Documento n. 6 - 14 maggio 1999

appello dei "popolari intransigenti"

FERMARE LA GUERRA

Ogni ora che passa senza fare nulla per fermare la guerra equivale ad una pesante responsabilità. Si è già andati oltre il limite. Nessun obiettivo è stato raggiunto. La violenza etnica è continuata. Milosevic ha più appoggi di ieri perché non si rovescia un dittatore radendo al suolo un Paese. La popolazione albanese dei Kosovo è costretta ad un esodo di massa Gli accordi di Rambouiliet sono in frantumi. L’Onu è emarginata anche per un ricorso alla forza senza legittimazione dei Consiglio di Sicurezza. L’intervento militare della Nato non è conforme al Trattato Nord-atlantico che prevede solo azioni difensive in caso di aggressione. Il Governo non può auspicare che prevalga il ritorno al negoziato, nell’ambito dell’Onu, e al tempo stesso difendere, con enfasi bellicista che contrasta con la Costituzione che ripudia la guerra come strumento di risoluzione delle controversie internazionali, la continuazione di bombardamenti che colpiscono obiettivi civili più che militari. E’ ipocrita limitarsi ad essere contro l’intervento delle truppe di terra perché i bombardamenti non possono continuare all’infinito e il loro inevitabile sbocco è quello di una devastante occupazione che sarà inutile deplorare tardivamente. Non si può lasciare solo alla Russia e all’Onu il compito di ricercare soluzioni diplomatiche, senza concorrere a creare nella Nato le condizioni che le rendano possibili. Per questo il Governo deve chiedere la convocazione straordinaria dei Consiglio Atlantico per proporre:

1° la cessazione dei bombardamenti per una tregua che segni la fine della violenza etnica, il ritorno dei profughi alle loro case, con garanzia internazionale, l’avvio della trattativa;

2° l’appoggio ad una forza di pace guidata dall’Onu e composta dalla Russia, da Paesi neutrali e della Nato, per garantire l’effettivo ritiro delle truppe serbe, il disarmo dell’Uck, l’attuazione degli accordi concordati;

3° il raggiungimento, nell’ambito dell’integrità territoriale della Federazione Jugoslava, della piena autonomia dei Kosovo che era il punto essenziale del negoziato di Rambouiliet.

Questo richieste sono compatibili con gli obblighi internazionali che l’Italia ha sempre rispettato. Esse possono essere avanzate nel Consiglio Atlantico se si vuole evitare che nell’Alleanza prevalga il diritto di pochi a decidere per chi deve eseguire. Solo un’ Europa più autonoma può realizzare una equilibrata “partnership” con gli Stati Uniti e può accingersi a varare al più presto una comune politica estera e di difesa. Il Governo non può continuare a disattendere le richieste del Parlamento, gli alti moniti delle Chiese cattolica e ortodossa, e le sollecitazioni di quasi duecento parlamentari della sua stessa maggioranza.


