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By noviia agency5 Marzo 2024In Luigi

COSTITUZIONE E LIBERTA’

Vi sono due modi per compiere un esame della nostra Costituzione: il primo è quello di considerarla, nei suoi aspetti positivi a negativi, da un punto di vista strettamente giuridico; il secondo è quello di considerarla in rapporto agli eventi politici che l’hanno determinata tenendo cioè conto delle forze politiche e del tipo di organizzazione statuale preesistente, dei problemi della società civile e di quelli dello Stato. Fare affidamento su di uno solo di questi modi equivarrebbe però a compiere un esame monco, parziale, perché evidentemente gli stessi rapporti politici si traducono, sul piano della democrazia sostanziale e dello Stato in conquiste di carattere giuridico e perché non vi è questione relativa alla struttura giuridica che possa essere risolta o spiegata prescindendo dal tipo particolare di processo politico che l’ha determinata.

Questi due modi di considerare il problema costituzionale italiano, pur nei limiti di una relazione che si propone soltanto di introdurre correttamente al suo studio, costituiscono quindi una precisa e indispensabile indicazione di metodo e dovranno essere tenuti presenti anche nella discussione e nelle conclusioni che da essa trarremo. La loro importanza deriva dal fatto che solo attraverso ad essi è possibile comprendere, con realismo e rigore, il valore e i limiti della Costituzione italiana e individuare quali termini il problema della effettiva trasformazione del nostro assetto statuale deve essere posto, anche in rapporto ai mezzi politici ed agli strumenti idonei a realizzare tale trasformazione. Non è detto che questo criterio metodologico porti ad una pericolosa separazione della dimensione giuridica da quella più direttamente politica. Il risultato cui miriamo è anzi, l’opposto: i giudizi di varia natura che via via esprimeremo, sia pure alternativamente, devono concorrere a ridare una prospettiva coerentemente unitaria al problema costituzionale.

La Resistenza come matrice della Carta Costituzionale.

Tenendo presente le indicazioni di metodo che abbiamo precisato è evidente che il punto di partenza dell’esame della Costituzione italiana non può non essere quello della preliminare considerazione del processo storico e politico dal quale essa è praticamente nata. La Costituzione Italiana non è, infatti, un documento il quale deriva le proprie fondamentali motivazioni da una astratta esercitazione di dottrina giuridica: essa è l’atto costitutivo di uno stato democratico-parlamentare che si è sviluppato sotto la spinta di un largo e drammatico movimento politico, il movimento popolare della Resistenza, e di una lotta aperta contro il fascismo per il riscatto della democrazia italiana. Non è possibile dimenticare questa caratteristica di fondo della nostra Costituzione perché anche certe contraddizioni o lacune, che in essa si possono individuare, trovano appunto in quel particolare processo politico la loro reale giustificazione.

Bisogna quindi situare la stesura della nostra Carta Costituzionale, cioè l’atto fondamentale per la costruzione di uno Stato nuovo, nel clima particolare della lotta al fascismo e vedere in quale misura la Resistenza fu portatrice, di fronte al crollo dello Stato liberale a alla compromissione della vecchia classe dirigente in questo crollo, di valori e di istanze nuove destinate ad incidere sull’evoluzione degli ordinamenti giuridici che avevano regolato, fra i cittadini e potere pubblico, tra classe e classe, la vita e la storia della società italiana nel periodo precedente.

Esaminato da questo punto di vista il movimento antifascista risulta come un movimento composito accomunato però non solo dalla volontà di rovesciare il regime fascista con la guerra di liberazione, abolendo la forma e lo spirito di una dittatura che aveva intristito la vita italiana per vent’anni, ma anche dal desiderio di dare finalmente vita ad uno Stato nuovo, diverso da quello che preesisteva al fascismo, che tenesse presenti le aspirazioni di libertà e di uguaglianza che animavano tanto i grandi partiti di massa, quanto le più attive “élites” culturali. Ciò era del resto inevitabile: di fronte al disastro fascista il movimento popolare della Resistenza si è trovato a contatto con quei problemi della società italiana che nemmeno lo Stato liberale pre-fascista aveva a suo tempo risolto e la sua spinta di rinnovamento non poteva affrontare anche queste antiche cause e responsabilità.

Ora, se si pensa a questa caratteristica fondamentale di quel momento storico e alla volontà rinnovatrice di tutte le forze politiche antifasciste, si viene a comprendere l’efficacia delle espressioni usate da un avversario, che merita la nostra stima ed il nostro compianto, il Calamandrei (1), nel definire la Costituzione elaborata in quel periodo non tanto come la Costituzione che sanciva una rivoluzione operata effettivamente dalle forze che combatterono il fascismo, quanto come l’insieme delle garanzie di una rivoluzione promessa accantonata momentaneamente di fronte alla necessità di ricostruire anzitutto lo Stato nelle basi minime della sua sopravvivenza, pur indicando in prospettiva le linee lungo le quali questo stato provvisorio si sarebbe progressivamente trasformato sino a raggiungere le forme di piena libertà e di sostanziale democrazia che costituivano la sua genuina ispirazione.

