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By noviia agency5 Marzo 2024In Luigi

INTRODUZIONE DEL PRESIDENTE DEL COMITATO ORGANIZZATORE ON. LUIGI GRANELLI, SOTTOSEGRETARIO DI STATO AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI: “Una fase nuova per i diritti dei lavoratori migranti”

Discorso pronunciato il 24 febbraio 1975

Tocca a me, in qualità di Presidente del Comitato organizzatore, il dovere di ricordare il valore, unico nella nostra storia nazionale, di una Conferenza che affronta al massimo livello il grande e irrisolto problema dell’emigrazione italiana. L’intervento delle più alte cariche dello Stato, gli impegnativi discorsi del Presidente del Consiglio e del Ministro degli Esteri, la presenza di Autorità internazionali e di osservatori di molti Paesi, conferiscono alla Conferenza Nazionale dell’Emigrazione un rilievo evidente, ma tale rilievo diventa ancor più significativo se si pensa che per la prima volta ad oltre cento anni dall’unità d’Italia, si trovano a confronto i rappresentanti diretti delle nostre collettività all’estero e gli esponenti di tutte le forze sociali, sindacali e politiche del Paese.

Il valore profondamente democratico di questo confronto non ha bisogno di particolari illustrazioni. L’Italia democratica si interroga con franchezza autocritica, con volontà operativa, con la partecipazione diretta degli italiani che hanno pagato di più, sui problemi connessi al perdurare sia pure in forme attenuate di una emigrazione forzata che è stata, in periodi diversi, una costante dolorosa della nostra storia nazionale. Un’altra Italia si è formata al di là delle nostre frontiere, sparsa nelle varie parti del Mondo, e basterebbe questa constatazione per giustificare, ora che non siamo più un Paese prevalentemente agricolo o artificiosamente protetto ad un fossato di autarchia, un nostro serio esame di coscienza per rimediare ad una pesante eredità.

Abbiamo detto più volte, e lo ripetiamo anche in questa sede solenne, che la Conferenza Nazionale dell’Emigrazione non è una occasione di studio, un incontro moralmente significativo, ma è soprattutto una occasione politica per avviare con maggiore organicità che nel passato una azione decisa, coraggiosa, a tutela dei nostri connazionali e dei loro diritti. Negli ultimi anni si è fatta strada, in Italia, la coscienza sempre più viva che la questione dell’emigrazione, dell’esodo obbligato di milioni di connazionali, è una questione nazionale che coinvolge sia le strutture economiche e sociali del nostro Paese sia la nostra politica internazionale. Questa stessa Conferenza è il frutto delle importanti iniziative che l’hanno preceduta. Dalla proposta unitaria delle grandi organizzazioni sindacali, nel 1969, alla pregevole indagine del CNEL del 1970, alle autorevoli inchieste del Parlamento, siamo giunti ad una scadenza tenacemente perseguita negli ultimi anni che si propone, con la Conferenza Nazionale dell’Emigrazione, di realizzare una nuova politica in un campo che può essere decisivo per il nostro stesso avvenire. Questa svolta, questa decisione di porre all’ordine del giorno del Paese i problemi della nostra emigrazione, premia in concreto l’opera del Comitato Consultivo degli Italiani all’Estero che ha contribuito con le sue mozioni, con la difesa degli interessi di vita delle nostre collettività, a far diventare i problemi dei nostri emigranti problemi non separabili dalla nostra politica interna ed internazionale.
La stampa ha sottolineato l’imponenza, la complessità organizzativa, il difficile e contrastato realizzarsi délla Conferenza Nazionale dell’Emigrazione, ma credo di poter dire – per l’esperienza personalmente compiuta in più di un anno di intensa preparazione – che il confronto dei prossimi giorni affonda le sue radici nelle appassionate discussioni fatte, con migliaia di nostri connazionali, in Africa, in America Latina, in Canada, in Europa, proprio in preparazione di questo importante avvenimento. In quelle occasioni ci siamo scontrati con uno stato d’animo di profondo disagio, con polemiche dure, con la denuncia di condizioni insopportabili, del resto comprensibili per una emigrazione che ha pagato duramente la rottura traumatica con l’insieme dei valori rappresentati dal nostro Paese, ma un obbligo di verità ci impone di dire il sentimento di ammirazione per i progressi compiuti nelle varie parti del mondo, tra molte difficoltà e spesso soltanto con le proprie forze, dai nostri connazionali. Essi hanno fornito un esempio di solidarietà che dovrà essere un monito per quanti, tra di noi, hanno avuto un destino più fortunato.