CONFERENZA Di PACE PER I BALCANI

E’ stata lanciata da più parti l’idea di convocare, dopo la fine dei conflitto nel Kosovo, una Conferenza di pace che renda possibile un assetto duraturo nei Balcani. Tocca soprattutto all’Europa proporsi con decisione questo obiettivo. Una Conferenza internazionale, sotto l’egida delle Nazioni Unite, consentirebbe di porre rimedio anche ai gravi errori compiuti da molti Paesi europei nel 1991. Allora si approfittò della disgregazione della Jugoslavia di Tito non per incoraggiare, in vista di futuri legami con l’Europa, una soluzione federale e pluralistica, ma per spartire in zone di influenza il costituirsi di micro Stati a base etnica che continuano ad essere la causa principale della destabilizzazione nei Balcani. La via d’uscita per l’intera ex Jugoslavia è il ritorno ad una articolazione in Stati multietnici che riconoscano, ed loro interno, larghe autonomie ed il rispetto dei diritti umani. Su questa base è possibile favorire, anche se le difficoltà sono molte, una ripresa di legami federativi che faciliterebbero una migliore integrazione con l’Unione Europea. Questo ambizioso obiettivo non ha nulla in comune con l’impostazione delle vecchie Conferenze internazionali in cui le Nazioni vincitrici imponevano al Paesi sconfitti le loro condizioni, modificavano le frontiere con un tratto di penna sulla carta geografica, stabilivano protettorati tipici dell’epoca coloniale. E’ allarmante che si vogliano ripetere questi errori. Gli Stati Uniti pensano di dividere il Kosovo, un territorio che appartiene alla Federazione Jugoslava secondo un principio di sovranità tuttora vigente, in settori amministrati da una forza internazionale. Vi è persino chi sostiene che il compito di definire una nuova sistemazione geopolitica per i Balcani spetti ala Nato. Altri, in Europa, disegnano in astratto, come nel 1991, protettorati impossibili Ed di fuori di ipotesi di amministrazioni transitorio, sotto responsabilità dell’Onu. Dei tutto opposti devono essere gli obiettivo di una Conferenza Internazionale che realizzi, con il consenso dei Paesi interessati, un durevole assetto di pace. La sua sede naturale è quella dell’Osce, nell’ambito dell’Onu, che ha tra le sue finalità l’attuazione dell’Atto di Helsinki in materia di sicurezza, di cooperazione, di pace ed ha tra i suoi interlocutori istituzionali la Russia e gli Stati Uniti. Su questa base è possibile prevedere anche un forza di pace a guida Onu a tutela complessiva dell’attuazione degli accordi. La Conferenza internazionale non può però essere una fuga in avanti per rifiutare il negoziato sul confitto in corso. Anche il dopo sarebbe in questo caso compromesso.


LA NATO NON PUO’ ESSERE UNA POLIZIA

La tragedia della guerra ha lasciato sullo sfondo il problema di una adeguamento della funzione della Nato à compiti del 2000, in discussione da tempo, che è stato oggetto di esame nella Conferenza di Washington per il cinquantesimo anniversario dell’alleanza. La nozione di sicurezza si integra sempre di più, per effetto dei progressi tecnologici applicati in campo militare, a quella della difesa territorialmente definita. I pericoli di crisi sono anche altrove e da questo si trae spunto per affermare che la Nato può intervenire con la forza al di la dei vincoli dei suo stesso Trattato istitutivo. I Parlamenti europei hanno dedicato un’attenzione superficiale al documento sulla nuova, “dottrina strategica” della Nato adottato a Washington. Esso sostituisce quello adottato a Roma nel 1991 e cerca di superare pragmaticamente la concezione strettamente difensiva sancita dal Trattato Nord-atlantico (art. 5 e art. 51 della Carta dell’Onu), per aprire la via ad una “Nato globale” in grado di intervenire con la forza in ogni situazione di crisi, a tutela della sicurezza mondiale, anche senza mandato dell’Onu. Quello che è accaduto nei Balcani dovrebbe diventare, in altri termini, la regola più che l’eccezione. Un documento d’indirizzo non può certo sostituire le decisioni operative dei Consiglio atlantico, n è può cambiare la natura dell’Alleanza. Ma la vigilanza su possibili alterazioni di compiti e di obblighi tra le parti è un dovere politico irrinunciabile. Il Congresso americano ha riservato, preventivamente, grande attenzione a questo documento e lo ha approvato vincolando l’amministrazione Clinton a precise condizioni. Esso ha infatti approvato per tempo, il 30 aprile 1998, dopo quattro giorni di dibattito, una risoluzione in cui la nuova “dottrina strategica” è vincolata, per il Governo Usa, ai seguenti punti: 1′ – le decisioni e l’azione della nuova Nato sono indipendenti da qualunque altro organismo intergovernativo (Onu, Osce, collaborazione euro-atlantica); 2′ – la Russia non ha nessun diritto di veto, anche in seno al Consiglio congiunto permanente Nato-Russia; 3′ – la leadership degli Stati Uniti sulla Nato va riaffermata con la presenza di ufficiali americani ai principali posti di comando. Queste indicazioni, oltre a mettere fuori gioco in partenza l’Onu e a ridurre al minimo il ruolo europeo, aprono una grave crisi anche nel rapporto con la Russia che è considerato essenziale per salvaguardare la pace in Europa e per allargare ad est l’alleanza. Le ripercussioni possono essere gravi. I Parlamenti europei non possono rinunciare al controllo rivendicato dal Congresso americano. La Nato può intervenire in un ambito più vasto, con un ricorso all’uso della forza riconosciuto anche da Kofi Annan e sperimentato con la guerra del Golfo, ma non può in alcun caso prescindere dalla legittimazione preventiva dei Consiglio di Sicurezza dell’Onu. L’Italia, insieme agli altri Paesi europei, non può e non deve disconoscere gli obblighi dell’Alleanza atlantica, ma non può prestarsi ad Interpretazioni di parte, sollecitate dagli Stati Uniti., che vanno oltre il Trattato istitutivo e contrastano anzi con alcune sue disposizioni. La Nato dei 2000 non può essere una polizia internazionale che usa la forza per imporre la pace sulla base delle proprie convenienze. Altro è il ruolo di pacificazione che l’Europa è chiamata a svolgere, nel rispetto dei diritto ed in una piena valorizzazione dell’Onu, nei prossimi decenni.


