Arturo Bodini: Dalla Seconda Repubblica a oggi. Così è cambiata la politica italiana (www.affaritaliani.it, 8 Luglio 2014)

Arturo Bodini analizza l'evoluzione politica dagli Anni Novanta ad oggi, ricordando la figura di Luigi Granelli, ex vice presidente del Senato che nel 1993 diventò commissario della Dc di Monza. Al fianco di Granelli, Martinazzoli (fondazione del PPI) e Andreatta.

Conobbi Luigi Granelli nel marzo del 1993 in Monza. Egli era allora vice presidente del Senato ed aveva assunto l’onere di commissario della Dc di Monza. Ero da poco entrato in politica ed avevo visto franare uno dopo l’altro i partiti della prima Repubblica sotto le inchieste dei giudici. L’epicentro di queste inchieste era la Lombardia con vertici a Milano, Varese, Monza. Granelli appariva come l’ultimo baluardo a questa frana che stava distruggendo tutta una classe dirigente. Ogni giorno i giornali davano notizie di nuovi inquisiti, personaggi che fino a pochi giorni prima sembravano intoccabili erano esposti alla gogna mediatica. In questo frangente mi avvicinai a Luigi Granelli perché appariva come l’unico riferimento istituzionale credibile. E così si dimostrò.

Dopo quasi cinquant’anni di Dc per la prima volta in Italia vedeva sorgere alla sua destra una formazione politica di forte determinazione e di grande pericolosità, che ambiva a governare il Paese. Berlusconi aveva fatto dell’anticomunismo il suo cavallo di battaglia ed aveva capito che l’ostacolo più grande alla conquista del potere politico così come lui lo intendeva, avulso da rigorose regole democratiche, era la Costituzione che sanciva un patto democratico fra tutti gli italiani antifascisti che includeva anche il Partito Comunista.

Per iniziare a far sintesi politica di quel periodo genericamente noto come “Seconda Repubblica”. Occorre avviare una riflessione a tutto campo partendo dall’azione politica di Granelli che dal 1994 al 1999, anno della sua morte, ha offerto preziose ma inascoltate opzioni politiche, per delineare così alcuni passaggi cruciali debitamente ignorati da una classe politica (proveniente dalla Democrazia Cristiana) che gestì quel momento politico (frase  ricorrente che ho colto sulla bocca di più di un autorevole personaggio per emarginarlo fu “ Granelli è malato”).

Granelli non fu solo in quella battaglia. L’assonanza politica fu concertata soprattutto con  Martinazzoli (fondazione del PPI) e con Andreatta (candidatura di Prodi e proposizioni dell’Ulivo).

Mi sono avvalso principalmente dei seguenti documenti oltre ovviamente alle tante testimonianze, sopra tutto  personali:

  1. Messaggi in bottiglia di Luigi Granelli cronache del 1994
  2. Statuto dell’associazione Popolari Intransigenti
  3. Documenti dal 1 al 7 dell’associazione Popolari Intransigenti
  4. Documenti dal 1 al 9 dell’associazione Popolari Intransigenti, serie Costituzione
  5. Perché lascio il PPI, Nuova Fase, intervento del 1999 al congresso di Rimini di Luigi Granelli

1) Battaglia per il nome DC:

Granelli si era impegnato in una dura battaglia per conservare il nome della DC ma alla fine accettò l’idea di fondare un nuovo partito: “L’idea di dar vita al Partito Popolare Italiano, in sostituzione della Democrazia Cristiana, nasce da una scelta giuridica che non si può ostacolare con cavilli giuridici. A certe condizioni può essere condivisa. Difendo da tempo la nuova DC, anche come nome, per ragioni ideali, storiche e politiche proprio perché esse richiedono una rottura netta con le inammissibili degenerazioni degli ultimi anni, ma non contesto la sua trasformazione in PPI …… La DC, rispettando le procedure previste , può essere sciolta. Nessuno può opporsi alla formazione, su basi interamente nuove, del PPI. I cittadini che lo vogliono possono costituirsi, liberamente, in un partito del tutto nuovo per concorrere in base all’art. 49 della Costituzione ”a determinare con metodo democratico la politica nazionale””. ( Il Giorno 10 gennaio 1994)

Martinazzoli gli da ampie garanzie (pur se ha qualche eccesso centrista) ed entrambi hanno come riferimento il Partito fondato da Sturzo nel 1919 e considerano tuttora valide gran parte delle idee che l’hanno accompagnato.

2) Rinuncia alla candidatura:

“Bisogna che anche chi non è discusso moralmente e può rivendicare una lunga, coerente, e trasparente militanza dia l’esempio nel favorire il più ampio ricambio di una rappresentanza politica. Torno nei ranghi e resto al servizio del partito, sempre che rimanga in campo una forza popolare e riformista che tenga rigidi, come ha fatto la DC nei passaggi cruciali, i suoi confini a destra e mi consenta non solo di morire ma di vivere, nelle idee e nell’azione, da democratico cristiano come, ai tempi di Sturzo, Francesco Luigi Ferrari, Donati e tanti altri. …”. (Vimercate 15 gennaio 1994).

Il suo fu un atto di generosità (termine da Granelli particolarmente usato) ma non si rese del tutto conto che uscendo dalle istituzioni avrebbe notevolmente depotenziato la carica innovativa della sua azione politica.