Ci ha colpito, soprattutto, la volontà della nostra emigrazione di uscire dall’isolamento, di vitalizzare i rapporti con l’Italia, di contribuire direttamente alla soluzione dei propri problemi e allo sviluppo crescente del nostro Paese al suo interno e nelle sue relazioni internazionali. Bastano questi brevi cenni per distruggere il logoro «cliché» di collettività italiane frustrate, deluse, bisognose solo di protezione e di assistenza. I nostri emigranti hanno conquistato, tra privazioni e difficoltà, una piena coscienza dei loro diritti, una maturità civile che merita il più grande rispetto, ed il modo polemico, fortemente critico, con il quale pongono le loro rivendicazioni non è tanto il frutto di una generica protesta quanto il segno di una volontà di contribuire, assieme a noi, a realizzare una nuova e più giusta società. Non corrisponde al vero l’immagine di collettività chiuse in se stesse, qualunquiste, sostanzialmente nostalgiche, pregiudizialmente contrapposte all’Italia democratica di oggi. È l’isolamento, la mancanza di dialogo, la saltuarietà dei rapporti, che ha potuto accreditare una simile ed errata opinione. Il merito più importante della preparazione della Conferenza Nazionale dell’Emigrazione è stato, ci sembra, quello di aver contribuito a sgretolare il muro della diffidenza reciproca, ad aprire anche nel contrasto delle posizioni una fase nuova di dialogo, di ricerca, di collaborazione, tra il mondo dell’emigrazione e la società italiana contemporanea.

Questo processo è all’inizio. Avrà nei prossimi giorni una prova di grande importanza. Sarà accompagnato nel futuro da residui di diffidenza, da contraddizioni, da scontri, ma è compito di tutti noi, è ambizione della Conferenza Nazionale dell’Emigrazione, non disperdere ed anzi rafforzare il patrimonio di una così importante riconciliazione. Il raggiungimento di questo obiettivo è facilitato, del resto, dalla parallela presa di coscienza che negli ultimi tempi la società italiana ha compiuto, con uno sforzo lealmente autocritico, di fronte ai problemi della nostra emigrazione. I1 fervore di iniziative che ha accompagnato, in Italia, la preparazione della Conferenza Nazionale dell’Emigrazione è una eloquente conferma di questa affermazione. Dal Parlamento alle Regioni, dal CNEL alle grandi organizzazioni sindacali, dalle associazioni ai partiti, dagli studiosi alla opinione pubblica, è via via emersa la consapevolezza che di fronte alla emigrazione non basta riparare i torti compiuti, ma occorre soprattutto pensare in modo diverso dal passato al nostro tipo di sviluppo, esercitare una più efficace iniziativa nei rapporti bilaterali e multilaterali, rinnovare e potenziare gli strumenti della nostra presenza all’estero e creare organismi nuovi di partecipazione diretta e di contatto con i nostri connazionali sparsi per il mondo.

