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By noviia agency5 Marzo 2024In Luigi

STURZO E IL PARTITO

Rintracciare nel pensiero e nell’azione di Luigi Sturzo la concezione che egli ebbe del partito non significa riproporre meccanicamente, in tempi profondamente diversi, un modello di forza politica. Una simile pretesa dimostrerebbe la assoluta incomprensione della lezione sturziana. Si tratta invece di individuare in tale concezione gli elementi vitali che ne determinarono il successo, il modo con il quale vennero affrontati i problemi del tempo, la impostazione teorica – ancora valida in sede di principio anche se da adeguare sul terreno storico concreto – di una grande forza politica popolare e democratica di ispirazione cristiana.

Non prenderemo perciò in considerazione gli avvenimenti concreti e le lunghe battaglie che portarono alla affermazione del Partito Popolare come forza tra le più significative dello sviluppo nazionale, così come non ci riferiremo alle azioni concrete, alle battaglie che caratterizzarono la breve vita del Partito Popolare, sulle quali ovviamente è possibile anche un giudizio critico severo, di individuazione degli errori commessi, ma ci riferiremo soprattutto a quello che, sul terreno del pensiero, ha rappresentato lo sforzo di preparazione del sorgere, in Italia, di un moderno Partito Popolare di ispirazione cristiana.

Il senatore Gronchi, con la lucidità the caratterizza il suo pensiero, ha fatto un quadro preciso e puntuale di quella situazione, e ha ricordato che la vita politica attiva del Partito Popolare è stata una vita assai breve, che tre anni per un partito, da un punto di vista operativo, sono forse meno che tre giorni. Ma non si capirebbe la vivacità e la forza della battaglia di quei tre anni, e non si capirebbe la successiva intransigenza nel resistere alle tentazioni e alle pressioni autoritarie, se non si risale col pensiero al periodo di maturazione che preparò l’avvento del Partito Popolare Italiano.

Non fu un gesto improvviso di Luigi Sturzo quello che culminò, dal vecchio albergo Santa Chiara, nell’appello ai « liberi e forti », ma fu il punto terminale di una battaglia politica concreta che l’ha seguita.

E’ noto infatti a chi conosce gli atti preparatori della vicenda popolare, che il riferimento agli elementi cardine della concezione del partito, viene fatto risalire al discorso di Caltagirone nel 1905 (1). In quel discorso, con grande lungimiranza, Luigi Sturzo traccia una visione organica, precisa, sintetica, di un modello di forza politica che era innovativa, profondamente rivoluzionaria rispetto alle varie concezioni esistenti nel movimento cattolico italiano dell’epoca. Dal 1905 al 1919 sono trascorsi più anni di quelli che hanno poi impegnato il partito nella battaglia politica concreta, ma sono stati anni essenziali per portare a maggior maturità, e a una maggior consapevolezza anche negli amici che collaboreranno con Sturzo, quella concezione che lo stesso Sturzo aveva già chiaramente delineato fin dal 1905.

Vale quindi la pena di richiamare essenzialmente quali furono, fin d’allora, gli elementi caratteristici essenziali, quelli validi al di là dell’usura storica, del modello di forza politica che Sturzo determinò con la sua azione.

La politica come espressione viva delle tendenze di sviluppo della società

Sappiamo qual’era il clima politico a sociale italiano all’inizio del novecento. Da un lato la classe borghese dominante, forte dei suoi meriti risorgimentali, ma priva di un’autentica spinta liberale, si piega a qualsiasi trasformismo pur di conservare il potere. Trionfa il clientelismo, che rappresenta il peggior sistema di umiliazione politica. Dall’altra vi erano le masse cattoliche, estranee allo Stato per il rifiuto del processo risorgimentale, ma tuttavia profondamente divise tra di loro sin modo per superare tale estraneità. Il vecchio filone dell’intransigentismo – quello per intenderci che alla morte del re usciva sui giornali con titoli: “Il re è morto; il papa è vivo” – continuava la sua battaglia dottrinaria a pratica di rifiuto, di astratta negazione, dei principi della rivoluzione francese, delle conquiste democratiche e costituzionali, dello stato liberale, in una parola, che determinava sul piano pratico l’assenteismo dei cattolici dalla vita pubblica. Tale assenteismo dottrinario e pratico era addirittura rafforzato formalmente dal “non expedit” che vietava ai cattolici la partecipazione al voto. Ma accanto a questa tendenza intransigente di fondo andava emergendo nell’Opera dei Congressi, che raggruppava le varie organizzazioni dei cattolici, quello che Sturzo con sintomatica affermazione definiva un ibridismo costituzionale, cioè un impegno che stava a metà strada fra la difesa in chiave religiosa dei diritti storici e della chiesa e la volontà di far emergere alcuni difetti dell’ordinamento statuale e di agire per modificarli. Movimento dell’Opera dei Congressi, da una parte, che col suo ibridismo costituzionale mescolava il religioso col sociale e col politico; intransigentismo, dall’altra, che faceva della nostra dottrina soltanto una posizione di rifiuto della realtà dello Stato, erano due ostacoli storicamente presenti nei tempi che prepararono l’avvento del Partito Popolare. Come furono superati questi ostacoli? Con quali caratteristiche don Sturzo diede vita al movimento del popolarismo che sfociò poi nella fondazione del Partito Popolare?