3) Il pericolo della destra:

Un articolo di Franco Monaco comparso su “Avvenire”gli da occasione di una analisi dei partiti in campo e delle possibili future alleanze dei cattolici democratici, soffermandosi su Berlusconi scrive: “L’approccio alla politica di Berlusconi è sin troppo eloquente. Dopo aver dimostrato come intende i rapporti con le istituzioni nel periodo in cui, con pressioni al limite della legalità, fece passare, d’intesa con Craxi, la legge Mammi a scandalosa tutela dei suoi interessi, egli scende ora in campo per unire la destra, non rassegnato a perdere Fini, con intenti esplicitamente conservatori, addestra candidati come manichini spersonalizzati, fa leva più sui mezzi di informazione che sui programmi o le idee. Ci vuole molta fantasia per appellarsi a lui al fine di salvare il centro. “

Nello stesso articolo a proposito della formazione di un centro sinistra moderato sottolinea “Per giungere a questo traguardo, di compiuta stabilizzazione democratica, non basterà una legislatura di transizione. Moro diceva, a chi voleva anticipare questo esito positivo,che anche la politica deve vivere il tempo dato e non è praticabile, a breve, un signorile alternarsi al potere tra schieramenti di centro-destra e centro-sinistra che isolino le posizioni estreme. …” . (Avvenire 18 gennaio 1994)

22-01-1994 Fondazione del PPI

4) Le insidie della videocrazia:

“Siamo più vicini ad una pax televisiva in regime di duopolio, quasi ad una spartizione concordata dei gusti della platea degli utenti, che non ad una libera e dialettica competizione al servizio della obiettività, imparzialità, completezza dell’informazione. Berlusconi ha lasciato, per impegnarsi come è suo diritto in politica, la presidenza della Fininvest a Confalonieri, ripetendo il gioco della cessione del “Giornale” al fratello, ma si è visto con il licenziamento in tronco di Montanelli e l’utilizzo del quotidiano per la propria campagna elettorale chi controlla, in pratica, questi strumenti.  Del resto chi si allea a “Forza Italia”  dice apertamente che, tra i vantaggi, c’è quello delle televisioni, date in concessione dallo Stato, che altri non hanno.

Non si può essere inerti di fronte a queste aperte violazioni della legge Mammì, alla scandalosa disparità tra chi controlla potenti “mass media”  e chi non è nemmeno garantito nemmeno dal Servizio pubblico. …” (Avvenire7 febbraio 1994)

Tornerà più volte sull’argomento contro  il sostanziale monopolio televisivo di Berlusconi ed anche più avanti con l’associazione Popolari Intransigenti consapevole della potenza mediatica dello strumento nelle mani della destra. Citerà più volte le cautele della legislazione statunitense contro i politici che hanno a disposizione strumenti mediatici.

5) Chiusura della corrente di base:

“Non abbiamo alcuna intenzione per rinnegare le tante battaglie fatte al servizio del partito, dei valori cristiani e democratici, del progresso economico-sociale, in continuità con i grandi ideali della Resistenza che hanno dato vita alla Repubblica, ma ora dobbiamo concorrere al cambiamento ponendo fine a forme di corrente organizzata superate dai tempi. Occorre dare il pieno sostegno al  PPI , nelle forme che ciascuno sceglierà liberamente, affinchè, in un giusto ricambio di responsabilità e di generazioni non si smarriscano la visibile ispirazione cristiana della politica, le regole democratiche nella vita del partito, una vocazione popolare e riformista inconciliabile con le spinte autoritarie e conservatrici della destra.”

A questa riunione tenuta a San Donato Milanese partecipano tra gli altri Calcaterra, Svevo, Rognoni, Tamberi, Ferrari, Toia, Lecchi, Re e tanti altri. E’ consapevole che sono avvenute devianze dentro la corrente di Base (in primis Frigerio), pertanto immobilizza lo strumento perchè non venga usato per scopi non cristallini. (ansa 7 marzo 1994)

Il carisma di Granelli porta tante adesioni a questa proposta, ma in privato viene criticata, anche da coloro che non sono coinvolti in tangentopoli: uno strumento di potere collaudato viene messo in archivio.  Resterà nell’animo di coloro che hanno già utilizzato la deriva della politica verso forme di semplice cooptazione non meritocratica sostenuta da meccanismi interni simili a delle filiere l’amarezza di non poter più utilizzare questo simbolo ampiamente conosciuto.

5) Lettera a Martinazzoli prima del voto:

“Caro Martinazzoli, Ti scrivo ad urne chiuse affinchè i miei suggerimenti, maturati anche nei contatti con la periferia nella campagna elettorale, non siano influenzati dal voto. La prova sarà dura, ma è da essa che, oltre allo stare in campo con dignità, potrà partire la ricostruzione del partito. Andrà superata le demoralizzazione di chi pensava all’effetto immediato di un rinnovamento solo in superficie. Bisognerà evitare l’illusoria ricerca di nuovi ca0pri espiatori per rivincite di corto respiro. In una situazione profondamente mutata non potremo assumere efficaci responsabilità di Governo, né svolgere una incisiva battaglia di opposizione, se non disporremo di un partito forte, fedele ai suoi programmi, radicato sul territorio, aperto alla partecipazione democratica, capace di elaborazione e di controllo. …” (Milano 26 marzo 1994).

