo democratico e le tendenze popolari e riformatrici della sinistra, in sintonia con i principi fondamentali della Costituzione.
Sulla questione della Costituzione Dossetti e Granelli si trovarono in consonanza di vedute, quasi mai rapportandosi tra loro. Partendo da posizioni culturali diverse erano giunti alle stesse conclusioni con un afflato intellettuale invidiabile.
Operò con forza per costruire l’alternativa di centro sinistra, quando alla fine del 1994 Berlusconi si dimise sostenne a spada tratta la proposta Andreatta che aveva individuato in Prodi il leader per la futura alleanza di centro sinistra, proposta che determinò la scissione del PPI.
Nel 1997 iniziò i lavori la commissione bicamerale a presidenza D’Alema. Granelli seguì tutti i lavori della commissione formulando critiche pesanti verso il suo presidente e verso le proposte che via via andavano emergendo fine alla sua chiusura con un nulla di fatto della commissione stessa.
Con la caduta del governo Prodi Granelli attuò la sua ultima battaglia politica. Indicò come via d’uscita alla crisi, la formazione di un governo tecnico, che avrebbe dovuto portare alle elezioni anticipate con Prodi ancora candidato. Convocò tutti i maggiorenti del PPI lombardo per trovare sostegno ad attuare questa proposta. La proposta cadde nel vuoto, i parlamentari del PPI non furono disponibili a terminare anticipatamente il proprio mandato.
Poco dopo D’Alema e Marini proclamarono il ritorno della politica. Si costruì il governo D’Alema. Fu così persa una grande occasione dai partiti del centro sinistra per rinnovarsi e rinnovare l’azione politica e ancora oggi di questo conservatorismo ne paghiamo le conseguenze.
Plaudì all’elezione di Ciampi presidente della Repubblica: “l’elezione di Carlo Azeglio Ciampi mette la Costituzione al riparo da forzature e manipolazioni. … la rapidità per l’elezione del Presidente della Repubblica è stata giustamente apprezzata sia in Italia che all’estero. … Non c’è ordinamento costituzionale che possa porre rimedio ad una crisi della politica che va risolta sul terreno della politica. …”
Constato il decesso politico del PPI, uscì dal partito con un discorso drammatico di accusa ad una classe dirigente incapace al congresso di Rimini del 1999. Il suo fu un lucido testamento politico in cui delineò con estrema razionalità tutti gli errori di questo partito e del suo alleato il PDS. Questo intervento venne ignorato da tutta una classe dirigente perché aveva evidenziato gli errori di strategia e l’assenza di una linea politica.
Dopo poco più di un mese, il 1-12-1999 morì Luigi Granelli, esattamente 15 anni fa.
Maria Chiara Mattesini: 1960-1969: la Milano di Luigi Granelli (.doc)
Andrea Granelli: Mio padre, Segio Mattarella e Papa Francesco. Vi racconto il legame fra sinistra dc e gesuiti (Formiche, 18 febbraio 2015)
Beppe Severgnini: Il morbo che alimenta l’avidità dei corrotti (Italians – Corriere della Sera, 19 marzo 2015 – festa del papà)
Da bambino, negli anni Sessanta, passavo le estati in montagna a Bratto (Bergamo). Palazzina Est, che sta davanti alla Palazzina Ovest, che sta davanti al monumento dei caduti, che sta vicino all’oratorio, che sta di fronte alla chiesa. Appartamento al secondo piano, 70 metri quadri. Nostro dirimpettaio era l’on. Granelli, uno dei leader della sinistra democristiana. Noi eravamo in cinque (papà, mamma, tre figli). Loro pure (papà, mamma, un figlio, due nonni). Un notaio (mio padre) e uno dei dirigenti della DC nazionale (l’on. Granelli) in vacanza, contenti. Accadeva nel 1965. In cinquant’anni l’Italia è cambiata. Sono accadute molte cose importanti. Una tra tante: la politica è diventata ingorda. A un parlamentare, a un dirigente di un partito, a un ministro non bastano più un ottimo stipendio e le gratificazioni connesse all’incarico. Vuol vivere come i personaggi che frequenta. Vuole la villona vista mare come l’industriale, le disponibilità finanziarie di un banchiere, la popolarità di un calciatore, l’influenza di un intellettuale. Vuole tutto. E i suoi sostenitori, invece di allarmarsi, glielo concedono.
