MOTIVAZIONI DI UNA SCELTA

Quando si è pensato di dar vita ad uno strumento nuovo come segno di discontinuità rispetto al passato e per reagire, pur senza rinnegare gli aspetti positivi dell'esperienza compiuta, alla grave crisi di sbandamento e al disimpegno di molti cattolici democratici, la scelta dell'associazione era quasi obbligata. La ripresa sul terreno culturale, civile ed anche politico dei valori cristiani e democratici, dentro e fuori l'organizzazione di partito, non poteva essere affidata, in un momento di travaglio e di trasformazione, a sporadiche iniziative, correnti tradizionali, gruppi di pressione, o a pure e semplici campagne d'opinione.
L'associazione senza scopo di lucro, autofinanziata, retta da regole democratiche e trasparenti, si è profilata come il mezzo adeguato, previsto dalle leggi, per favorire con un minimo di base giuridica l'unione di più persone per perseguire scopi comuni. In un momento di profonda incertezza, che coinvolge forme vecchie e nuove di organizzazione, la nascita di molte associazioni, anche se in qualche caso strumentali o di comodo, è una reazione salutare in una società sempre più omologata e conformista. .
L'Associazione Popolari Intransigenti è, anzitutto, frutto di una chiara presa di coscienza perché non si può essere neutrali quando la democrazia è investita da una inquietante crisi. I tentativi di controllare dall'alto il formarsi delle opinioni e delle classi dirigenti, con una crescente cooptazione oltre che con l'uso spregiudicato dei mass media, vanno ostacolati con il dispiegarsi dal basso, specie tra i giovani, di un processo di elaborazione e di diffusione delle idee, di formazione e di presenza, che è essenziale allo stesso rinnovamento etico della politica.
E' noto che i cittadini, in base alla Costituzione repubblicana, sono chiamati a determinare la politica nazionale, ma l'esercizio di questo diritto è reso più consapevole da una preparazione che può trovare nell'associazionismo, nel diffondersi dello spirito critico, del dialogo, un antidoto positivo all' involuzione autoritaria insita nella tendenza a trasformare gli elettori in soggetti passivi, manipolabili, di una democrazia plebiscitaria. La partecipazione popolare alla vita pubblica è una conquista irrinunciabile della lotta contro la dittatura fascista, sancita costituzionalmente, e va difesa con ogni mezzo dalle velleità di restaurazione sempre più evidenti nella cosiddetta seconda repubblica.

Il significato del popolarismo

Per questo l'Associazione Popolari Intransigenti, in una operante solidarietà tra diverse generazioni di cattolici, si pone soprattutto al servizio dei giovani disposti ad impegnarsi per "rendere attuali - come afferma esplicitamente il preambolo dello Statuto - i valori cristiani e democratici in un dialogo costante e costruttivo con quanti si propongono, anche con idee diverse, di rinnovare la società, affermare la giustizia, consolidare le istituzioni nate in Italia con la Costituzione del 1947." La collocazione democratica e costituzionale dell'Associazione e la sua convinta apertura al dialogo, specie con le tendenze riformatrici della sinistra italiana, non lasciano dubbi ma ancora più esplicite sono le motivazioni della scelta per quanto attiene al proprio riferimento ideale alla storia del movimento cattolico.
Il richiamo al "popolarismo" è altamente qualificante. La concezione laica della politica, cristianamente ispirata, che Sturzo ha posto alla base di una presenza di massa e socialmente articolata nella vita pubblica per concorrere a riformare in senso sociale e democratico lo Stato centralista uscito dal Risorgimento, è ancora valida. Essa va riproposta affrontando, senza complessi di inferiorità, i problemi del nostro tempo. Il rifiuto dell'integrismo clericale, dannoso per la stessa vita religiosa, ed il superamento di una visione puramente sociale, pauperistica, della crisi nazionale hanno consentito e consentono ai cattolici di assumere, senza subordinazioni, una personalità propria per contribuire da protagonisti alla storia del Paese.
La prima DC, agli albori del secolo, il partito di Sturzo e quello di De Gasperi poi, lo hanno dimostrano al di là di errori e di degenerazioni che vanno drasticamente superate. Il significato di quella esperienza non va disperso. La memoria storica, anziché alimentare improduttive nostalgie, deve aiutare i cattolici che accettano la democrazia e a svolgere il proprio ruolo nella società, oltre che nel:le istituzioni, per affrontare con creatività il presente e preparare il futuro con il determinante impegno dei giovani.
Non si esce dal disastro politico degli ultimi anni, dovuto ad una perdita di idealità e di condotta morale nella gestione del potere, commettendo l'errore di cancellare insieme alle colpe le conquiste di una storia secolare o cercando di restare sulla scena con la svendita delle proprie ragioni d'essere al migliore offerente. Il difficile cammino della ripresa va orientato verso la riscoperta culturale, civile, ed anche politica, del "popolarismo" da parte di nuove generazioni di cattolici capaci di essere, autonomamente, all'altezza delle loro responsabilità di credenti e di cittadini nell'operare sul terreno della democrazia costituzionale.
Un lavoro così impegnativo non si identifica, meccanicamente, con la presenza, dopo la DC, di un partito popolare ad ispirazione cristiana che deve essere aiutato a uscire dall'incertezza, per ritrovare una qualificazione ideale e politica credibile, ma potrebbe anche sbandare e dissolversi. Né può essere confuso con l'azione, di per sè meritevole, di gruppi o tendenze animate da finalità apprezzabili in un ristretto ambito di partito. Per questo l'autonomia dell'Associazione Popolari Intransigenti in quanto tale, che non preclude le libere scelte di ciascun associato, è una condizione essenziale per influenzare positivamente, con un più ampio orizzonte, il corso degli eventi e per non compromettere, se necessario, future e più esplicite iniziative.