Granelli,pur non essendo candidato ha svolto una intensa campagna elettorale in favore del PPI. Da politico navigato ha colto negli elettori lo scarso entusiasmo per questa formazione politica che non ha comunicato un segno di netta discontinuità con la vecchia Dc. Ha così sentore di quali saranno gli esiti elettorali e pertanto questa lettera è un preavviso di quanto sta per accadere. Il 28-03-1994 Martinazzoli si dimette. Granelli ne prova un grande disappunto che però evita di manifestarlo pubblicamente. Tant’è che qualche mese dopo gestisce il congresso regionale in stretto contatto telefonico con Mino concordandone le direttive.

27-03-1994 elezioni Nazionali per la Camera, il PPI ottiene l’11,1%

  1. di dimissioni mediante fax di Martinazzoli

6) Primo passo per la costituzione della associazione Popolari Intransigenti:

“Dopo un esame politico in cui avverte di una situazione politica che espone a gravi rischi persino le conquiste della Costituzione e dell’antifascismo poste alla base della Repubblica il senatore Luigi Granelli ha reso nota la decisione di co0stituire a Milano l’Associazione “Popolarismo intransigente”………. I principali obiettivi dell’Associazione sono: “I°) la diffusione e l’affermazione, in base ad una corretta laicità dell’agire politico, dei valori cristiani e democratici in campo culturale, sociale e istituzionale per rafforzare un popolarismo intransigente e contrario ad ogni compromissione conservatrice; II°)  Lo sviluppo di un confronto costruttivo tra le varie espressioni del cattolicesimo democratico e le tendenze popolari e riformatrici della sinistra, in sintonia con i principi fondamentali della Costituzione”.  (Ansa 10 aprile 1994)

7) Il partigiano Dossetti:

Dossetti e Granelli si trovarono in consonanza di vedute, quasi senza rapportarsi tra loro. La loro convergenza in difesa della Costituzione non fu costruita con scambi di corrispondenze, scritti, telefonate o incontri, ma fu per entrambi una logica conseguenza di ragionamenti autonomi. Partendo da posizioni culturali diverse erano giunti alle stesse conclusioni con un afflato intellettuale che scaturì da logiche conclusioni che avevano conseguito indipendentemente uno dall’altro.

In un’intervista su il Popolo a proposito dei suoi rapporti con il “Raggruppamento Alfredo Di Dio” nell’ultima domanda dell’intervista, Granelli precisa “Troppe volte il significato dell’antifascismo cattolico e della partecipazione alla Resistenza è stato lasciato nel cassetto. I valori di quelle scelte restarono, per molti, un elemento di ispirazione anche nella DC, ma ora che nuovi pericoli si affacciano all’orizzonte è indispensabile ritrovare la fierezza delle origini anche per non prestarsi a strumentalizzazioni di parte. Questo è il significato dell’appello del “Raggruppamento Alfredo Di Dio” che, non a caso, è in sintonia con le giuste preoccupazioni del “partigiano” Giuseppe Dossetti circa la difesa della Costituzione che tradusse nelle norme fondamentali della Repubblica le aspirazioni di libertà, di giustizia, di convivenza pacifica, che animarono la Resistenza dei cattolici con il sacrificio della vita di molti di essi. A questi impegni i cattolici democratici devono restare fedeli soprattutto in questo momento”. ( Il Popolo 24 aprile 1994).

8) Convergenza con Dossetti:

Su “Nuova Fase” pubblica un ampia analisi sulla situazione politica ed in una prospettiva di alleanza nel centro sinistra con il titolo “Doppia sfida a sinistra.” Si tratta di un documento precongressuale” Dopo aver preso in esame la posizione di Cacciari in antitesi ad Occhetto, la posizione di D’Alema e la controproposta di Scalfari, analizza la difficile costruzione di un partito nuovo. Sottolinea  che “il dovere della coerenza delle opposizioni non ammette spiragli, possibilismi, nella fermissima difesa della Costituzione che,  come ha ricordato eloquentemente Dossetti, può essere modificata nelle sue parti sostanziali solo da una Assemblea Costituente eletta con metodo proporzionale. Una procedura diversa sarebbe assai vicina al colpo di Stato”. Nelle conclusioni afferma che “ i possibili sbocchi di una rimessa in movimento dei processi politici sono, come ha ricordato Andreatta, un punto di arrivo e non di partenza. Non si dovrebbe però dimenticare che chi non cambia se stesso non è in grado, in un libero confronto, di far cambiare gli altri né di concorrere a modificare una realtà sempre più senza via d’uscita.”  (Nuova Fase 24 giugno 1994)

01-07-1994 D’Alema segretario del PDS

9) congresso dei popolari.

Il congresso regionale: le opzioni prima di  Balboni e poi di Duilio sono concordate telefonicamente tra Martinazzoli e Granelli.

Alla fine di luglio vi è una dura battaglia al congresso Nazionale, tra i sostenitori di Buttiglione e quelli di Mancino. A sorpresa De Mita opta per la candidatura del professore di Gallipoli. Granelli interviene il 29 luglio con una ampia mozione congressuale in cui puntualizza i punti che più gli stanno a cuore:

“ La radicalizzazione interna attorno alle persone dei candidati alla segreteria  più che ai programmi e alla linea politica, unita ad una preparazione non sempre limpida del congresso, esaspera lo scontro, riduce lo spazio di un chiarimento reale, rischia di esporre il partito ad un esito poco fecondo nel momento in cui massimo dovrebbe essere lo sforzo di ricerca, di approfondimento, di collaborazione su basi di chiarezza. …

… E’ noto che sono su posizioni critiche rispetto alla linea che l’on. Buttiglione, sia pure con qualche flessibilità è venuto proponendo al partito …. . In più di una occasione l’ho ascoltato, ma non sono riuscito quasi mai a farmi ascoltare.