Vi erano tuttavia delle ragioni particolari e non sottovalutabili che suggerivano l’opportunità di questa distinzione tra la rivoluzione mancata e la rivoluzione promessa. La prima di esse scaturiva da cause interne allo stesso schieramento antifascista. E’ evidente che, nonostante la comune volontà democratica ed antifascista, esistevano delle profonde differenze di impostazione e di finalità tra le varie forze che, dai cattolici organizzati nella DC ai comunisti, dai socialisti agli intellettuali del Partito d’Azione., dai liberali ai legittimisti monarchici, avevano combattuto la lotta di liberazione, e che la sostanziale eterogeneità di questo schieramento rendeva di per sé impossibile, di fatto, la realizzazione immediata di un determinato tipo di Stato. Ciò facendo non si sarebbe fatto altro che scoprire in maniera brusca ed eversiva il compromesso, favorito dalla priorità della lotta per la libertà, tra partiti a base ideologica diversa e, quindi, tra loro in contrasto nel considerare in concreto i problemi della società italiana e quelli della costruzione immediata di un nuovo e definitivo assetto statuale.

E’ del resto naturale the i democratici cristiani, comunisti, socialisti, radicali, antifascisti, generici, se potevano trovarsi concordi nel lottare per restituire al nostro paese le forme della libertà e della democrazia, non potevano certo rinnegare le loro particolari concezioni dello Stato giunti che fossero al traguardo della loro battaglia. Come non occorre certo perdere tempo nel porre in rilievo le differenze teoriche e pratiche esistenti tra la concezione dello Stato dei partiti ad ispirazione marxista e quella dei partiti ad ispirazione democratica cristiana o di terza forza laica. Non vi può quindi essere dubbio sulla obiettività di questa prima ragione. Ma v’è ne poi un’altra e non di minore peso. Oltre alle già notate difficoltà ideologico-politiche c’era infatti anche la realtà stessa del paese che condizionava di fatto le aspirazioni palingenetiche del movimento antifascista.

L’Italia usciva da una guerra perduta che segnava non solo la scomparsa del fascismo, ma anche la rottura dell’ordine costituito e la sostituzione della monarchia con un regime luogotenenziale che aveva appunto il carattere di regime provvisorio, di anello di congiunzione tra la situazione precedente e la situazione che andava creandosi. In questo quadro sorgevano numerosi problemi relativi alla necessità, accentuata dallo sviluppo drammatico di forme di lotta civile, di formare comunque governi condizionati politicamente dalle forze della Resistenza e in grado di garantire il minimo indispensabile di legalità, idonei a trattare le truppe alleate ed a favorire l’inserimento dell’Italia liberata nella comunità internazionale; tutto ciò impediva evidentemente alla democrazia italiana di darsi in maniera improvvisa un ordinamento nuovo a definitivo.

Di fronte allora a questo duplice ordine di difficoltà che obbiettivamente impedivano di tradurre in forme immediate l’ansia di rinnovamento e di sviluppo pienamente democratico della Resistenza, il movimento antifascista italiano non poteva risolvere il problema costituzionale nel modo che s’è detto: da una parte, ridando vita e funzionalità al metodo democratico tradizionale, garantendo cioè la ripresa delle forme parlamentari e la convivenza tollerante e pienamente liberale tra le diverse forze politiche; dall’altra, fornendo una prospettiva finalistica a questo ritorno alle forme democratiche tradizionali attraverso l’introduzione nella Carta Costituzionale di quelle trasformazioni che, pur graduate nel tempo, avrebbero dato pienezza di libertà al nuovo Stato democratico e repubblicano.

Da allora il compito di attuare la Costituzione ha coinciso e coincide con la costruzione di un effettivo ordinamento democratico nel nostro paese ed acquista il carattere di un impegno primario a fondamentale per tutte le forze politiche italiane.

Questa, in sostanza, è 1’introduzione politica all’esame di una Costituzione che è nata in un momento particolare della storia del nostro paese e i cui limiti non possono far dimenticare il grande valore dell’indicazione di una via lungo la quale il popolo italiano può pacificamente garantirsi le libertà conquistate con la Resistenza e darsi i suoi ordinamenti pienamente e autenticamente democratici.

Caratteristiche della Costituzione

Tenendo conto dell’incidenza dei fattori politici che abbiamo appena esaminato, nella stesura della Carta Costituzionale, anche certe sue particolari caratteristiche ci appaiono in maniera più chiara.

Quali sono, infatti, le caratteristiche di maggior rilievo della nostra Costituzione? Anzitutto v’è una radicale diversità di natura e di contenuto tra la Carta Costituzionale che è posta alla base del nuovo Stato democratico italiano e il vecchio Statuto Albertino che reggeva le sorti dello Stato precedente. Quest’ultimo infatti era uno statuto connesso dalla monarchia, elargito dalla gerarchia massima dello Stato sulla base di quanto era avvenuto anche in altri paesi europei, per riordinare gli organi dello Stato e per tutelare e difendere, in termini prevalentemente accademici e astratti, le libertà ed i diritti dei cittadini (2). Esso dava una base costituzionale allo Stato, stabiliva i principi informatori dei suoi ordinamenti, precisava quali dovevano essere le libertà, i doveri ed i diritti dei cittadini, ma tutto questo veniva dall’alto a si traduceva inevitabilmente nel riconoscimento formale di diritti che in realtà non esistevano se non in stretta misura o, comunque, coincidevano con le posizioni di censo di alcune categorie privilegiate di cittadini. L’eguaglianza dei diritti e dei doveri dei cittadini di fronte alla legge era perciò del tutto formale ed in quello si scopriva soprattutto il limite illuministico e paternalista dello Statuto.