Mi limiterò ad alcuni tratti essenziali, il primo dei quali è di grande attualità. Concordo perfettamente con il professor Scoppola a questo proposito, e cioè che Sturzo ebbe vivissimo l’istinto del politico che muoveva dalla realtà storica e sociale più che dai principi in maniera esclusiva. Sturzo era infatti polemico nei confronti, per esempio, del dottrinarismo di un Toniolo che concepiva sì in modo organico, ma astratto, la società a la sua organizzazione, e quindi per quanto monumentale potesse essere la sua costruzione, risultava irrilevante rispetto ad una concreta operazione storico-politica. Sturzo, con grande modernità, concepiva la politica come espressione viva delle tendenze di sviluppo della società, cioè collegava la politica a ciò che cresce, che si muove, che è vitale nella società, e su quello esercitava una funzione di mediazione di principi, che altrimenti – sganciati dal vivo del divenire storico – rimanevano mere astrazioni inutilizzabili.

Non dimentichiamo che la contestazione, che oggi è di moda e come termine e come atteggiamento, esisteva anche allora, ed era profonda. Che cos’era l’insoddisfazione delle plebi meridionali, la protesta delle masse contadine, l’insofferenza per il clientelismo giolittiano, il contrasto fra paese reale e paese legale, se non la dimostrazione di un vivo e diffuso scontento della società civile e insieme l’esigenza di trovare uno sbocco politico per modificare la situazione?

Si è accennato, nel corso di questo convegno, alla sociologia cristiana – tema che porterebbe molto lontano nella sua definizione – ma io credo che vi sia un aspetto della figura di Sturzo che andrebbe ancora profondamente esplorato e dovrebbe essere fatto conoscere meglio al vasto pubblico. E’ l’aspetto dello Sturzo sociologo, che non si ispirava ad una sociologia di derivazione integrista o ideologizzata, che pretende di spiegare tutta la realtà sociale in base ad alcuni principi dati, ma ad una sociologia di derivazione storicista, che tende alla interpretazione dei fatti sociali intesi non come fatti meramente settoriali ma come parti che riguardano l’intera società e la sua dinamica di sviluppo. E fu proprio in quella comprensione viva della società, con i suoi problemi, con le sue contestazioni, con i suoi movimenti, che Sturzo riuscì a dare interpretazione politica o senso politico alle tensioni esistenti.

Non si spiegherebbe la battaglia di Sturzo per le autonomie se non in uno stretto legame con la società; non si spiegherebbe la battaglia per la proporzionale – che non fu una battaglia tecnica, ma di libertà – la battaglia per il suffragio universale e per il voto alle donne, se non si scorgono in queste battaglie le ragioni politiche e gli strumenti concreti per liberare la vita politica italiana dal clientelismo giolittiano e dalla estraneità delle forze sociali rispetto alla conquista del potere politico.

Il primo elemento vitale del popolarismo mi sembra perciò che riguardi la politica intesa non come un’astrazione che discende da una tavola dei principi, e neppure come la pura e semplice organizzazione della protesta e del dissenso, ma come la capacità di mobilitare e di organizzare le forze sociali contro lo sfruttamento clientelistico, per l’affermazione della propria autonomia, per conseguire cioè un concreto sbocco politico che sia coerente con le esigenze espresse nella società.

Una chiara coscienza storica capace di superare l’evoluzionismo determinista e il pragmatismo sociologico.

