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By noviia agency5 Marzo 2024In Luigi

IL XXXIII CONGRESSO DEL P.S.I.

I PRECEDENTI DEL CONGRESSO

1) Gli equivoci del Congresso di Venezia.

Il Congresso socialista di Napoli ha sanzionato, in modo indiscutibile, la vittoria personale di Nenni e della sua corrente. Per comprendere la portata, le cause e le conseguenze di questa vittoria riteniamo necessario rifarci al precedente Congresso di Venezia, tenuto nel febbraio 1957, di cui riassumiamo per sommi capi le vicende:

  1. Il dibattito si sviluppò intorno alla relazione del segretario politico on. Nenni, la quale, pur essendo stata redatta e letta a « titolo personale », rappresentava, almeno per tacito consenso, il pensiero ufficiale dei quadri del partito.
  2. Unica fu anche la mozione finale sottoposta ai delegati dallo stesso on. Nenni, che venne approvata all’unanimità per alzata di mano.
  3. Tale unanimità apparve puramente formale, quando, alcune ore dopo, si conobbe l’esito delle votazioni per la nomina dei membri del Comitato centrale. In cifre assolute, Nenni fu battuto dal sindacalista Foa che risultò il primo tra gli eletti; la corrente nenniana non solo non raggiunse la maggioranza relativa, ma si trovò in netta minoranza, avendo raccolto solo 27 seggi contro 31 dei morandiani, 14 dei bassiani e 9 della corrente di Ferrini.
    «Dopo aver vinto il Congresso – notava il corrispondente de La Stampa – facendogli approvare all’unanimità il suo “nuovo corso” politico, Nenni ha perso clamorosamente la battaglia per il Comitato centrale: vale a dire la battaglia sugli uomini che dovranno interpretare e realizzare questo nuovo corso. Nel segreto delle urne è avvenuto uno dei più paradossali e sconcertanti capovolgimenti di posizioni che mai si siano verificati in una vicenda congressuale».
  4. Nenni minacciò di dimettersi dalla segreteria del partito; ma i capi delle altre correnti, accortisi della difficoltà di nominare un successore, preferirono lasciargli la segreteria, riservandosi il compito di condizionare la sua azione politica e organizzativa.
  5. All’indomani del Congresso, si iniziarono laboriosi negoziati nei quali ciascun gruppo si sforzò di ottenere per se stesso il massimo dei vantaggi. Le condizioni poste inizialmente da Nenni miravano a ottenere per la sua corrente la maggioranza assoluta nella direzione con l’esclusione dei « carristi », il controllo sugli « uffici » del partito e, quindi, la possibilità di rimuovere ali’Decorrenza i dirigenti dell’apparato;
    Le condizioni di Nenni furono soddisfatte solo in parte: i «carristi ??» vennero esclusi dalla direzione nella quale i nenniani ebbero la maggioranza assoluta ; quanto al controllo degli « uffici » si ebbe soltanto il passaggio della direzione dell’« Avanti ! » da Vecchietti a Nenni. Ma l’organizzazione del partito rimase ai morandiani, cioè a un gruppo di giovani funzionali stipendiati, fra cui spiccavano i nomi di Valori, Gatto, Panzeri e Lami.
  6. L’equivoco maggiore del Congresso di Venezia si manifestò nell’atteggiamento delle varie correnti nei confronti della mozione finale: tutti l’approvarono, ma ciascuna corrente concepiva in modo diverso i problemi politici di fondo in essa accennati.
    Il corrispondente politico dell’« Avanti ! », il giorno dopo la conclusione del Congresso, scriveva a riguardo della mozione finale : «Ciascuno dei temi più impegnativi è espresso in termini inequivocabili: il carattere democratico del socialismo; la collocazione senza riserva del Partito socialista nell’ambito della legalità costituzionale; la chiarificazione dei rapporti con il Partito comunista; il ripudio della politica frontista; la politica dell’unificazione socialista».
    Ma quanto è accaduto nei due anni seguenti ha mostrato che questo giudizio non corrispondeva alla realtà. Anche l’on. Nenni, nella relazione composta per i dibattiti preparatori del Congresso di Napoli, ha ammesso chiaramente, nel novembre scorso, che la difficoltà principale, incontrata dal partito dopo il Congresso di Venezia, è consistita nel « continuo ripensamento delle deliberazioni adottate a Venezia », nella « loro riaffermazione in linea di principio » e anche nel « bisogno -di una loro continua reinterpretazione, soprattutto in riferimento al problema dei rapporti con gli altri partiti e coi comunisti in primo luogo. La proiezione all’esterno della politica di Venezia è stata in tal guisa resa difficile. Se le cose – concludeva Nenni – non erano chiare per noi, a maggior ragione non lo potevano essere per gli altri».
    L’on. Basso, approfondendo le cause dell’equivoco nato a Venezia, ha rilevato come « sotto la denominazione ufficiale di “autonomisti” si trovino compagni che l’autonomia invocano per fare del Partito l’elemento centrale di una politica di alternativa alla D.C. […], ma insieme con cui finisce con il trovarsi inevitabilmente tutta la destra del Partito, quel settore cioè che è rimasto nostalgicamente aggrappato alle prospettive della collaborazione con la D.C. […]. Allo stesso modo non è scomparsa di colpo quell’altra parte di compagni che fino a Venezia avevano difeso la vecchia politica frontista e che, anche dopo Venezia, non hanno tralasciato in più occasioni di dare chiaro segno del proprio rifiuto della politica veneziana, [ … ] e oggi si trova invece sotto la generica etichetta di sinistra insieme con compagni che hanno sempre dichiarato di considerare superato il frontismo».