Del tutto diversa è invece la Carta Costituzionale che nasce dopo la Resistenza. Essa non è più elargita dalla massima gerarchia dello Stato, ma – al contrario – è liberamente stipulata dalle forze politiche che rappresentano le grandi masse popolari, escluse in tutta la storia risorgimentale, e le più dinamiche “elites” della cultura militante, e di conseguenza, viene ad essere una soluzione radicalmente capovolta del problema costituzionale italiano.

Essendo creata dal basso, col concorso attivo determinante delle forze politiche, la nostra Costituzione è animata da uno spirito normativo diametralmente opposto a quello del vecchio statuto: mentre in quest’ultimo ci si limitava a riconoscere, sotto il profilo giuridico, certi diritti e certe libertà, peraltro non esistenti di fatto per la stragrande maggioranza dei cittadini, nella nuova Costituzione repubblicana, accanto alla enunciazione di principio delle libertà e dei diritti, si indicano anche legittimandoli, i modi concreti di intervento per rimuovere gli ostacoli che di fatto impediscono ai cittadini italiani di essere liberi ed eguali di fronte alla legge e di esercitare senza limitazioni arbitrarie i loro diritti.

Cosi, ad esempio, il diritto al lavoro e la libertà di insegnamento non sono soltanto enunciati accademicamente nel Testo Costituzionale, ma (attraverso la liceità dell’intervento dello Stato nella vita economica e l’obbligo della funzione sociale della proprietà, per il primo, e attraverso il bando di ogni discriminazione religiosa o di fede politica, per la seconda) possono essere resi storicamente efficienti e, quindi, concretamente garantiti ed attuati all’interno della società italiana.

Un altro aspetto della nostra Costituzione, che fece sorgere una infinità di discussioni e di polemiche al tempo della Assemblea Costituente, è il suo carattere “lungo”. Tra i vari tipi di costituzioni vi sono, come è noto, quelle di tipo “breve”, che si limitano a stabilire i criteri della organizzazione dello Stato, e quelle di tipo “lungo”, che si occupano anche degli ordinamenti della società, dei rapporti tra cittadino e cittadino e tra classe e classe. La scelta del tipo di Costituzione non era quindi secondaria.

Una costituzione “breve” applicata alla situazione italiana post-resistenziale avrebbe significato soltanto il passaggio dalla forma monarchica a quella repubblicana,e si sarebbe limitata a precisare i poteri del Presidente della Repubblica, i compiti del Parlamento, del Governo e della Magistratura, ma in sostanza tutto lo spirito meramente giuridico e garantista del precedente statuto sarebbe stato conservato nonostante il mutamento istituzionale. Con una costituzione di tipo “lungo”, invece, precisando, non solo i criteri della organizzazione dello Stato ma anche quelli relativi alla struttura della società, si veniva a riunificare positivamente l’opera di modernizzazione dello Stato con quella di un pieno sviluppo della società ed a legittimare la trasformazione degli ordinamenti giuridici anche in relazione alle strutture economiche ed ai rapporti sociali. Perciò la scelta di questo secondo tipo di Costituzione era, in un certo senso, obbligata: soltanto essa, infatti, era omogenea al carattere democratico e popolare del movimento della Resistenza ed alla ispirazione di libertà the non poteva non essere posta alla base della nuova Carta Costituzionale e repubblicana.

Ma vi è, infine, una ultima caratteristica peculiare ed importante della nostra Costituzione ed è la sua coerente ispirazione al motivo centrale della libertà e al superamento di certe astratte concezioni dello Stato, proprie di determinati sistemi ideologici chiusi ed assolutisti. Possiamo riferirci, a tale proposito, allo stesso Stato liberale classico, nato non a caso come garanzia di una classe ben definita e ispirato ad un determinato tipo di cultura, oppure allo Stato così come è inteso e si giustifica all’interno delle teorie e della ideologia marxista, ispirato anch’esso, sia pure in modo rovesciato, alla funzione determinante di una classe ed alla strumentalizzazione ai suoi fini particolari della stessa cultura. In entrambi i casi, infatti, il motivo stesso della libertà, laddove è presente, si identifica con la concezione ideologica che dello Stato si ha e si risolve, praticamente, in una progressiva attribuzione di potere ad una sola forza, la quale mira, naturalmente, a consolidare ed estendere i suoi privilegi anche a scapito di qualsiasi altra. Da ciò discende, evidentemente, un tipo particolare di Costituzione. Se vogliamo un esempio concreto basta pensare alla Costituzione della Russia sovietica: in essa i criteri che ispirano 1’organizzazione dello Stato, i rapporti tra le classi, lo svolgimento della vita economica, le norme e la base stessa del diritto, derivano le loro motivazioni dalla rivoluzione dei bolscevichi e dalla concezione della società e dello Stato propria del comunismo marx-leninista.

La Carta Costituzionale italiana, invece, nata, come abbiamo visto nella prima parte della relazione, pur non potendo prescindere da una determinata piattaforma di principio, non poteva avere, evidentemente, una base teorico-ideologica a senso unico. Abbiamo già notato come il movimento della Resistenza non avesse una base ideologica comune, ma – al contrario – fosse costituito da uno schieramento di partiti di origine diversa, il cui comune denominatore di principio poteva essere soltanto quello della libertà liberata da ogni prevaricazione ideologica e ridotta a metodo di convivenza e di tolleranza fra forze politiche a culturali diverse e a mezzo per risolvere i contrasti sia nell’ambito della società che in quello dello Stato. Perciò nella Costituzione italiana non si trovano tracce di integralismo cattolico, non si trovano tracce di integralismo marxista (e nemmeno di tipo operaistico o classista) non si trovano gli esclusivi del vecchio “stato di diritto”, ma si trovano soltanto affermazioni di principio e indicazioni concrete di trasformazioni politiche, economiche e sociali che rappresentano una sintesi, il più organico possibile, delle varie tendenze e tradizioni ed una mediazione, in chiave di libertà, dei diversi interessi.

