L’Italia delle autonomie

Documento n. 5 - Settembre 1995

L'ITALIA DELLE AUTONOMIE

Un gruppo di amministratori locali di partiti del centrosinistra delle regioni Lombardia, Piemonte, Veneto, Emilia -Romagna, coordinati da Vittorio Sora, hanno messo a punto, dopo approfondite discussioni, un documento sui problemi delle autonomie locali, come contributo ad una “Convention Nazionale” da convocare d’intesa con amministratori di analogo orientamento politico del centro e del Mezzogiorno.
Alla stesura del documento hanno partecipato, tra gli altri, il sen. Granelli, il prof. Balboni, il segretario regionale del PPI lombardo Duilio ed il Presidente dell’Amministrazione provinciale di Milano Tamberi. Lo riprendiamo nella serie dei “Documenti” dell’Associazione perché i suoi contenuti sono di grande importanza e del tutto corrispondenti alle finalità “sturziane” di valorizzazione dei governi locali che da tempo sosteniamo.
E’ molto importante che gli amministratori locali “popolari” compiano ogni sforzo, specie all’interno delle coalizioni di centro-sinistra, per dare uno tono nuovo al modo di governare in sede locale. Le indicazioni per affrontare i problemi del territorio, dei servizi, della difesa ambientale anche in un ambito più ampio di quello strettamente locale, in una logica di “federalismo consociativo”, sono perciò da appoggiare.
Così come è di rilievo politico la sollecitazione a impostare su basi di convergenza la stessa opposizione nelle amministrazioni e nelle Regioni di centrodestra, dove prevalgono il centralismo e le interferenze dei poteri forti, soprattutto in quelle realtà territoriali dove i problemi del Po, ad esempio, coinvolgono l’intera Italia settentrionale.
Ed è – infine – da appoggiare al massimo la richiesta di coinvolgere ampiamente i poteri locali nella stesura del programma di governo della coalizione di centrosinistra guidata da Romano Prodi, per quanto attiene la riforma dello Stato, il potenziamento delle autonomie e di un federalismo che non metta in discussione l’unità nazionale, lo sviluppo sostenibile e la tutela ambientale, perché non sarebbe efficaci soluzioni calate dall’alto o elaborate in sedi ristrette.


IMPEGNI PER IL CENTROSINISTRA : un nuovo modo di governare, la riforma dello stato e lo sviluppo sostenibile.

In molte Amministrazioni locali il centro-sinistra ha dato vita a esperienze di governo ispirate al razionale uso delle risorse, ad una visione d’insieme dei problemi del territorio, ad uno sviluppo diverso dalla disordinata crescita del passato e compatibile con la difesa dei valori ambientali. Si va così affermando uno spirito federalista e non secessionista nel modo di governare che si scontra con il centralismo e sollecita il decentramento e la non più rinviabile riforma dello Stato. Queste positive esperienze sono sin da ora un elemento essenziale della politica di cambiamento che il Paese attende. Il diffondersi della cultura autonomistica, della responsabilità, della competenza, della volontà di buon governo nelle nuove Amministrazioni locali, l’impegno concorde di forze popolari e democratiche diverse, sono risorse importanti e decisive sia per superare la nostra crisi istituzionale, socio-economica, e ambientale, sia per elaborare un qualificato programma nazionale di governo.


