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Quando si è pensato di dar vita ad uno strumento nuovo come segno di discontinuità rispetto al passato e per reagire, pur senza rinnegare gli aspetti positivi dell’esperienza compiuta, alla grave crisi di sbandamento e al disimpegno di molti cattolici democratici, la scelta dell’associazione era quasi obbligata. La ripresa sul terreno culturale, civile ed anche politico dei valori cristiani e democratici, dentro e fuori l’organizzazione di partito, non poteva essere affidata, in un momento di travaglio e di trasformazione, a sporadiche iniziative, correnti tradizionali, gruppi di pressione, o a pure e semplici campagne d’opinione.
L’associazione senza scopo di lucro, autofinanziata, retta da regole democratiche e trasparenti, si è profilata come il mezzo adeguato, previsto dalle leggi, per favorire con un minimo di base giuridica l’unione di più persone per perseguire scopi comuni. In un momento di profonda incertezza, che coinvolge forme vecchie e nuove di organizzazione, la nascita di molte associazioni, anche se in qualche caso strumentali o di comodo, è una reazione salutare in una società sempre più omologata e conformista. .
L’Associazione Popolari Intransigenti è, anzitutto, frutto di una chiara presa di coscienza perché non si può essere neutrali quando la democrazia è investita da una inquietante crisi. I tentativi di controllare dall’alto il formarsi delle opinioni e delle classi dirigenti, con una crescente cooptazione oltre che con l’uso spregiudicato dei mass media, vanno ostacolati con il dispiegarsi dal basso, specie tra i giovani, di un processo di elaborazione e di diffusione delle idee, di formazione e di presenza, che è essenziale allo stesso rinnovamento etico della politica.
E’ noto che i cittadini, in base alla Costituzione repubblicana, sono chiamati a determinare la politica nazionale, ma l’esercizio di questo diritto è reso più consapevole da una preparazione che può trovare nell’associazionismo, nel diffondersi dello spirito critico, del dialogo, un antidoto positivo all’ involuzione autoritaria insita nella tendenza a trasformare gli elettori in soggetti passivi, manipolabili, di una democrazia plebiscitaria. La partecipazione popolare alla vita pubblica è una conquista irrinunciabile della lotta contro la dittatura fascista, sancita costituzionalmente, e va difesa con ogni mezzo dalle velleità di restaurazione sempre più evidenti nella cosiddetta seconda repubblica.
Per questo l’Associazione Popolari Intransigenti, in una operante solidarietà tra diverse generazioni di cattolici, si pone soprattutto al servizio dei giovani disposti ad impegnarsi per “rendere attuali – come afferma esplicitamente il preambolo dello Statuto – i valori cristiani e democratici in un dialogo costante e costruttivo con quanti si propongono, anche con idee diverse, di rinnovare la società, affermare la giustizia, consolidare le istituzioni nate in Italia con la Costituzione del 1947.” La collocazione democratica e costituzionale dell’Associazione e la sua convinta apertura al dialogo, specie con le tendenze riformatrici della sinistra italiana, non lasciano dubbi ma ancora più esplicite sono le motivazioni della scelta per quanto attiene al proprio riferimento ideale alla storia del movimento cattolico.
Il richiamo al “popolarismo” è altamente qualificante. La concezione laica della politica, cristianamente ispirata, che Sturzo ha posto alla base di una presenza di massa e socialmente articolata nella vita pubblica per concorrere a riformare in senso sociale e democratico lo Stato centralista uscito dal Risorgimento, è ancora valida. Essa va riproposta affrontando, senza complessi di inferiorità, i problemi del nostro tempo. Il rifiuto dell’integrismo clericale, dannoso per la stessa vita religiosa, ed il superamento di una visione puramente sociale, pauperistica, della crisi nazionale hanno consentito e consentono ai cattolici di assumere, senza subordinazioni, una personalità propria per contribuire da protagonisti alla storia del Paese.
La prima DC, agli albori del secolo, il partito di Sturzo e quello di De Gasperi poi, lo hanno dimostrano al di là di errori e di degenerazioni che vanno drasticamente superate. Il significato di quella esperienza non va disperso. La memoria storica, anziché alimentare improduttive nostalgie, deve aiutare i cattolici che accettano la democrazia e a svolgere il proprio ruolo nella società, oltre che nel:le istituzioni, per affrontare con creatività il presente e preparare il futuro con il determinante impegno dei giovani.
Non si esce dal disastro politico degli ultimi anni, dovuto ad una perdita di idealità e di condotta morale nella gestione del potere, commettendo l’errore di cancellare insieme alle colpe le conquiste di una storia secolare o cercando di restare sulla scena con la svendita delle proprie ragioni d’essere al migliore offerente. Il difficile cammino della ripresa va orientato verso la riscoperta culturale, civile, ed anche politica, del “popolarismo” da parte di nuove generazioni di cattolici capaci di essere, autonomamente, all’altezza delle loro responsabilità di credenti e di cittadini nell’operare sul terreno della democrazia costituzionale.