….. Durante la campagna elettorale abbiamo detto con chiarezza che, dopo il voto, non saremmo stati di appoggio a nessuno degli schieramenti contrapposti …. Se il PPI avrà il coraggio di incalzare con rigore la maggioranza, di confrontarsi senza confusione con altre opposizioni, verrà il momento in cui saranno gli altri a dover fare  i conti con noi …

La distinzione sui due fronti non può essere equidistanza, nostalgia centrista di puro schieramento …. Le ipotesi di “Grandi coalizioni”, la solidarietà nazionale, correttamente intesa, non sono in contrapposizione con una funzione di centro del PPI, aperta a motivate collaborazioni democratiche….

Sono ritornati alla ribalta, negli ultimi tempi, visioni integralistiche del fare politica che sono assai pericolose. …

Il PPI  e con esso i migliori valori cristiani e democratici e la nostra migliore memoria storica non avranno futuro se bnon prevarrà in tutti , nella chiarezza delle posizioni, un autentico spirito di servizio come segno di reale rinnovamento della politica.”

La battaglia per la segreteria nazionale si conclude con la vittoria di Buttiglione e la sconfitta di Mancino, con Bianchi presidente del partito. Interessante la mozione congressuale di Granelli con il suo appoggio alla candidatura  Mancino. Le conclusioni del congresso gli lasciano l’amaro in bocca e lo manifesta apertamente.

Luglio 1994 esito del congresso PPI: Buttiglione, segretario Bianchi Presidente per evitare di spaccare il partito.

                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                   10) Statuto associazione Popolari Intransigenti

Il 19 settembre 1994 presso il notaio Luigi Fossati, dopo aver certificato con un ampio gruppo di ex  basisti la chiusura della corrente di Base, viene costituita l’Associazione Popolari Intransigenti con Calcaterra, Ferrari, Longhi, Mauri, Bodini, Pellegrino, Birindelli  e viene depositato il relativo statuto.

Nello statuto dell’associazione dedicata a Francesco Luigi Ferrari (popolare “intransigente” che ha operato negli anni venti in Milano) vi trova ampio spazio la premessa: “ Le motivazioni di una scelta”.

Questo testo, ricco di suggestioni ed ancora attuale, predispone un percorso per un nuovo cattolicesimo democratico, contro una involuzione a destra e una dissoluzione dell’impegno popolare dei cristiani in politica. Ha nelle sue conclusioni una vena profetica: “La sfida del futuro è assai difficile. La diaspora che porta a gruppetti in concorrenza tra loro di conservatori, progressisti, integralisti, sancisce l’irrilevanza dei  civile,di una grande forza popolare ad ispirazione cristiana. …”. Questa associazione ha un limite l’organizzazione politica, Granelli non vuole fare una corrente: ma il peso politico dellla Base era dato dal taglio organizzativo che Marcora aveva dato.

11) Preoccupazioni per il futuro:

“L’allarme sui rischi che è venuto in modo pressante e autorevole  da Dossetti in occasione della commemorazione di Lazzati a Milano. L’eco maggiore di quell’importante discorso  ha riguardato l’appello ad una grande mobilitazione in difesa della Costituzione del 1947. …. .

Già nel 1951, in un indimenticabile discorso al convegno dei  giuristi cattolici, Dossetti aveva ammonito ad attuare rapidamente la Costituzione,  con una incisiva riforma dell’ordinamento, specie in materia di autonomia e decentramento statale, con la rimozione degli ostacoli all’affermazione dei diritti personali e sociali esplicitamente affermati nella prima parte del dettato costituzionale. … . Ma perché l’attacco maggiore, oggi, ad una Costituzione ancora valida nella sua impostazione di fondo che consente di affrontare, su una base di diritto e di democrazia, la crisi incorso?... Gli autori della svolta a destra, rappresentanti di forti interessi privati e di una concezione autoritaria dello Stato vogliono disfarsi dei troppi vincoli e sono alla ricerca di un ordinamento che consolidi la loro conquista del potere e sancisca soprattutto l’emarginazione delle forze popolari  … .  Ma ci sono anche problemi urgenti e ineludibili. Il conflitto di interessi privati del Presidente del Consiglio e la sua funzione pubblica, che coinvolge anche alcuni ministri, è una violazione aperta di leggi in vigore e di elementari regole morali e politiche di trasparenza. … .”  (8 novembre 1994).

12) Costruire l’alternativa di centro sinistra:

“Martinazzoli ha ragione perché è dimostrato che quando il PPI sceglie a sinistra con dignità e senza subordinazione politica, anche verso il PDS, il centro è vincente ed il centro sinistra è in grado di battere una destra … .occorre perciò avviare un chiaro confronto con il PDS e altre forze della sinistra democratica, abbandonando la politica dei due forni, per costruire alla luce del sole e sottoporre agli elettori un limpida svolta di centro sinistra contro le avventure di destra che portano il Paese al disastro.” (22 novembre 1994)

 22-12-1994 Berlusconi si dimette

13) Documento n.2 dei popolari intransigenti:

Nel Novembre del 1994 era uscito il n. 1 dell’Associazione “Una finanziare da rifare” basata su tre punti “Lo smantellamento dello Stato sociale”, “L’assenza di misure a sostegno dello sviluppo”, “Preparare una manovra alternativa”. Anticipa le critiche al governo Monti  che sarà in attività 18 anni dopo.