1. Uscire dalla crisi con il contributo dei poteri locali.

Dopo la ricostruzione post-bellica, in particolare nella stagione della sfida riformista di centrosinistra, l’azione di molti governi locali nelle Regioni più sviluppate ed i loro interventi ad hoc in vaste aree territoriali, come nella Padania, hanno prodotto effetti positivi in diverse realtà : nelle politiche urbanistiche, dei servizi sociali ed alle imprese, specie piccole e medie, con significativi riflessi anche in campo nazionale.
Nello stesso periodo, a fronte di condizioni profondamente diverse soprattutto nella prima fase l’intervento straordinario nel Mezzogiorno, nei limiti di un riformismo calato dall’alto, ha scalzato arretratezze e chiusure secolari. Ma cause storiche risalenti all’unità d’Italia e la continuità del trasformismo hanno alterato gli effetti della modernizzazione nel campo del governo locale e dello sviluppo di una imprenditorialità effettiva ed efficace.
Debole e comunque insufficiente è perciò stato lo sviluppo di meccanismi autopropulsivi e di occasioni di responsabilità diretta delle popolazioni meridionali. Il riacutizzarsi del divario tra nord e sud ha poi coinciso con l’esaurirsi della spinta riformista, con la degenerazione partitocratica, e con il diffondersi delle politiche di scambio, in un processo che ha aggravato la crisi in tutto il Paese.
Non è stato invece intaccato, nel tracollo economico ed istituzionale che ne è derivato, il vizio d’origine dell’ordinamento amministrativo italiano : il centralismo. La ventata di destra, culminata nel governo Berlusconi, ha accentuato l’illusione di poter risolvere i problemi con politiche conservatrici e di vertice, mentre si è resa sempre più evidente e pericolosa la capacità aggrressiva di “lobbies” e di interessi forti, tesi ad influenzare pesantemente le politiche pubbliche.
Le ricadute sono state ovunque negative. La semplice razionalizzazione della spesa pubblica, così come l’eventuale reticolo normativo e regolamentare che fosse apprestato, obiettivi principali dei governi tecnici, non superano il centralismo. In questa situazione risultano certamente condivisibili i richiami alla legalità e alla responsabilità, ma preoccupa che si siano gravemente indebolite le voci in favore dell’equità, dell’uguaglianza delle condizioni di sviluppo di ogni persona, di ciascuna area del Paese. E’ perciò positivo che si sforzino di colmare queste lacune, perchè portatrici di una investitura diretta dei cittadini, molte Amministrazioni locali che, anticipando programmi comuni di centrosinistra, sono portatrici al nord, al centro e nel Mezzogiorno, di una nuova cultura di governo.
I poteri locali rappresentano dunque, con il loro patrimonio di esperienze, una delle principali risorse democratiche del Paese che è necessario mobilitare per rafforzare le radici del consenso e meglio qualificare un programma comune di governo che il centro-sinistra, sotto la guida di Prodi, deve presentare in campo nazionale.
Questo orientamento ha radici lontane. Nel processo di formazione dello Stato unitario, che resta una conquista irreversibile, l’idea di una forte valorizzazione delle autonomie è stata, da Cattaneo a Sturzo, da Giustino Fortunato a Dorso, al centro di grandi battaglie civili e si è nettamente affermata, all’Assemblea Costituente, per l’impegno di democratici autorevoli, da Mortati ad Ambrosini, da Rossi-Doria a Laconi, e di molti altri costituenti.


2. Maggiori autonomie per un nuovo modo di governare.

Il potenziamento, sull’intero territorio nazionale, di un forte sistema di autonomie, nel quadro di una riforma complessiva e sistematica dello Stato, è oggi una delle condizioni essenziali per la ripresa, al centro ed alla periferia, di un nuovo modo di governare. Nuovo perché diverso e migliore, quanto alla capacità di interpretare nel profondo e di rappresentare, con adeguatezza, i bisogni delle popolazioni, i progetti dei cittadini e le speranze delle nuove generazioni. La rivendicazione di maggiori poteri locali implica infatti un corrispondente aumento di responsabilità e toglie alibi ad una ordinaria amministrazione che si copre con le critiche al governo centrale.
Ma la corretta concezione autonomistica del governo locale richiede anche l’articolazione funzionale dei vari livelli di amministrazione, una equa distribuzione dei mezzi finanziari (da raccogliere anche con un potere impositivo diretto) a sostegno di progetti di spesa verificabili, la regolazione degli usi di risorse limitate come l’acqua ed il suolo sulla base di un governo sostenibile del territorio.
La tutela dell’ambiente, il rispetto della natura, per promuovere una sviluppo compatibile che ponga fine alle dissipazioni, sono obiettivi primari della qualità del governare, fonte di occupazione, e non solo aspetti delle politiche ecologiche. Bisogna perciò sottrarre le diverse amministrazioni alla pratica di localismi egoistici e restituire loro capacità progettuali di ampio respiro, occasioni di coordinamento, visioni d’insieme dei problemi da affrontare nei vari ambiti territoriali.
Il buongoverno locale deve sempre più di rapportare le scelte di ogni Comune e Comunità montane, dei Consorzi dei Parchi, di Province e Regioni, di Consorzi di area e di servizi, non alla rigidità dei loro confini amministrativi, ma a precisi riferimenti di ecosistema, innanzitutto di bacino idrografico, ed anche di sottobacino quando si è all’interno di realtà complesse e pluriregionali come, ad esempio, la valle Padana.
Il Piemonte ha dimostrato recentemente che, in caso di alluvioni, non si può tutelare la sicurezza delle popolazioni se manca una rete coordinata di allertamento preventivo tra le località successive esposte all’ondata di piena. E’ assolutamente necessario individuare a scala di bacino i rischi accettabili per assumere poi, per le politiche degli insediamenti, regole e vincoli comuni che spostino le risorse da faraonici interventi tardivi all’azione ordinaria di prevenzione e di manutenzione.


