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Crisi DC, Granelli denuncia le manovre intorno all’assemblea di novembre. Le correnti stanno patteggiando, anche sui noie iscritti da invitare

MILANO – Preparata da decine e decine di riunioni tumultuose in ogni parte d’Italia e da mesi di febbrile lavoro del comitato dei 18 saggi presieduto dal professar Pietro Scoppola,, circondata da un’attesa quasi messianica, come se da essa dipendesse la sopravvivenza stessa del partito, l’assemblea dei quadri DC di fine novembre rischia di afflosciarsi su se stessa, come un grande tendone da circo, prima ancora di cominciare. Quando si alzerà il sipario, invece della tanto conclamata cerimonia di rifondazione, potremmo assistere al solito, logoro copione delle lotte di corrente, o a un’inconcludente passerella di prime-donne.

Si litiga su tutto: sul programma, sulle finalità, perfino sulla composizione dell’assemblea. E il principale pomo della discordia stanno diventando proprio quei 200 «esterni» non iscritti al partito, che dovrebbero rappresentare la maggiore novità, il segno di una svolta, di un’apertura della DC ai fermenti dei mondo cattolico, Luigi Granelli, uno dei capi storici della sinistra democristiana, è amareggiato:  «Se si scende a patteggiamenti per spartirsi i duecento, è inutile poi parlare di rifondazione. Se Scoppola invita i suoi amici, Formigoni i suoi e così via, non vedo che differenza ci sia tra questo metodo e quello che si applica abitualmente nella vita di partito, e che questi signori affermano di voler cambiare».

Senatore Granelli, lei è dunque contrario alla partecipazione degli esterni?  Avrebbe preferito un’assemblea limitata a soli iscritti?

«Non dico questo.  Anzi guai se ci lasciassimo sfuggire quest’occasione di confronto con i movimenti cattolici e con le forze sociali emergenti. L’apporto di queste componenti è essenziale, per immettere nel partito una ventata di moralizzazione e di idee nuove e coraggiose.  Dico solo che bisogna rendere pubblici i criteri con cui questi esterni vengono scelti, per evitare equivoci e lottizzazioni.. Anche perché gli invitati non devono rendere conto a nessuno del loro operato, mentre ì delegati tradizionali hanno una base a cui devono rispondere. L’errore , più. grave che è stato fatto in questa fase preparatoria, è stato proprio quello di dissociare il momento della discussione, da quello dell’elezione dei delegati all’assemblea.  La protesta degli iscritti rischia così di cadere nel vuoto, di non trovare dei canali per esprimersi, e quindi di dar luogo a nuove frustrazioni».

Eppure da quest’assemblea la base si aspetta grosse novità: scioglimento delle correnti, sistema  maggioritario, elezioni dal basso dei segretario…

«Non ci sono ricette miracolistiche.  Anche Zaccagnini fu eletto dal Congresso, per acclamazione.  Ma poi, senza una maggioranza politica omogenea, non è riuscito a fare molta strada.  Il sistema maggioritario?  E’ un passe par tout che  può essere usato dagli innovatori, ma può anche servire ai vertici,attuali per consolidare il loro potere. Il quorum del 30%?  Anche questo non è sufficiente a eliminare le correnti e i personalismi: si metteranno insieme per essere eletti in consiglio nazionale, ma poi torneranno a curare ognuno la propria parrocchia.  La verità è che non è di queste cose ‘che dobbiamo discutere.  Non sono gli statuti, i commi e le regolette a decidere dei futuro dei partiti, ma le strategie, i programmi politici.  Quando Aldo Moro, al congresso di Napoli dei ’62 fece la scelta del centrosinistra, conquistò la maggioranza su un preciso progetto politico, non certo su un regolamento di assemblea. Se ci misuriamo sulla politica economica, sulla questione morale, sui rapporti col PCI e con i sindacati, la sinistra potrà far sentire la sua voce, ritrovare uno spazio d’iniziativa.  Bisogna convincere tutto il partito che non si esce da una crisi così, profonda rinchiudendosi  in se stessi, ma che, occorre riaprire, il dialogo con le altre forze…»

Il PCI di oggi, però, non è più quello dei compromesso storico.  Vuole l’alternativa, non la collaborazione con la DC.