Il secondo elemento importante che spiega come Sturzo concretamente abbia potuto superare gli ostacoli di tradizione e di mentalità diffusi nel movimento cattolico di allora, che prima abbiamo richiamato, va ricercato nel vivo senso della storia che lo animava. Condivido a questo proposito l’osservazione che Gronchi esprimeva rispetto ad alcuni difetti delle nuove generazioni. E non mi riferisco alla generazione cui io appartengo, che ha riscoperto Sturzo e il popolarismo nelle battaglie dopo la Resistenza, ma mi riferisco alle giovani generazioni di oggi, che rischiano quasi sempre di far partire la loro contestazione, la loro protesta, dal livello zero nel quale non esiste passato, non esiste tradizione, non esistono spiegazioni. Ma il livello zero della contestazione finisce spesso per coinvolgere la stessa contestazione, in quanto la negazione e il rifiuto di tutta l’esperienza passata si traduce al limite in frustrazione, in impotenza, in incapacità a dare uno sbocco politico ai fenomeni sociali contemporanei.

Per Sturzo invece fu proprio la coscienza storica che gli consentì di affrontare con successo taluni problemi del suo tempo. Non respinse acriticamente il passato, ma anzi cercò di individuare nel passato le ragioni e le radici di comportamenti e di tradizioni. Per questo Sturzo, di fronte all’Opera dei Congressi, non si atteggiò ad una posizione di sdegnoso rifiuto, non si limitò a criticarne l’ibridismo costituzionale, ma, pur lavorando per il suo superamento, attraverso una valutazione attenta comprese che nel coacervo dell’ Opera dei Congressi era presente la tradizione della prima Democrazia Cristiana, erano presenti i fermenti delle Leghe Bianche, vi erano cioé forze tendenzialmente assai diverse da quelle che l’Opera dei Congressi intendeva rappresentare nel suo complesso.

Dalla viva comprensione della storia, ricercata a maturata, Sturzo ha saputo ricavare le condizioni per il superamento dell’Opera dei Congressi conservando al tempo stesso, come eredità per il Partito Popolare, quanto di vitale vi era anche in quell’ibrida istituzione. Analogamente Sturzo seppe comprendere le ragioni di crisi dello Stato italiano e indicare le vie per la sua trasformazione attraverso 1’assunzione di responsabilità politiche da parte delle masse popolari cattoliche, proprio attraverso il riconoscimento che l’unità nazionale era un bene, ma che esistevano difetti e limiti nel processo risorgimentale operato nel nostro paese dalla classe liberale.

Ma il senso della storia in Sturzo non fu accettazione acritica dell’evoluzionismo determinista; non fu concezione meccanica del divenire come meta incessante e “sempre in linea retta”, come amava dire, ma fu senso delle alterne vicende, degli alti e dei bassi, delle possibili involuzioni, fu quindi capacità di collegare l’azione delle forze che agiscono nella società al senso vivo della storia da costruire.

Sottolineo questo aspetto di consapevolezza, da un lato, delle insufficienze di fondo della storia politica nazionale, e dalla posizione del movimento dei cattolici, e di individuazione, dall’altro, degli elementi di sviluppo sempre presenti anche nelle esperienze storiche passate, riguardino esse appunto, come è il caso del Partito Popolare, sia la storia nazionale che la storia del movimento dei cattolici, perché è una lezione che tutti noi dovremmo continuamente avere presente. Chi conosce la realtà attuale dei partiti sa molto bene come – ad esempio nella Democrazia Cristiana di oggi – troppo poco ci si sforzi di diffondere presso le nuove generazioni il senso del legame col nostro passato, che non deve certo essere un legame di tipo meccanico perché anzi in tal modo si traviserebbe la lezione viva di Sturzo, ma deve piuttosto essere un legame critico, un collegamento di pensiero, la consapevolezza di appartenere ad uno stesso filone di lotta che pone la forza politica consapevole come forza di costruzione storica.

Una precisa visione dell’autonomia politica di un partito di cattolici: la vocazione nazionale 

Giustamente Scoppola ha già ricordato che la concezione che Sturzo ebbe dell’autonomia per il partito politico dei cattolici non è soltanto aconfessionalismo: anzi l’autonomia è per Sturzo un concetto assai più ampio dello stesso separatismo.