[NotaIl popolo lombardo, 23 gennaio 1969 p.1. L’intervento di Granelli, mentre da una parte ha certamente contribuito a portare il PSI a un chiarimento dei suoi rapporti con i cattolici e la DC, ha dall’altra, in campo cattolico, provocato non pochi allarmi ed esplicite riprovazioni. In un corsivo apparso nell’edizione del 16 gennaio u.s. (p.1) il Quotidiano dava questo netto giudizio: “Un membro della direzione DC ha rivolto un pubblico invito all’on. Nenni a impostare apertamente al Congresso di Napoli, il problema di una convergenza su una medesima linea organica e programmatica con i cattolici. A questa linea siamo fermamente contrari (…) Argomento principale al riguardo è l’invito della Chiesa a respingere l’apertura a sinistra (…) Ed è certo vero che l’obbedienza che si deve alla Chiesa a da cui nasce l’unità dei cattolici trascende tutte quelle discipline di dubbio fondamento morale e giuridico, che il partito moderno vuole imporre a quelli che nomina suoi gregari”. D’altra parte ci risulta che, proprio in connessione con la presa di posizione di Granelli e le reazioni ad essa suscitate, membri qualificati della DC sono stati sollecitati a non presenziare al Congresso di Napoli. Proprio nel momento in cui il governo Fanfani veniva artificiosamente presentato dalla destra come virtualmente aperto al PSI allo scopo preciso di favorirne la caduta, il passo del rappresentante della “Base” nella direzione DC parve esigere questo atteggiamento prudenziale.

Riguardo al contenuto della lettera, è da dire che la Gerarchia ha spesso manifestato, anche se non direttamente, la sua contrarietà all’apertura a sinistra. Non essendo mai stata tuttavia sviscerata, nelle sue precise varie modalità, la complessa questione, ci sembra senz’altro azzardato accusare, per questo solo, il Granelli di disobbedienza alla Chiesa. E’ vero invece che lo scritto contiene espressioni per lo meno non chiare, come ad esempio l’esortazione ad abbandonare “le crociate ideologiche”: si poteva infatti vedere in questo una sottovalutazione dell’elemento dottrinale di fronte alle esigenze dell’azione politica, anche se in altri passi della lettera erano contenute esplicite dichiarazioni circa la necessità per la DC di restare fedele al suo patrimonio cristiano. Una ulteriore chiarificazione del proprio pensiero a questo riguardo è stata fatta dal Granelli in un articolo su il Popolo lombardo, 23 gennaio 1959, p.1.]

L’on. Nenni, che a Venezia aveva preferito mantenere l’«u-nità formale » del partito a scapito della chiarezza, si è presentato al Congresso di Napoli con una tattica totalmente contraria: ottenere il massimo di chiarezza anche a costo di aggravare le divisioni interne del partito.

2) Impostazione del Congresso di Napoli.

Il 29 ottobre 1958 il Comitato centrale del P. S. I., riunito a Roma, aveva approvato, tra l’altro, la proposta dell’on. Pertini di nominare una commissione che esaminasse la possibilità di stendere, in vista dei prossimi dibattiti precongressuali, una relazione unica, che conciliasse la « chiarezza » con la « massima unità possibile».