Ognuno di questi documenti porta in calce “Tra le finalità dell’Associazione è prevista  la stesura e la diffusione di documenti di orientamento culturale e politico su specifici temi.  … I documenti sono diffusi tra associati, parlamentari, quadri amministrativi e di partito, esponenti di circoli culturali e opinionisti, per far conoscere valutazioni ispirate a valori cristiani e democratici su questioni nazionali di grande importanza”.

Nel n.2 del gennaio 1995 annuncia che occorre “Varare un vero Blind Trust”.  Berlusconi non è più Presidente del consiglio. In questo documento elaborato, con il contributo dell’avvocato Birindelli, si suggerisce di applicare la normativa vigente negli Stati Uniti affinchè gli interessi privati del Presidente non interferiscano con le sue funzioni pubbliche. Lettera morta: quando Berlusconi nel 2001 riprenderà il potere potrà favorire a suo piacimento, grazie all’inazione legislativa dei precedenti governi dl centro sinistra,  i suoi interessi fino all’abolizione del reato di falso in bilancio.

14) La proposta di Andreatta.

Andreatta individua in Prodi il leader per la futura alleanza che dovrà affrontare le successive elezioni politiche. Granelli considera la proposta la migliore possibile e attiva tutti i canali di cui dispone affinchè venga formalizzata

03-02-1995 Andreatta, Bianchi, Mancino sottoscrivono la candidatura Prodi.

15) Documento n. 3 dei Popolari Intransigenti.

Nel maggio del 1995 esce il terzo documento “Antitrust televisivo prima del voto”. Inizia con  “l’insabbiamento della riforma della Rai del 1975” e termina con ”La riforma prima del voto è una condizione di libertà”

24-04-1995 separazione tra Bianco e Buttiglione.

16) Scissione nel PPI:

Il  Documento n.4 porta il titolo “Quer pasticciaccio brutto de piazza del Gesù” parafrasando Carlo Emilio Gadda “.  Il tema è “Ricostruire il PPI dopo il disastro di Buttiglione” e conclude con “L’apporto del PPI al centro sinistra”. Nelle conclusioni si appresta alla battaglia contro la commissione bicamerale. “… per realizzare le riforme costituzionali non possono essere affidate in contrasto con l’art. 138 ad una ambigua assemblea costituente”. Giugno 1995.

17) Prodi e l’Ulivo :

Sostiene fortemente la candidatura Prodi condividendo pienamente la proposta di Andreatta. Sostiene l’Idea dell’Ulivo e domina ancora la scena politica Lombarda vivendo da protagonista il congresso regionale in cui stigmatizza l’uscita di Tabacci. Ma anche comprende che il suo apporto al partito nazionale si fa vieppiù marginale, trova discutibili in molti casi le modalità delle scelte per le candidature al parlamento, ma ormai si rende conto che la sua funzione è quella del grillo parlante che consiglia Pinocchio. Ma nonostante questa presa di coscienza non si arrende.

18) Documento n.5:

Porta il titolo “L’Italia delle autonomie” riprendendo un documento espresso da un gruppo di amministratori locali dei partiti di centro sinistra delle regioni Lombardia, Piemonte, Veneto, Emilia-Romagna, coordinati da Vittorio Sora e alla cui stesura hanno partecipato anche il sen. Granelli, il prof. Balboni, Duilio e Tamberi. Settembre 1995.

21-04-1996 Elezioni politiche il PPI ottiene 66 deputati e 32 senatori.

15-02-1997 Commissione bicamerale a presidenza D’Alema.

19) Serie Costituzione dedicata a Giuseppe Dossetti.

Il 26 gennaio 1998 riprende a veicolare una nuova serie di documenti che ora hanno un titolo specifico “Serie Costituzione” e portano come sottotitolo ”La Costituzione non va stravolta nel riformarla, Ci possono essere modificazioni della seconda parte capaci di portare a riduzione dei diritti dei cittadini garantiti nella prima parte. Giuseppe Dossetti”. L’oggetto è la disanima dei lavori della bicamerale alle cui riunioni pubbliche partecipa sistematicamente prendendo certosinamente appunti, Questi documenti sono tutti ascrivibili esclusivamente alla sua Persona.

Il 12 febbraio 1998 esce il documento n. 2 “Procedure a rischio alla camera”. La critica al modo di procedere del parlamento si fa serrata ed analitica.

Il Documento 3 esce il 30 marzo 1998 “Federalismo vero o falso?”. Tratta delle modifiche all’articolo 117 . Anche in questo caso annota con capillare puntigliosità i pro e i contro alle modifiche proposte.

Il Documento 4 esce il 29 aprile 1998 il titolo è “ Camera delle autonomie”. Per Granelli sembra delinearsi una possibilità di accordo positivo per la seconda camera: “I senatori dovrebbero essere eletti con voto diretto insieme ai consigli regionali, con riferimento alla popolazione di ogni regione e con la proporzionale. … Questa camera avrà competenza esclusiva sul sistema delle autonomie, da cui dovrebbe derivare anche il nome se si abbandonasse la moda federalista, e non voterà la fiducia al governo o leggi di indirizzo politico. Restano funzioni di garanzia, con la delicata nomina di componenti della Corte Costituzionale e del Consiglio Superiore della Magistratura, e per le decisioni, insieme all’altra camera, per le leggi costituzionali e sui diritta fondamentali.”