3. La sfida dello sviluppo sostenibile della Padania.

Un esempio importante di riqualificazione del buongoverno locale è da individuare, nel rispetto della varietà delle amministrazioni interessate, nella necessità di sforzi congiunti per realizzare un assetto ottimale dell’area del Po che condiziona, di fatto, gli equilibri territoriali di più regioni.
Sarà impossibile riappropriarsi della ricchezza straordinaria di questo fiume e dei suoi affluenti – a partire dalla tutela e valorizzazione sostenibile delle fasce fluviali dalla montagna al mare, che sono il sistema nervoso del bacino – se i governi locali e regionali non assumeranno l’intera area come riferimento di ogni azione di amministrazione del territorio invece di considerare Po e affluenti come corpi estranei da temere o saccheggiare.
Un territorio complesso e ricco come la valle Padana non è governabile se non si controlla il suo peso antropico al fine di elaborare in modo analitico un bilancio-programma sostenibile per le acque ed il suolo, il carico delle popolazioni, degli degli insediamenti civili ed industriali, degli allevamenti, delle infrastrutture e dei servizi.
E’ quindi compito precipuo degli amministratori locali predisporre, in una logica di buongoverno, i progetti generali e particolari, definire modalità e senso dei loro interventi. Questa scelta, che non può non influenzare anche l’azione del governo centrale, necessita :

  1. di riferimenti comuni dell’ecosistema padano e specifici strumenti di governo : a partire dall’Autorità di bacino del Po, l’organismo cooperativo tra le regioni interessate che ha il compito di definire gli indirizzi e i vincoli per la tutela e la regolazione degli usi compatibili dell’acqua e del suolo;
  2. di strumenti normativi, sul piano amministrativo (regolamenti, determinazioni, decisioni) che rendano possibile l’effettivo coordinamento tra i diversi livelli di governo implicati in una logica di eco-sistema. A questo fine andranno incrementati mezzi quali la direttiva, la Conferenza dei Servizi (legge 241 / 199O) o le intese tra le Regioni, ovvero degli enti locali tra loro con le Regioni (legge 142 /199O), l’azione coordinata dei governi delle aree protette (legge 341 / 1991). E, inoltre, vanno realizzati concreti meccanismi di solidarietà : non si può garantire la sicurezza delle aree esodabili di Alessandria con criteri differenziati da quelli applicati a Cremona, Rovigo, o nei Comuni rivieraschi più piccoli, come è chiaro che la qualità delle acque dell’Adriatico dipende dagli assetti produttivi di Torino e Milano, dall’organizzazione degli scarichi e dallo stato degli allevamenti emiliani e della bassa lombarda;
  3. di modalità diffuse nell’esercizio di una fiscalità autonoma e orientata in termini ambientali : a regolare l’uso compatibile di risorse come l’acqua ed il suolo; a finanziare parte crescente delle azioni ordinarie di piano e di tutela, dell’ecosistema di bacino mediante una disciplina efficace delle concessioni per usi civili, irrigui, energetici, industriali e turistici e con tariffe adeguate a copertura dei costi di produzione e di investimento dei servizi di acquedotto, di fognatura e depurazione.