Il Comitato centrale era giunto a questa decisione dopo aver preso conoscenza della relazione già preparata, almeno nelle grandi linee, dall’on. Nenni, nella sua qualità di segretario del partito, e dopo aver costatato che essa non aveva raccolto l’unanimità di consensi nell’ambito della direzione, dove, anzi, si erano determinate tre posizioni nettamente distinte, sostenute rispettivamente da Nenni, Vecchietti e Basso. La commissione, però, non ha potuto raggiungere lo scopo desiderato, non essendo stato possibile ottenere l’unanimità riguardo alle indicazioni dei problemi di fronte ai quali il partito si trovava, alla vigilia del 33° Congresso, circa « il contenuto della politica autonoma del Partito nelle presenti circostanze interne e internazionali».

L’on. Nenni, intervenendo nella riunione della commissione nata dalla proposta Pertini, aveva opportunamente ribadito che il procedimento più logico per giungere a un congresso sarebbe stato quello di portare a conoscenza della base quanto era stato fatto nei due anni precedenti e di indicare le difficoltà incontrate dal Comitato centrale, rimettendo al dibattito precongressuale il compito di definire le prospettive e i compiti di domani. Ma non essendo stata accettata questa impostazione, l’on. Nenni ha messo la direzione e il Comitato centrale di fronte a una precisa alternativa: o accettare in blocco la sua relazione, che costituiva l’interpretazione autentica della linea politica espressa a Venezia, oppure ogni corrente presentasse la propria relazione.

Il disaccordo si è rivelato insanabile proprio sul concetto di «autonomia» del partito socialista. Questo fatto deve essere ben tenuto presente se si vorrà cogliere con esattezza la posizione della corrente nenniana a questo riguardo. Neppure va sottovalutato il rischio, che l’on. Nenni con la sua azione si è assunto, di essere fatto apparire ai compagni della base dalla propaganda delle altre correnti come un insidiatore dell’unità del partito.

3) I dibattiti precongressuali.

Nei dibattiti precongressuali, la base del partito si è trovata quindi di fronte a tre relazioni esprimenti altrettante posizioni rigidamente precostituite.
Alcune conseguenze prodotte da questa impostazione congressuale sono state messe in luce, a Napoli, dall’on. Basso con un’asprezza di toni che ha provocato brevi tumulti nell’assemblea. Egli rivolgendosi particolarmente a Nenni, la cui vittoria era ritenuta da tutti fin dall’inizio scontata, ha affermato che dietro alle percentuali dei voti raccolti dalle singole correnti esisteva « un largo strato di vuoto » cioè « l’ateognila ?? del silenzio in cui si è chiusa la grande maggioranza del partito – forse il 70 o il 75 per cento degli iscritti (in molte sezioni addirittura il 90 per cento) non avrebbe «partecipato alle assemblee», né espresso una opinione.
Tale fenomeno, secondo l’on. Basso, rappresenterebbe una «protesta contro le mozioni » e «contro un metodo di preparazione congressuale che è piovuto inaspettato sul capo dei compagni di base, che certamente si è rivelato adatto a favorire te scelte elementari, ma non ceno a favorire quell’ampio sereno approfondito dibattito di cui il partito aveva bisogno che avrebbe giovato alla maturità politica».
I dibattiti precongressuali, svoltisi nelle sezioni, nelle federazioni e sulle colonne dell’« Avanti ! », si sono effettivamente ridotti a una specie di referendum per l’una o l’altra corrente, che la mentalità delle masse socialiste caratterizzava semplicemente come « autonomista » (quella di Nenni) e « frontista » (quella di Vecchietti), senza cogliere le sfumature, le oscurità, »i punti di convergenza e di divergenza che ciascuna di esse possedeva.
Questo fatto metteva in risalto la presenza nel P. S. I. di due esigenze contrapposte, vivamente sentite e tenacemente sostenute: separarsi dal comunismo o restarvi ancora uniti pur distinguendosi; e manifestava pure che i compagni di base erano in cerca di « leaders » capaci di interpretarle esattamente sul piano di politica interna e internazionale.

