PERCHÈ CONSIDERO CONCLUSA LA MIA MILITANZA NEL PPI

Assemblea congressuale del PPI a Rimini, 2 ottobre 1999  (registrazione audio integrale **)

Il mio intervento sarà diverso da quelli che ho fatto in quasi tutti i congressi della DC e poi del PPI. Devo solo spiegare le ragioni di una non facile scelta. Il mio pensiero sulla grave crisi del partito e sulla situazione politica è noto. Chi mi ha letto sul Popolo, su altri quotidiani, sulla rivista di Giovanni Galloni, conosce le mie opinioni che ho divulgato senza risparmiare energie. Il mio pensiero sulla grave crisi del partito e sulla situazione politica italiana è abbastanza noto. Devo dire che ho riscontrato confortanti lettere e telefonate da militanti e iscritti, ma ho dovuto constatare con amarezza che, al contrario, c'è stato un assordante silenzio dei dirigenti nazionali ed anche di quelli periferici che non hanno raccolto nemmeno le provocazioni che erano state fatte per alimentare un dibattito.

E io temo molto, amici, perché quando il dibattito sulle idee sparisce nel partito, il partito rischia molto. Restano solo i contrasti personali; e tutto quello che avremmo dovuto discutere, non siamo riusciti a discuterlo.

Svolta radicale per superare la crisi del PPI

La caduta del dibattito interno fa temere per il futuro del partito. Il silenzio di Martinazzoli pesa su questo congresso come la implicita denuncia di una mancata chiarificazione politica e di metodo. La bruciante sconfitta elettorale, il girare a vuoto attorno al tentativo di mettere in piedi una federazione di centro fatta di generali senza truppe, la crescente subordinazione al Governo D'Alema, richiederebbero al PPI una svolta radicale che non si intravvede. Bisognava avere il coraggio di accettare a luglio le dimissioni di Marini e dell'intera Direzione e impostare su un credibile segnale di cambiamento un congresso straordinario che poteva rianimare una periferia frustrata. Vedo che anche De Mita è ora critico sul rinvio deciso dal Consiglio Nazionale con il suo concorso, ma è tardi.

L'analisi della crisi non è stata approfondita in vista di Rimini. Al posto del dibattito, della definizione delle piattaforme dei candidati, si sono infittite le manovre, le ipotesi di scambio di voti, per chiudere il congresso ancor prima del suo inizio. L'impostazione dell'Assemblea non ha favorito la riflessione. In una situazione così grave Moro avrebbe aperto il confronto interno con una relazione autocritica di ampio respiro, invitando tutti a essere oppositori di se stessi, ad intraprendere un cammino nuovo, per salvare non le fortune di un ceto dirigente ma il destino del partito.

Si è fatto l'opposto. Del resto lo abbiamo sentito qui. Il segretario Marini non ama l'autocritica, riconosce con fatica che può avere sbagliato qualche volta. I candidati alla segreteria non amano parlare della gestione del passato. I grandi problemi del Paese sono assenti da una discussione più preoccupata dei problemi organizzativi che di quelli politici. Si discute infatti più di forme organizzative, di statuto, di regole, di come ognuno si elegge i suoi consiglieri nazionali a parte dal Congresso, piuttosto che invece di questioni politiche, che sono fondamentali. Torna la tentazione di disfare il partito che c'è, per dar vita a soggetti politici nuovi che non si sa cosa sono. Se mancherà il coraggio di rimuovere le cause della crisi, il partito sarà travolto da un inevitabile declino.

Eppure alla base della nostra crisi non c'è soltanto l'esito elettorale  disastroso. La caduta di visibilità del PPI risale alla caduta del Governo Prodi e all'ascesa di D'Alema a Palazzo Chigi, senza una investitura elettorale.

Si è commesso un grave errore scartando formule transitorie che avrebbero consentito, dopo l'elezione del Capo dello Stato, di riprendere il cammino interrotto dell'Ulivo. Questa scelta sbagliata, che ha diviso a metà il partito, ha avuto seguiti negativi nella rottura con Prodi anche per le elezioni europee, in una battaglia per il Quirinale intesa come compensazione alla rinuncia a Palazzo Chigi, nella sterile ricerca di un centro trasformista quasi che il PPI non possa sviluppare un ruolo autonomo, propositivo, efficace, nel centro-sinistra. Ma anche prima vi sono stati cedimenti gravi.