I problemi della società attuale

La sfida maggiore, anche per l'Associazione, riguarda le risposte da dare in coerenza con la propria ispirazione ideale ai problemi reali della società italiana. Non si possono avanzare programmi, soluzioni, se manca un'analisi di fondo culturale e scientifica. Vasta è l'ipotesi di lavoro. Una crisi economica strutturale spinge sempre più ai margini, in condizioni di disagio e di protesta, disoccupati, giovani in cerca di lavoro, mano d'opera immigrata, e mentre aumentano le sacche di povertà si sceglie di smantellare, anziché di riordinare, lo Stato sociale frutto di lunghe lotte e di non facile conquiste.
L' allargamento della base produttiva che richiede, con il rilancio degli investimenti, promozione di imprenditorialità, incentivi alla produzione, incremento della ricerca, agevolazioni del credito, è ostacolato dal permanere di rendite, parassitismi, ingiustizie fiscali, burocratizzazione degli apparati pubblici, che alimentano un paralizzante debito pubblico non risanabile con il rigore a senso unico. Si allargano gli squilibri tra le diverse aree del Paese e la spinta all'egoismo, al consumo come simbolo di vita, indeboliscono quei legami di solidarietà, di messa in comune delle risorse, di ripartizione equa dei sacrifici, che sono essenziali per avviare una nuova e durevole fase di sviluppo economico ed evitare l'emarginazione nel contesto europeo.
La crisi non è minore sul piano internazionale. Cronici e sanguinosi conflitti locali, scandalosi commerci di armi, esplosione di rivalità etniche e di barbari razzismi, difficoltà nella collaborazione tra Paesi ricchi e Paesi poveri, perdita di autorevolezza dell'ONU, fanno da sfondo ad un preoccupante ritorno della politica di potenza e ad una riduzione agli aspetti puramente mercantili della stessa unità europea. La concezione sturziana, "popolare" , di una politica estera fondata sul diritto, sulla giustizia, sulla cooperazione, sul disarmo e la pace, sul potenziamento degli organi internazionali (che dal dopoguerra in poi ha ispirato le nostre relazioni con gli altri Stati) torna di grande attualità proprio mentre l'Italia, con la svolta a destra, sembra ripiegare su aspirazioni nazionaliste venate di provincialismo, influenzate come al tempo del fascismo da ragioni interne, con gravi rischi per il nostro futuro.
Le inquietudini crescono sul fronte delle libertà sostanziali. Gli attacchi alla Costituzione del 1947, specie nella sua prima parte, riflettono la volontà di risolvere i problemi della stabilità e dell'efficienza delle istituzioni a scapito dei diritti democratici, del decentramento, delle autonomie, della distinzione dei poteri, del ruolo del Parlamento, con un ritorno ad un autoritarismo che insidia le nostre libertà a cominciare da quella, fondamentale, che riguarda la stampa ed i mass media. La stessa lotta politica, ridotta a scontri frontali tra blocchi eterogenei, accentua la verticalizzazione del potere contro una più articolata partecipazione dei cittadini. Solo la ripresa tra governati e governanti del senso dello Stato, del dovere, della responsabilità, può arrestare questa pericolosa involuzione.
E' in questo quadro generale che l'Associazione Popolari Intransigenti svilupperà, in base alle finalità sancite dallo Statuto, le sue iniziative per approfondire i problemi sociali, economici, istituzionali, nei loro aspetti interni ed internazionali, elaborare proposte coerenti con le proprie idealità, difendere insieme a tutti i democratici - nella vigilanza e nell'azione - i valori costituzionali posti a fondamento della Repubblica nata della Resistenza. Dalla stessa logica traggono motivazione le chiare scelte di chiusura a destra, contro il conservatorismo ed i suoi surrogati, di dialogo a sinistra con le tendenze riformatrici, di ricerca di utili convergenze tra le forze popolari, nel rispetto delle reciproche identità, per la difesa e lo sviluppo della democrazia.