Probabilmente l’idea dell’autonomia dei cattolici in politica è l’idea più fortemente innovativa che Sturzo introduce nel pensiero e soprattutto nell’azione politica concreta dei cattolici, tuttavia anche in questo caso – e forse soprattutto in questo – la preparazione è tenace e metodica. Dice infatti nel discorso di Caltagirone del 1905: «Il partito dei cattolici non è una emanazione chiesastica nel senso clericale della parola, non è né può essere una emanazione monarchica nel senso che vi danno i liberali; la difesa dell’altare è la difesa della religione e la difesa del trono è la difesa del principio di autorità, ma né l’altare né il trono sono coefficienti organici del partito dei cattolici, ragioni costituzionali del1’organismo di una vita libera, costituzionale, popolare ».

Le motivazioni dell’impegno politico dei cattolici erano cioè squisitamente democratiche e popolari, e perciò il partito dei cattolici era concettualmente autonomo in quanto perseguiva fini propri, cioè i fini di cittadini democratici e non semplicemente i fini dei cattolici. Ma certo Sturzo era ben consapevole della esistenza, e anche della drammaticità per alcune coscienze cattoliche, della questione romana, e non intendeva certo negare il problema né essere indifferente alla sua soluzione. Il problema della libertà religiosa è evidentemente troppo grande per un cattolico sincero perché possa essere ignorato, ma Sturzo, che aveva dell’autonomia del partito un’idea complessiva, aveva la forza di collocare in essa anche il problema della libertà religiosa, punto quindi non esclusivo della milizia politica dei cattolici, ma elemento che costituiva uno degli aspetti del tema della libertà in Italia. Affermava infatti: « I cattolici, come nucleo di uomini di un ideale e di una vitalità specifica, debbono proporsi il problema nazionale, che fra gli altri problemi involve in sintesi anche il religioso, ma non come una congregazione religiosa (…), né come partito clericale che difende i diritti storici della Chiesa, ma come una ragione di vita civile ispirata ai principi cristiani della morale pubblica, nella ragione sociologica, nello sviluppo del pensiero fecondatore, nel concreto della vita politica ».

Il senso della vocazione nazionale dava quindi forza ed autonomia al partito dei cattolici, poneva cioé i cattolici democratici sullo stesso piano di legittimità degli altri cittadini, sottraendoli alla subordinazione “papalina” nella quale erano confinati e dal loro assenteismo e dal giudizio che su di essi davano le altre forze politiche. Del resto – è ancora Sturzo che lo afferma – «le nostre forze militanti, nello sfasciarsi del vecchio organismo e nel veder sostanzialmente limitata l’attività delle associazioni cattoliche al movimento religioso, cominciarono a riacquistare la coscienza chiara dell’ibridismo costituzionale dell’organizzazione dell’Opera dei Congressi e la conseguente impossibilità di raggiungere in essa una posizione qualsiasi di partito nazionale».

La sola battaglia per la libertà religiosa avrebbe cioè finito coll’immobilizzare i cattolici fuori delle strutture dello Stato, impedendo il loro apporto concreto anche per gli altri problemi presenti nella società italiana. Sturzo, con una concezione della libertà organica e istituzionale, salvando la quale anche la libertà religiosa sarebbe stata affermata, affermando la quale anche i diritti della religione sarebbero stati salvati, riporta i cattolici nell’alveo della legalità e li mette in grado – a livello di assoluta parità – di collaborare con le altre forze politiche per la soluzione dei comuni problemi nazionali.

Il primato del pensiero e la sua elaborazione dialettica attraverso il libero gioco delle tendenze.

Vi è a questo proposito un passo di Sturzo assai significativo, che credo illustri meglio di qualsiasi nostro commento la convinzione profonda che la formazione del pensiero politico avviene attraverso lo scontro dialettico e la sintesi che ne risulta. « Forse non a tutti sembrerà conveniente che si affrontino questioni credute ancora immature per lo spirito pubblico italiano, o per lo meno sulle quali debba sentirsi una parola di autorità più che una libera discussione almeno da parte dei cattolici (…). Io ritengo, invece, che ogni fatto storico si prepara con la formazione del pensiero come ogni legge viene imposta più dai fatti e dalle convinzioni che dalle ragioni di semplice autorità. (…) E’ quindi preparatoria ad ogni soluzione la discussione dei problemi, quando anche non spetti che solo ad una autorità, qual’essa sia, il giudicare e il decidere. Le soluzioni storiche impongono la discussione che diviene vita; e io sento la necessità di tali discussioni, che non riducono la vita ad un astratto filosofare, ma che applicano le teorie alla vita, e a quella vita che, per un fatto complessivo e naturale di tutti noi, che ne viviamo tanta parte, chiamiamo oggi nazionale ».