Il documento 5 esce il 13 maggio 1998  con il titolo “Riproporre il governo del Premier”. Per Granelli  la scelta, attraverso il voto, della coalizione di governo e del Presidente del Consiglio, convalidata dal Parlamento, unita alla mozione di sfiducia costruttiva e al potere di nomina e di revoca dei ministri che rafforza la durata del Governo, era ed è in grado – nella particolarità della situazione italiana – di garantire come nella Repubblica Federale Tedesca il massimo di stabilità e di garanzia democratica.” Nelle opinioni a sostegno cita “Da interventi di Giuseppe Dossetti all’Abbazia di Monteveglio, il 16 settembre 1994, e a convegni di studio a Bari e Napoli il 13 e il 15 maggio 1995: “La distribuzione del potere tra soggetti adeguatamente distinti e contrappesati e forse uno dei pregi più raffinati e delicati della Costituzione, ne costituisce un risultato positivo e davvero è meritevole della più gelosa salvaguardia, al di là di ogni riforma. E’ anche un condensato sintetico di tutta la nostra vicenda storica e dell’evoluzione istituzionale dell’ultimo secolo in Europa: potrà esigere qualche perfezionamento (al massimo una figura più stabile ed efficiente del Primo Ministro) ma assolutamente non può essere sull’onda di avventati presidenzialismi che precipiterebbero il nostro livello istituzionale in una egressiva catastrofe.”

Il Documento 6 del 4 giugno 1998 afferma “non si riforma così la Costituzione”. E’ tornata più volte l’idea di fare a Berlusconi concessioni sulla giustizia per ottenere via libera ai compromessi raggiunti. L’ampia maggioranza è diventata così il pretesto per vincolare tutti ad una convergenza tra sinistra e destra, frutto di calcoli politici più che di correttezze costituzionale.”

Il Documento n.7 del 1- luglio 1998 “Tornare all’art. 138: perché e come” . vede con terrore avanzarsi un patto tra d’Alema e Berlusconi, lo teme e perciò avanza l’ipotesi di una procedura più rigida per riformare la Costituzione.

09-10-1998 caduta del governo Prodi

20) Il dopo Prodi.

Granelli attua la sua ultima battaglia politica. Indica come via d’uscita alla crisi la formazione di un governo tecnico, che porti alle elezioni con Prodi ancora candidato, Convoca tutti i maggiorenti del PPI per trovare sostegno ad attuare questa proposta. La proposta cade nel vuoto, i parlamentari del PPI non sono disposti a terminare prima della scadenza fissata il proprio mandato.

Poco dopo D’Alema e Marini proclamano il ritorno della politica. Si costruisce così il governo D’Alema.

31-10-1998 Governo D’Alema.

21) Ancora la Bicamerale.

Il Documento 8 è prodotto dopo oltre otto mesi il 11 marzo 1999 titola “Sentinella della Costituzione”. Significativo è un sottotitolo “D’Alema cambia gioco sulle riforme” “Solo pochi mesi fa la teoria era che il governo doveva restare indifferente rispetto alla riforma della Costituzione. Tutto era demandato alla Bicamerale per favorire una diversa maggioranza che, in pratica, includesse la destra. Al suo presidente, D’Alema, veniva aperta la via di un grande compromesso costituzionale che avrebbe legittimato il suo ruolo di primo piano. Il Governo Prodi, in rapporto a rilevanti riforme della Costituzione, appariva come un ministero tecnico con compiti più limitati.

Tra le opinioni a sostegno ricompare il discorso di Giuseppe Dossetti, “Sentinella della notte, pronunciato alla Fondazione Lazzati il 18 maggio 1994. “I diritti sono solo degli individui, il diritto è solo individuale. E, perciò , rispetto agli altri, non vi possono essere che contratti, in funzione del proprio interesse e del reci++proco scambio. Stiamo entrando in una società caratterizzata dal primato del contratto e dall’eclissi del patto di fedeltà. Un’età, dunque, in cui gli ordinamenti federali sono sistemi in cui si tratta e si negozia senza soste. Per tale via si ridurrebbe il politico a pura contrattazione economica, per dissolvere il sistema in un coacervo di accordi e di convenzioni. Che cosa differenzia un tale sistema da quello che regola accordi tra imprese industriali e commerciali?”.

9-giugno 1998 Violante sancisce la fine della bicamerale.

13-05-1999 Ciampi presidente della Repubblica.

22) Documento n. 7 e ultimo dei Popolari Intransigenti.

“Ciampi presidente”  “l’elezione di Carlo Azeglio Ciampi mette la Costituzione al riparo da forzature e manipolazioni. … la rapidità per l’elezione del Presidente della Repubblica è stata giustamente apprezzata sia in Italia che all’estero. … Le modalità stabilite con saggezza dai padri costituenti hanno retto. Il merito è di un sia pure sofferto accordo politico, ma è appunto quello che la Costituzione ha inteso favorire. E’ una lezione da intendere. Troppe volte l’incapacità politica di risolvere i problemi ha portato a scaricare colpe inesistenti sulla Costituzione. Non c’è ordinamento costituzionale che possa porre rimedio ad una crisi della politica che va risolta sul terreno della politica. …

Chiude il documento “Grazie Scalfaro” “ … ha operato a tutela di un rapporto equilibrato tra i poteri dello Stato, si è ispirato-pagando il prezzo di pesanti incomprensioni-ai valori del diritto. Ha difeso il Parlamento, centro della democrazia repubblicana, ed ha fatto uso del potere di esternazione per sollecitare tutti a realizzare riforme e cambiamenti sociali nell’interesse generale. …”

23) Constatazione del decesso politico del PPI.