Questa caratteristica peculiare della nostra Costituzione viene spesso presentata, dai nostalgici dell’ordine costituito e protetto, come il frutto di un deteriore compromesso, ma – a nostro avviso – questa interpretazione, sostanzialmente falsa e storicamente inesatta, va fermamente respinta: non vi è dubbio che, su di un certo piano, si sia trattato di compromesso, ma esso fu certamente positivo se contribuì, come in sostanza ha fatto, a fondare costituzionalmente il nuovo stato democratico sul motivo centrale della libertà e a create con ciò le condizioni per regolare senza discriminazione la lotta politica dei partiti e per far avanzare tutta la società italiana, senza rinunce, esclusioni, verso forme di moderno progresso e di più alta civiltà.

Esame analitico della Carta Costituzionale.

I giudizi sin qui espressi trovano la loro conferma anche nell’esame analitico della nostra Carta Costituzionale. Il principio fondamentale dello Stato italiano è fissato dall’art. 1 della Costituzione che dice «l’Italia é una repubblica democratica fondata sul lavoro». Con questa formulazione si mira evidentemente a sottolineare il carattere libero, popolare, largamente democratico, della nostra Repubblica, ed il riferimento esplicito al lavoro, liberato da un certo formalismo che potrebbe farlo apparire superfluo o demagogico, costituisce una affermazione di notevole valore in rapporto all’organizzazione della Società, dello Stato e dei rapporti economici tra le classi ed i singoli.

Secondo questo primo principio informatore la nostra Repubblica rappresenta uno Stato di tipo nuovo, democratico e fondato sul lavoro, ed assume un carattere chiaramente alternativo rispetto al vecchio Stato pre-fascista. Repubblica e Costituzione non rappresentano affatto l’ennesima operazione trasformista di una classe dirigente che in sostanza mira a  conservare lo Stato precedente. C’è un salto qualitativo tra il passato ed il presente. Facciamo un esempio concreto: anche nello Stato risorgimentale l’Italia giunse a forme di ampia democrazia; quando l’on. Giolitti estese il suffragio universale agli analfabeti, nonostante il parere contrario dei ceti più retrivi delta borghesia, compì, evidentemente, un’opera democratica, ma il limite di questo allargamento del diritto elettorale risiedeva nell’obbiettivo sostanzialmente trasformista dell’operazione. Pur concedendo il voto a nuove forte non ancora organizzate in partiti a precisa base programmatica (basti pensare al caso tipico del “patto Gentiloni” che consentì la presentazione nelle liste di “cattolici deputati”, vale a dire presenti a titolo pressoché personale, e non di “deputati cattolici”, legati cioè ad una disciplina di partito o di gruppo) Giolitti mirava in sostanza a utilizzare quelle nuove energie per la formazione di blocchi d’ordine capaci di conservare con maggior sicurezza uno Stato che non mutava nella sua impostazione borghese, nelle sue finalità, nei suoi esclusivismi classici.

E’ chiaro che la pratica trasformista, che portò Salvemini a lanciare allo statista di Dronero la famosa invettiva di “ministro della malavita”, e che sotto varie forme fu impersonata dai De Pretis, dai Giolitti, dai Salandra e fu comune tanto alla destra quanto alla sinistra storica, viene spezzata praticamente da una Costituzione repubblicana e democratica che non concede formalmente dei diritti, ma sancisce un reale allargamento di essi e porta addirittura al capovolgimento della natura stessa dello Stato, fondando la sua Carta Costituzionale sul principio di una effettiva democrazia, e sulle garanzie di libertà soprattutto per coloro che essendo lavoratori si trovano nelle condizioni di maggior inferiorità nell’esercizio dei loro diritti. Non v’è quindi dubbio circa il carattere alternativo del nuovo Stato repubblicano rispetto al vecchio Stato pre-fascista.

Un secondo principio permea di sè tutta la Costituzione: l’eguaglianza di tutti i cittadini sul piano della libertà, dei diritti e di fronte alla legge. Eguaglianza piena, senza distinzioni di censo, di potere economico, di religione o di fede politica, come conferma dello spirito di tolleranza codificato dalla Costituzione e della norma fondamentale della convivenza democratica.

Un terzo principio stabilisce il carattere attivo della Costituzione: in essa non ci si limita soltanto ad affermare che l’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro, che la democrazia è norma viva, che i cittadini sono eguali di fronte alla legge, ma si indicano anche chiaramente i modi idonei per operare le necessarie trasformazioni, per democratizzare effettivamente le strutture dello Stato e della società esistente. Quando nella Costituzione si indicano, ad esempio, 1’ordinamento regionale, il Consiglio dell’Economia e del Lavoro, il Consiglio superiore della Magistratura, l’istituto del referendum, non si fa altro che affermare concretamente il principio della graduale trasformazione dell’ordinamento dello Stato, vale a dire, della progressiva democratizzazione dello Stato esistente: il che implica l’allargamento del classico “stato di diritto”, formalmente rappresentato dalla ormai acquisita distinzione dei poteri tra Parlamento, Governo e Magistratura, a nuovi valori ed a nuovi istituti capaci di aspirare r garantire un più moderno e avanzato assetto statuale.