Nella Bicamerale non si è difeso con coerenza il progetto del Cancellierato, della coalizione di legislatura che si presenta agli elettori con un programma comune, del voto di sfiducia costruttiva che garantisce la stabilità dei governi nel rispetto del ruolo del Parlamento. Si è andati a rimorchio di D'Alema sul terreno scivoloso di un avventuroso semipresidenzialismo, di un federalismo povero di contenuti e senza Camera delle Regioni, degli scambi sulla giustizia con Berlusconi, delle incursioni persino sulla prima parte della Costituzione.

Non c'è spazio per la critica e per le Idee

Di fronte all'esito negativo della Bicamerale non c'è stata ripresa di autonomia del PPI sui temi costituzionali. Non si reagisce al tentativo di D'Alema di riproporre, d'intesa con Berlusconi, pezzi disorganici di riforma preconfezionati nella Bicamerale. Altri cedimenti si profilano per la legge elettorale. La nostra originaria proposta di un sistema alla tedesca, con sbarramento, premio di maggioranza e sfiducia costruttiva, è rilanciata da altri. I popolari assecondano invece Veltroni e D'Alema, chiedendo qualche contropartita, nei tentativi di varare una legge elettorale che annulli la quota proporzionale e la visibilità dei partiti a vantaggio della sinistra.

Questa pratica del compromesso ha indebolito anche il nostro radicamento nella società. Non si raccoglie consenso contando solo sull'azione di governo. Moro aveva ammonito che il partito deve interpretare le inquietudini della società, dare voce ai deboli, ai disoccupati, proporre uno sviluppo fondato sulla solidarietà e non sul puro tornaconto del mercato, impegnarsi in una riforma dello Stato che non stravolga la Costituzione, concorrere alla costruzione di un ordine internazionale ispirato a diritto e giustizia più che all'uso delle armi.

Assai gravi sono stati i comportamenti del partito sulla guerra nel Kosovo e sulle forzature per un intervento della Nato, senza autorizzazione dell'ONU, sostenuto da D'Alema soprattutto per legittimarsi verso gli Usa. Nessuna obiezione o riserva è venuta dai popolari. La pace, il diritto internazionale, il rispetto dei Trattati che, per l'alleanza atlantica, sono di natura difensiva, sono valori essenziali radicati nella coscienza dei cattolici, difesi con vigore profetico da Giovanni Paolo II, sempre rispettati dalla DC. E' gravissimo che in Parlamento si sia levata solo la voce critica di Andreotti, in una linea di continuità con l'eredità in materia di politica estera di La Pira, Fanfani e Moro, mentre i Ministri popolari ed il partito hanno solo elogiato D'Alema, difeso più dalla destra che dalla maggioranza di governo.

Da posizioni chiare su questi contenuti ideali e programmatici trae forza una coerente vocazione di governo. Sembra invece caduta l'ambizione di raccogliere il monito di Moro, di elaborare in autonomia politica proposte di riforma che tengano conto del Magistero della Chiesa, degli insegnamenti del Concilio, per porle alla base di accordi in pari dignità con le altre forze politiche. Prevale l'arroccamento in difesa della maggioranza che c'è, di un ruolo residuale che non suscita speranze e ripresa di fiducia nel Paese.

Non esiste popolarismo senza partito

Non si intravvedono, allo stato attuale, le condizioni di una svolta radicale per far riprendere al partito il ruolo scelto al momento della sua fondazione. L'insidioso e provocatorio intervento di Cossiga rovescia l'impostazione culturale e politica su cui è nato il PPI. Sconcertante è stata l'accoglienza che gli ha riservato il congresso, andando al di là di una comprensibile cortesia. Conosco Cossiga da molto tempo. Abbiamo fatto insieme importanti battaglie nella DC, prima delle picconate che hanno concorso a distruggerla. Per questo bisogna saper individuare, dietro i suoi toni ironici e brillanti, il disegno politico di destabilizzazione che persegue. Sul già confuso progetto di Marini ed altri dell'Assemblea costituente del centro, egli ha posto ieri, con il suo intervento, la pesante ipoteca di un giscardismo senza anima che avrà effetti devastanti sul futuro del PPI.