A parte l’onestà intellettuale e politica che non può non colpire, è doveroso notare in sede storica che i congressi del Partito Popolare erano in effetti assai vivi e differenziati nelle posizioni politiche, anche nelle concezioni di fondo, assai più di quanto non siano apparsi i successivi congressi del dopoguerra della Democrazia Cristiana. E nonostante ciò il popolarismo non mise mai in discussione la sua unità – non considero certo rottura del popolarismo il fenomeno di taluni transfughi che cedettero di fronte al fascismo – perché nella concezione di Sturzo l’elemento dialettico della contrapposizione del pensiero e della ricerca nella elaborazione della posizione politica comune era elemento consapevole a determinante. Quando al congresso di Bologna, Sturzo diceva che la religione è universalità e la politica divisione, che non si poteva confondere il Partito con la Chiesa, diceva anche che se la politica è diversità, dalla diversità deve nascere la capacità di ricercare con un metodo comune determinate impostazioni politiche.

Sulla base di questa forte tensione ideale, che affondava però le sue radici di sostanza nella realtà del paese, Sturzo si batteva coerentemente contro una posizione, purtroppo assai viva ancora oggi, che concepisce i partiti come delle sedi dove il programmismo trionfa come elencazione astratta, testamentaria, di cose da fare che rimangono velleitarie se manca l’impegno vivo per realizzarle o se restano sganciate dal contesto storico. Diceva spesso “Un programma diventa vivo quando, insieme all’affermazione, c’è il giudizio storico sul modo di realizzarlo; c’è l’elaborazione di un pensiero politico. C’è, cioé, la necessità di trovare un cemento unitario attraverso la ricerca e la dialettica “. Vi è insieme una lezione di realismo politico e di democrazia interna di partito. Sturzo non ha mai polemizzato contro le tendenze, anzi le ha sempre valorizzate se esse rappresentavano, come devono rappresentare, elemento di dialettica e di ricerca nell’elaborazione di un pensiero politico che non è mai definito una volta per tutte.

Solo cosi il partito può diventare scuola di pensiero e di azione. Solo così i discorsi cessano di essere un rituale al quale spesso non si crede, ma diventano elemento vivo di un’esperienza che unisce le cose che si dicono alle cose che si fanno. Solo così, sul terreno della coerenza, si può valutare l’opera dei politici, ed è su questo terreno che noi dobbiamo chiedere oggi, alla classe politica attuale, di misurarsi e di farsi valutare.

La concezione organica e sussidiaria dello Stato e dell’ordinamento internazionale: rapporto tra società e istituzioni politiche

Quest’ultimo aspetto del pensiero sturziano è certamente il meno originale e direi anzi che si colloca nell’alveo tradizionale della filosofia politica cattolica, a partire dal tomismo. Ma certo Sturzo proponendo la creazione di un partito di cattolici autonomo, democratico e popolare non intendeva innovare la filosofia politica dei cattolici, bensì dotarli di uno strumento di azione politica adeguato ai rapporti sociali e alle istituzioni politiche del momento storico in cui vivere. E’ quindi del tutto coerente la sua concezione organica e sussidiaria dello Stato che assume tuttavia, coerentemente con la sua passione di uomo del suo tempo, un rilievo e una concretezza storici assai penetranti. Il pesante classismo dello Stato borghese nato dal Risorgimento, il centralismo soffocatore derivato dall’unificazione regia, i problemi economici e sociali delle masse meridionali sono tutti motivi storici ben precisi che lo portano a battersi per un controllo democratico del potere (suffragio universale e proporzionale), per il potenziamento delle autonomie locali, per la riforma agraria, le cooperative, il credito rurale, cioè per tutti quegli istituti che potevano recepire la spinta creativa e rinnovatrice della società. Tutti i problemi, anche quelli singoli e particolari di categoria, trovavano un terreno unificatore nel tema istituzionale generale: tutto quanto poteva essere risolto da istituzioni che non fossero lo Stato doveva a tali istituzioni essere affidato, e tutto quanto doveva essere affidato allo Stato, doveva essere deciso con il concorso di tutto il popolo. In questo senso la finalizzazione del potere assumeva un contenuto e una forma istituzionale ben precisi.