V’è infine un ultimo principio: quello rappresentato dal carattere rigido e non flessibile della nostra Costituzione. Anche a questo proposito si ebbero nel dopoguerra molte polemiche e fu certamente l’esperienza del fascismo, il quale avvalendosi del potere politico aveva profondamente alterato o addirittura eliminato gli istituti previsti e garantiti dallo Statuto, che suggerì al Costituente l’adozione del criterio di rigidità. La distinzione fra Costituzioni flessibili e rigide sta appunto nell’attribuire alle seconde una prevalenza sostanziale e formale delle norme costituzionali rispetto alle norme ordinarie, di cui il nuovo ordinamento costituzionale informa tutto l’assetto giuridico, abolendo le leggi in contrasto (e in tale caso per la Costituzione italiana, la Corte Costituzionale giudica della incostituzionalità o meno delle leggi anteriori qualora, nel corso del processo, venga sollevata l’eccezione di incostituzionalità), sottoponendo le nuove leggi al controllo di costituzionalità della Corte Costituzionale e stabilendo una procedura speciale per operare revisioni del Testo Costituzionale. La Costituzione italiana richiede infatti, per la modifica delle sue norme, la maggioranza assoluta con due deliberazioni ad intervallo non minore di tre mesi, e ammette anche la possibilità di referendum popolare, per garantire al massimo che tali decisioni siano comprese ed approvate dalla maggioranza delle forze politiche e dei cittadini.

Articolazione del testo costituzionale.

A questo punto possiamo vedere l’articolazione dei vari capitoli della nostra Carta Costituzionale. La prima parte si occupa dell’organizzazione dello Stato. Essa, oltre alla definizione degli organi classici che sono rappresentati dal Parlamento, il quale interpreta la volontà popolare e detiene il potere legislativo, dal Governo, che esercita la funzione dell’esecutivo di cui è responsabile di fronte al Parlamento, dal Capo dello Stato, il quale, oltre a tutelare la Costituzione mantiene il legame tra il paese e l’ordinamento parlamentare (ad esso, infatti, spetta la facoltà, in momenti eccezionali, di sciogliere le Camere e di rimettere il giudizio al corpo elettorale) e dalla Magistratura, che detiene il potere giurisdizionale, prevede tutta una serie di istituti che integrano organicamente la struttura dello Stato. Tali istituti sono: la Corte Costituzionale (art. 134-137), che solo da poco tempo ha potuto iniziare la sua importante funzione di tutela della costituzionalità delle leggi, il Consiglio Superiore della Magistratura (art. 104-108), il Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro, (art. 99), l’ordinamento regionale (art. 54, 114-133) che viene a infrangere la struttura accentratrice e autoritaria dello stato liberale per sostituirla con un sistema decentrato di ampie autonomie locali (tale ordinamento è stato realizzato soltanto per le regioni a statuto speciale), l’istituto del referendum (art. 75 e altri) che attribuisce una particolare rilevanza alla volontà popolare. Sin qui, a grandi linee la struttura fondamentale dello Stato, in parte operante e in parte ancora da attuare: ciò pone in rilievo la necessità di un concreto impegno delle forze politiche al fine di attuare tutti gli istituti previsti a integrazione del vecchio schema dello “stato di diritto” e come garanzia dell’inserimento dei nuovi valori di libertà, scaturiti dal movimento democratico della Resistenza.

La seconda parte si occupa dell’ordinamento della società, soprattutto in rapporto ai problemi dell’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge (art. 3-48) al loro diritto di organizzarsi in partiti per “concorrere con metodo democratico alla determinazione della politica nazionale” (art. 49), al loro diritto all’istruzione ed alla possibilità di accedere a tutti i gradi della scuola (art. 30-33-34), al loro diritto ad un intervento dello Stato per rimuovere attivamente gli ostacoli che impediscono l’esercizio effettivo del “diritto al lavoro” (art. 3-34 ed altri). E’ infatti a tale proposito, che, ad esempio, la Costituzione tutela e prevede due forme di proprietà: da un lato, difende la “proprietà privata” e la libertà di iniziativa, pur precisandone i limiti rispetto alla sua funzione “sociale” (art. 41), dall’altro, garantisce ed indica la proprietà “pubblica”, mediante espropriazione con indennizzo, da parte dello Stato, Enti pubblici o comunità di lavoratori, per raggiungere certi “obbiettivi economici di preminente interesse generale” (art. 42-43).

Così su un altro piano, e col medesimo spirito, garantisce e tutela il diritto ad una retribuzione volta all’affermarsi di un’esistenza “libera e dignitosa” (art. 36), la parità dei diritti della donna lavoratrice (art. 37), la libertà della organizzazione sindacale e la liceità dello sciopero (art. 39-40), il criterio “progressivo” del sistema fiscale, onde consentire una larga perequazione fiscale secondo il principio che chi più ha più deve dare (art. 43), incoraggia il risparmio in tutte le sue forme (art. 47) e la partecipazione dei lavoratori alla “gestione delle aziende” (art. 46).

Da tutto ciò scaturisce l’evidente indicazione a livello giuridico e statuale della necessità di una graduale ed organica trasformazione non solo dello Stato, ma anche delle strutture della società, per giungere attraverso tale via, che è poi la via della lotta alle ingiustizie, ai privilegi di qualsiasi sorta, alle arretratezze economiche e sociali, alla affermazione piena della libertà e dei diritti di tutti i cittadini. Ed è soprattutto per questa parte che la nostra Costituzione supera i limiti di certe ipocrite forme di “garantismo” giuridico e delinea in modo dinamico e permanente un tipo di società e di Stato fondati sulla libertà e sulla conquista sistematica dei diritti di ciascuno anche nel vivo dei rapporti economici e sociali.