Le ragioni dell'intransigenza

L'Associazione si svilupperà nel solco fecondo di un "popolarismo" che è segno di distinzione per i cattolici democratici. Ma perché si è voluto aggiungere a questa qualificazione la sottolineatura dell'intransigenza ? La ragione è della massima importanza. L'intransigente, nell'opinione comune, evoca posizioni rigide, chiuse in se stesse, inclini ad un estremismo che condanna all'isolamento. L'interpretazione è forzata e va ricordato che i Popolari Intransigenti rifiutano per una scelta a priori ogni atteggiamento massimalista. Ma l'osservazione richiede tuttavia qualche spiegazione. Il richiamo alla intransigenza come fermezza delle posizioni, difesa dei valori, tutela della propria identità, non è fuori luogo in un momento in cui il lassismo, la distinzione opportunistica tra il pensare e l'agire, il trasformismo, la ricerca del compromesso anche a costo di accantonare tutto ciò che lo impedisce, dominano il campo e corrompono le coscienze.
Non serve avere delle idee se poi, nei comportamenti pratici, non si è coerenti con esse. L'intransigenza non è un "optional" se si tende ad un risveglio morale, di costume, oltre che culturale e politico. Il termine stesso non ammette deformazioni. Il dizionario della lingua italiana precisa che l'intransigente è "colui che non transige, si mantiene irremovibile nelle proprie idee, non tollera deviazioni da un programma fissato o da una linea di condotta determinata" e aggiunge, con una preziosa distinzione, che "l'intransigenza si distingue dall'intolleranza, che riguarda più propriamente la dottrina, perché si riferisce a fatti dell'ordine pratico di comportamento".
Ma al di là delle dispute linguistiche "l'intransigentismo" è soprattutto un preciso punto di riferimento nella storia del movimento politico cattolico. Esso non può essere confuso con le varie forme dell'integralismo di tipo teocratico. Al tempo dell'unità gli intransigenti assunsero, in Italia, una ferma difesa degli "imprescrittibili" diritti della Chiesa, ma svilupparono anche una opposizione senza smagliature alla versione nazionale di un liberalismo anticlericale che diede vita ad uno Stato centralista, nemico delle autonomie, frutto di una operazione di vertice fondata sull'estraneità delle classi popolari e su una chiusura, interrotta solo a tratti, delle esigenze di giustizia sociale.