Anche questo modo nuovo di guardare ai problemi dell’emigrazione, con la volontà di risparmiare alle future generazioni il dramma subito da quelle precedenti, è già un risultato incoraggiante da attribuire al carattere aperto, schiettamente democratico, con il quale si è preparata in Italia la Conferenza Nazionale dell’Emigrazione. La difficile congiuntura che sconvolge l’economia mondiale, per noi assai preoccupante, ha riproposto in modo severo problemi che attendono soluzioni di fondo, che pongono in luce il persistere di squilibri all’interno dei vari Paesi, la preoccupante distanza tra Paesi ricchi di risorse e di capitali e Paesi dotati di manodopera inutilizzata, il ritardo nella realizzazione – sul piano internazionale e nell’ambito stesso della Comunità Europea – di norme e istituti capaci di abbattere discriminazioni palesi ed occulte e di realizzare una effettiva parità sociale, economica e civile. Il forzato ritorno degli emigranti nei loro Paesi di origine, da combattere congiunturalmente con una inversione di tendenza delle politiche economiche recessive, con la ferma difesa degli accordi e dei trattati in vigore, con misure di emergenza e di sostegno predisposto dai governi nazionali, rappresenta un forte richiamo alla necessità di correggere le strutture che determinano il rientro di lavoratori che, in passato, hanno già conosciuto l’amara esperienza dell’emigrazione.
È questa l’ultima dimostrazione di quanto sia errata la teoria della emigrazione come “valvola di sfogo”. Ciascun Paese deve trarre la lezione, ci sembra, che il raggiungimento del pieno impiego, l’utilizzo razionale delle proprie risorse a cominciare da quella insostituibile della manodopera, è essenziale e irrinunciabile anche in un processo di crescente interdipendenza dell’economia mondiale. L’esistenza, in Europa, di 4 milioni di disoccupati dimostra al tempo stesso che non si può pensare di costruire una comunità economica con una libera circolazione a senso unico, senza un deciso riequilibrio settoriale e geografico, e che occorre realizzare una parità complessiva, dalle condizioni di lavoro all’integrazione sociale, dalla scuola alla formazione professionale dal ricongiungimento delle famiglie all’esercizio dei diritti civili e democratici, se si vogliono risolvere i problemi di volta in volta posti dall’Espansione produttiva o dalla recessione economica. Paesi come l’Italia, che non vogliono chiudersi in una antistorica posizione autarchica e non rifiutano una mobilità che sia frutto di libera scelta, devono pertanto predisporre più adeguati strumenti di tutela all’estero per difendere efficacemente i propri connazionali dalle conseguenze di perduranti discriminazioni per loro e per le loro famiglie.

Il riferimento all’insieme di questi problemi, necessariamente schematico, spiega perché il governo italiano – d’intesa con il comitato organizzatore – ha impostato la Conferenza su quattro relazioni fondamentali e su comunicazioni che, nella diversità dei punti di vista, consentano di esaminare liberamente nel dibattito problemi concreti e specifici senza perdere di vista una strategia complessiva. Non è mio compito anticipare quello che, con competenza e larghezza di argomentazione, diranno i vari relatori. Ritengo tuttavia doveroso sottolineare, in chiave politica, il filo conduttore che unisce i vari temi e che dovrebbe animare, in un confronto serrato e costruttivo, il nostro dibattito generale ed il lavoro di approfondimento che verrà compiuto nelle diverse commissioni.

Nello sforzo di esprimere con parole chiare, semplici, l’obiettivo centrale della Conferenza Nazionale dell’Emigrazione, che ci siamo proposti di far emergere sin dalla sua impostazione iniziale, dirò che la nostra ambizione può essere riassunta nel seguente traguardo: “meno emigrazione, più integrazione”. È un traguardo impegnativo, che richiede una politica concreta e non solo dichiarazioni d’intenzione, ma che vale anche per altri Paesi, graditi osservatori di questa Conferenza, che sia pure in forme diverse dall’Italia hanno il problema di usare le proprie risorse umane, oltre che le proprie materie prime, per uno sviluppo economico nazionale.