La terza ed ultima parte della Costituzione si occupa delle norme transitorie studiate per garantire un ordinato realizzarsi delle nuove norme giuridiche e dei nuovi istituti, nell’ambito dell’ordinamento dello Stato e della società, ad opera dei partiti politici, del Parlamento e dei governi.

E’ ovvio che, ai fini del nostro convegno, questa parte assume un significato di minore rilievo: l’esame di essa porterebbe infatti a constatare il ritardo, rispetto ai tempi previsti, forse con ingenuità, dal Costituente, nell’attuazione del dettato costituzionale. Con ciò abbiamo esaurito anche la parte più direttamente analitica della nostra relazione e l’esame a grandi linee della particolare articolazione della Carta Costituzionale Italiana (3). 

Esame politico del compito storico che investe la DC

E’ chiaro che il nostro convegno non può esaurirsi soltanto nel tipo di analisi che abbiamo sin qui condotto: noi rappresentiamo una forza giovanile che agisce politicamente all’interno di un partito di maggioranza il quale ha, ovviamente, una funzione di primo piano nel rendere operante in tutti i suoi aspetti la Costituzione, e non possiamo sottrarci al dovere di condurre un esame in termini politici di questo compito storico che investe la DC.

Del resto è la stessa spaccatura che va pericolosamente cristallizzandosi tra il paese legate, così come appare nelle enunciazioni di principio affermate nella Costituzione, ed il paese reale, così come a noi ci si presenta con i suoi squilibri e le sue ingiustizie, che ci impone di trarre dal nostro convegno delle conclusioni veramente giuridiche. Da quanto abbiamo visto la Costituzione risponde, sul terreno giuridico che le è proprio, alla grande spinta di rinnovamento della Resistenza e mantiene tuttora questo valore, ma è lo slancio della sua attuazione che è venuto via via diminuendo. Si pensi agli istituti inattuati (tra i quali il più decisivo, quello dell’Ente Regione, che è fondamentale per un pieno sviluppo delle autonomie locali e per la concreta valorizzazione, rispetto ai Prefetti che rappresentano praticamente il vecchio sistema accentrato, della classe dirigente amministrativa periferica), al numero di cittadini il cui diritto al lavoro ed alla scuola non è assolutamente garantito, al permanere delle condizioni di grave arretratezza, nonostante gli sforzi compiuti negli ultimi anni, della situazione meridionali alla carenza di libertà che esiste oggi nelle fabbriche e si comprenderà come sia compito urgente quello di colmare al più presto, attraverso una azione politica e chiara e conseguente, la frattura esistente tra il paese reale e l’ordinamento costituzionale.

Come si pone allora il problema più propriamente politico che la Costituzione propone alla DC ed a tutti i partiti democratici italiani? Ci sembra che, a tale proposito, emerga il valore di una dimensione particolare della nostra Costituzione e cioè quella della sua influenza moderatrice rispetto alla lotta politica tra i partiti. Non si può infatti negare che l’elaborazione della Carta Costituzionale, oltre a gettare le basi giuridiche del nuovo Stato democratico,servi anche da crogiuolo per ridurre a proporzioni misurate certe astratte posizioni ideologiche assolutizzate e per portare a contatto con la realtà viva del paese tutte le forze politiche italiane. Ciò è confermato anche dal fatto che il progressivo allontanamento dall’attuazione della Costituzione ha inevitabilmente favorito anche il ritorno di quasi tutti i partiti a certe vecchie posizioni astratte e intransigenti. Se si osserva oggi il contenuto della polemica politica, cosi come appare dalle pagine dei nostri giornali, ci si rende conto senza fatica del come la lotta politica italiana scivoli verso divisioni sempre più profonde e radicali, si svolga su un piano molte volte staccato dalle grandi questioni di fondo dello Stato democratico, si disperda lungo la facile prospettiva della politica delle cose e della soluzione dei problemi particolari e di categoria. E non è che la politica delle cose possa essere oggi criticata soltanto nelle forme che sono portate innanzi dall’on. Nenni.

Anche l’alleanza quadripartita, nel corso della presente legislatura, ha dimostrato più volte di salvare un equilibrio di governo rinunciando ad esempio alla attuazione di certi istituti previsti dalla Costituzione e giustificando la solidarietà di una formula alla luce del compromesso per la soluzione dei problemi particolari. Non a caso la riforma dei patti agrari ha rappresentato l’elemento della discordia di quasi tutti i governi: essa ha infatti dimostralo che è difficile raggiungere soluzioni positive quando vengono ricercate sul piano di interessi che non possono essere che contrastanti e non all’interno di una più ampia prospettiva di trasformazione delle strutture giuridiche, nel quadro del rinnovamento dello Stato.

Le cronache giornalistiche dei primi anni all’indomani della liberazione dimostrano che i partiti erano invece più legati ai problemi più reali della società italiana e sapevano affrontarli non tanto sul piano del particolarismo settoriale e corporativo, quanto su quello di una organica trasformazione degli ordinamenti giuridici, delle strutture della società e dello Stato.

