LA TERZA VIA DI SPADOLINI

 

Nel dar conto, con  la consueta precisione, della disputa sull'efficacia dell'azione di governo che ha coinvolto anche il PRI dopo il pesante intervento del senatore Vicentini, Giorgio Rossi ha segnalato su Repubblica (19 ottobre 1982) l'esistenza di due tendenze nel partito dei Presidente dei Consiglio. La prima, comprensibile, è quella di evitare se occorre con le dimissioni, a seguito di gravi inadempienze della coalizione, il logoramento dell'immagine positiva che il PRI si è costruito con l'opera del governo Spadolini. La seconda, pericolosa e discutibile, è quella di chi ritiene “forse preferibile”, per Spadolini, cercare di resistere ad ogni costo per poter poi essere lui stesso a gestire le elezioni anticipate-.

 

Circola molto, negli stessi ambienti parlamentari, questa ultima ipotesi. Qualcuno giunge a fissare date e bisbiglia di contatti in proposito tra diversi «leaders» politici e di una crescente predisposizione del presidente del Consiglio a questa inquietante soluzione. Non è pertanto fuori luogo qualche riflessione. Repubblica mi sembra la sede più adatta non solo per la sua apprezzabile apertura verso opinioni diverse, della quale ogni tanto approfitto, ma perché il suo direttore non lascia sfuggire occasione per convincersi di aver avuto ragione a sostenere in agosto le elezioni anticipate.  Le cose, allora, sono andate diversamente. Noi eravamo decisamente contrari, con le stesse motivazioni di oggi, allo scioglimento anticipato delle Camere e nel momento in cui il disegno sembra prendere nuovamente corpo riteniamo utile ribadire il perché. Sarebbe augurabile un confronto aperto su questo punto.

 

I sostenitori delle elezioni anticipate traggono le loro più importanti motivazioni dalle difficoltà dei governare, da un improduttivo clima elettorale che impedisce ai partiti scelte coraggiose, dall'aggravarsi in modo irreparabile della situazione dei Paese: tanto vale, essi dicono, voltare pagina e aprire una fase nuova e stabile, sulla base di un non revocabile accertamento dei consensi elettorali, con una nuova legislatura.  Nessuno può negare la pesantezza della situazione. li vero problema, certo, è quello di una dimostrata capacità di governare e di un utilizzo in positivo della legislatura attuale. 1 partiti, in questa ipotesi, potrebbero presentarsi nel 1984 agli elettori con un bilancio difendibile nonostante il perdurare anche in altri Paesi industrializzati di gravi difficoltà e, quel che più conta, risulterebbero credibili nei loro programmi futuri.

 

Torneremo su questo problema.  E' comunque evidente che per evitare le elezioni anticipate bisogna rimuovere, in modo persuasivo, le condizioni che possono renderle obbligate.  Ma non si possono dimenticare obiezioni corpose che rendono in ogni caso meno ottimistico il ricorso alle elezioni anticipate. Esse coinciderebbero con un fallimento della coalizione, con la dimostrazione clamorosa della incapacità di governo, in uno scontro di tutti contro tutti o nella riproposizione, scarsamente credibile, di programmi, formule, uomini, già sperimentati negativamente. Il pentapartito a guida laica, tanto per fare un esempio, dovrebbe paradossalmente presentarsi al Paese per chiedere una maggioranza parlamentare che già esiste, con larghi margini, e che non si è saputo utilizzare. E' immaginabile la frustrazione degli elettori ed il prosperare del disimpegno e dei partito delle schede bianche.

 

Lo scontro sarebbe inevitabilmente durissimo, la radicalizzazione della lotta politica tale da pregiudicare anche soluzioni alternative, ed è assai dubbio che dietro l'angolo di elezioni traumatiche ci sia la serena stabilità derivante dall'aver voltato pagina al momento giusto.  Non è la prima volta, nella storia, che democrazie più forti della nostra si sono dissolte con elezioni a ripetizione cui si è ricorso, sempre, nell'illusione di bloccare un processo di disgregazione.  Un ulteriore aggravamento della situazione a seguito di elezioni anticipate non è dunque da escludere.