Meno emigrazione significa, per l’Italia, ripresa vigorosa di una programmazione economica che tenda ad eliminare, soprattutto nel Mezzogiorno, le cause strutturali di una disoccupazione che è fonte di spopolamento e di emigrazione forzata. Sappiamo bene che i progressi realizzati nel dopoguerra, che ci hanno trasformato in un Paese industriale, hanno impedito il ripetersi dei drammatici esodi del primo novecento. Il fenomeno dell’emigrazione, tuttavia, perdura nonostante la nostra impegnata partecipazione alla costruzione di una Comunità Europea il cui compito era e rimane quello di giungere ad un riequilibrio nell’uso delle risorse di ciascun Paese. Per questo meno emigrazione significa oggi, nel nostro Paese, riduzione dei consumi privati a favore dei consumi pubblici, lotta agli sprechi e alle posizioni di rendita per un forte rilancio degli investimenti produttivi, nuovo rapporto tra industria, agricoltura e servizi, impegno di austerità per raggiungere il pieno impiego e per creare nelle zone di emigrazione, con un utile raccordo con le possibilità ora offerte dal Fondo Regionale Europeo, posti aggiuntivi di lavoro per quei connazionali che fossero costretti al rientro o decidessero liberamente di tornare in patria. Per ridurre la forza lavoro che esportiamo e aumentare le nostre possibilità di sviluppo dovrà trovare soluzione il problema delle rimesse che, oltre ad essere garantite a tutela del risparmio dei nostri emigranti, vanno impiegate non solo come mezzo di riequilibrio dei nostri conti con l’estero, ma soprattutto come strumento di una politica economica rivolta ad eliminare le cause dell’espatrio obbligato e a sostenere il reinserimento dei connazionali che rientrano in Italia.

Meno emigrazione è certamente, una prospettiva di medio e lungo periodo. Nel frattempo l’Italia continuerà ad avere – in Europa ed in altri parti del mondo – un consistente numero di lavoratori migranti che, insieme alle loro famiglie, porteranno il loro apprezzato contributo allo sviluppo di altri Paesi. Di qui il dovere di puntare con mezzi adeguati ad una effettiva integrazione. L’esperienza degli ultimi anni dimostra, anche in Europa dove la conquista della normativa sulla libera circolazione ha positivamente eliminato la nozione di lavoratore straniero che la massa della popolazione migrante rimane sostanzialmente emarginata. La parità, raggiunta nelle condizioni retributive e di lavoro, deve essere estesa agli alloggi, al ricongiungimento delle famiglie, ad una scuola aperta che consenta ai figli degli emigranti di inserirsi nell’ordinamento scolastico dei Paesi ospitanti senza perdere la lingua e la cultura di origine, alla tutela della donna che sente maggiormente il peso della propria emarginazione, alla partecipazione piena dei lavoratori migranti alla vita ed alle responsabilità direttive dei sindacati nazionali, all’esercizio dei più elementari diritti civili e politici soprattutto per quanto riguarda le amministrazioni locali.

Per questo meritano il pieno appoggio dell’Italia sia il programma di azione sociale della Comunità, predisposto dal vice-presidente Hilary che ci onora con la sua presenza, e cioè un programma che si muove sia pure con mezzi limitati in questa direzione, sia i progetti di “Statuto dei diritti dei lavoratori emigranti” presentati al Parlamento europeo, che per risultare efficaci devono essere accompagnati da profonde revisioni delle singole legislazioni nazionali. Un Paese europeista come noi riteniamo di dover essere, non può separare gli obiettivi dell’unità politica del continente, dell’elezione a suffragio popolare del Parlamento Europeo, dall’abbattimento degli ostacoli che riducono di fatto i lavoratori migranti privati dall’esercizio dei diritti civili e democratici a cittadini di seconda categoria. Siamo quindi favorevoli, in sede bilaterale e multilaterale, ad ogni passo concreto che consenta sulla base del principio della reciprocità a favorire non il doppio voto, difficilmente configurabile, ma la partecipazione a condizioni da definire del cittadino comunitario alle elezioni amministrative. Sarebbe un anacronismo inaccettabile quello di lasciare ai margini, nel processo sociale e politico di costruzione dell’Europa di domani, milioni di lavoratori migranti di varia nazionalità che recano un contributo insostituibile allo sviluppo economico e produttivo della Comunità.