Gli insegnamenti della storia

Non si può negare che nello schieramento degli intransigenti si confusero, nella prima fase, atteggiamenti diversi. Accanto alle posizioni temporaliste, nostalgiche, e contrarie in via di principio a quanto di positivo, in termini di conquiste civili, poteva maturare con il Risorgimento, vi erano le posizioni di cattolici inquieti per gli impedimenti del "non expedit", socialmente aperti e antiliberali più nel solco della "Rerum Novarum" che per gli effetti del "Sillabo" . E' noto che le ambiguità di questo intreccio via via si sciolsero.
Soprattutto a partire dal 1898, quando a Milano don Davide Albertario finì in carcere con Turati per essersi opposto alle repressioni antipopolari di Bava Beccaris, si svilupparono sempre più chiaramente due tendenze intransigenti nell'Opera dei Congressi : la prima, di orientamento conservatore e ostile ad ogni compromesso, e la seconda, allora influenzata da Romolo Murri, decisa a rivendicare una presenza politica nettamente definita, socialmente schierata, e contraria a cedimenti clerico-moderati alla spicciolata verso la classe dirigente al potere.
Da questo nucleo di pensiero e di azione dell'intransigenza nascono agli inizi del novecento, a Milano ed altrove, i tentativi di costituirsi in partito della prima Democrazia Cristiana. Grazie a questa fermezza di comportamento molti cattolici resistettero, dal 1913, alle insistenti lusinghe clerico-moderate del "patto Gentiloni" che si proponeva di portare i voti dei cattolici, ben diversamente da come pensava Filippo Meda, al carro dei conservatori e in funzione antisocialista. Ed è utilizzando in positivo le risorse morali accumulate nel periodo dell'intransigenza che Luigi Sturzo porterà a termine, su basi laiche e schiettamente costituzionali, un progetto culturale e politico che, secondo un acuto giudizio di Gabriele De Rosa, fu il compimento di un lungo processo storico che rese possibile, nel 1919, la formazione cristianamente ispirata di un "partito moderno di cattolici, intransigente ma senza riserve integralistiche".
Al contrario, è proprio dalla cultura e dal relativismo morale dei "transigenti" che prendono le mosse i clerico-moderati, prima, ed i clerico-fascisti, poi, in un triste susseguirsi di capitolazioni e di compromessi che hanno offuscato la storia del movimento politico dei cattolici e contribuito al logoramento e al crollo della democrazia pre-fascista. Così come è all'integrismo, non all'intransigentismo, che anche in Italia vanno fatte risalire sia i falliti tentativi teocratici in collegamento con i francesi di "Action Française" , dopo lo scioglimento dell'Opera dei Congressi, sia la costituzione, a cominciare dai Comitati Civici, di movimenti che ripropongono, anche oggi, una antistorica confusione tra religione e politica.
Senza il contributo della lunga "resistenza" dell'intransigentismo, che ha favorito la decisiva stagione della "preparazione nell'astensione" , non sarebbe sorto, in Italia, un partito popolare di cattolici che nel momento della conciliazione con lo Stato unitario non abbandonava un ruolo di opposizione in difesa di tutte le libertà, in primo luogo di quelle dei ceti sociali indifesi, e quindi in grado di dare voce politica a quell'insieme di associazioni, leghe, sindacati bianchi, che era il frutto di una radicata presenza nella società.
A questa importante lezione di moralità e di creatività politica si sono ispirati con coerenza negli anni della bufera autoritaria, dopo il congresso di Torino del 1923, Luigi Sturzo e uomini come Donati e Ferrari che hanno saputo difendere l'onore del PPI nella lotta estrema e nell'esilio. Ed è rivendicando questo grande patrimonio storico, arricchito dall'antifascismo dei "guelfi" di Piero Malvestiti e dalla partecipazione alla Resistenza, che la DC di De Gasperi rinasce e può occupare una posizione di rilievo nella nuova democrazia italiana e concorrere, da Dossetti a Vanoni, da Lazzati a Moro, a realizzare uno sviluppo della società italiana che nessuna degenerazione successiva può sommariamente cancellare.

La difficile sfida del futuro

Non è fuori luogo richiamarsi, anche oggi, alla lezione del "popolarismo intransigente" per riaprire la via alla consapevole ripresa di un cammino culturale, civile, ed anche politico dei cattolici italiani che eviti la svendita della propria personalità per fare ancora una volta da puntello alla conservazione o per cercare, illusoriamente, una rivincita al seguito di alternative preparate da altri senza il contributo specifico delle idee, delle battaglie, delle speranze cristiane nella società contemporanea e in una libera democrazia. In questo impegno vi è largo spazio, come al tempo di De Gasperi, non solo per i cattolici, ma anche per laici che non vogliono scegliere a destra o a sinistra e sono culturalmente sensibili al "perché non possiamo non dirci cristiani" di Benedetto Croce.
La sfida del futuro è assai difficile. La diaspora che porta a gruppetti di conservatori, progressisti, integralisti, in concorrenza tra loro sancisce l'irrilevanza dei cattolici nella vita nazionale. Non c'è avvenire senza il formarsi sulle base di idee, programmi, passione civile, di una grande e articolata forza democratica popolare ad ispirazione cristiana. Il nostro contributo vuole muoversi anche in quella direzione. L'Associazione Popolari Intransigenti non è frutto di improvvisazione, non segue la moda, ha alle sue spalle una ricca tradizione, si ispira a valori di grande attualità, ed è aperta nell'attuazione dei suo programmati a credenti e cittadini che intendono reagire alla tentazione del disimpegno.
Anche il ricordo di Francesco Luigi Ferrari vuole solo richiamare l'impegno morale, intellettuale, culturale e politico di un "popolare intransigente" che ha operato negli anni venti a Milano, con la rivista il Il Domani d'Italia, ed è stato un protagonista di rilievo nei passaggi più cruciali del movimento politico dei cattolici. Le incognite del cammino dell'Associazione sono molte, ma l'impresa merita di essere avviata quale che sia il suo esito.

(Milano 19 settembre 1994 - dalla relazione di Luigi Granelli all'incontro per la costituzione dell'Associazione).

 

A seguito dell'atto di costituzione dell'Associazione ( 12O12 / 81398) Luigi Granelli, Felice Calcaterra, Narciso Longhi, Mario Mauri, Arturo Bodini, Michele Pellegrino e Luca Birindelli sono stati incaricati di coordinare l'avvio dell'attività, la raccolta di ulteriori adesioni e la preparazione dell'Assemblea dei soci prevista dallo Statuto.
Luigi Granelli è stato invitato ad assumere le funzioni di Presidente ed i compiti di segretario sono stati attribuiti a Felice Calcaterra.