Un lavoro così impegnativo non si identifica, meccanicamente, con la presenza, dopo la DC, di un partito popolare ad ispirazione cristiana che deve essere aiutato a uscire dall’incertezza, per ritrovare una qualificazione ideale e politica credibile, ma potrebbe anche sbandare e dissolversi. Né può essere confuso con l’azione, di per sè meritevole, di gruppi o tendenze animate da finalità apprezzabili in un ristretto ambito di partito. Per questo l’autonomia dell’Associazione Popolari Intransigenti in quanto tale, che non preclude le libere scelte di ciascun associato, è una condizione essenziale per influenzare positivamente, con un più ampio orizzonte, il corso degli eventi e per non compromettere, se necessario, future e più esplicite iniziative.
La sfida maggiore, anche per l’Associazione, riguarda le risposte da dare in coerenza con la propria ispirazione ideale ai problemi reali della società italiana. Non si possono avanzare programmi, soluzioni, se manca un’analisi di fondo culturale e scientifica. Vasta è l’ipotesi di lavoro. Una crisi economica strutturale spinge sempre più ai margini, in condizioni di disagio e di protesta, disoccupati, giovani in cerca di lavoro, mano d’opera immigrata, e mentre aumentano le sacche di povertà si sceglie di smantellare, anziché di riordinare, lo Stato sociale frutto di lunghe lotte e di non facile conquiste.
L’ allargamento della base produttiva che richiede, con il rilancio degli investimenti, promozione di imprenditorialità, incentivi alla produzione, incremento della ricerca, agevolazioni del credito, è ostacolato dal permanere di rendite, parassitismi, ingiustizie fiscali, burocratizzazione degli apparati pubblici, che alimentano un paralizzante debito pubblico non risanabile con il rigore a senso unico. Si allargano gli squilibri tra le diverse aree del Paese e la spinta all’egoismo, al consumo come simbolo di vita, indeboliscono quei legami di solidarietà, di messa in comune delle risorse, di ripartizione equa dei sacrifici, che sono essenziali per avviare una nuova e durevole fase di sviluppo economico ed evitare l’emarginazione nel contesto europeo.
La crisi non è minore sul piano internazionale. Cronici e sanguinosi conflitti locali, scandalosi commerci di armi, esplosione di rivalità etniche e di barbari razzismi, difficoltà nella collaborazione tra Paesi ricchi e Paesi poveri, perdita di autorevolezza dell’ONU, fanno da sfondo ad un preoccupante ritorno della politica di potenza e ad una riduzione agli aspetti puramente mercantili della stessa unità europea. La concezione sturziana, “popolare” , di una politica estera fondata sul diritto, sulla giustizia, sulla cooperazione, sul disarmo e la pace, sul potenziamento degli organi internazionali (che dal dopoguerra in poi ha ispirato le nostre relazioni con gli altri Stati) torna di grande attualità proprio mentre l’Italia, con la svolta a destra, sembra ripiegare su aspirazioni nazionaliste venate di provincialismo, influenzate come al tempo del fascismo da ragioni interne, con gravi rischi per il nostro futuro.
Le inquietudini crescono sul fronte delle libertà sostanziali. Gli attacchi alla Costituzione del 1947, specie nella sua prima parte, riflettono la volontà di risolvere i problemi della stabilità e dell’efficienza delle istituzioni a scapito dei diritti democratici, del decentramento, delle autonomie, della distinzione dei poteri, del ruolo del Parlamento, con un ritorno ad un autoritarismo che insidia le nostre libertà a cominciare da quella, fondamentale, che riguarda la stampa ed i mass media. La stessa lotta politica, ridotta a scontri frontali tra blocchi eterogenei, accentua la verticalizzazione del potere contro una più articolata partecipazione dei cittadini. Solo la ripresa tra governati e governanti del senso dello Stato, del dovere, della responsabilità, può arrestare questa pericolosa involuzione.
E’ in questo quadro generale che l’Associazione Popolari Intransigenti svilupperà, in base alle finalità sancite dallo Statuto, le sue iniziative per approfondire i problemi sociali, economici, istituzionali, nei loro aspetti interni ed internazionali, elaborare proposte coerenti con le proprie idealità, difendere insieme a tutti i democratici – nella vigilanza e nell’azione – i valori costituzionali posti a fondamento della Repubblica nata della Resistenza. Dalla stessa logica traggono motivazione le chiare scelte di chiusura a destra, contro il conservatorismo ed i suoi surrogati, di dialogo a sinistra con le tendenze riformatrici, di ricerca di utili convergenze tra le forze popolari, nel rispetto delle reciproche identità, per la difesa e lo sviluppo della democrazia.