Ciò posto, non è difficile comprendere l’atteggiamento dei comunisti nei confronti dell’on. Nenni, che impersonava, nella elementare coscienza popolare, l’istanza autonomista.
Nel periodo delle assemblee provinciali del P. S. I., tenutesi in Emilia, le forme di pressione dei comunisti sui compagni socialisti passarono dal « consiglio fraterno » alla « sistematica denigrazione » di Nenni e dei rappresentanti locali della sua corrente e al ricatto economico. Lo stesso segretario della Federazione socialista di Modena, Zurlini, non sospettabile di simpatie nenniane avendo aderito alla mozione di « sinistra », non ha temuto di asserire che la sua Federazione « ha dovuto richiamare l’attenzione di quella comunista su certi fenomeni di pressione personale ». Contro Nenni è stata orchestrata dai « carristi » « e pienamente assunta dalla propaganda comunista » una campagna di « insinuazioni e di accuse ( da quelle di « riformista» e «filogovernativo», alla più brutale di «traditore»). Il fenomeno delle pressioni comuniste non si è limitato all’Emilia. In un neretto apparso sull’Avanti! del 1° novembre 1958 si leggeva: «Il Partito è, per fortuna, corazzato contro le pressioni e le interferenze che cercano di esercitarsi sul prossimo Congresso […]. Il quotidiano comunista si è creato il suo bersaglio che sarebbe la “destra”, e poco importa se questa pretesa destra annovera gli uomini che nelle ore difficili i comunisti hanno visto al loro fianco ».
E pochi giorni dopo, l’ufficio stampa della direzione del P. S. I. ha emesso un comunicato per deplorare attacchi rivolti dall’Unità «o singoli compagni rappresentanti questa o quella opinione dell’Avanti!, con considerazioni tendenziose che il Partito considera offensive e inaccettabili».
Le pressioni comuniste si sono fatte sentire anche a Napoli, durante il Congresso. Nelle tribune riservate agli invitati e agli spettatori, erano presenti molti comunisti, i quali, nel corso degli interventi di rappresentanti qualificati della corrente autonomista, hanno causato vivaci interruzioni degenerate in tafferugli, che per essere sedati, hanno richiesto il pronto intervento del servizio d’ordine.

I TEMI PRINCIPALI DEL CONGRESSO

1) L’unificazione socialista.

L’unificazione socialista aveva formato il tema centrale del Congresso di Venezia e, in questo senso, erano stati espressi chiari propositi. La mozione finale dichiarava : « Nel quadro dei principi fondamentali del socialismo e dell’azione che le circostanze impongono ai socialisti, il XXXII Congresso del P. S. I. prende decisamente l’iniziativa dell’unificazione socialista». Il Congresso di Venezia con queste dichiarazioni intendeva porre il problema dell’unificazione nei termini in cui era stato impostato a Prolognan, cioè su un piano di trattative tra.i due partiti socialisti. Ma quando si trattò di attuare i propositi enunciati a Venezia, sorsero difficoltà insormontabili, per cui la linea di Prolognan è stata definitivamente abbandonata al Congresso di Napoli.
Forse questo è stato uno dei pochi punti su cui tutte le correnti si sono chiaramente trovate d’accordo. Secondo le risoluzioni del Congresso di Napoli, l’unica via per l’unificazione sarà, d’ora in poi, quella del ritorno di singoli iscritti o di intere correnti del P. S. D. I. nell’ambito del P. S. I. Ogni pretesa di incontri a mezza strada, di reciproche concessioni, di confluenza dei due partiti in un nuovo partito socialista risultante dalla fusione di due entità paritetiche, è stata respinta in modo categorico.

« A distanza di due anni, – ha precisato l’on. Nenni nel suo discorso di apertura – il problema dell’unità Socialista conserva la propria validità, seppure in condizioni diverse, non di trattativa da partito a partito […], ma di ritorno o di adesione al Partito da parte di quanti considerano chiuso il periodo delle scissioni nella rinnovata coscienza della iniziativa autonoma socialista, nella condanna del centrismo, nel superamento del frontismo. Non c’è alcun partito nuovo da creare, come abbiamo sentito dire oggi in questa sala».
«Dopo il Congresso socialdemocratico di Milano fu detto in modo chiaro e responsabile che l’unità socialista si fa nel P.S.I. e col P.S.I. per processo spontaneo e senza più nulla concedere a manovre dilatorie».

2) L’alternativa democratica.

