Rapporti tra Europa e Stati Uniti
GENDARMI DEL MONDO ? NO
Nota per "Nuova Fase"
La tragica guerra divampata nel Kosovo non avrà conseguenze negative solo nei Balcani. Dopo l'inutile strage tutti i problemi risulteranno aggravati quando torneranno ad avere la parola la politica e la diplomazia.
é tutto il sistema delle relazioni internazionali ad essere influenzato negativamente da un avventuroso ricorso alla forza della Nato, senza legittimazione da parte del Consiglio di Sicurezza
dell'ONU. Gravi problemi si pongono in proposito tra Europa e Stati Uniti.
- La ricorrente deformazione dei mass media ha falsificato la natura dei problemi all'origine del conflitto nel Kosovo ed il carattere dell'intervento militare della Nato. Si fa leva sulle violazioni dei diritti umani della popolazione di origine albanese, anche
perché hanno un impatto immediato sull'opinione pubblica mondiale, per giustificare il ricorso a massicci bombardamenti. Ma lo stato di guerra, con il ritiro degli osservatori dell'Osce e delle organizzazioni umanitarie, aggrava ed espone a repressioni ancor
più brutali le popolazioni che si vorrebbero difendere. Né può sfuggire che in altri casi, dalle persecuzioni dei
Curdi ai genocidi in Africa, non si ipotizza nessun intervento dell'Alleanza atlantica.
é tuttavia fuori discussione che il diritto ad una "ingerenza umanitaria" in uno Stato sovrano, per contrastare queste violazioni, richiede l'autorizzazione
dell'ONU per evitare infondate giustificazioni a pretestuose aggressioni. Altro
é il problema, politico, dei rischi di destabilizzazione dell'intera area dei Balcani a causa del rifiuto delle giuste rivendicazioni di autonomia del Kosovo, vigente con Tito, da parte del regime di Milosevic e delle barbare repressioni a difesa di questa chiusura. Opportuna e legittima
é la pressione della Comunità internazionale per risolvere il problema. Anche
l'ONU ha adottato alcune importanti risoluzioni disattese dalla autorità serbe. L'importante iniziativa diplomatica dei Paesi del "Gruppo di contatto (Stati Uniti, Russia, Francia, Gran Bretagna, Germania e Italia), sfociata nel negoziato di Rambouillet, aveva portato ad un primo accordo sulla realizzazione a scadenza di tre anni di una forte autonomia del Kosovo, con l'abbandono della lotta armata per l'indipendenza, e sul ripristino dei diritti fondamentali della popolazione. Dissenso era rimasto per la presenza, sul territorio, di una forza militare di interposizione che vigilasse sull'attuazione degli accordi. Gli Stati Uniti, con una adesione differenziata degli europei, volevano l'intervento di truppe della Nato rifiutato dai serbi e sollecitato, con intenti di copertura, dagli indipendentisti kosovari. La Russia non escludeva, con l'appoggio della Francia, la sua partecipazione ad una forza d'interposizione autorizzata
dall'ONU e composta da vari Paesi. La ripresa del negoziato a Parigi ha registrato un fallimento, aggravato dalla firma unilaterale della delegazione kosovara di un accordo, in parte ancora da definire, per giustificare come inevitabile l'intervento militare della Nato.
- L'inquietante susseguirsi degli avvenimenti pone in primo piano il prevalere della
volontà degli Stati Uniti nell'imporre con ogni mezzo la presenza della Nato per dirimere un conflitto al di fuori
dell'ONU e senza alcuna autorizzazione del Consiglio di Sicurezza all'uso della forza.