L’Associazione si svilupperà nel solco fecondo di un “popolarismo” che è segno di distinzione per i cattolici democratici. Ma perché si è voluto aggiungere a questa qualificazione la sottolineatura dell’intransigenza ? La ragione è della massima importanza. L’intransigente, nell’opinione comune, evoca posizioni rigide, chiuse in se stesse, inclini ad un estremismo che condanna all’isolamento. L’interpretazione è forzata e va ricordato che i Popolari Intransigenti rifiutano per una scelta a priori ogni atteggiamento massimalista. Ma l’osservazione richiede tuttavia qualche spiegazione. Il richiamo alla intransigenza come fermezza delle posizioni, difesa dei valori, tutela della propria identità, non è fuori luogo in un momento in cui il lassismo, la distinzione opportunistica tra il pensare e l’agire, il trasformismo, la ricerca del compromesso anche a costo di accantonare tutto ciò che lo impedisce, dominano il campo e corrompono le coscienze.
Non serve avere delle idee se poi, nei comportamenti pratici, non si è coerenti con esse. L’intransigenza non è un “optional” se si tende ad un risveglio morale, di costume, oltre che culturale e politico. Il termine stesso non ammette deformazioni. Il dizionario della lingua italiana precisa che l’intransigente è “colui che non transige, si mantiene irremovibile nelle proprie idee, non tollera deviazioni da un programma fissato o da una linea di condotta determinata” e aggiunge, con una preziosa distinzione, che “l’intransigenza si distingue dall’intolleranza, che riguarda più propriamente la dottrina, perché si riferisce a fatti dell’ordine pratico di comportamento”.
Ma al di là delle dispute linguistiche “l’intransigentismo” è soprattutto un preciso punto di riferimento nella storia del movimento politico cattolico. Esso non può essere confuso con le varie forme dell’integralismo di tipo teocratico. Al tempo dell’unità gli intransigenti assunsero, in Italia, una ferma difesa degli “imprescrittibili” diritti della Chiesa, ma svilupparono anche una opposizione senza smagliature alla versione nazionale di un liberalismo anticlericale che diede vita ad uno Stato centralista, nemico delle autonomie, frutto di una operazione di vertice fondata sull’estraneità delle classi popolari e su una chiusura, interrotta solo a tratti, delle esigenze di giustizia sociale.
Non si può negare che nello schieramento degli intransigenti si confusero, nella prima fase, atteggiamenti diversi. Accanto alle posizioni temporaliste, nostalgiche, e contrarie in via di principio a quanto di positivo, in termini di conquiste civili, poteva maturare con il Risorgimento, vi erano le posizioni di cattolici inquieti per gli impedimenti del “non expedit”, socialmente aperti e antiliberali più nel solco della “Rerum Novarum” che per gli effetti del “Sillabo” . E’ noto che le ambiguità di questo intreccio via via si sciolsero.
Soprattutto a partire dal 1898, quando a Milano don Davide Albertario finì in carcere con Turati per essersi opposto alle repressioni antipopolari di Bava Beccaris, si svilupparono sempre più chiaramente due tendenze intransigenti nell’Opera dei Congressi : la prima, di orientamento conservatore e ostile ad ogni compromesso, e la seconda, allora influenzata da Romolo Murri, decisa a rivendicare una presenza politica nettamente definita, socialmente schierata, e contraria a cedimenti clerico-moderati alla spicciolata verso la classe dirigente al potere.
Da questo nucleo di pensiero e di azione dell’intransigenza nascono agli inizi del novecento, a Milano ed altrove, i tentativi di costituirsi in partito della prima Democrazia Cristiana. Grazie a questa fermezza di comportamento molti cattolici resistettero, dal 1913, alle insistenti lusinghe clerico-moderate del “patto Gentiloni” che si proponeva di portare i voti dei cattolici, ben diversamente da come pensava Filippo Meda, al carro dei conservatori e in funzione antisocialista. Ed è utilizzando in positivo le risorse morali accumulate nel periodo dell’intransigenza che Luigi Sturzo porterà a termine, su basi laiche e schiettamente costituzionali, un progetto culturale e politico che, secondo un acuto giudizio di Gabriele De Rosa, fu il compimento di un lungo processo storico che rese possibile, nel 1919, la formazione cristianamente ispirata di un “partito moderno di cattolici, intransigente ma senza riserve integralistiche”.
Al contrario, è proprio dalla cultura e dal relativismo morale dei “transigenti” che prendono le mosse i clerico-moderati, prima, ed i clerico-fascisti, poi, in un triste susseguirsi di capitolazioni e di compromessi che hanno offuscato la storia del movimento politico dei cattolici e contribuito al logoramento e al crollo della democrazia pre-fascista. Così come è all’integrismo, non all’intransigentismo, che anche in Italia vanno fatte risalire sia i falliti tentativi teocratici in collegamento con i francesi di “Action Française” , dopo lo scioglimento dell’Opera dei Congressi, sia la costituzione, a cominciare dai Comitati Civici, di movimenti che ripropongono, anche oggi, una antistorica confusione tra religione e politica.