Anche le scelte politiche, evidentemente, erano agevolate da quel clima di tolleranza e dalla tensione di rinnovamento che permeava di sé la stessa lotta politica. Perciò noi riteniamo di essere nel giusto quando non ci limitiamo a reclamare soltanto 1’applicazione della Costituzione, ma insistiamo anche perché la lotta politica torni a sentire la tolleranza a l’anti-integralismo e a favorire la disposizione alla collaborazione e non la radicalizzazione dei contrasti. E’ lo stesso De Gasperi che ci ha insegnato a comprendere ed a difendere questo particolare valore della nostra Costituzione.

Quando, all’indomani del congresso di Venezia nel 1949, De Gasperi prese posizione, al Consiglio Nazionale di Fiuggi, contro il risorgere di certe tendenze integraliste all’interno della DC disse testualmente: «La Costituzione, che abbiamo giurata, ci offre la base giuridica di tale comunanza (la tolleranza tra partiti ad ispirazione diversa – nota nostra) e impone i limiti e le regole dei nostri rapporti. Essa esclude l’intolleranza, suppone i1 rispetto delle fedi e ci detta il metodo di superare i contrasti, quando dal campo delle idee ripercuotono nel settore della pratica civile e politica. La Costituzione esclude l’anticlericalismo, ma salvaguardia la libertà delle fedi» (4). Con quella affermazione l’on. De Gasperi non intendeva solo polemizzare contro certe forme di integralismo cattolico, ma mirava soprattutto a riaffermare un principio che è fondamentale per i cattolici impegnati sul piano politico: con essa l’illustre statista cattolico dimostrava infatti the la DC è una formazione politica moderna la quale, avendo superato storicamente la contrapposizione risorgimentale dei guelfi a dei ghibellini e la rottura tra la coscienza nazionale a la coscienza religiosa, si muove al di fuori dello storico steccato (5) con rispetto e spirito di tolleranza per tutte quelle forze politiche o culturali che, pur distinguendosi per ragioni ideologiche o per motivi filosofici, accettano lealmente la Costituzione repubblicana come base fondamentale e insuperabile del nuovo Stato democratico. Ora non vi è dubbio che questa posizione di “lealismo costituzionale”, già affermata da Sturzo ai tempi del PPI e tipicamente “degasperiana”, mantenga tutt’oggi la sua importanza e la sua validità.

E’ ancora De Gasperi che ce lo ricorda: al Congresso di Napoli, lasciandoci il suo testamento politico, ci mise appunto in guardia da qualsiasi cedimento a questo proposito, affermando esplicitamente: «Mettete in forse la Costituzione in una sua parte essenziale e voi farete oscillare tutto, la legittimità, l’autorità, l’unità, il diritto storico a quello formale» (6).

Il nostro principale dovere è perciò quello di difendere questo principio e di continuare ad operare nel suo spirito non solo per essere a livello delle nostre responsabilità politiche, ma anche per garantire un clima di tolleranza e di convivenza civile per il nostro paese. Non dimentichiamo che molti cattolici, distorcendo in modo innaturale la loro sensibilità religiosa, coprono spesso la loro posizione politica con motivazioni improprie e dimenticano i limiti storici della loro azione temporale. Questo atteggiamento non può non portare agli errori di tempi remoti e distruggere ogni seria posizione di “lealismo costituzionale” dei cattolici, oltre che portare a gravi ripercussioni nello stesso ambito religioso.

Rendiamoci conto che quando operiamo come politici noi tuteliamo la nostra posizione di credenti proprio nel non coinvolgere la Chiesa con le nostre responsabilità e nell’impedire che Essa venga identificata con una parte politica. La funzione della Chiesa è prevalentemente una funzione religiosa e di Magistero, la Sua concezione dell’uomo, della società e della vita non si limita alla dimensione materiale, il suo patrimonio di verità è diverso da quello caduco o parziale delle dottrine politiche, il Suo carattere di universalità impedisce di identificarla con gli interessi di un solo paese, a tutto ciò chiarisce come Essa non possa essere ridotta a strumento politico, né possa essere impiegata a copertura di eventuali errori politici dei cattolici che agiscono automaticamente su questo piano. Né è del resto possibile dimenticare che il concetto della società che noi cattolici abbiamo è un concetto pluralistico e che ciò ci impedisce per altro verso di ridurre tutto alla dimensione politica e ci obbliga quindi a valutare l’importanza di tutti gli strumenti che possono concorrere con l’azione politica ma su altri piani a promuovere il miglioramento civile e morale del nostro paese.

Ma non è questo che ci interessa sottolineare ora. Quanto abbiamo detto è rivolto soltanto ad affermare la nostra piena coscienza della necessità che il partito in cui militiamo non abbandoni assolutamente quella posizione di “lealismo costituzionale” che è appunto indispensabile per svolgere una funzione di guida nella trasformazione delle strutture della società e dello Stato, secondo le indicazioni e lo spirito della Costituzione. Se il movimento politico dei cattolici, dimenticando questi preziosi insegnamenti di De Gasperi, dovesse tornare a coltivare le illusioni integraliste della paligenesi sociale, scivolando nuovamente entro lo storico steccato non avrebbe più senso l’appello alla Costituzione: essa diverrebbe fatalmente, alla luce di una mentalità conservatrice un peccato di gioventù di cui non si deve tener conto, e la rivendicazione di una politica coerente con le indicazioni costituzionali potrebbe passare pericolosamente in altre mani. Perciò il nostro convegno, se non vuole concludersi con rivendicazioni astratte o accademiche, deve richiamare apertamente non solo la DC, ma tutti i partiti politici italiani, al dovere di riportare al più presto la lotta politica sul terreno degli adempimenti costituzionali, non tanto per l’attuazione pura e semplice degli istituti previsti, quanto per ritrovare nella piattaforma della Costituzione lo spirito, la tolleranza e il limite per unirsi o dividersi nell’interesse del paese e del suo libero progresso.