Il capitolo dei diritti complessivi dei lavoratori migranti si pone, sia pure in forme diverse, anche nei Paesi extra-comunitari e d’oltre oceano, dove i problemi della doppia cittadinanza, della scuola e della cultura del cumulo dei trattamenti di sicurezza sociale, dell’integrazione a pieno titolo in società in cui i nostri connazionali tendono a stabilizzarsi, hanno una rilevante importanza. Particolare attenzione, in questo contesto, deve essere riservata alla precaria situazione dei lavoratori migranti stagionali e frontalieri che, come dimostra il complesso caso dei rapporti con la Svizzera, non possono avvalersi nella difesa dei loro diritti della normativa comunitaria o di adeguate convenzioni bilaterali che incontrano frequentemente rilevanti difficoltà negoziali. Né possono essere dimenticati i problemi di quei connazionali che, soprattutto in Africa, rientrano in Italia come profughi ed hanno diritto ad un dignitoso inserimento oppure se vogliono restare, devono essere aiutati ad inserirsi attivamente negli Stati di nuova indipendenza che escono tra molte difficoltà da lunghi periodi di subordinazione coloniale. Gli strumenti di intervento sono, in questi casi più complessi perché bisogna sia aggiornare e realizzare accordi bilaterali ispirati a principi innovatori ed aperti, che richiedono un non sempre facile incontro di volontà degli Stati contraenti, sia perché occorre aumentare le possibilità di intervento e di mediazione delle organizzazioni internazionali, dal B.I.T. all’O.N.U., che devono intensificare la loro benemerita ma spesso impotente opera in difesa dei lavoratori migranti e dei loro diritti.

È quindi evidente che una “strategia” di tipo nuovo nei confronti di un fenomeno dell’Emigrazione legato, oramai, al processo di interdipendenza dell’Economia mondiale e alla logica inarrestabile della mobilità, richiede una sempre più specifica iniziativa di politica estera. Ma ogni politica che tenda a raggiungere risultati concreti solleva, sul piano interno e internazionale, il problema degli strumenti necessari, dei mezzi da impiegare, delle forze da mobilitare allo scopo di superare le prevedibili difficoltà. È con l’occhio rivolto ai compiti nuovi che l’Italia, Paese che per le esperienze storiche compiute ed in atto può assumere una funzione di leadership nel campo di una moderna e democratica politica dell’Emigrazione, deve affrontare i problemi dell’adeguamento di una insufficiente e mal distribuita rete consolare, di maggiori stanziamenti in favore della scuola all’Estero e di tutte le attività parascolastiche e di assistenza necessarie per il raccordo con la scuola degli altri Paesi, di una revisione della legislazione nazionale e di un aggiornamento di accordi e di trattati, di una cooperazione economica e sociale che non trascuri a livello internazionale il fattore umano.

Anche i più critici hanno riconosciuto che, negli ultimi tempi, si è avviata una inversione di tendenza, di cui la realizzazione della stessa Conferenza Nazionale dell’Emigrazione è un segno eloquente, si è posto mano a provvedimenti significativi come la già ricordata costituzione di un Comitato Interministeriale per l’Emigrazione, il raddoppio degli stanziamenti di bilancio per la tutela dei nostri connazionali, l’impegno a varare al più presto in Parlamento lo stato giuridico del personale docente e non docente impiegato all’Estero ed assicurare – secondo una legge già in vigore – un trattamento economico almeno pari a quello riservato ad analogo personale del Paese ospitante, la spinta sempre maggiore ad una più incisiva politica europea, la predisposizione da parte del Ministero degli Esteri di organici provvedimenti per la revisione delle leggi sulla cittadinanza e sui profughi che, dopo il concerto in atto con gli altri Ministeri competenti, potranno affrontare l’iter parlamentare. Ma per procedere su questa strada, per affrontare i problemi di fondo cui abbiamo accennato, occorre un grande sforzo di solidarietà nazionale e di partecipazione in Italia e all’estero.