Senza il contributo della lunga “resistenza” dell’intransigentismo, che ha favorito la decisiva stagione della “preparazione nell’astensione” , non sarebbe sorto, in Italia, un partito popolare di cattolici che nel momento della conciliazione con lo Stato unitario non abbandonava un ruolo di opposizione in difesa di tutte le libertà, in primo luogo di quelle dei ceti sociali indifesi, e quindi in grado di dare voce politica a quell’insieme di associazioni, leghe, sindacati bianchi, che era il frutto di una radicata presenza nella società.
A questa importante lezione di moralità e di creatività politica si sono ispirati con coerenza negli anni della bufera autoritaria, dopo il congresso di Torino del 1923, Luigi Sturzo e uomini come Donati e Ferrari che hanno saputo difendere l’onore del PPI nella lotta estrema e nell’esilio. Ed è rivendicando questo grande patrimonio storico, arricchito dall’antifascismo dei “guelfi” di Piero Malvestiti e dalla partecipazione alla Resistenza, che la DC di De Gasperi rinasce e può occupare una posizione di rilievo nella nuova democrazia italiana e concorrere, da Dossetti a Vanoni, da Lazzati a Moro, a realizzare uno sviluppo della società italiana che nessuna degenerazione successiva può sommariamente cancellare.
Non è fuori luogo richiamarsi, anche oggi, alla lezione del “popolarismo intransigente” per riaprire la via alla consapevole ripresa di un cammino culturale, civile, ed anche politico dei cattolici italiani che eviti la svendita della propria personalità per fare ancora una volta da puntello alla conservazione o per cercare, illusoriamente, una rivincita al seguito di alternative preparate da altri senza il contributo specifico delle idee, delle battaglie, delle speranze cristiane nella società contemporanea e in una libera democrazia. In questo impegno vi è largo spazio, come al tempo di De Gasperi, non solo per i cattolici, ma anche per laici che non vogliono scegliere a destra o a sinistra e sono culturalmente sensibili al “perché non possiamo non dirci cristiani” di Benedetto Croce.
La sfida del futuro è assai difficile. La diaspora che porta a gruppetti di conservatori, progressisti, integralisti, in concorrenza tra loro sancisce l’irrilevanza dei cattolici nella vita nazionale. Non c’è avvenire senza il formarsi sulle base di idee, programmi, passione civile, di una grande e articolata forza democratica popolare ad ispirazione cristiana. Il nostro contributo vuole muoversi anche in quella direzione. L’Associazione Popolari Intransigenti non è frutto di improvvisazione, non segue la moda, ha alle sue spalle una ricca tradizione, si ispira a valori di grande attualità, ed è aperta nell’attuazione dei suo programmati a credenti e cittadini che intendono reagire alla tentazione del disimpegno.
Anche il ricordo di Francesco Luigi Ferrari vuole solo richiamare l’impegno morale, intellettuale, culturale e politico di un “popolare intransigente” che ha operato negli anni venti a Milano, con la rivista il Il Domani d’Italia, ed è stato un protagonista di rilievo nei passaggi più cruciali del movimento politico dei cattolici. Le incognite del cammino dell’Associazione sono molte, ma l’impresa merita di essere avviata quale che sia il suo esito.
(Milano 19 settembre 1994 – dalla relazione di Luigi Granelli all’incontro per la costituzione dell’Associazione).
A seguito dell’atto di costituzione dell’Associazione ( 12O12 / 81398) Luigi Granelli, Felice Calcaterra, Narciso Longhi, Mario Mauri, Arturo Bodini, Michele Pellegrino e Luca Birindelli sono stati incaricati di coordinare l’avvio dell’attività, la raccolta di ulteriori adesioni e la preparazione dell’Assemblea dei soci prevista dallo Statuto.
Luigi Granelli è stato invitato ad assumere le funzioni di Presidente ed i compiti di segretario sono stati attribuiti a Felice Calcaterra.
La presenza di libere associazioni garantisce una democrazia pluralista. Ogni cittadino, in base alla Costituzione, è chiamato a determinare la politica nazionale, ma questa partecipazione è resa più consapevole dallo studio, dalla formazione, dalla diffusione delle idee. E’ questo l’obiettivo primario dell’Associazione “Popolari Intransigenti”. Lo strumento associativo, in uno sforzo solidale tra le diverse generazioni di cattolici democratici, si pone soprattutto al servizio dei giovani disposti ad impegnarsi per rendere attuali i valori cristiani e democratici in un dialogo costante e costruttivo con quanti si propongono, anche con idee diverse, di rinnovare la società, affermare la giustizia, consolidare le istituzioni nate in Italia con la Costituzione del 1947.