La sua irridente, ingiusta, polemica con Parisi, aveva ed ha lo scopo di alzare una barriera insormontabile sulla ricostituzione dell'Ulivo e non può essere condivisa dai popolari che vogliono aprire un dialogo serio con Prodi. Se il percorso di Cossiga non sarà interrotto in tempo porterà in un vicolo cieco il PPI. Ma anche in periferia non si avverte quella spinta che sarebbe necessaria per un radicale cambiamento di rotta a livello nazionale. Galbiati ha detto che c'è stata una riflessione in Lombardia: il confronto interno non c'è stato. Non si è quasi mai parlato di politica. Si è parlato soprattutto di partito del nord, di una questione settentrionale avulsa da ogni visione nazionale ed europea, di statuti e di regolamenti federali per spartire il potere residuo e ridurre al nulla il partito nazionale, come si è visto anche nella penosa discussione statutaria in Assemblea.

C'è una pericolosa tendenza a rifugiarsi in partiti territoriali con l'illusione di salvare il salvabile. Martinazzoli ha accompagnato critiche condivisibili alla gestione nazionale del PPI con la proposta ad alto rischio di una scomposizione regionale del partito da ricomporre poi su basi federali. La tardiva frenata sul partito del nord ha solo aumentato una discussione bizantina. Molti, in Lombardia, sostengono che l'Assemblea di Rimini deve essere solo il punto di partenza di un processo costituente verso un nuovo soggetto politico. Invece di battersi per un immediato cambiamento di rotta politica del partito si pensa solo a nuovi statuti, da varare entro l'anno nelle diverse regioni, alla sostituzione del Consiglio Nazionale e della Direzione con organi composti sulla base di quote regionali, alla nomina in secondo grado di un Segretario nazionale coordinatore. E' una scorciatoia che aggraverà la crisi del partito ad ogni livello.

Non è questo il PPI cui ho dato la mia adesione. Scompare il partito nazionale, democratico, ad ispirazione cristiana, con una forte articolazione di poteri alla periferia, con una identità riconoscibile in tutto il Paese. Già una volta Martinazzoli ha sciolto senza alcun congresso la DC cui avevo aderito e mi sono trovato, dopo le speranze sturziane dell'inizio, con Buttiglione segretario. Ora si cerca la discontinuità dal PPI per fare un partito regionale senza tessere, senza sezioni, che spera di sopravvivere nelle istituzioni grazie ad un capo carismatico e ad una lista unica.

Sorge : non si rianima il popolarismo in un Polo

Non sono interessato ad un percorso simile. Pur essendo lombardo non aderirò ad un partito locale in contrasto con le scelte di fondo di cinquant'anni di battaglie ideali e politiche. Martinazzoli e padre Sorge sbagliano a pensare di rianimare il popolarismo sturziano in un Polo di centrosinistra senza partiti. Su quella via c'è solo una già sperimentata omologazione con una sinistra sempre meno riformista che punta ai voti dei cattolici più che ai loro valori.

Assai scarsa è anche a livello locale la disponibilità al rinnovamento della politica e della vita di partito. Si notano le stesse chiusure, lo stesso culto degli organigrammi, che si denunciano in campo nazionale. Se si chiedono e si hanno incarichi si può forse esercitare qualche influenza. Il contributo di idee non trova ascolto e diventa assolutamente irrilevante. Ho dichiarato di non reclamare posti di compenso sin da quando ho lasciato spontaneamente il Parlamento. Quello che potevo offrire era solo un contributo di analisi e di proposta in uno spirito di servizio che trova sempre meno spazio. Per questo avevo anche annunciato da tempo di non candidarmi per il Consiglio Nazionale.

Considero importante l'invito di Scalfaro a Lavarone. Ci sono stagioni politiche che si concludono per tutti. Si possono testimoniare le proprie idee anche con altri mezzi. Sbagliano gli amici della mia generazione che pensano invece di condizionare in eterno la vita di un partito che tocca ad altri gestire senza insopportabili tutele. E' per l'insieme di queste ragioni che ho maturato la scelta, non facile per me, di considerare irrevocabilmente conclusa la mia militanza nel PPI. E' un distacco che mi costa, ma che ho deciso con serenità e piena consapevolezza.

Interruzioni del congresso - No. No. Non puoi farlo. Devi restare. Sei una risorsa del partito.