E’ stata osservata una certa debolezza nella concezione di politica estera del Partito Popolare. Ciò è certamente vero per quanto riguarda i primi scritti di Sturzo, ma soprattutto in esilio, nel periodo londinese, vi è un processo di maturazione su questi temi che non va trascurato. Vi è saldamente affermato che la pace e il diritto devono essere posti a fondamento dell’ordinamento internazionale e che occorre lottare politicamente per superare gli egoismi nazionalistici e instaurare la collaborazione tra i popoli. Sono idee che a qualcuno potranno sembrare generose ma utopistiche: tuttavia le vicende internazionali degli ultimi decenni ci hanno insegnato che, in politica estera, il realismo non è necessariamente una virtù; che, forse, si può uscire dalle tensioni e dai blocchi di potenza solo perseguendo con coraggio e convinzione l’utopia della pace e della collaborazione. Del resto è quanto i popoli e soprattutto le nuove generazioni ormai sentono con chiara consapevolezza, ad Ovest come ad Est: l’orrore della guerra e l’insopportabilità anche della guerra fredda, anche della divisione in blocchi, anche della subordinazione alle superpotenze. Da quanto siamo venuti esponendo deriva una lezione importante per noi che viviamo la vita di un partito di cattolici cinquant’anni dopo la fondazione del Partito Popolare Italiano. Certo non si tratta di ripetere meccanicamente un modello, perché anzi, se volessimo fare ciò, dimostreremmo di non aver compreso l’insegnamento storico di Sturzo, ma si tratta piuttosto di aver presenti i tratti caratteristici essenziali dell’esperienza sturziana e di riproporli in modo coerente alle nostre condizioni storiche. In questo senso ritengo attualmente viva a vitale la concezione del partito come strumento volontaristico, riconducibile ad una costante interpretazione dei fermenti della società e ad una concezione dello sviluppo storico che consente la mobilitazione delle masse popolari e delle “élites” intellettuali per una lotta politica che accetti il metodo costituzionale e della tolleranza ideologica.

Ma vi è un altro insegnamento valido che mi sembra di poter trarre dall’esperienza di Sturzo, e che io propongo in modo particolare alle nuove generazioni, nella critica sincera a certi difetti che mi sembra di individuare nei loro atteggiamenti più diffusi. E questo insegnamento è il senso della lotta per l’affermazione storica dei principi. Una volta individuati concettualmente taluni obiettivi, occorre avere la pazienza, la tenacia e il coraggio di perseguirli. Nel discorso di Caltagirone del 1905 Sturzo aveva già chiara la concezione di quello che sarebbe poi stato il Partito Popolare, eppure la sua nascita avvenne quattordici anni dopo.

Il partito nacque nel 1919 perché Sturzo aveva la consapevolezza che, una volta delineato il traguardo ideale, non avrebbe conseguito risultati concreti e quindi avrebbe implicitamente sottoposto al giudizio di astrattezza e di velleitarietà anche il traguardo proposto, se non avesse iniziato e tenacemente perseguito quella lunga a paziente battaglia che fa delle intuizioni di pochi il cemento per l’adesione di molti. E’ questo l’insegnamento che io credo si debba ricordare oggi alle nuove generazioni, perché troppi giovani, di fronte alla delusione per gli insuccessi, di fronte ai risultati che non si realizzano a breve periodo, rischiano di abbandonare la lotta, di assumere una posizione qualunquista o di frustrazione nei confronti del divenire storico.

