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Il conflitto tra la funzione di Presidente del Consiglio e interessi privati, che vale anche per i ministri, ha avuto un effetto dirompente nel logoramento dell’autorità del governo e resta un problema da risolvere al più presto. Il rinvio a indefinite soluzioni di legge, come risposta alle preoccupazioni del Capo dello Stato, si è prestato a troppi equivoci. Una scelta morale e politica preliminare, opportuna e possibile, poteva evitare gli inconvenienti registrati e consentire il varo successivo di una normativa efficace in un clima più sereno. Bastava che Silvio Berlusconi, prima di costituire il governo, scegliesse di lasciare proprietà e gestioni economiche rilevanti, o di designare una personalità di fiducia per continuare a seguire senza vincoli le proprie attività.
Si è in realtà voluto aggirare il problema prima politicamente, promettendo una soluzione differita, e poi con una ambigua proposta di legge scaturita dal complesso e plurivalente rapporto di un “comitato di saggi” nominato dal principale interessato. La tendenza è stata poi di rallentare le decisioni del Parlamento con la motivazione ribadita dallo stesso Berlusconi che i controlli ci cono già e non è esclusa una graduale cessione di attività che rientra nella norma delle gestioni economiche.
E’ necessario porre fine ai diversivi. Va conclusa la presentazione delle proposte legislative, avviato un confronto ampio per elaborare un testo comune ampiamente condiviso, varata una normativa rigorosa che eviti il ripetersi di inconvenienti gravissimi. In Italia esistono già norme che stabiliscono la “ineleggibilità” per amministratori di società abilitate a ricevere sovvenzioni pubbliche o che siano rappresentanti di imprese vincolate con lo Stato da “concessioni o autorizzazioni di notevole entità economica.” Ad esse si aggiunge la normativa sulle incompatibilità tra cariche e funzioni di amministratore ed il mandato parlamentare. Il completamento della legislazione, per introdurre una forma di “Blind Trust”, deve però ancorarsi ad alcuni punti fermi :
L’urgenza della soluzione del problema dovrebbe far preferire il ricorso alla legge ordinaria, invece della più impegnativa e pur possibile legge costituzionale, anche perché come dimostra una attenta ricognizione è assai ampia in Parlamento la disponibilità ad una rapida definizione di un rigoroso provvedimento.
Il fenomeno della commistione fra cariche di governo e attività private di notevole rilevanza economica e sociale si è recentemente imposto con forza all’attenzione dell’opinione pubblica italiana sia in via generale, sia per quanto concerne in particolare le imprese esercenti mezzi di comunicazione di massa. Anche in rapporto a questa presa di coscienza, oltre che per il ruolo di governo assunto da portatori di rilevanti interessi, sono stati presentati in Parlamento quattro disegni di legge in materia :
Le proposte sono state esaminate dalla Commissione Affari Costituzionali del Senato in sede referente. Nel nostro ordinamento non esiste alcuna norma di rango costituzionale che preveda appositi rimedi per impedire che l’azione di governo sia turbata dalla commistione di interessi pubblici e privati. L’art. 97 della Costituzione, ricompreso nel Titolo Terzo riguardante il Governo, si limita ad imporre all’Amministrazione l’imparzialità e il buon andamento. Nelle maggiori democrazie occidentali il regime dell’ineleggibilità ed incompatibilità, previsto per i componenti delle Camere, ha ispirato le disposizioni in materia di attività e cariche incompatibili dettate con riguardo ai membri del Governo.
Nel nostro sistema era prevista l’ineleggibilità di amministratori ed avvocati di società abilitate a ricevere dallo Stato sovvenzioni a titolo particolare (R.D. 1495 / 1919) linea di sviluppo, questa, seguita dal DPR 30 marzo 1957 n¡ 361, recante il testo unico delle norme per l’elezione della Camera dei Deputati. Tale ultima norma prevede un importante criterio di ineleggibilità stabilito per i legali rappresentanti di società o imprese private che “risultano vincolati con lo Stato per concessioni o autorizzazioni amministrative di notevole entità economica che importino l’obbligo di adempimenti specifici, l’osservanza di norme generali o particolari protettive del pubblico interesse, alle quali la concessione o l’autorizzazione è sottoposta” (art. 10).
Inoltre, secondo il disposto della legge 13 febbraio 1953 n¡ 60, sono incompatibili con il mandato parlamentare le cariche e funzioni di amministratore o consulente rivestite in associazioni o enti che gestiscono servizi di qualunque genere per conto dello Stato o della Pubblica Amministrazione, o ai quali lo Stato contribuisca in via ordinaria, direttamente o indirettamente (art. 2). Questa legge estende la propria portata oltre l’ambito parlamentare dettando norme, ed è questo l’unico caso, anche a carico di membri del Governo.