é di tutta evidenza che si cerca di creare un consistente precedente. Dopo il crollo del muro di Berlino e la fine dell'Unione Sovietica gli Stati Uniti si sono trovati, anche per il ritardo dell'Unione Europea nel definire una comune politica estera e di sicurezza, ad essere l'unica potenza mondiale. Nello svolgere questo ruolo dominante la Casa Bianca
é entrata più volte in conflitto, specie nei casi di uso della forza, con l'ONU
perché, oltre alla difficoltà di mettere d'accordo i molti Paesi che ne fanno parte, la presenza della Russia e della Cina, con un diritto di veto pari al proprio,
é un rilevante condizionamento. Di qui la propensione ad indebolire l'ONU e a metterlo praticamente fuori gioco. Lo si
é visto con i bombardamenti dell'Iraq e, ancora più pesantemente, nella crisi dei Balcani. Questa tendenza degli Stati Uniti ad un potere totale ed incontrollato, imperiale,
é assai rischiosa. E del tutto avventuroso é il tentativo di trasformare la Nato da alleanza difensiva a braccio armato indiretto di polizia internazionale. L'Europa non
può assecondarla, non deve divenire un gendarme del mondo teleguidato dalla potenza americana,
perché rinuncerebbe ad essere, a scala mondiale, un punto di riferimento politico di altri Paesi, grandi e piccoli, industrializzati ed in via di sviluppo, che non vogliono diventare colonie. Non
é in discussione l'opportunità di una leale amicizia con gli Stati Uniti, di alleanze fedeli agli obiettivi per i quali sono state contratte, ma il mantenimento di questi impegni non
può essere alternativo ad una operante autonomia politica rispetto alla situazione mondiale, ed alle sue crisi, e soprattutto ad un rapporto di piena collaborazione con
l'ONU sulla base dei principi enunciati dalla Carta di S. Francisco. Né si tratta di negare un ruolo di primo piano degli Stati Uniti nelle relazioni internazionali. Quello che va ostacolato
é una degenerazione imperiale, di potere assoluto, che snaturerebbe quell'apporto allo sviluppo del sistema mondiale, alla tutela del diritto dei singoli Stati, alla cooperazione in tutti i campi, al rafforzamento dell'0nu che grandi presidenti americani, da Wilson a Roosevelt a Kennedy, hanno scelto come grandi obiettivi della democrazia americana. Molti, del resto, si interrogano anche negli Stati Uniti, da Kissinger ai repubblicani del Congresso, sulla
improduttività di bombardamenti non accompagnati da un'azione di terra nei Balcani e sull'incerta definizione degli interessi vitali del Paese in gioco in quell'area.
- Il tentativo degli Stati Uniti di sperimentare nei Balcani il loro nuovo disegno strategico pone non pochi problemi. La congiuntura drammatica della crisi del Kosovo ha portato gli europei a sottovalutare passaggi che hanno via via portato ad una sia pure non durevole logica dei fatti compiuti. La fase negoziale successiva a Rambouillet, anzitutto. Prima della ripresa delle trattative a Parigi gli Stati Uniti hanno sviluppato fortissime pressioni sulla delegazione kosovara, scomodando persino militari Nato, per
ottenerne la firma agli accordi nel loro insieme e mettere in mora la controparte serba. Questa accelerazione, voluta o subita dai co-presidenti della Conferenza, ha impedito di entrare nel merito dell'allegato militare ed ha fornito alibi a Belgrado per rifiutare il complesso dell'accordo. Si
é giunti così ad un presunto accordo firmato da una sola parte, non discusso in punti essenziali, che
é stato utilizzato, con un cinismo senza precedenti, per giustificare l'intervento armato della Nato sino a quando non
sarà accolto senza discutere dalla Serbia. Già questa premessa getta pesanti ombre sull'avvio, a base di devastanti bombardamenti, dell'azione militare di un gruppo di Paesi guidati, nella sostanza, dagli Stati Uniti. Ma il "vulnus"
più grave riguarda lo snaturamento del ruolo della Nato. L'Alleanza atlantica ha nettamente specificato, nel Trattato che la regola, la sua
finalità esclusivamente difensiva, nel caso di attacco a uno qualsiasi dei Paesi membri, da intraprendere, in ogni caso, con un raccordo con il Consiglio di Sicurezza
dell'ONU per gli sviluppi del conflitto. Gli articoli 5 e 6 sono espliciti ed hanno assicurato sicurezza e pace per un lungo periodo.
Così come il collegamento con l'art. 51 della Carta delle Nazioni unite, con procedure che legittimano da parte
dell'ONU il ricorso alla forza, non lascia alcun dubbio. Ne consegue che l'uso della Nato per interventi militari in Paesi terzi, dotati di una loro
sovranità, senza autorizzazione del Consiglio di Sicurezza si profila come illegittimo sotto il profilo del diritto internazionale. Questo vincolo non
é un impedimento all'azione, nel quadro della cosiddetta "ingerenza umanitaria", come
é dimostrato dall'autorizzazione dell'ONU nei casi dell'Iraq, per la guerra del Golfo, e della stessa Bosnia. Del tutto giusta era la richiesta francese, poi abbandonata, di non prescindere dal coinvolgimento del Consiglio di Sicurezza
dell'ONU. Il precipitare degli eventi lascia sul terreno, insieme alle incognite di una guerra avventurosa, molte macerie anche sul terreno dei corretti rapporti internazionali e delle prospettive future della Nato.
- Le forzature che hanno fatto prevalere il punto di vista americano rispetto ad un atteggiamento incerto e ambiguo degli europei, privi di una comune politica estera e di sicurezza, non giova nemmeno al buon esito dell'intervento militare. Si obietta, da
più parti, sull'idoneità di devastanti bombardamenti aerei a raggiungere gli obiettivi proposti. Le condizioni della popolazione sono peggiorate, anche a causa del ritiro forzato degli osservatori dell'Osce e delle organizzazioni umanitarie. Sotto il terrore delle bombe di sviluppa con maggiore ferocia la "pulizia etnica" delle polizie speciali serbe.