Vi è un episodio curioso che si può ricordare a questo proposito. Qualche giorno dopo che Sturzo aveva pronunciato il discorso di Caltagirone del 1905, furono pubblicati gli statuti delle organizzazioni cattoliche di allora, che rappresentavano la smentita ideale e pratica di quanto Sturzo aveva sostenuto. Preoccupato che l’orientamento delle organizzazioni cattoliche in quel momento potesse portare turbamento e sfiducia in quanti cominciavano a comprendere la sua concezione di partito dei cattolici, Sturzo aggiunge al suo discorso un postscritto che è significativamente illuminante. Scrisse infatti: «C’è quindi da lavorare e lottare, contro la sfiducia di coloro che guardano la vita nella cerchia ristretta dei piccoli fatti (…). Ogni formula conservatrice non riuscirà che ad essere un ingombro da togliere, non mai un ostacolo che paralizza la via. L’ideale del partito nazionale dei cattolici resta integro come l’aspirazione più legittima e necessaria alla vitalità dei cattolici militanti; (…) l’influenza di questo ideale non può essere elusa da abbozzi o da tentativi che non riscuotono la fiducia dei più: il cammino, intralciato, non potrà che subire ritardi, ma non sarà arrestato. Del resto nessuno pensa che il progresso sia una ascensione in linea retta; sarebbe l’errore peggiore, che ci porterebbe al suicidio» (pag. 319).

Su questa bellissima pagina di volontà politica si inseriscono le nostre ultime osservazioni. Oggi si parla molto di crisi dei partiti, di distacco dei partiti dalla società civile, di perdita di capacità, prestigio, fantasia, da parte delle forze politiche. Tutto ciò è vero anche se in parte non nuovo e trae a mio avviso origine da un duplice ma connesso ordine di separazioni. La prima è la separazione dalla società: l’autoalimentazione dell’ideologia, del pensiero politico, del “programmismo” al di fuori del contatto vivo della società, l’autoalimentazione della lotta politica e delle controversie di potere all’interno del partito stesso, e non nel confronto con le altre forze politiche. I partiti stanno cioè perdendo quel rapporto non puramente sociologico con la società che li fa appunto essere partiti, cioè soggetti capaci di una spiegazione politica dei fenomeni a di una risposta politica alle esigenze della società. Ma vi è anche un secondo tipo di separazione, che è ancora più grave perché non riguarda l’istituto, ma il livello stesso della coscienza individuale, ed è la separazione o meglio la impermeabilità fra pensiero e azione: si dicono certe cose e poi se ne fanno altre, si fanno promesse e poi non si mantengono, si accettano tutti i discorsi per poi vanificarli.

La lotta politica ha cessato di attribuire primato alle idee, non da più spazio alle tendenze di pensiero quali momenti elaborativi importanti nella ricerca della migliore soluzione, per i problemi del paese. La degenerazione della lotta politica nell’aspro scontro tra gruppi di potere, spesso addirittura tra persone, non può essere tollerata più a lungo, pena il decadimento dei partiti che potrebbe travolgere le stesse istituzioni democratiche. S’impone perciò, al limite come motivo estremo di sopravvivenza, un profondo rinnovamento strutturale e di metodo dei partiti, che li restituisca alla loro funzione di scuole di elaborazione politica e programmatica, che riannodi quel collegamento con la società che li farà essere tramiti consapevoli della riforma delle istituzioni per dare spazio alle autonomie, che ristabilisca fra le diverse parti politiche il dialogo e il confronto nel rispetto delle regole democratiche a costituzionali. Anche nei confronti della attuale contestazione giovanile, che tende in radice a colpire e travolgere lo stesso sistema dei partiti, le forze politiche consapevoli devono guardarsi dai due opposti errori di una pura negazione delle esigenze a condanna dei metodi, sotto cui affiora una tentazione autoritaria, o, all’opposto, di una mediocre strumentalizzazione, con la pretesa di assorbire queste energie nuove per immetterle nel filone tradizionale della opposizione. A nostro avviso non sono queste le vie per dare uno sbocco politico operativo alle esigenze di contenuto e di metodo portate avanti dalle nuove generazioni, esigenze di democrazia vera, di partecipazione, di responsabilizzazione che non possono essere troppo a lungo ignorate. Ma tali esigenze potranno produrre effetti veramente positivi se costituiranno una spinta al rinnovamento delle forze politiche, se verranno impegnate nella lotta per garantire lo sviluppo storico del paese, sanare la frattura fra società civile e istituzioni, consolidare con le forze popolari in funzione di protagoniste attive la democrazia italiana.

La lezione di Sturzo, in questo senso, è ancora valida: richiede non solo commemorazioni o riconoscimenti storici, ma testimonianze di azione e di elaborazione ideale e politica.

Estratto dal volume “Il partito popolare: validità di una esperienza”
Dicembre 1969
Luigi Granelli

(1) I problemi della vita nazionale dei cattolici italiani (Caltagirone, 1905) in: “Saggi sul Partito Popolare Italiano”, Roma 1969.

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