Norme di rango costituzionale in materia di incompatibilità esistono in Germania, Austria e Svizzera. Particolare ampiezza ha l’art. 97 della Costituzione svizzera, secondo cui i membri del Consiglio Federale non possono esercitare “qualunque professione o industria” , inoltre i Ministri “non possono assumere incarichi o rivestire attività in qualsiasi modo contrastanti con la fiducia pubblica in essi riposta” . Negli Stati Uniti la materia è regolata dall’ “Ethics in Government Act”, che è una legge federale del 1978, ponendo obblighi per i titolari e dipendenti di pubblici uffici, sia che appartengano essi all’esecutivo e all’amministrazione, al legislativo o al potere giudiziario.
Il primo principio in esso stabilito è quello della “public disclosure” correlato al secondo, che è quello di controllo continuo per la verifica della non violazione del regime di conflitti. Eccezione a questo principio è prevista nel caso di attuazione di un “trust” avente il requisito di cecità assoluta. Il titolare non dispone dei propri beni e nemmeno conosce come vi provvede il “trustee” . Altro importante principio stabilito dall’ordinamento statunitense è il “recusal” , cioè l’astensione, inabilitazione o ricusazione del funzionario quando vi siano ragioni di interesse o incompatibilità personale. Tale istituto non è peraltro ritenuto applicabile a livello di vertice della funzione pubblica esecutiva.
L’obbligo di astensione è recepito in varia forma dall’ordinamento spagnolo, svedese, svizzero e, con la flessibilità e i rigori propri del sistema, attraverso l’istituto della “disallowance” in Gran Bretagna. In tutti questi casi si ha riguardo all’attuazione del principio fondamentale secondo cui l’attività economica privata non può essere né svolta né influenzata da chi ricopre cariche di governo, impedendo altresì che il governante possa, direttamente o indirettamente, esercitare il suo potere per ingiustificatamente favorire interessi privati o addirittura i propri. Di particolare rilevanza è l’esperienza britannica anche per quanto riguarda il settore radio-televisivo, regolato dal “Broadcasting Act” del 1990. Tale legge esclude dalla titolarità di concessioni taluni soggetti, definiti come “disqualified” , fra cui i rappresentanti di qualsiasi organismo avente preminente connotazione politica.
Il progetto di legge costituzionale Mancino prevede l’incompatibilità tra cariche di governo e titolarità o controllo di imprese individuali, ovvero di società o di gruppi, che abbiano una rilevante consistenza economica, prevedendo inoltre la competenza della Corte Costituzionale per la declaratoria di incompatibilità; esso riguarda comunque la materia dell’incompatibilità per conflitto di interessi, alla quale si riferiscono anche altri disegni di legge ordinaria presentati. Stante l’urgenza di provvedere sulla materia, il ricorso alla proposta di riforma costituzionale appare, sotto il profilo dell’opportunità politica, una via piuttosto complessa fra quelle disponibili.
Per l’esame delle soluzioni avanzate dalle proposte di legge ordinaria è necessario rilevare, in via preliminare, che la norma da tenere in primo luogo presente è l’art. 65 della Costituzione che deferisce alla legislazione ordinaria la disciplina dei casi di ineleggibilità e di incompatibilità per i parlamentari. Anche se dettata in riferimento alle sole cariche elettive, tale disposizione può analogicamente estendersi anche alle cariche di governo, sia per ragioni sistematiche che per la tradizionale coincidenza tra le situazioni soggettive interessate.
Nel DISEGNO DI LEGGE GOVERNATIVO le opzioni si fondano su una distinzione concettuale tra proprietà e gestione di imprese che non ha una sufficiente base normativa nella disciplina vigente delle incompatibilità parlamentari e ministeriali. Non risulta in particolare persuasivo l’argomento sostenuto,nella documentazione che accompagna il disegno di legge, secondo cui “l’eventuale scelta di ricollegare all’assunzione di cariche di governo il sacrificio del diritto di proprietà produrrebbe un effetto eccessivo per la sua definitività e quindi irragionevole e sproporzionato rispetto all’assunzione di una carica per sua natura precaria” (cfr. documento conclusivo del Comitato di Studio sulla questione del conflitto di interessi, pag. 40).
Non è condivisibile una impostazione che desume, dalle norme rinvenibili in materia nell’ordinamento vigente, un elemento di sostanziale favore per l’incomprimibilità del diritto sancito dall’art. 51 della Costituzione. Gli altri parametri costituzionali da tenere presenti sono quelli di cui all’art. 92 ed al combinato disposto degli artt. 97 e 51, alla luce delle osservazioni già fatte. Il documento prodotto dal Comitato di Studio non fornisce risposte soddisfacenti al rapporto fra elettorato passivo e diritto di proprietà, in ordine al quale si dovrebbe senz’altro ritenere prevalente la tutela del diritto di elettorato passivo in presenza, fra l’altro, di un’ulteriore incongruenza derivante dal duplice criterio adottato in relazione alla gestione e alla proprietà dell’impresa previsto.