L’idea dell’alternativa politica, pur essendo una naturale a-spirazione per un partito di opposizione, fu assunta come esplicito punto programmatico del P.S.I. nella campagna elettorale del 1953. Il contenuto di tale idea subì però delle evoluzioni col passare degli anni.
Nel 1953 l’alternativa socialista, proposta dal P.S.I. come slogan in vista delle elezioni politiche, rappresentava una generica « espressione e sintesi di tutte le lotte […] per il miglioramento del livello di vita delle masse popolari e per lo sviluppo delle forze produttive del paese; lotta in difesa delle pubbliche libertà, [… ] della Costituzione [… ] della pace ». Ma questo concetto di alternativa rivelò subito la sua insufficienza, perché non venivano insieme indicati gli strumenti per tradurlo in atto sul piano politico-parlamentare. Lo hanno riconosciuto gli stessi socialisti, uno dei quali scrisse : « Lo slogan della alternativa socialista si è rivelato […] una pura espressione propagandistica, priva di efficacia, perché priva di un effettivo contenuto».
Si venne cosi delineando la necessità di indicare come e con chi si sarebbe fatta una politica di alternativa, essendo manifesto che il P.S.I. non poteva aspirare, nemmeno entro un lungo periodo di tempo, alla maggioranza assoluta nel Parlamento. Tale esigenza contribuì a far evolvere alcuni punti programmatici (primo fra tutti quello della « via democratica » al socialismo) e a porre il problema dei rapporti tra il P.S.I. e gli altri schieramenti politici italiani, in modo particolare col P.C.I. e con la D.C.
In questa linea di maturazione dell’idea di « alternativa » si deve collocare il discorso suU’« apertura a sinistra », che costituì il motivo predominante del Congresso di Torino del 1955. Parlare di « apertura a sinistra » equivaleva a prospettare la possibilità di una collaborazione con i cattolici e, più determinata-mente, col partito in cui essi confluivano: la Democrazia Cristiana.
Ma i cattolici concordemente ritennero di doversi attenere al principio di rifiutare ogni discorso sulla collaborazione coi socialisti, almeno finché fossero esistiti legami di sostanza fra questi e i comunisti.
Questa reazione dei cattolici contribuì, insieme ad altri fattori di ordine più generale (come, per esempio, l’influsso esercitato dal deciso orientamento democratico degli altri partiti socialisti europei) a far sentire l’esigenza di una revisione dei rapporti tra il PSI e il PCI, ancor prima che tale revisione fosse imposta dagli avvenimenti connessi col XX Congresso del PCUS.
I tre problemi dell’alternativa di potere, dell’autonomia dai comunisti e dei rapporti coi cattolici si rivelano così importanti oggi per il PSI che una diversità di idee, tra le varie correnti, intorno a uno qualsiasi di essi, determina profonde divergenze sulla linea politica di fondo del partito.

3) L’autonomia del P. S. I.

Commentando su questa rivista le conclusioni del Congresso di Venezia, si notava che a proposito dei rapporti tra P. S. I. e P. C. I. vi era stata « una qualche dose di confusione » e « una notevole quantità di formule oscure e ambigue che, dalla posizione veramente positiva, espressa dalla relazione Nenni, andavano « fino a certe espressioni apparentemente positive, ma sostanzialmente negative, perché vuote, di fatto, di ogni contenuto, dell’on. Pertini».

Nelle relazioni e nei numerosi interventi fatti al Congresso napoletano, si ritrovano, sostanzialmente, le stesse ambiguità e divergenze. Tuttavia una chiarificazione è indubbiamente avvenuta, perché si è dimostrata l’esistenza di due concetti di «autonomia » diversi, e, sotto molti aspetti, contrari.

1. Secondo la corrente di Nenni, l’autonomia implica i seguenti punti:

a) ripudio di ogni patto di unione o di consultazione col P.C. I.;
b) aperta ammissione che, sul piano politico interno e internazionale, esistono problemi intorno ai quali il dissenso tra socialisti e comunisti è radicale e non superabile;
e) rifiuto di accettare la partecipazione del P. C. I. alla elaborazione e alla esecuzione della politica di alternativa;
d) collocazione del P. S. I. su una posizione ideologica e programmatica capace di orientare e attrarre tutta la classe lavoratrice, anche quella parte di essa che attualmente aderisce al , P.C.I. o alla D.C.;
e) piena indipendenza del P. S. I. dal partito comunista e dal governo sovietico;
f) permanenza della corrente sindacale socialista nella C. G. I. L., ma con l’impegno di « operare per creare le condizioni necessarie alla unità di azione tra le diverse centrali sindacali e al rilancio della politica di unità sindacale di tutti i lavoratori, per l’attuazione di un sindacato indipendente dal padronato, dai governi, dai partiti e nel conseguente rifiuto di ogni concezione di sindacato di partito»;
g) collaborazione con il P.C.I. nelle amministrazioni locali e nelle cooperative.

2. Secondo la corrente di Vecchietti, il concetto di «autonomia» ha, invece, il seguente significato :

a) esclusione di patti scritti o di una preventiva alleanza con il P. C. I. «alla quale il Partito socialista debba subordinare le sue posizioni politiche»;
b) affermazione del principio che i punti controversi tra P. S. I. e P. C. I. debbano venire democraticamente discussi, in vista di raggiungere un accordo per un’azione comune a tutti i livelli, cioè oltre che nelle amministrazioni, nelle cooperative e nel sindacato, anche, e soprattutto, sul piano politico e parlamentare ;
c) implicita ammissione che tra P.S.I. e P.C.I. (al contrario di quanto sostengono gli « autonomisti ») non esistono insanabili divergenze ideologiche di fondo;
d) rivendicazione della libertà di giudizio verso la Russia. Però tale libertà deve trovare un limite nel « riconoscimento di quello che è e che rappresenta nel mondo l’Unione Sovietica […]. Il dovere di ogni socialista è quello di difendere l’U.R.S.S, dalle aggressioni imperialiste».