4. Mezzogiorno occasione di una nuova unità nazionale.

Il rafforzamento delle autonomie consente inoltre di aprire una fase nuova anche nel Mezzogiorno. I punti di riferimento dell’amministrare si spostano, sempre più, dall’interno di ciascuna comunità ad aree territoriali più vaste che ricomprendono, con la città, altri comuni per una maggiore interazione, a scale diverse, nell’ affrontare i problemi delle comunicazioni, della mobilità e degli insediamenti e meglio ridistribuire pesi e funzioni.
Dopo la fine dell’intervento straordinario una nuova classe di dirigenti si affaccia nel Mezzogiorno ed emerge una cultura della responsabilità che lascia alle spalle le logiche della rivendicazione assistenziale e dello statalismo tradizionale proprio della destra meridionale. Un utile strumento a questo riguardo è la legge num. 44 che ha promosso una lega generazionale nuova nell’imprenditoria meridionale. Questo processo deve essere aiutato ad affermarsi, sulla base di una crescente autonomia, anche attraverso una più intensa collaborazione con le aree più sviluppate del centro-nord oltre che a livello nazionale ed europeo.
Si tratta di una grande occasione. Con il potenziamento delle autonomie locali, che può raccogliere le migliori aspirazioni del federalismo, a scala nazionale e comunitaria secondo la lezione di Altiero Spinelli e dei migliori europeisti, si intravedono le basi culturali e politiche di una rinnovata unità nazionale, rafforzata dalla solidarietà popolare, contro inaccettabili tentazioni separatiste. Questa novità diminuisce la diversità dei punti di partenza tra le varie aree del Paese, a livello della società civile, ed interrompe la prassi di un centralismo sempre meno idoneo, al nord, come al centro e al sud, a favorire una reale modernizzazione civile della società italiana.
Anche le migliori esperienze di autogoverno nel Mezzogiorno, orientate a sostenere soprattutto lo sviluppo locale, integrato con l’intervento di intelligenze e capitali esterni rispettosi delle potenzialità innovative e imprenditoriali indigene, hanno assunto il recupero, la difesa e valorizzazione dell’ambiente, dei beni culturali, delle risorse esistenti, come elemento comune discriminante per promuovere, con nuove opportunità di lavoro e di impresa, una crescita al sud ispirata all’autonomia.
Si delinea così la possibilità di un nuovo dialogo, di un confronto tra le rispettive esperienze, nella ricerca di utili collaborazioni tra amministratori del nord, del centro e del sud, proprio a partire da un rilancio delle autonomie locali che corrisponde a fondate esigenze di tutte le regioni italiane. Lo sforzo congiunto dei poteri locali non solo può dare risultati positivi , ma rafforza significativamente, nella valorizzazione delle diversità, una unità della Repubblica essenziale alla nostra stessa presenza europea.


5. Alla base della riforma dello Stato l’Italia delle autonomie.

Il centralismo – e il burocratismo che ne è conseguenza ed effetto – hanno mortificato, in contrasto con i principi costituzionali, le autonomie locali persino nel momento dell’attuazione delle Regioni. A causa di una visione ristretta e deviata dei loro poteri, che ha riprodotto verso gli enti locali il centralismo dello Stato, si è indebolita e alterata la funzione costituzionale delle Regioni come soggetto responsabile e primario di programmazione, di coordinamento delle autonomie locali, che è anche fondamento di un federalismo cooperativo capace di riunificare il Paese. Questo è il principale ostacolo da rimuovere per realizzare una riforma dello Stato in sintonia con il cambiamento della società e le esigenze del buon governo.
La Repubblica, una e indivisibile – afferma l’art. 5 della Costituzione – riconosce e promuove le autonomie locali, attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo, adegua i principi ed i metodi della legislazione alle esigenze del decentramento. L’indicazione è tanto chiara quanto inapplicata.
Al momento dell’istituzione delle Regioni è infatti mancata la volontà di farne il punto di partenza di un’ampia riforma dello Stato, di un trasferimento di poteri e non solo di compiti e funzioni dal centro alla periferia, di una modifica della struttura del governo centrale accompagnata da un vasto decentramento e da un reale, efficiente, responsabile, funzionamento ordinario dellaPubblica Amministrazione.
Anche riforme positive, come la legge 8 giugno 1990, num. 142 e – per quanto riguarda la trasparenza e dei rapporti con i cittadini – la legge 7 agosto 1990 num. 241, hanno avuto parziale applicazione proprio a causa del permanere di bardature burocratiche, del sovrapporsi di ipercontrolli che deresponsabilizzano gli amministratori, cui si è spesso aggiunta la prassi di un centralismo regionale a danno del libero affermarsi delle autonomie locali.
Lo stesso dibattito sulle riforme istituzionali appare evasivo in rapporto all’attuazione in tutta la sua potenzialità dell’art. 5 della Costituzione. La tendenza è pericolosa perché la concezione presidenzialista dello Stato, come il riordinamento dei poteri di governo in termini di pura efficienza, contengono i rischi di una accentuazione del centralismo e di una riduzione delle autonomie a semplice ricollocazione territoriale di funzioni la cui gestione resterebbe, di fatto, centralmente intatta.
L’autonomia, al contrario, è autogoverno locale, responsabilizzazione nella raccolta delle risorse e nel loro uso, partecipazione dei cittadini all’esercizio dei loro diritti e alla consapevolezza dei loro doveri, in un rapporto di solidarietà e di collaborazione con gli organi centrali dello Stato. Per questo l’Italia delle autonomie deve esse anche oggi, come al tempo dell’Assemblea Costituente, la base di una riforma complessiva, sistematica, e democratica della Repubblica.
Va perciò affrontato prioritariamente il problema della riformulazione del sistema costituzionale delle autonomie territoriali (Regioni, Province, Comuni), nel solco delle ormai diffuse idee di “federalismo possibile”. Non solo deve essere rivisto il riparto delle funzioni tra Stato centrale e Regioni, con l’affermazione della competenza generale delle Regioni e l’elencazione espressa solo delle materie riservate allo Stato, ma in coerenza con questa scelta occorre:

  1. la definizione di regole e garanzie che impediscano lo svuotamento dall’interno delle autonomie ad opera della legislazione ordinaria di settore;
  2. la costituzione delle premesse necessarie perché nascano amministrazioni regionali e locali forti e capaci di sorreggere adeguatamente le istanze di autogoverno territoriale, attraverso il superamento del tradizionale “doppio binario” fra amministrazione statale e amministrazione periferica;
  3. l’affermazione del principio per cui i rapporti con le istituzioni e l’ordinamento dell’Unione Europea, negli ambiti di competenza regionale, devono coinvolgere la diretta presenza delle Regioni;
  4. la modifica della struttura del Parlamento per dare in esso una diretta significativa espressione delle istituzioni regionali (Camera delle Regioni), nel quadro di una riforma del sistema bicamerale.

Al medesimo orientamento deve poi ispirarsi la legislazione ordinaria, eliminando la contraddizione tra enunciazione di propositi federalisti e prassi legislativa e amministrativa ispirata a criteri centralisti, per realizzare vere e solide autonomie finanziarie dei vari enti territoriali, eliminare bardature, controlli sovrapposti, e vincoli legislativi impropri, allo scopo di favorire una maggiore integrazione tra Regioni ed Enti locali nel quadro di una generale sburocratizzazione della Pubblica Amministrazione. I ministeri, gli enti istituzionali e funzionali, e simili, hanno senso solo se si dimostrano capaci di svolgere dei “compiti pubblici” (istruzione, sanità, previdenza ed assistenza, ordine pubblico e giustizia, trasporti) in modi efficaci e controllabili. Per tutte le funzioni che possono invece essere svolte localmente, ad un livello più vicino ai cittadini, queste devono rientrare, secondo il principio innovativo della “sussidiarietà”, nelle responsabilità delle autonomie locali.
La riforma della Pubblica Amministrazione va accompagnata da mutamenti radicali nella impostazione dei programmi di governo e nell’uso delle risorse. Il recente sblocco della spesa pubblica verso il Mezzogiorno, dopo una lunga inerzia, cala ancora una volta dall’alto investimenti a pioggia per progetti rimasti nei cassetti dei ministeri, senza volontà di programmazione e di coinvolgimento reale delle Amministrazioni locali : un esempio macroscopico di governo tradizionale e di uso improprio delle risorse. Questo modo di procedere ci allontana sempre più dall’Europa. Lo dimostra la impostazione del piano Delors che, sulla base delle risorse disponibili, propone al contrario un programma praticabile di grandi infrastrutture continentali e chiede agli Stati membri di partecipare, con mezzi e obiettivi propri, ad una sviluppo generale della comunità europea. E’ la dimostrazione che un forte sviluppo delle autonomie, un nuovo modo di governare al centro ed alla periferia, una riforma istitituzionale che decentri in modo federalista il potere, senza incrinare l’unità del Paese, la modernizzazione della Pubblica Amministrazione rappresentano anche i soli mezzi che l’Italia ha di partecipare tutta intera alla costruzione europea.

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La piattaforma programmatica e politica proposta per un forte rilancio dell’ autonomie, da far valere nell’azione sul territorio e nell’impostazione di una generale trasformazione delle istituzioni, è stata definita con molteplici finalità.
La prima è di offrire agli amministratori di centro-sinistra indicazioni utili per la concreta azione dei governi locali e per una iniziativa autonoma di proposta e di cooperazione, su obiettivi condivisi, nelle Regioni e nelle Amministrazioni a maggioranza di centrodestra.
La seconda è di indicare, per il governo nazionale, contenuti programmatici finalizzati alla riforma complessiva dello Stato in una logica federale, unitaria ed europea, di sviluppo sostenibile.
La terza è di creare le condizioni per un patto operativo tra amministratori del nord, del centro, e del Mezzogiorno, da lanciare – a seguito di iniziative con le stesse finalità e dopo opportune intese a scala nazionale – in una “Convention nazionale” dei poteri locali a sostegno della impegnativa battaglia che attende lo schieramento di centro-sinistra per aprire una nuova fase di vita repubblicana.

Il documento è stato redatto da un gruppo coordinato da Luigi Granelli, presidente dell’Associazione Popolari Intransigenti, e può essere riprodotto.