In particolare il sistema ipotizzato dall’art. 7, diretto a garantire la non interferenza nella gestione dell’impresa da parte del titolare di cariche di governo ma non a contrastare l’eventuale uso distorto di tali cariche al fine di favorire la propria impresa, deve ritenersi assolutamente inaccettabile. Bisogna infatti tener conto che l’obbligo di astensione previsto dall’art. 1, riferito al potere di segnalazione attribuito alle autorità garanti ai sensi dell’art. 10, comma 1, non è applicabile alla figura del Presidente del Consiglio dei Ministri al quale incombe una responsabilità di vertice nella struttura di governo che, per definizione, non consente eventuali reiterate esclusioni dalle deliberazioni dell’esecutivo.
Né sono previste misure sanzionatorie di natura personale o di ordine processuale in relazione agli atti eventualmente illegittimamente compiuti. In sede di Commissione referente il Presidente Corasaniti ha opportunamente rilevato come l’obbligo di astensione debba riferirsi alla particolare posizione di un soggetto in ordine a determinati argomenti su cui è chiamato a provvedere. Tale posizione però, ha rilievo solo nei casi in cui il titolare della pubblica funzione sia l’unico destinatario del provvedimento o appartenga a un ristretto gruppo di destinatari. Nel caso in cui, viceversa, l’oggetto della decisione riguardi un’intera categoria di destinatari alla quale appartiene anche lo stesso titolare, ciò non può dar luogo ad obbligo di astensione.
Nella proposta di legge di iniziativa governativa deve ritenersi inoltre non adeguatamente chiarita l’individuazione dei soggetti passivi interessati, dato che il generico riferimento alla “interposta persona” non appare sufficientemente compiuto. Non è condivisibile, inoltre, la disposizione volta a determinare il limite quantitativo del patrimonio. Sarebbe certo preferibile demandare all’Autorità antitrust la valutazione della rilevanza del patrimonio, a prescindere dal suo valore.
Nel disegno di legge Pasquino una secca articolazione stabilisce un’incompatibilità assoluta fra attività di governo e legali rappresentanti, amministratori o soggetti controllanti (ex art. 7, L. 10 ottobre 1990, n. 287) imprese la cui attività si svolga in regime di concessione o di enti soggetti al controllo dello Stato o, infine, la cui attività si svolga prevalentemente mediante la “conclusione di contratti” con l’Amministrazione o con gli enti citati. La radicalità della proposta, anche in relazione ai già richiamati principi sanciti dagli artt. 42 e 51 della Costituzione, unitamente all’insufficiente qualificazione della norma riguardante l’attività contrattuale, non può che far concludere per la non condivisibilità della stessa.
Il disegno di legge di iniziativa Passigli presenta caratteristiche di intermediarietà rispetto alle due precedentemente esaminate. Fa salvo il principio di “disclosure” (art. 1) identificandone chiaramente i soggetti passivi. Identifica in secondo luogo i beni rilevanti ai fini del provvedimento, assimilando la proprietà alla disponibilità degli stessi. I beni vengono divisi in tre categorie:
La proposta sembra contemperare meglio di altre l’esigenza di un’effettiva tutela rispetto a situazioni di conflitto, senza indebitamente comprimere diritti costituzionalmente tutelati. Oltre a riservare la dovuta attenzione per queste indicazioni, in vista dell’urgente adozione di norme in materia, è augurabile che si completi la presentazione di tutti i progetti allo studio per favorire la elaborazione di un testo unico, in particolare attraverso una versione in forma di disegno di legge ordinaria, per quanto compatibile, della proposta di rango costituzionale avanzata dal sen. Mancino.
L’analisi delle varie proposte e la circostanza che l’iter legislativo è già avviato consentono di ritenere non irrealistico un esame in tempi rapidi. L’Italia è tra i Paesi più industrializzati del mondo e ciò rende sempre più possibile il sorgere di conflitti riguardanti cittadini che sono portatori di rilevanti interessi privati e ritengono, con una libera scelta, di assumere funzioni pubbliche cui va garantito il massimo di trasparenza. Perciò è urgente introdurre un vero Blind Trust e non un artificioso surrogato come è stato suggerito con la proposta governativa.
Proprio in vista di possibili elezioni anticipate occorrono regole che impediscano il riproporsi del conflitto tra interessi privati e funzioni pubbliche. L’iniziativa spetta al Parlamento, anche se il Governo non considerasse prioritario il provvedimento. Lo stesso criterio di urgenza e ineludibilità vale per l’antitrust televisivo, sollecitato nel termine ultimo della fine del 1995 dalla Corte Costituzionale. Il primato del Parlamento in materie così delicate non può essere limitato dal ricorso al voto di fiducia.
Tocca ai gruppi parlamentari che hanno lamentato la mancata soluzione del problema dei conflitti d’interesse prendere al più presto l’iniziativa. L’on. Berlusconi si è detto più volte convinto che garanzie e controlli esistono già al punto da rendere superfluo il pur evasivo progetto presentato ed ha sostenuto che il risultato elettorale dovrebbe risolvere anche questo problema. Occorre fare esattamente l’opposto. La nuova normativa deve entrare in vigore prima delle elezioni per impedire il ripetersi, in futuro, dei negativi inconvenienti morali, politici e istituzionali che si sono verificati nel difficile 1994.
Il documento è stato redatto da un gruppo coordinato da L. Birindelli e può essere riprodotto.