3. Da questa analisi delle posizioni della corrente di Nenni e di quella di Vecchietti dovrebbe risultare, senza possibilità di dubbio, che nel P. S. I. esistono due concetti di autonomia profondamente diversi. £ pertanto al quesito che molti si sono posti, alla fine del Congresso di Napoli, se il P. S. I. si fosse o no staccato dal P.C.I. non sembra che si possa dare una risposta univoca.

Infatti, mentre poco più della metà del partito si raccoglie intorno a un orientamento che è di chiara rottura politica col P.C.I. e che manifesta la tendenza ad estendere le differenziazioni anche fuori del campo politico, un’altra corrente, forse più qualificata politicamente, perché non sorretta dalla spinta sentimentale che sa infondere un leader dalle capacità oratorie di Nenni, forte del 40% dei voti, è ancorata sostanzialmente alle posizioni frontiste.
Una valida conferma di questo nostro punto di vista ci pare sia contenuta negli apprezzamenti sui risultati del Congresso socialista, fatti dagli stessi comunisti. ??
ogni campo, di una comune linea di azione, rispecchiante le reali esigenze di tutti i lavoratori. « La vera politica autonoma di classe – ha affermato Vecchietti – parte dal presupposto che i socialisti sono una parte di un tutto, il movimento operaio, e, come parte, il loro compito è di arrecare un contributo originale alla politica generale della classe. I rapporti interni del movimento non possono essere regolati sulla tose di attribuzione di funzioni di guida e di avanguardia ad alcun partito: essi invece partono dal confronto delle iniziative e delle tesi la cui verifica, la sola possibile e legittima., viene fatta dalla classe lavoratrice » (Avanti!, 4 novembre 1958, p. 3). E nella risoluzione finale della corrente di sinistra, viene ribadito che « l’autonomia del P. S. 1. non può ridursi a una ricerca dei motivi di differenziazione e di contrasto con i comunisti, ma è l’affermazione dell’apporto originale e dell’originale funzione del Partito socialista nel movimento di classe» (Avanti/, 20 gennaio 1959, p. 2).
Nell’articolo di fondo dedicato ai risultati del Congresso socialista, « L’Unità » ha notato la profonda frattura creatasi nel P.S.I. riguardo ai rapporti col P. C. I. Mentre si elogiano Vecchietti e Basso per l’efficace battaglia condotta in difesa della unità a tutti i livelli della classe lavoratrice, si afferma che « serie contraddizioni [… ] errori e involuzioni » sono presenti « nella linea espressa dalla maggioranza congressuale e, in particolare, da alcuni suoi settori ». L’articolista ha rilevato che la corrente nenniana ha accentuato gli « elementi di divisione a sinistra » e le « influenze anticomuniste di marca revisionistica ed anche borghese».
Più precise indicazioni del pensiero dei comunisti a questo riguardo le troviamo nel seguente brano tratto da Vie Nuove: «La impostazione della sinistra parte dalla richiesta di una iniziativa autonoma socialista, che però rifugga dall’isolamento e quindi operi nell’alleanza politica con il P. C. I., che, senza essere contenuta in patti scritti, consista nel tracciare una prospettiva di azione politica unitaria, circoscritta al solo terreno economico e non politico, è un assurdo per i marxisti».
«Basso ha fatto notare che ogni profonda lotta economica, sindacale, intacca le strutture dello Stato, e diventa lotta politica, per cui la distinzione tra settore economico e politico, nell’azione con i comunisti, è artificiosa ».
«Nenni [ … ] ha prospettato l’accentuarsi del distacco del P. S. I. dai comunisti, dicendo che ormai le ” forze potenziali sono più importanti dei partiti organizzati “, ha definito l’alleanza politica con il P. C. I. ” accordo di vertice ” mentre il P.S.I. vuole andare direttamente alle masse. [… ] Le divergenze dai comunisti Nenni le ha poste [ … ] nella mancanza di ” una comune prospettiva politica “, e, per essere esatti, nella concezione della società e dello Stato che hanno i comunisti».

4) I rapporti con i cattolici.