Renato Angelo Ricci (decano dei fisici italiani e per molti anni presidente della Società Italiana di Fisica) ha citato – nel suo intervento per la consegna di un premio di fisica – le straordinarie attività di una grande Ministro della Ricerca Scientifica italiana: Luigi Granelli (Padova, ottobre 2016): fonte Carla Andreani.
IL NUOVO SAGGIATORE. Bollettino della Società Italiana di Fisica – 30 anni (2015)
Matteo Landoni: L’AGENZIA SPAZIALE ITALIANA. Tra stato innovatore e dimensione europea (Il Mulino, Bologna, 2018) – copertina
Il volume ricostruisce, sulla base di fonti archivistiche inedite, la storia delle istituzioni italiane nel settore spaziale, dagli esordi pionieristici fino alla creazione dell’Agenzia Spaziale Italiana offrendo una panoramica completa sulle origini della politica spaziale del nostro paese, dalle motivazioni industriali fino ai risvolti internazionali, fondati sull’accesso ai programmi di collaborazione scientifica e tecnologica e la cooperazione con partner europei e americani. Fra i temi affrontati, la trasformazione della società industriale che fa da sfondo alla corsa allo spazio, gli strumenti di sostegno al settore, le scelte politiche che hanno condotto alla creazione dell’Agenzia, i cui primi vent’anni di attività sono confrontati con l’operato dei partner europei, ponendone in rilievo il ruolo di strumento politico per inserire l’Italia e le sue imprese nella rete di scambio tecnologico internazionale. Viene inoltre sottolineata la mutazione dei rapporti tra politica e industria, rendendo esplicito il passaggio problematico tra declino del sistema delle partecipazioni statali e nuove forme di intervento fondate sugli intermediari dell’innovazione, in favore di obiettivi di interesse nazionale
Rossanna Rossanda: “Colpa nostra se vince Salvini, la sinistra ha deluso le speranze” (intervista di Concetto Vecchio, la Repubblica, 31 ottobre 2018)
Per chi voterebbe oggi? «Non saprei. Prenda i candidati segretari del Pd: Zingaretti, Minniti, Martina, Boccia, Richetti. Non li distinguo. Mi dicono che DeLrio è bravo. Non dubito. Ma qual’è la sua visione del mondo? Quando ero giovane a Milano ho conosciuto bene la sinistra DC, quella di Marcora e Granelli: le loro voci si distinguevano nettamente da quelle delle altre correnti. Prenda il democristiano Fiorentino Sullo, le sue battaglie contro le speculazioni edilizie si ricordano ancora adesso».
ACLI Provinciali di Bergamo e Brescia: “Artigiani di pace. Dodici storie coraggiose tra Bergamo e Brescia” (iLibridiMOLTEFEDI, Bergamo, 2023): estratto
Claudio Brillanti: Le sinistre italiane e il conflitto arabo-israelo-palestinese (Sapienza University Press, 2018): integrale
Giovanni Minoli: La storia siamo noi: “La guerra del petrolio – Il caso Mattei” (programma di Rai edu): 7′ e 50′
Alessandro Forlani: Luigi Granelli, una vita per “La Base” (GR Parlamento, 12 giugno 2009): interviste di Maria Chiara Mattesini (ricercatrice dell’Istituto Sturzo) e Adriana Granelli
Gianni Fossati: Granelli l’anima laica della DC (Corrier della Sera, 8 agosto 2017) + estratto del libro di mamma
SITI INTERNET
SATIRA
Il Male (9 maggio 1978)