Articolo 1
E’ costituita, senza scopi di lucro, con durata illimitata, nel ricordo di Francesco Luigi Ferrari, l’Associazione denominata : “Popolari Intransigenti” con sede in S. Giuliano Milanese.
L’Associazione, avente carattere nazionale, al fine di sviluppare le proprie iniziative, potrà svolgere la propria attività nel territorio a mezzo di centri locali.
Detti centri saranno istituiti con delibera del Consiglio Direttivo, che, contestualmente, ne designerà il rappresentante responsabile.
Gli stessi centri godranno di autonomia nella programmazione, nella gestione – anche economica – e nell’attuazione delle finalità dell’Associazione, nello spirito culturale e ideale dall’Associazione.
Articolo 2
Le finalità dell’Associazione – realizzabili anche in collaborazione con entità associative aventi analoghi scopi mediante iniziative di studio, convegni, dibattiti, conferenze, nonché elaborazione e diffusione di documenti su argomenti specifici – sono:
la diffusione e l’affermazione, sulla base di una corretta laicità, dei valori cristiani e democratici in campo sociale, culturale, politico, per rafforzare le scelte di un popolarismo intransigente contrario ad ogni compromissione conservatrice;
l’approfondimento dei problemi riguardanti lo sviluppo economico e sociale, l’ampliamento dei diritti di cittadinanza, la riforma delle istituzioni, le relazioni internazionali nel segno della cooperazione e della pace;
la realizzazione di un confronto costruttivo tra le varie espressioni del cattolicesimo democratico e le tendenze riformatrici e popolari della sinistra italiana, in sintonia con i principi fondamentali della Costituzione del 1947.
L’Associazione può aderire o partecipare ad Enti ed Organismi, nazionali ed internazionali, quando tale partecipazione è ritenuta dal Consiglio Direttivo opportuna per il miglior raggiungimento dei propri fini istituzionali.
L’Associazione può compiere le operazioni mobiliari, immobiliari e finanziarie che il Consiglio riterrà necessarie ed opportune in ordine al miglior conseguimento delle proprie finalità.
Articolo 3
Gli appartenenti alla Associazione, oltre a condividerne le finalità, sono tenuti ad osservare comportamenti ineccepibili nella vita privata e pubblica.
Gli associati, persone fisiche ed Enti, la cui domanda di adesione è presentata al Consiglio Direttivo che, sulla base dei requisiti richiesti, potrà accoglierla o respingerla con il voto dei 3/4 dei componenti il Consiglio stesso, si dividono in:
associati fondatori: coloro i quali hanno contribuito, con una quota specifica, alla costituzione dell’Associazione: rientrano in questa categoria anche coloro i quali, avendo versato la quota specifica, si siano iscritti dopo la data della legale costituzione ed entro il trentuno dicembre millenovecentonovantaquattro, nonché coloro i quali, su proposta di almeno due componenti del Consiglio Direttivo, verranno accettati, con tale qualifica, da parte del Consiglio stesso, con apposita delibera assunta da tutti i Consiglieri;
associati ordinari: coloro i quali concorrono con gli associati fondatori, una volta versata la quota di adesione, all’attività dell’Associazione e alle elezione degli organi;
associati simpatizzanti: coloro i quali partecipano, con una adesione senza versamento di quota, alle iniziative dell’Associazione.
Possono partecipare alle iniziative dell’Associazione, quali aderenti, anche circoli e centri culturali che ne condividono le finalità, previo versamento della quota deliberata.
Articolo 4
Le Quote delle diverse categorie di associati e degli enti aderenti sono fissate, annualmente, dal Consiglio Direttivo. Gli associati e gli aderenti che hanno versato le quote stabilite riceveranno un bollettino periodico e le pubblicazioni edite a cura dell’Associazione.
Articolo 5
La qualifica di associato si perde : a) per dimissioni, da presentare al Consiglio Direttivo; b) per esclusione, non appellabile, pronunciata dal Consiglio Direttivo con il voto favorevole dei 2/3 dei suoi membri, nel caso in cui – con comportamento non in sintonia con lo spirito dell’Associazione – l’associato causi alla stessa pregiudizio o danno, anche morale. L’esclusione deve essere comunicata all’interessato a mezzo raccomandata con avviso di ricevimento. La perdita della qualifica di associato non comporta la decadenza del medesimo dagli impegni e dagli obblighi precedentemente assunti. L’ipotesi di esclusione può essere applicata anche nei confronti dell’aderente.
Articolo 6
Le entrate dell’Associazione sono costituite : a) dalle quote associative annuali che saranno versate dagli associati fondatori ed ordinari e dalle quote versate dagli aderenti; b) da sovvenzioni, contributi, donazioni che essa può acquisire, a qualsiasi titolo, da parte di persone fisiche ed enti; c) da redditi di capitale, mobiliari ed immobiliari, dal fondo patrimoniale; d) da proventi derivanti da iniziative e manifestazioni promozionali; e) da ogni altra entrata che concorra ad incrementare l’attivo sociale.