Il tema dei rapporti con i cattolici e con la D. C. occupò una parte non trascurabile in tutti gli interventi e va riconosciuto che il dibattito si mantenne su ‘in tono abbastanza moderato e rispettoso. L’argomento acquistò una particolare attualità in seguito alla lettera aperta, inviata a Nenni da Luigi Granelli, noto esponente milanese della Base.
Ritenendo egli, dai risultati precongressuali, già sicura la vittoria della corrente autonomista, metteva in luce il punto più debole di tutta l’impostazione politica di Nenni al 33° Congresso, quella cioè di voler propugnare l’alternativa, collocando il partito socialista in una posizione equidistante tra il comunismo e la D.C.: difatti Nenni da un lato rifiutava il frontismo e dall’altro ripudiava ogni collaborazione con il partito delle masse cattoliche. Pur concedendo che non era affatto il caso di pensare per ora all’eventualità di un appoggio socialista a un governo come quello dell’on. Fanfani, Granelli invitava il leader socialista a studiare il modo di giungere « senza fretta e senza apriorismi » a un incontro su cose concrete con la D.C. e gli altri partiti di centro-sinistra dello schieramento democratico.
«Se si vuole risolvere – egli precisava – siffatto problema in modo statico, precostituito, l’impresa di dar vita a questo nuovo schieramento di forze appare, certo, disperata, ma se la questione viene posta in una prospettiva dinamica, come punto di arrivo auspicabile e ricercato con reciproca buona volontà, allora le cose cambiano. Del resto, se non si mette ordine nei rapporti tra queste forze al più presto, si rischia di operare una disgregazione senza prospettive della situazione italiana».

Sui problemi sollevati dalla lettera di Granelli, il Congresso socialista ha preso una chiara posizione, che si può riassumere nei due punti seguenti:

1. Chiusura verso la D.C. «così com’è ora», considerata nel suo complesso un partito conservatore e borghese, e opposizione al «fanfanismo», che rappresenterebbe «la politica aggressiva dei monopoli».
2. Apertura verso le masse operaie cattoliche, che sarebbero imprigionate in un partito il quale, per il peso predominante di elementi conservatori, bloccherebbe ogni legittima aspirazione della classe lavoratrice. Ai lavoratori cattolici i socialisti affermano peraltro di richiedere non la rinuncia ai principi religiosi, ma la rottura dei rapporti con la D. C., costituendosi in formazione politica autonoma, oppure passando nelle file del P.S.I..

Questa risposta del Congresso di Napoli sul tema dei rapporti coi cattolici è stata giudicata dallo stesso Granelli «certamente negativa ». Egli infatti osservava: «Con la vittoria dell’onorevole Nenni e lo sviluppo di una polemica contro il “frontismo” del P.C.I. che andrà allargandosi sempre più, l’autonomia del P.S.I. è innegabile, ma la chiusura verso la D.C. e verso le altre forze democratiche, la linea generica e astratta dell’alternativa, l’illusione di provocare la frattura del partito di maggioranza o di catturare i cattolici sul terreno delle rivendicazioni economiche, rischiano di rendere non effettivo lo stesso superamento del “frontismo” e di cacciare in una via senza uscita i socialisti» .

Sulla base di quanto abbiamo esposto possiamo tentare di cogliere il significato dell’alternativa democratica enunciata a Napoli. Essa si fonda sul presupposto che sia possibile, a lunga scadenza, mutare i rapporti di forza attualmente esistenti nello schieramento politico italiano, sia facendo esplodere le « contraddizioni » interne della D.C. (in questo esiste fra i socialisti pieno accordo), sia sottraendo, secondo il pensiero della corrente nenniana, le masse comuniste al dominio del P.C.I.

Quanto al modo di realizzare questa alternativa, l’on. Nenni ha dichiarato di accettare il metodo democratico « non per motivi di opportunità politica, ma come esigenza dell’azione socialista sia nello svolgimento della lotta per la conquista del potere che nel suo esercizio».

Strumenti per la sua realizzazione sono: la riforma agraria, la nazionalizzazione delle fonti di energia e dei fondamentali servizi di interesse pubblico, l’iniziativa e l’intervento pubblico nel Mezzogiorno e nelle zone depresse, la direzione pubblica degli investimenti, la lotta contro l’analfabetismo e per l’istruzione professionale, il rinnovamento della scuola, la liberazione dei mezzi di propaganda e di formazione dell’opinione pubblica, il pieno impiego della mano d’opera).
Fine di questa nuova linea politica è la « sostanziale trasformazione della nostra società in modo da portare la classe lavo-ratrice alla direzione politica ed economica del paese».