L’IMPEGNO DEI “POPOLARI INTRANSIGENTI” PER LA MARCIA DI ASSISI

Da quando la Nato ha deciso dì intervenire militarmente in Kosovo, senza legittimazione da parte dell’Onu, l’Associazione ha promosso una serie di manifestazioni non solo in difesa della pace, ma anche per sollecitare una soluzione diplomatica dei conflitto. Non può cadere nel vuoto il forte invito di Papa Woityla e della Chiesa ortodossa. Il Governo di un Paese che nella sua Costituzione ripudia il ricorso alla guerra per risolvere le controversie internazionali non può ignorare le sollecitazioni di quasi duecento parlamentari della sua maggioranza. Il “vulnus” al Trattato dell’Alleanza atlantica, che prevede solo azioni difensive in caso di aggressione, e i’emarginazione delle Nazioni Unite non possono costituire precedente. La parola deve tornare alla politica. L’Onu deve assumere di nuovo un ruolo di primo piano. L’Europa deve dimostrare maggiore autonomia nel rapporto con gli Stati Uniti. Devono cessare i bombardamenti, i massacri etnici, ed i profughi hanno diritto di tornare alle loro cose con la garanzia di una forza di pace dell’Onu. Ripetute sono state le prese di posizione dei presidente dell’Associazione, Luigi Granelli, a sostegno di questi obiettivi. In questo spirito è stata data adesione, entrando nel Comitato promotore, ad un appello in vista della marcia per la pace che avrà luogo tra Perugia ed Assisi il 16 maggio. Massima deve essere la mobilitazione dei “popolari intransigenti” per il successo di una così importante iniziativa. Il senso dell’appello è assai preciso:

CESSATE Il FUOCO
Lo chiediamo a Milosevic: ferma la pulizia etnica. A che serve questa guerra che sta portando alla distruzione dell’intera Federazione Jugoslava ?

CESSATE IL FUOCO
Lo chiediamo ai combattenti dell’Uck. Rinunciate alla vendetta, ricercate un accordo : quanto sangue dovrà ancora scorrere prima della fine della tragedia dei vostro popolo ?

CESSATE Il FUOCO
Lo chiediamo, con la stessa determinazione, al nostro Governo ed alla Nato fino a quando continuerete a bombardare ? Con quali risultati ? Con quante vittime innocenti ? Con quali rischi ?
Prima che sia troppo tardi, noi, donne e uomini di ogni credo politico e religioso, impegnati a costruire un nuovo ordine democratico fondato sul diritto internazionale, sui diritti umani, vi chiediamo: cessate il fuoco. Oggi.