La Costituzione rappresenta ancor oggi l’ambito naturale di incontro leale, tra partiti anche ad aspirazioni ideologiche diverse, per risolvere i problemi più urgenti: essa, come dicevamo all’inizio della relazione, rappresenta la “rivoluzione promessa” in cambio della “rivoluzione mancata” e non può essere ridotta a cimelio di una occasione perduta. Non rendersi conto di questo equivarrebbe lasciar credere che la Costituzione è stata soltanto la facciata esterna di un edificio ricostruito dopo il disastro bellico, ma dietro alla quale sono rimaste, intatte, tulle le vecchie stanze e tutti gli antichi privilegi. Noi, consapevoli del nostro dovere, opereremo attivamente per trasformare invece, queste vecchie stanze secondo le aspirazioni popolari e secondo la coscienza del nuovo diritto costituzionale: quali che siano gli sviluppi della attuale situazione politica e parlamentare, noi ci batteremo perché la DC, non si scosti mai dalla strada maestra indicataci da De Gasperi e dimostri di essere partito moderno, autonomo, fedele alla firma posta in calce alla Costituzione, capace perciò di collaborare responsabilmente con quanti intendono concorrere a trasformare la società italiana e lo Stato secondo i principi della libertà, del progresso economico e sociale, della eguaglianza di tutti i cittadini.

Note al testo

  1. CALAMANDREI P., La Costituzione e le leggi per attuarla, in “Dieci anni dopo, 1945-1955”, Bari 1955, pag. 213.
  2. Con la caduta del regime fascista, seguito alla sconfitta con la quale si è conclusa per 1’Italia la sua partecipazione alla seconda guerra mondiale, una serie di provvedimenti, successivamente adottati dai nuovi Governi italiani, hanno restauralo in Italia un regime costituzionale. Ed è stato dapprima restaurazione del regime costituzionale secondo lo Statuto del Regno. Ma il Paese, nella naturale ricerca delle responsabilità, politiche e tecniche della sconfitta risalì dagli organi del regime fascista alla monarchia, che quella politica, all’interno a all’estero aveva resa possibile. E furono poste largamente in discussione le stesse forme istituzionali dello Stato e la Costituzione. In quelle gravi condizioni un decreto legge Luogotenenziale 25 giugno 1944, n 151, dispose la convocazione di un’assemblea Costituente da eleggersi dal popolo italiano a suffragio universale, diretto a segreto, dopo la liberazione del territorio nazionale per la scelta delle forme istituzionali e la deliberazione di una nuova Costituzione dello Stato. Quel decreto fu successivamente modificato da un decreto legislativo luogotenenziale 16 marzo 1946, n. 98, che rimise ad un referendum popolare, da tenersi contemporaneamente alle elezioni per l’Assemblea Costituente, la decisione sulla forma costituzionale dello Stato (monarchia o repubblica).
  3. Assemblea Costituente, Costituzione della Repubblica Italiana, pubblicata nella “Gazzetta Ufficiale” n. 298 del 27 dicembre 1947 (il testo della Costituzione é facilmente reperibile nella edizione curata dalla Libreria dello Stato, Roma 1956, VI ristampa).  
  4. ALCIDE DE GASPERI, Il discorso di Fiuggi (Piccola Biblioteca di cultura Politica ‑ editrice Seli), pag. 19, Roma 1943.
  5. ALCIDE DE GASPERI, Lettera a Fanfani (Edizione Cinque Lune), pag. 16, Roma 1954.
  6. ALCIDE DE GASPERI, I discorsi politici (Edizioni Cinque Lune ‑ vol. 11), pag. 304‑305, Roma 1956.

Per una bibliografia essenziale si veda:

  • AMORTH, La Costituzione italiana, Milano 1948.
  • BASCHIERRI, BIANCHI, D’ESPINOSA GIANNATASIO, La Costituzione italiana, Firenze 1949.
  • Commentario sistematico alla Costituzione italiana, diretto da P. CALAMANDREI e A. LEVI, Firenze 1950.
  • AZZARITI Problemi attuali di diritto costituzionale, Milano 1951.
  • CRISAFULLI, La Costituzione e le sue disposizioni di principio, Milano 1952.
  • BALLADORE-PALMIERI, La Costituzione italiana nel decorso quinquennio, in “Foro Padano”, n. 2, febbraio 1954.
  • ESPOSITO, La Costituzione italiana, “Saggi”, Padova 1954.
  • CALAMANDREI, La Costituzione e le leggi per attuarla, in “Dieci anni dopo” 1945-1955 , Bari 1955 (di cui si possono utilmente vedere anche gli altri saggi).
  • MORTARI, Il secondo risorgimento, pag. 405 a seg. (Istituto Poligrafico dello Stato). Roma 1955, e inoltre i vari volumi di Istituzione di diritto pubblico, tra i quali citiamo, solo per esemplificare, quelli del Mortari e del Ranelletti.

Luigi Granelli
Movimento giovanile della Democrazia Cristiana di Milano
Atti del convegno di studio “La Costituzione Italiana” svolto a Milano il 9 giugno 1957

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svgLuigi Granelli: IL CONSIGLIO NAZIONALE DI VALLOMBROSA (Politica, 1 agosto 1957)