«E’ un motivo di più per cercare il confronto.  A un PCI che si arrocca, che si presenta al paese come unica speranza di risanamento, bisogna avere il coraggio di contrapporre una politica.  Invece, la maggioranza del preambolo non sa fare altro che sfruttare questo arroccamento a fini elettorali».

E’ sicuro, senatore Granelli, che un’alleanza di governo tra democristiani e comunisti sia il toccasana per il paese?  Gli anni dell’unità nazionale hanno prodotto leggi sbagliate e farraginose, e hanno accentuato burocrazia e assistenzialismo..

«Verissimo. Ma la politica dell’unità nazionale fu fatta da forze che non ci credevano.  La DC rimise nel governo le solite vecchie cariatidi, e il PCI continuò a cavalcare le spinte rivendicazionistiche.  Questo dimostra che non è con le formule, o con le maggioranze numeriche, che si fanno governi stabili ed efficienti.  Occorre un consenso più di fondo sulle scelte da compiere».

Intanto però, alcune cose che stavano scritte nei programmi dell’unità nazionale, le sta realizzando li pentapartito. Per esempio, il risanamento delle Partecipazioni statali…

«Ma quale risanamento?  Se per risanamento intendiamo restituire ai privati i settori sani, e lasciare allo Stato, quelli decotti, allora si. Ma non è questo il problema.  Non si può ridurre tutto a una semplice operazione di alleggerimento o di maquillage finanziario, senza intervenire sulle strutture produttive. Con ciò, naturalmente, non voglio prendere le difese dei ministri democristiani, che hanno gestito le partecipazioni statali in modo parassitario. Ma non credo neppure che questo ministro socialista meriti il Nobel dei risanamento».

Per misurarsi con problemi di una società industriale, la DC dovrebbe «laicizzarsi».  Ma i cosiddetti rifondatori sono cattolici integralisti. Non è una contraddizione?

«E chi non è stato un po’ integralista in gioventù?  Tutto sta a prendere il meglio di queste spinte, l’ansia di moralità e di rinnovamento, isolandone gli aspetti deteriori. Ed evitando, soprattutto, di fare degli “esterni” una componente permanente del partito, distinta degli iscritti. Vogliamo evitare i brogli, il mercato delle tessere? Azzeriamo tutto, facciamo il terzo grado a chi ci chiede la tessera, per vedere chi ci prendiamo in casa.  Ma poi, tutti devono avere gli stessi diritti e gli essi doveri di democratici cristiani.  Abolire il tesseramento sarebbe una follia».

L’assemblea di novembre dovrà definire il nuovo Identikit della DC anni ’80.  Perché non fate una chiara scelta di campo, proponendovi come partito conservatore di tipo europeo?

«Perché sarebbe un suicidio.  Significherebbe spianare la strada all’alternativa di sinistra, spezzando , la DC in due tronconi: da una parte i cattolici democratici , dall’altra i conservatori.  E questi ultimi, gliel’assicuro, sarebbero un piccolo, non un grande partito. E non avrebbero più niente a che fare con l’ispirazione cristiana.  La DC è sempre stata, come la definì De Gasperi, un partito di centro che guarda verso sinistra. Ogni volta che si sposta a destra crea un vuoto di potere, apre il varco all’avventura.  Basti pensare a Tambroni…»

Oggi potrebbe, semplicemente, lasciare il posto ai laici e ai socialisti. La regola dell’alternanza è alla base di ogni democrazia parlamentare.

«Ma la democrazia è fatta di maggioranze e minoranze. E il 20%, nonostante tutto, vale meno dei 40%.  Quando PSI e laici avranno dietro di sé il consenso della maggioranza dell’elettorato, allora potranno ti! vendicare a pieno titolo la guida del governo.  La presidenza a Spadolini è una soluzione emergenza, un’eccezione non può diventare la regola.  Potrebbe anche venire un altro non democristiano al suo posto, prima deva fine della legislatura.  Ma poi dovranno essere le urne a decidere-.

La Repubblica
Intervista di Riccardo Chiaberge