 

Ma la netta contrarietà ago scioglimento delle Camere non può che essere ribadita, oltre che per questo, quando si pensi di giocare una carta così rischiosa per interessi di partito o di “leadership”.  Formica e Martelli, forse più di Craxi, pensavano che la crisi di agosto fosse l'occasione -buona soprattutto per una rivincita elettorale del PSI. il calcolo rimane da censurare e va respinto anche se fosse coltivato, erroneamente, dal PRI o dallo stesso Presidente dei Consiglio.  Non c'è questo pericolo, ma la scelta andrebbe osteggiata anche se cadesse in un momento giudicato elettoralmente favorevole per la Democrazia Cristiana.

 

E’ bene quindi ricordare che l'ostilità messa in luce, ad agosto, dalla DC non è stata il frutto di una tattica passeggera.  Se altri dovessero portare con la loro condotta il Paese alle elezioni la DC affronterebbe, senza alcun timore, la prova, ma in ogni caso deve essere prima dimostrato che sono state esplorate tutte le possibilità per assicurare, con il governo reale della crisi, la continuità della legislatura.  Questa reale e responsabile intenzione, non i fantasiosi complotti, ha indotto in agosto a clamorose ritirate che potrebbero ripetersi.

 

C'è una motivazione politica alla base di questa intransigenza.  Una legislatura che si interrompe traumaticamente, nel fallimento politico, facilita chi volesse impostare avventurosamente, su protagonismi personali e di partito, un confronto che si allontanerebbe ancora di più dai problemi reali del Paese e renderebbe più difficili intese successive ad uno scontro elettorale drammatico.  La scadenza normale, di una legislatura difficile che non ha esitato a ricorrere - se necessario - anche a forme temporanee ed inconsuete di governo per far fronte alle proprie responsabilità, conferma una tenuta di fondo delle istituzioni e costringerebbe i partiti ad un confronto pacato, costruttivo, caratterizzato dalla normalità della competizione politica democratica.

 

Ma per garantire in senso positivo, non come illusoria difesa corporativa la continuità della legislatura è necessario governare con efficacia, sviluppare con serietà il dibattito tra i partiti sulle prospettive future, abbandonare concordemente l’anticipo di un clima elettorale dannoso se non ha nemmeno lo sbocco delle elezioni.  Su questo Eugenio Scalfari ha pienamente ragione.

 

E’ questa la terza via che il PRI ed il Presidente Spadolini, insieme agli altri partiti della coalizione, dovrebbero percorrere sino in fondo rispetto alle due illusorie e pericolose ipotesi segnalate da Giorgio Rossi.  Il governo attuale, per alla quanto ci riguarda, può arrivare alla fine della legislatura ma proprio per questo non deve rinchiudersi in atteggiamenti puramente difensivi o praticare vistosamente la tecnica del rinvio.  Si sbaglia quando si respingono in blocco, per leso patriottismo di governo, critiche ingenerose, anche inaccettabili, che tuttavia contengono un fondamento di verità in materia di errate previsione di misure inadeguate, come di insopportabili diatribe tra i ministri, o consigli di revisione della politica economica, di concretezza operativa, di ricerca di intesa anche con le opposizioni e con le forze sociali ed imprenditoriali sui più drammatici problemi dei Paese.

 

Solo governando realmente non ci si logora e a questo fine è più utile l'apporto critico di chi sollecita in questa direzione che la difesa d'ufficio, spesso tattica e furbesca, di un immobilismo che porta al fallimento. il Presidente Spadolini dovrebbe riflettere su questo amichevole invito. Ed in ogni caso non dovrebbe scordare che se il prevalere dell'irresponsabilità portasse ad una pericolosa crisi di governo non è automatico (e vi sono forze decise a dimostrarlo) lo sbocco verso elezioni anticipate.  Opportunità politica e regole costituzionali impongono un diverso anche se difficile e imprevedibile percorso.

 

Quanto è accaduto in agosto potrebbe ripetersi anche con diversi protagonisti perché nell'ipotesi di uno scontro che può travolgere la democrazia deve essere chiaro per gli italiani il comportamento di chi fino all'ultimo ha cercato di evitarlo e di chi se ne è fatto corresponsabile.

 

la Repubblica
6 novembre 1982
Luigi Granelli