Apprezzo i vostri sentimenti, ma le scelte personali vanno rispettate. E poi mi conoscete abbastanza e sapete che dico sempre quello che penso e faccio quello che dico. Il mio intervento potrebbe finire qui. Sento solo il sincero desiderio di ringraziare i molti amici con i quali ho combattuto tante battaglie nel partito, ed anche quelli che sono stati oggetto delle mie critiche, a volte aspre, ma mai influenzate da rancore personale. Ma dopo più di cinquant'anni di impegno nella DC e nel PPI posso forse contare sulla vostra cortesia per consegnare alla vostra riflessione due ultime, grandi, preoccupazioni che hanno influenzato le mie decisioni.

Ripartirete dall'Assemblea costituente ?

La prima preoccupazione riguarda il partito. Dovreste avere il coraggio di ripartire dall'Assemblea costituente del PPI, non da quella avventurosa di un mediocre e variopinto centro che avrà solo l'effetto di ritardare il rinnovamento del partito. Si è in pratica abbandonato il progetto di un partito di nuova impostazione, ricco di dibattito interno, dotato di strumenti di studio e capace di elaborare proposte coerenti con i valori del cattolicesimo democratico, di promuovere il massimo di partecipazione e di formazione di una nuova classe dirigente. La gestione del potere ha spesso portato a smarrire una strada che doveva riqualificarci e recuperare il meglio della nostra esperienza storica.

Ci sarà il coraggio di ricominciare ? Non basta aggiornare la struttura organizzativa, adeguarla ad un rapporto con la società e con le istituzioni diverso dal passato. Bisogna recuperare la funzione del partito prevista dalla Costituzione e superare le degenerazioni della partitocrazia. Occorre definire meglio le ragioni ideali dell'impegno politico, rinnovare il costume interno e moralizzare il rapporto con le istituzioni, fare spazio alla ricerca e allo studio perché, come ricordava Moro, senza pensiero politico non ci può essere una incisiva e coerente azione politica.

Va preservato e aggiornato il monito di Zaccagnini. Proprio perché si diffonde in tutti i partiti un pragmatismo senza principi, si tagliano le radici con il passato, si abbandona la riflessione culturale, i popolari dovrebbero fare il contrario per ridare alla politica speranza e tensione ideale. Poco o nulla si è fatto in questa direzione. Manca al PPI una rivista di pensiero, non ci sono centri studi, la formazione dei quadri non è più un obiettivo.

Se non si torna a questa concezione del partito anche la difesa dell'identità diventa astratta declamazione. Un partito si qualifica per le proposte che fa sulla base dei propri valori non per affermazioni di principio che non trovano riscontro nei suoi comportamenti. Bisogna abbandonare la tentazione di dissolvere il partito in eterogenee e opportunistiche federazioni di centro. Non serve nascondersi in un partito unico, da chiunque proposto, o in blocchi elettorali senza rispetto delle diversità.

E' assai rischioso a questo proposito il passaggio delle prossime elezioni regionali. La proposta di dar vita, caso per caso, a liste con un unico simbolo in cui i partiti rinuncino ad una presenza visibile è purtroppo condivisa da popolari autorevoli che non avvertono i pericoli di annullamento del ruolo del PPI. Luigi Sturzo, in una circolare pre-elettorale, condannava i partiti che cercano in ibride coalizioni locali il consenso, attraverso vecchie clientele, per poi riprendere nell'assetto parlamentare la propria personalità al di fuori di ogni influenza elettorale e rivendicava il merito dei popolari di presentarsi, anche in eventuali alleanze, con la propria bandiera, sostenendo un programma specifico.

E' un insegnamento da non dimenticare. Tanto più che la prova regionali peserà sulle successive elezioni politiche. Ma sarà in grado il PPI di interrompere un cammino che molti danno per scontato ?

Sarete in grado di porre la questione del governo ?

La seconda preoccupazione che consegno alla vostra riflessione riguarda la partecipazione dei popolari al Governo e, più in generale, i rapporti del PPI con la sinistra. Ci sono state negli ultimi tempi polemiche dei popolari rispetto al modo di governare. Anche in congresso si sono levate voci critiche. Sono stati detti alcuni no giustificati alla ipotesi di una lista unica proposta da Palazzo Chigi. Ma, nonostante questo, il Presidente del Consiglio l'ha riproposta in congresso con abilità tenendo fermi i suoi obiettivi. Non bisogna farsi ingannare dalle parole. D'Alema sa valutare le decisioni politiche, avverte il clima non tranquillizzante, ma non si impressiona certo per i soli mugugni o per le grida manzoniane che non sfociano in atti coerenti con le critiche. La sua strategia è stata riproposta nella sostanza anche nell'intervento di ieri.