L’ultimo Documento della serie è il 9 ed è del 23 settembre 1999 ( Luigi Granelli morirà il 1 dicembre 1999 esattamente 68 giorni dopo) e lo titola “Costituzione Scambio su tutto”. Ne “il falso scopo” Granelli afferma “Il PPI aveva posizioni molto importanti in materia di riforma della Costituzione. Le sue proposte , approvate dai congressi, affondavano le radici nel determinare il contributo dei “professorini” della DC all’Assemblea Costituente, nella grande tradizione dei giuristi cattolici – da Capograssi a Dossetti – e potevano essere come sono, un punto di riferimento prestigioso anche per una riforma senza stravolgimenti della Costituzione. Il Governo del Premier collegato ad una chiara maggioranza, l’istituto della sfiducia costruttiva, un vero ordinamento delle autonomie regionali – rafforzato da una camera delle Regioni – una limpida visione dei problemi del diritto e di una giustizia per tutti sono punti qualificanti. Dalla Bicamerale in poi tutto questo patrimonio è stato azzerato. Si è inseguito e si insegue D’Alema nel suo spregiudicato inciucio con Berlusconi. E così anche l’identità del PPI si dissolve.

Ottobre 1999 Granelli esce dal PPI.

24) Granelli esce dal PPI.

Granelli interviene al congresso del PPI, il suo è un lucido testamento politico in cui delinea con estrema razionalità tutti gli errori politici di questo soggetto politico e del suo alleato il PDS. Questo intervento è stato sostanzialmente ignorato da tutta una classe dirigente perché ne evidenzia tutti gli errori commessi.

“Il mio intervento sarà diverso da quelli che ho fatto in quasi tutti i congressi della DC e poi del PPI. Devo solo spiegare le ragioni di una non facile scelta. Il mio pensiero sulla grave crisi del partito e sulla situazione politica è noto. Chi mi ha letto sul Popolo, su altri quotidiani, sulla rivista di Giovanni Galloni, conosce le mie opinioni che ho divulgato senza risparmiare energie. Il mio pensiero sulla grave crisi del partito e sulla situazione politica italiana è abbastanza noto. Devo dire che ho riscontrato confortanti lettere e telefonate da militanti e iscritti, ma ho dovuto constatare con amarezza che, al contrario, c'è stato un assordante silenzio dei dirigenti nazionali ed anche di quelli periferici che non hanno raccolto nemmeno le provocazioni che erano state fatte per alimentare un dibattito.

E io temo molto, amici, perché quando il dibattito sulle idee sparisce nel partito, il partito rischia molto. Restano solo i contrasti personali; e tutto quello che avremmo dovuto discutere, non siamo riusciti a discuterlo.”

Invoca per l’ennesima volta un mutamento politico radicale per superare la crisi del PPI

“La caduta del dibattito interno fa temere per il futuro del partito. Il silenzio di Martinazzoli pesa su questo congresso come la implicita denuncia di una mancata chiarificazione politica e di metodo. La bruciante sconfitta elettorale, il girare a vuoto attorno al tentativo di mettere in piedi una federazione di centro fatta di generali senza truppe, la crescente subordinazione al Governo D'Alema, richiederebbero al PPI una svolta radicale che non si intravvede. Bisognava avere il coraggio di accettare a luglio le dimissioni di Marini e dell'intera Direzione e impostare su un credibile segnale di cambiamento un congresso straordinario che poteva rianimare una periferia frustrata. Vedo che anche De Mita è ora critico sul rinvio deciso dal Consiglio Nazionale con il suo concorso, ma è tardi.

L'analisi della crisi non è stata approfondita in vista di Rimini. Al posto del dibattito, della definizione delle piattaforme dei candidati, si sono infittite le manovre, le ipotesi di scambio di voti, per chiudere il congresso ancor prima del suo inizio. L'impostazione dell'Assemblea non ha favorito la riflessione. In una situazione così grave Moro avrebbe aperto il confronto interno con una relazione autocritica di ampio respiro, invitando tutti a essere oppositori di se stessi, ad intraprendere un cammino nuovo, per salvare non le fortune di un ceto dirigente ma il destino del partito.

Si è fatto l'opposto. Del resto lo abbiamo sentito qui. Il segretario Marini non ama l'autocritica, riconosce con fatica che può avere sbagliato qualche volta. I candidati alla segreteria non amano parlare della gestione del passato. I grandi problemi del Paese sono assenti da una discussione più preoccupata dei problemi organizzativi che di quelli politici. Si discute infatti più di forme organizzative, di statuto, di regole, di come ognuno si elegge i suoi consiglieri nazionali a parte dal Congresso, piuttosto che invece di questioni politiche, che sono fondamentali. Torna la tentazione di disfare il partito che c'è, per dar vita a soggetti politici nuovi che non si sa cosa sono. Se mancherà il coraggio di rimuovere le cause della crisi, il partito sarà travolto da un inevitabile declino. “

La sua spietata analisi affronta tutti gli errori della coalizione di centro sinistra, senza sconti uno per uno:

“Eppure alla base della nostra crisi non c'è soltanto l'esito elettorale  disastroso. La caduta di visibilità del PPI risale alla caduta del Governo Prodi e all'ascesa di D'Alema a Palazzo Chigi, senza una investitura elettorale.