Il patrimonio dell’Associazione è costituito da eventuali fondi di riserva risultanti da eccedenze di bilancio, da somme accantonate per qualunque scopo sino a quando non siano erogate e dai beni mobili ed immobili di proprietà dell’Associazione.
L’associato o l’aderente e rispettivo proprio erede o successore, non ha diritto ad alcuna pretesa o ripartizione del patrimonio associativo.
ORGANI DELL’ASSOCIAZIONE
Articolo 7
Gli organi dell’Associazione sono:
l’Assemblea degli associati fondatori ed ordinari;
il Presidente;
il Consiglio Direttivo;
il Segretario organizzativo;
il Tesoriere;
il Collegio dei Revisori dei Conti.
Per la realizzazione di attività particolarmente impegnative e per la verifica dei programmi, possono essere nominati, dal Consiglio Direttivo, Comitati scientifici ad hoc il cui coordinatore può essere invitato, esprimendo voto consultivo, alle riunioni del Consiglio Direttivo. Tutti gli organi dell’Associazione durano in carica tre anni e sono rieleggibili.
Articolo 8
L’Assemblea delibera su tutte le materie e gli atti non riservati alla competenza degli altri organi associativi, in particolare :
propone gli orientamenti e promuove le iniziative generali dell’Associazione;
elegge nel proprio seno il Consiglio Direttivo ed il Collegio dei Revisori dei Conti, quest’ultimo anche tra i non associati;
approva il bilancio consuntivo e preventivo;
delibera su tutti gli altri oggetti attinenti alla gestione sociale e riservati alla sua competenza dallo Statuto o sottoposti al suo esame dal Consiglio Direttivo;
delibera sulla modifica dello Statuto, sullo scioglimento e messa in liquidazione dell’associazione e sulla nomina del o dei liquidatori. La delibera dell’Assemblea pronunciante lo scioglimento, convocata su proposta del Consiglio Direttivo, deve essere opportunamente portata a conoscenza di tutti gli associati.
Articolo 9
L’Assemblea deve essere convocata almeno una volta all’anno, entro sei mesi dalla chiusura dell’esercizio sociale; può essere convocata ogni qualvolta il Consiglio Direttivo lo ritenga utile ed opportuno, o ne sia fatta richiesta per iscritto, con l’indicazione delle materie da trattare, da almeno 1/5 degli aventi diritto a partecipare all’Assemblea stessa o dal Collegio dei Revisori dei Conti. La convocazione dell’Assemblea, che può avere luogo anche fuori dalla sede sociale, purché nel territorio nazionale, è effettuata dal Presidente dell’Associazione mediante lettera raccomandata o altra idonea forma inviata almeno otto giorni prima della riunione : essa deve contenere, sia per la prima sia per la seconda convocazione, la data, l’ora ed il luogo dell’adunanza, nonché l’ordine del giorno. La riunione in seconda convocazione non può avere luogo oltre dieci giorni dalla data fissata per la prima. Ogni associato partecipante all’Assemblea ha diritto ad un voto e non può rappresentare più di cinque associati mediante delega scritta. Il Consiglio Direttivo, tenuto conto del numero degli associati o di ogni altra circostanza, può disporre che gli associati esprimano il proprio voto per corrispondenza su qualsiasi argomento di competenza dell’Assemblea. A tale forma di votazione si può ricorrere anche evitando la convocazione dell’Assemblea.
Articolo 10
Le riunioni dell’Assemblea sono presiedute dal Presidente del Consiglio Direttivo; in caso di sua assenza o di impedimento da un Vicepresidente; nell’ipotesi di assenza o di impedimento di entrambi, da un membro del Consiglio Direttivo eletto dall’Assemblea. L’Assemblea è regolarmente costituita e può validamente deliberare quando sia accertata, in proprio e per delega, la presenza di almeno la metà più uno degli associati in prima convocazione e, in seconda convocazione, qualunque sia il numero degli associati presenti, in proprio e per delega. L’Assemblea delibera a maggioranza assoluta dei presenti, salvo che per i casi previsti dal presente Statuto. Per le deliberazioni concernenti modifiche statutarie, scioglimento, e messa in liquidazione dell’Associazione, occorre la presenza di almeno 2/3 degli aventi diritto e il voto della maggioranza dei presenti: quorum richiesto sia in prima che in seconda convocazione. Il relativo verbale deve essere redatto da Notaio. Le deliberazioni devono constare da verbale redatto dal segretario dell’Assemblea, eletto dalla medesima su proposta del Presidente e sottoscritto dal Presidente e dal segretario stesso su apposito libro. L’Assemblea, su proposta del Presidente, può nominare due scrutatori, anche tra i non associati. Gli aderenti all’Associazione, ai sensi dell’art. 3, ultimo comma, sono invitati a partecipare all’assemblea ed hanno soltanto il diritto di parola: gli stessi non possono presenziare quando si verte in tema di elezione di organi. Gli Enti associati o aderenti parteciperanno a detta Assemblea a mezzo del legale rappresentante ovvero a mezzo di persona debitamente delegata.