Il Presidente del Consiglio ha cercato di cambiare le carte in tavola con toni rassicuranti. E' vero che D'Alema non ha usato il termine partito del Presidente. Ma quando annuncia addirittura in una sede di governo che la maggioranza c'è, che il candidato premier c'è, che si tratta solo di abolire la quota proporzionale e di mettere in soffitta i simboli di partito, l'esito politico non è per nulla diverso. Né apre spazi reali a decisioni collegiali la disponibilità a passare la mano per la leadership, se questa scelta dipende da una sua improbabile convinzione che ci possa essere un candidato migliore.

Non molto diverso è il progetto del grande Ulivo che Veltroni, in un abile gioco delle parti, propone con il consenso di D'Alema. I popolari non possono accettare a scatola chiusa una simile ipotesi. Nel suo intervento al congresso D'Alema ha anche dimostrato di voler continuare nella sua cattiva abitudine di distribuire le parti alle forze politiche, di affidare missioni speciali ai popolari. Ci ha invitati ad essere contro Berlusconi da lui considerato, al contrario, un interlocutore privilegiato in molte occasioni. Ci affida in continuazione il compito di fare il centro con Cossiga, quasi non fossimo un partito che ha il diritto di decidere in autonomia quello che deve fare o non fare.

Lo scopo di D'Alema è chiaro: la maggioranza costituita per portare a termine la legislatura, condizionata dal trasformismo di parlamentari eletti contro il centro-sinistra e contrari a qualsiasi riedizione dell'Ulivo, deve valere anche per le prossime elezioni. Non conta che la maggioranza sia divisa su problemi cruciali. Il Governo c'è, è il migliore possibile, e deve andare così com'è alle politiche del 2001! I partiti del centro-sinistra non devono porsi il problema di predisporre un programma per la prossima legislatura, di costruire una coalizione più forte e coesa, di scegliere collegialmente un candidato Premier. D'Alema ha già annunciato a Villa Madama che il Governo in carica, dopo aver abolito la quota proporzionale, si presenterà alle elezioni con una lista unica e mettendo in soffitta i simboli di partiti quasi sciolti per decreto.

D'Alema non può affidare compiti ai partiti

Il Governo si trasforma così in un inaccettabile partito del Presidente in contrasto con le regole della democrazia parlamentare. Non c'è stata una reazione adeguata a questa allarmante proposta. Il PPI non può allinearsi passivamente alla falsa dottrina del pensiero unico, del governo unico, del partito unico. Questa strategia non ha nulla a che vedere con la costruzione di una coalizione tra partiti diversi, aperta ad energie vitali della società civile, proposta agli elettori nel 1996 e da difendere senza esitazioni anche nelle elezioni politiche del 2001.

Bisogna interrompere prima che sia troppo tardi questo disegno egemonico della sinistra che Veltroni, in un gioco delle parti con D'Alema, confonde ad arte con un grande Ulivo. Sono tutti stratagemmi per anticipare un presidenzialismo senza partiti che porrebbe fine al governo parlamentare. Il pluralismo della nostra democrazia va difeso con fermezza se si vuole salvare il ruolo dei partiti e del PPI. Per questo è urgente rompere politicamente l'appiattimento dei popolari su un modo di governare di D'Alema che non rafforza nemmeno la maggioranza.

Il navigare a vista espone ugualmente il Governo a rischi di crisi. L'esito delle regionali o il profilarsi di Referendum devastanti possono mettere in forse la legislatura. Elezioni anticipate in un clima di marasma favorirebbero una destra ancora più pericolosa del passato. Per questo il PPI non può attendere e dovrebbe promuovere un chiarimento di fondo nei rapporti con il Governo. E' insufficiente il tardivo no di Marini e di molti altri al partito del Presidente se, poi, tutto continua come prima nella coalizione e nei rapporti tra i partiti del centro-sinistra.

Anche Parisi sbaglia a confondere l'Ulivo del 2000 ed il partito unico proposto da Palazzo Chigi. Non portano al chiarimento gli ondeggiamenti dei democratici di Prodi per lusingare D'Alema a giorni alterni con la riserva di contrastarlo successivamente con il ricorso alle primarie. Bisogna chiarire in tempo utile come si porta a termine la legislatura, come si affrontano le prossime elezioni politiche. Persino Mastella minaccia di uscire dalla coalizione se non ottiene un rimpasto che compensi la sua insoddisfazione con qualche poltrona ministeriale.