EFFETTI IMMEDIATI DEL CONGRESSO SOCIALISTA

1. Il giorno seguente alla chiusura del Congresso, si è riunito il Comitato Centrale, eletto alla fine dei lavori, per scegliere la nuova direzione del partito. L’interesse degli ambienti politici era orientato verso l’atteggiamento che avrebbe tenuto il gruppo di maggioranza nei confronti delle minoranze, le quali ripetuta-mente avevano richiesto che tutte le correnti fossero rappresentate nel supremo organo esecutivo del partito.
Ma l’on. Nenni, che nel biennio antecedente aveva provato le difficoltà di una direzione così strutturata, aveva tutto predisposto per ottenere una rivincita netta e totale su coloro che subdolamente l’avevano sconfitto a Venezia, e impose una direzione uniforme.
Secondo alcuni osservatori politici, la vera importanza del Congresso di Napoli consisterebbe proprio in questo trasferimento dì poteri da una corrente tendenzialmente frontista a un’altra che è chiaramente, anche se per ora limitatamente, autonomista.

2. L’esito del Congresso di Napoli ha convinto alcuni esponenti della sinistra socialdemocratica che i tempi fossero maturi per rilanciare il problema dell’unificazione socialista. Essi, nonostante le perentorie accuse rivolte al P. S. D. I. dalla tribuna del Congresso, certi della sincerità delle posizioni autonomiste della corrente vincitrice, si sono staccati dal loro partito per costituire un raggruppamento autonomo, con il nome di «Movimento unitario di iniziativa socialista» (M.U.I.S.).
Allo stato attuale delle cose, è difficile prevedere se l’operazione compiuta dagli scissionisti favorirà il processo di unificazione socialista, oppure se tutto si ridurrà al passaggio di una minoranza del P. S. D. I. nelle file del P. S. I, o alla formazione di un terzo movimento socialista, che mantenga una posizione intermedia tra i due partiti già esistenti.

3. Il socialdemocratico on. Ezio Vigorelli, ministro del Lavoro del governo Fanfani, fu tra quelli che ritennero di essere sostanzialmente d’accordo con la linea politica approvata dalla maggioranza socialista al Congresso di Napoli. Diede, perciò, le dimissioni per partecipare attivamente al movimento unitario di iniziativa socialista.
L’uscita dal governo del ministro Vigorelli contribuì ad aggravare la situazione del ministero Fanfani, già precaria per il perdurare delle difficoltà interne alla D.C., del quale fu chiaro sintomo il ripetersi del fenomeno dei franchi tiratori (45). Il 26 gennaio, l’on. Fanfani rassegnò le dimissioni dell’Intero gabinetto. Questo era appunto uno degli scopi che i socialisti si erano prefissi al Congresso di Napoli.

Da tutto questo, risulta che il Congresso di Napoli ha avuto ripercussioni politiche di notevole importanza. Non è, anzi, improbabile che ci si trovi all’inizio di una ulteriore e più ampia evoluzione della situazione politica italiana, tale da meritare l’attenta considerazione dei cattolici.

A questo proposito ci sembra particolarmente opportuno segnalare la pericolosità che il nuovo corso socialista, nonostante l’imperfetta efficienza del partito di Nenni, può rappresentare per l’elettorato cattolico. L’orientamento antifrontista della maggioranza del P. S. I., la dichiarata volontà di attuare, pur rimanendo nella C.G.I.L., una politica sindacale che tenda a unificare tutti i lavoratori in un sindacato indipendente dai partiti politici, l’attenuazione della polemica anticlericale e l’affermazione del rispetto della fede e dei princìpi religiosi di tutti gli iscritti al partito potrebbero indebolire nelle masse cattoliche (specialmente nelle giovani leve non inquadrate in uno degli organismi cattolici operanti in campo sociale), la coscienza dei pericoli che una adesione al socialismo costituisce per l’integrità della loro fede cristiana e quella dell’obbligo, tutt’ora vigente, dell’unità politica dei cattolici. Ciò tanto più se la D.C., che è il partito entro il quale tale unità concretamente si attua, apparisse strutturalmente incapace di tutelare i loro interessi legittimi, non per insufficienza di principi dottrinali, ma per un insuperabile conflitto di correnti, che si contraddicono al momento di scegliere gli strumenti politici e giuridici per attuarli.
Sotto questo punto di vista, ci pare che i recenti travagli della D.C. abbiano portato qualche contributo al piano socialista.

Angelo Macchi
Aggiornamenti sociali, Marzo 1959

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