Articolo 11
Il Presidente ha la legale rappresentanza dell’Associazione, di fronte ai terzi ed in giudizio, ed esercita, oltre ai poteri previsti dallo Statuto, quelli che il Consiglio Direttivo gli può attribuire. Il Presidente imposta e coordina l’attività, mantiene i rapporti con gli eventuali Comitati Scientifici, convoca e presiede l’Assemblea, attuandone le deliberazioni.
Articolo 12
Il Consiglio Direttivo è composto da un minimo di dieci ad un massimo di quindici membri eletti nel proprio seno dall’Assemblea, previa determinazione del numero; esso è investito della gestione ordinaria e straordinaria dell’Associazione.
Il Consiglio Direttivo elegge nel suo seno il Presidente, uno o più vice-presidenti, il Segretario organizzativo, il Tesoriere e, di volta in volta, il coordinatore del Comitato Scientifico.
Articolo 13
Il Consiglio Direttivo esercita ogni potere inerente alla gestione ordinaria e straordinaria dell’Associazione, nessun escluso o eccettuato, salvo quanto tassativamente di competenza di altri organi.
In particolare il Consiglio Direttivo predispone il bilancio preventivo e consuntivo dei vari esercizi finanziari, esprime i pareri sugli argomenti richiesti dal Presidente, decide le iniziative da assumere, istituisce eventuali gruppi di lavoro o di ricerca, predispone ed approva eventuali regolamenti, delibera sulle richieste di adesione degli associati e su quelle degli aderenti, esplica le facoltà previste dall’art. 5, lettera b), e propone lo scioglimento dell’Associazione.
Articolo 14
Se durante il mandato un membro del Consiglio Direttivo venisse a cessare dalle sue funzioni per una qualsiasi causa, tale membro sarà sostituito dal primo dei non eletti al momento disponibile; tale Consigliere cesserà con lo spirare del Consiglio.
Dovesse decadere la maggioranza del Consiglio Direttivo, deve essere immediatamente convocata l’Assemblea la quale provvederà alla nomina di altro Consiglio, composto dallo stesso numero di quello decaduto. Tale Consiglio rimarrà in carica solo per il periodo di durata del Consiglio decaduto.
Articolo 15
Il Consiglio Direttivo è convocato almeno una volta ogni tre mesi, oppure ogni volta che se ne ravvisi la necessità o quando ne sia fatta richiesta da almeno un terzo dei componenti del Consiglio o dal Collegio dei Revisori dei Conti.
La convocazione è fatta a mezzo lettera o telegramma da inviarsi, anche ai membri del Collegio dei Revisori dei Conti, possibilmente non meno di otto giorni prima della riunione, o comunque in modo che i Consiglieri ne siano informati almeno tre giorni prima della riunione.
Salvo quanto previsto nel presente Statuto, le riunioni sono valide con la presenza della maggioranza dei Consiglieri, e le sue deliberazioni sono valide con la maggioranza dei voti dei presenti.
Delle riunioni del Consiglio viene redatto un verbale da parte di un membro del medesimo incaricato dal Presidente che assume le funzioni di Segretario. Il verbale trascritto su apposito libro viene sottoscritto dal Presidente e dal Segretario.
Il Presidente, i vice-presidenti, il Segretario organizzativo ed il Tesoriere costituiscono l’Ufficio di Presidenza.
Articolo 16
Il Segretario organizzativo è organo di coordinamento e cura i rapporti con gli associati, gli aderenti, ed i dipendenti nonché l’attuazione delle iniziative, la diffusione di informazioni sull’attività e le eventuali pubblicazioni; coordina, prendendo le decisioni necessarie su mandato del Consiglio Direttivo, il lavoro dei collaboratori dell’Associazione e dei Comitati Scientifici.
Al Segretario organizzativo compete la facoltà di rilascio di copie certificative conformi, per estratto, dei verbali degli organi associativi.
Articolo 17
Il Tesoriere cura la gestione finanziaria dell’Associazione, informa di essa il Consiglio Direttivo e mantiene i rapporti con il Collegio dei Revisori.
Articolo 18
Il Collegio dei Revisori dei Conti è composto da tre membri nominati dall’Assemblea; possono essere scelti anche al di fuori dell’Associazione.
Il Collegio dei Revisori dei Conti controlla l’amministrazione dell’Associazione, vigila sull’osservanza delle leggi e dello statuto sociale ed accerta la regolare tenuta della contabilità.