Il PPI deve proporsi ben altri obiettivi. Non si tratta di minacciare uscite a dispetto dalla maggioranza, di esercitare ricatti o di limitarsi agli auspici. L'iniziativa, per essere efficace, deve mettere in conto anche l'appoggio esterno per portare a termine la legislatura e la ripresa di una maggiore autonomia nella preparazione delle elezioni politiche. Va rivendicato il diritto del PPI, dei partiti, a definire senza impropri condizionamenti, in un confronto aperto con i democratici di Prodi, la piattaforma programmatica e politica per le prossima legislatura, il tipo di coalizione tra forze diverse da presentare agli elettori in continuità con le scelte del 1996, l'indicazione collegiale di un Premier rappresentativo dell'intera maggioranza.

Non ci sono per i popolari alternative a destra. La scelta di fondo resta quella del centro-sinistra. E' il modo di essere nel centro-sinistra che va definito con chiarezza e che esige il netto rifiuto dell'annessione in uno scontro blocco contro blocco che la sinistra e la destra vorrebbero imporre a tutti. Non ci deve essere chiusura pregiudiziale. Il confronto tra PPI e sinistra deve avvenire in pari dignità, sui grandi problemi del Paese, sui valori reciprocamente irrinunciabili, non sulle operazioni di potere. Avranno i popolari il coraggio di porre in questi termini la questione del governo e i rapporti a sinistra e con le altre forze politiche? Non è una scelta facile, ma al di fuori di essa i rischi di subordinazione del PPI aumenteranno.

Non lascio il campo dei cattolici democratici

Sono queste le preoccupazioni maggiori che lascio alla vostra riflessione. Mi auguro che il mio pessimismo possa essere smentito. Ci sono ancora alcune possibilità di rilancio per il PPI, ma si deve operare una svolta radicale. Resto dell'opinione che l'amico Castagnetti per le sue doti personali, la sua coerenza, l'interpretazione aperta dei segnali di cambiamento della società, sia in grado di avviare una fase nuova nella vita del partito. La condizione irrinunciabile è che la sua investitura non sia condizionata da paralizzanti compromessi. Chi è lungimirante dovrebbe investire senza contropartite su questa scelta. Ai leader che contano voglio rivolgere un ultimo appello: non ponete condizioni al segretario che avrà il vostro voto. Un segretario dimezzato non serve al rilancio del partito. Fate scelte generose. Lasciate che il Segretario eserciti, in autonomia e per libera scelta, il suo diritto di proposta sugli assetti del partito, sulla composizione della Direzione e sull'affidamento degli incarichi, sul modo di organizzare i lavori del Consiglio Nazionale.

Ho rispetto per gli altri candidati, ma vedo prevalere nelle loro impostazioni fattori di continuismo e persino di arretramento rispetto a quelli del cambiamento di prospettiva. Il futuro del PPI è comunque nelle vostre mani. Seguirò con grande attenzione lo sviluppo degli avvenimenti, Non abbandonerò il campo dei cattolici democratici. Mi dedicherò all'Associazione dei popolari intransigenti, fondata con altri amici anni fa proprio per difendere, sul piano culturale e politico, i valori del cattolicesimo democratico, le conquiste della Costituzione, una visione di grande respiro dei rapporti a sinistra.

Ho anche in animo di curare alcune pubblicazioni su importanti momenti della nostra storia politica che mi hanno visto direttamente coinvolto per dare alle nuove generazioni motivi di utile riflessione. Non mancheranno occasioni di dialogo tra noi. La ripresa del PPI può essere ancora possibile se, anziché rincorrere il giscardismo inconcludente di Cossiga ed il contrattualismo di potere di Mastella, i punti di riferimento dei popolari resteranno Sturzo, De Gasperi, Dossetti, Moro, Vanoni. Se si torna alle origini ideali del nostro movimento c'è spazio anche per ricomporre dal basso una diaspora che condanna i cattolici italiani alla irrilevanza politica. Dipende dalle vostre scelte la possibilità per il PPI di uscire dalla crisi guardando in avanti. Spero ancora che non vi manchi questo coraggio.

Luigi Granelli

** il testo è stato corretto da Luigi Granelli prima della pubblicazione