é improbabile che possa riprendere, sotto la pressione di un brutale uso della forza, un negoziato od anche l'attenuazione del sentimento nazionalista che, al contrario, Milosevic sfrutta con cinica
abilità. In una situazione senza sbocchi può diventare necessario, con lo sviluppo di una guerra ad ampio raggio, un intervento di truppe ritenuto inevitabile da numerosi esperti che dividerebbe alleati in parte
già perplessi sulla continuazione dei bombardamenti e spinti, dall'opinione pubblica, a riaprire in qualche modo la via alle trattative di pace. Lo sblocco potrebbe derivare da una mediazione esterna, come quella della Russia, incoraggiata dalla Francia, che metta sul tappeto, come contropartita sostanziale, il possibile intervento di una forza multinazionale di interposizione, che non sia la Nato, a garanzia dell'attuazione della prima parte degli accordi di Rambouillet. Come potrebbero, del resto, essere accettate sul proprio territorio le forze che hanno devastato la Serbia con i loro bombardamenti ? Il bilancio politico dell'intervento
é deludente e lo sblocco non può essere considerato un successo. Anche sul piano delle relazioni internazionali gli effetti sono negativi. Per allargare ad est l'Alleanza atlantica si era faticosamente adottato, nel maggio del 1997, un accordo di "partnership" tra la Nato e la Russia che impegna le parti ad azioni congiunte per prevenire le crisi, tutelare la sicurezza in Europa con il ricorso all'Osce, in
conformità con quanto previsto dal capitolo VIII della Carta delle Nazioni Unite. Lo scopo era di attenuare
l'ostilità della Russia alla estensione, verso i suoi confini, di una alleanza militare come la Nato che ribadiva di essere strumento di difesa e non di aggressione. Tutta questa costruzione
é andata in frantumi. La Russia, che minaccia di non dare seguito agli accordi con gli Stati Uniti sul disarmo nucleare, ha addirittura espulso da Mosca i rappresentanti della Nato. Torna, questa volta per una pretesa di dominio militare dell'occidente, un nefasto clima da "guerra fredda" che consente alla Russia, alla Cina, a molti altri Paesi
ù nell'assenza colpevole dell'Europa ù di difendere il diritto internazionale, la
sovranità degli Stati, i principi della Carta delle Nazioni unite.
Si svolgerà in queste condizioni, in aprile, la Conferenza di Washington per celebrare i cinquant'anni della Nato. Di fronte al pericolo dell'espansionismo sovietico, l'Alleanza atlantica ha svolto per decenni una efficace funzione deterrente, ha salvato la pace mondiale, ha favorito intese sul disarmo e sulla sicurezza sancite dall'Atto finale di Helsinki, ha sconfitto, politicamente, il "patto di Varsavia" e la divisione in blocchi militari. In pochi mesi si
é trovata, in contrasto con i Trattati istitutivi, al centro di una rischiosissima guerra nei Balcani che riapre uno scontro inquietante anche con la Russia. Uno degli obiettivi della Conferenza di Washington
é quello di varare una nuova "dottrina strategica", per aggiornare i criteri operativi fissati a Londra nel 1990, che allarghi, in nome di una estensione arbitraria della nozione di sicurezza, i compiti difensivi della Nato ad interventi militari in qualsiasi parte del mondo ed anche senza il coinvolgimento
dell'ONU. é chiaro che per consentire una simile interpretazione dell'alleanza occorre una modifica sostanziale dei Trattati che
é compito degli Stati membri e non degli esperti militari del Pentagono. La Francia, giustamente, ha sempre sostenuto che interventi di questa natura sono possibili, in base agli accordi vigenti, solo attraverso la chiamata in causa
dell'ONU. I Paesi europei, e tra essi l'Italia, non possono venir meno alla chiarezza su questo punto che garantisce, oltre alla difesa ed alla sicurezza, una collaborazione positiva tra Europa e Stati Uniti nella costruzione di una pace fondata sul diritto. La crisi dei Balcani dimostra che
é stato ed é un errore emarginare l'ONU che va invece potenziato nel suo ruolo fondamentale. Una riattivazione delle Nazioni unite
é sollecitata, se non si vuole nuovamente andare al disastro della guerra, dalla tragica vicenda dei Balcani e non
può essere ignorata dalla Conferenza di Washington.
Roma, 30 marzo 1999
LUIGI GRANELLI