Questa Conferenza, ispirata a larghi criteri di partecipazione, potrà dare un grande contributo se prevarranno, come io penso, lo spirito costruttivo e la disponibilità ad una onesta autocritica. La sua importanza non può e non deve tuttavia esaurirsi in queste giornate di confronto. Si tratta, ora, di istituzionalizzare il processo di partecipazione che la Conferenza Nazionale dell’Emigrazione ha fortemente favorito. Per questo il Governo si è impegnato, di fronte al Parlamento, alla discussione delle varie proposte di legge presentate per la costituzione dei Comitati Consolari di designazione democratica ed è disponibile, sulla base delle indicazioni che scaturiranno dal dibattito ad una riforma organica dell’attuale Comitato Consultivo degli italiani all’estero per allargarne la rappresentatività, precisarne i poteri, favorirne il collegamento operativo con il Parlamento, il Governo, le Regioni.

Ciò che conta è stabilizzare nel tempo, rendere sempre più efficace, il collegamento tra la società italiana nel suo insieme ed il mondo della nostra emigrazione. Solo uno sforzo solidale, pur nella diversità delle funzioni, può consentirne una graduale ma decisa soluzione dei problemi sollecitati. Non mancano ostacoli rilevanti da superare. Il Presidente Moro, in un recente discorso alle Camere, ha ricordato con una forte tensione morale che nei momenti difficili Governo e popolo, tramite il Parlamento e le forze sociali e politiche, devono ritrovare nel dialogo una ragione di impegno comune. Questo significativo appello vale, a maggior ragione, per ricondurre a unità quelle due Italie che si sono costruite nel travaglio di difficili periodi storici senza disperdere il legame delle comuni origini, il valore delle proprie tradizioni, la volontà di un impegno all’emancipazione e al progresso. Il senso di una feconda solidarietà ha sempre operato, del resto, nei momenti più decisivi della nostra storia nazionale. Nel Risorgimento, nella Resistenza antifascista, nella conquista e nella difesa della libertà, nella volontà di realizzare ulteriori progressi abbiamo registrato, e registriamo, una spinta positiva a ricercare ciò che unisce nel rispetto di quanto, sul piano ideale e politico, può dividere in una corretta e vitale democrazia.

La Conferenza Nazionale dell’Emigrazione è una occasione preziosa per rinsaldare una solidarietà effettiva con quanti hanno pagato con lacerazioni, isolamento, frustrazioni, una unità politica che deve ancora completarsi sul piano di una effettiva unità sociale ed economica al di qua e al di là delle nostre frontiere. Il campo è vastissimo. Associazioni di emigranti e sindacati, partiti e forze sociali di diversa estrazione, Parlamento e Regioni, Governo e Pubblica Amministrazione, possono e debbono recare nella diversità dei loro compiti un contributo decisivo soprattutto in quella prova dei fatti che incomincerà dopo la Conferenza Nazionale dell’Emigrazione. La fatica che è costata l’organizzazione, politicamente impegnata, di questo nostro incontro, gli inevitabili strascichi polemici, le difficoltà superate – grazie alla collaborazione attiva del Comitato Organizzatore che ho l’obbligo di ringraziare con un vivo sentimento di gratitudine – saranno largamente ripagate se sapremo insieme sviluppare al servizio dei connazionali sparsi nelle varie parti del mondo una nuova e organica politica a nome di tutta intera la società italiana.

estratto dal volume “Gli esclusi. Oltre 5 milioni di emigranti all’estero”
Edizioni Ucei, Roma, 1974

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svgUN’ORA PRIMA DEL VOTO CREDEVAMO D’AVER PERSO

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