I membri del Collegio dei Revisori dei Conti possono intervenire all’Assemblea ed alle riunioni del Consiglio Direttivo. Il Collegio deve predisporre una relazione che accompagna la relazione annuale del Consiglio Direttivo relativa al bilancio.
Articolo 19
I Comitati Scientifici, costituiti su proposta del Presidente approvata dal Consiglio Direttivo, concorrono alla verifica dei programmi e alla impostazione di iniziative particolarmente impegnative dell’Associazione.
Articolo 20
Spetta al Presidente dell’Associazione convocare almeno una volta l’anno, anche fuori dalla sede sociale purché nel territorio nazionale, i responsabili dei centri locali per una reciproca informativa ed aggiornamento sulle attività allo scopo di coordinare le attività stesse, nel rispetto della prevista autonomia locale.
Articolo 21
L’esercizio sociale decorre dal primo gennaio al trentuno dicembre di ogni anno.
Alla fine di ogni esercizio sociale il Consiglio Direttivo provvede, entro tre mesi dalla chiusura dell’esercizio stesso, alla redazione del bilancio consuntivo e del bilancio preventivo del successivo esercizio.
I bilanci stessi, con la relazione del Consiglio Direttivo ed il rapporto del Collegio dei Revisori dei Conti, dovranno essere sottoposti all’approvazione dell’Assemblea.
Le obbligazioni e gli oneri contrattuali a nome e nell’interesse dell’Associazione vengono soddisfatti con il patrimonio dell’Associazione medesima.
Articolo 22
I libri, fermo quanto richiesto dalle leggi, sono:
il libro delle riunioni degli organi dell’Associazione;
il libro degli associati e degli aderenti.
Articolo 23
In caso di scioglimento dell’Associazione, o comunque di sua cessazione per qualsiasi causa, i beni eventualmente residuati saranno devoluti ad ente avente scopi affini o analoghi a quelli dell’Associazione, su delibera dell’Assemblea.
Articolo 24
Per quanto non contemplato nel presente Statuto, si osservano le norme previste dal Codice Civile e le disposizioni di legge in materia.
Atto del 19 settembre 1994, num. 12012 / 81398 repertorio Notaio dott. Giuseppe Fossati.
Francesco Luigi Ferrari nasce il 31 ottobre 1889. Il padre, militante dell’Azione cattolica e amico di don Davide Albertario, era redattore della “Democrazia Cristiana” di Torino e di molti altri giornali.
Riveste giovanissimo numerosi incarichi nelle associazioni cattoliche.
E’ nominato Segretario generale della FUCI, organizzazione degli universitari cattolici, al congresso di Roma del 19O9 e diviene successivamente Presidente nel 191O.
Partecipa a numerose battaglie sociali del mondo contadino sostenendo una organica riforma riforma del patto colonico.
Si afferma tra il 1910 ed il 1913 come uno dei più attivi esponenti dell’intransigentismo cattolico di sinistra e sostiene la necessità di una presenza democratico-cristiana in Italia.
Viene eletto Consigliere Comunale a Modena nel 1914.
Aderisce, nel 1919, al PPI e partecipa al congresso di Bologna in rappresentanza del partito di Modena di cui è vicepresidente.
Assume nel 1921, quale attivo organizzatore dei “popolari” a livello amministrativo dopo aver partecipato alla guerra mondiale, in cui è decorato al valore, un ruolo nazionale con la partecipazione, insieme al milanese Mauri e a Piccioni, alla sinistra del PPI.
Fonda a Milano nel 1922, con Guido Miglioli, il “Domani d’Italia” che diventa l’organo della sinistra popolare e propugna, insieme ad un esplicito antifascismo, una caratterizzazione democratico-cristiana del PPI. E’ il principale coordinatore del settimanale cui collaborano, tra gli altri, i milanesi Gerolamo e Luigi Meda, Ernesto Vercesi e Edoardo Clerici.
Al congresso di Torino, nel I923, è tra i più risoluti a proporre la rottura con il Governo Mussolini con il pieno sostegno, che durerà sino alla morte in esilio, alla linea di opposizione al fascismo di Luigi Sturzo.
Nonostante un aggressione squadrista dopo il congresso e la sorveglianza della polizia, mantiene il suo attivo impegno antifascista sino allo scioglimento del PPI nel I926. Negli ultimi giorni sfugge alla cattura dei fascisti che gli distruggono lo studio di avvocato e va esule in Francia.
Negli anni dell’esilio a Parigi, in stretta collaborazione con Sturzo rifugiatosi a Londra, sviluppa contatti in tutti i Paesi europei in vista della creazione di una internazionale democratico-cristiana in opposizione al nazifascismo.
Nel 1931 diffonde clandestinamente in Italia, tramite il movimento di Giustizia e Libertà, una lunga e motivata lettera a tutti i Parroci contro i rischi della utilizzazione del Concordato del 1929 da parte della dittatura.
Muore a Parigi dopo anni assai travagliati il 2 marzo 1933.