Si è commesso un grave errore scartando formule transitorie che avrebbero consentito, dopo l'elezione del Capo dello Stato, di riprendere il cammino interrotto dell'Ulivo. Questa scelta sbagliata, che ha diviso a metà il partito, ha avuto seguiti negativi nella rottura con Prodi anche per le elezioni europee, in una battaglia per il Quirinale intesa come compensazione alla rinuncia a Palazzo Chigi, nella sterile ricerca di un centro trasformista quasi che il PPI non possa sviluppare un ruolo autonomo, propositivo, efficace, nel centro-sinistra. Ma anche prima vi sono stati cedimenti gravi.

Nella Bicamerale non si è difeso con coerenza il progetto del Cancellierato, della coalizione di legislatura che si presenta agli elettori con un programma comune, del voto di sfiducia costruttiva che garantisce la stabilità dei governi nel rispetto del ruolo del Parlamento. Si è andati a rimorchio di D'Alema sul terreno scivoloso di un avventuroso semipresidenzialismo, di un federalismo povero di contenuti e senza Camera delle Regioni, degli scambi sulla giustizia con Berlusconi, delle incursioni persino sulla prima parte della Costituzione.

Di fronte all'esito negativo della Bicamerale non c'è stata ripresa di autonomia del PPI sui temi costituzionali. Non si reagisce al tentativo di D'Alema di riproporre, d'intesa con Berlusconi, pezzi disorganici di riforma preconfezionati nella Bicamerale. Altri cedimenti si profilano per la legge elettorale. La nostra originaria proposta di un sistema alla tedesca, con sbarramento, premio di maggioranza e sfiducia costruttiva, è rilanciata da altri. I popolari assecondano invece Veltroni e D'Alema, chiedendo qualche contropartita, nei tentativi di varare una legge elettorale che annulli la quota proporzionale e la visibilità dei partiti a vantaggio della sinistra.

Questa pratica del compromesso ha indebolito anche il nostro radicamento nella società. Non si raccoglie consenso contando solo sull'azione di governo. Moro aveva ammonito che il partito deve interpretare le inquietudini della società, dare voce ai deboli, ai disoccupati, proporre uno sviluppo fondato sulla solidarietà e non sul puro tornaconto del mercato, impegnarsi in una riforma dello Stato che non stravolga la Costituzione, concorrere alla costruzione di un ordine internazionale ispirato a diritto e giustizia più che all'uso delle armi.

Assai gravi sono stati i comportamenti del partito sulla guerra nel Kosovo e sulle forzature per un intervento della Nato, senza autorizzazione dell'ONU, sostenuto da D'Alema soprattutto per legittimarsi verso gli Usa. Nessuna obiezione o riserva è venuta dai popolari. La pace, il diritto internazionale, il rispetto dei Trattati che, per l'alleanza atlantica, sono di natura difensiva, sono valori essenziali radicati nella coscienza dei cattolici, difesi con vigore profetico da Giovanni Paolo II, sempre rispettati dalla DC. E' gravissimo che in Parlamento si sia levata solo la voce critica di Andreotti, in una linea di continuità con l'eredità in materia di politica estera di La Pira, Fanfani e Moro, mentre i Ministri popolari ed il partito hanno solo elogiato D'Alema, difeso più dalla destra che dalla maggioranza di governo.

Da posizioni chiare su questi contenuti ideali e programmatici trae forza una coerente vocazione di governo. Sembra invece caduta l'ambizione di raccogliere il monito di Moro, di elaborare in autonomia politica proposte di riforma che tengano conto del Magistero della Chiesa, degli insegnamenti del Concilio, per porle alla base di accordi in pari dignità con le altre forze politiche. Prevale l'arroccamento in difesa della maggioranza che c'è, di un ruolo residuale che non suscita speranze e ripresa di fiducia nel Paese.”

La sua analisi si sposta sulle prospettive per il futuro, considerazioni molto amare ma realistiche:

“Non si intravvedono, allo stato attuale, le condizioni di una svolta radicale per far riprendere al partito il ruolo scelto al momento della sua fondazione. L'insidioso e provocatorio intervento di Cossiga rovescia l'impostazione culturale e politica su cui è nato il PPI. Sconcertante è stata l'accoglienza che gli ha riservato il congresso, andando al di là di una comprensibile cortesia. Conosco Cossiga da molto tempo. Abbiamo fatto insieme importanti battaglie nella DC, prima delle picconate che hanno concorso a distruggerla. Per questo bisogna saper individuare, dietro i suoi toni ironici e brillanti, il disegno politico di destabilizzazione che persegue. Sul già confuso progetto di Marini ed altri dell'Assemblea costituente del centro, egli ha posto ieri, con il suo intervento, la pesante ipoteca di un giscardismo senza anima che avrà effetti devastanti sul futuro del PPI.

La sua irridente, ingiusta, polemica con Parisi, aveva ed ha lo scopo di alzare una barriera insormontabile sulla ricostituzione dell'Ulivo e non può essere condivisa dai popolari che vogliono aprire un dialogo serio con Prodi. Se il percorso di Cossiga non sarà interrotto in tempo porterà in un vicolo cieco il PPI. Ma anche in periferia non si avverte quella spinta che sarebbe necessaria per un radicale cambiamento di rotta a livello nazionale. Galbiati ha detto che c'è stata una riflessione in Lombardia: il confronto interno non c'è stato. Non si è quasi mai parlato di politica. Si è parlato soprattutto di partito del nord, di una questione settentrionale avulsa da ogni visione nazionale ed europea, di statuti e di regolamenti federali per spartire il potere residuo e ridurre al nulla il partito nazionale, come si è visto anche nella penosa discussione statutaria in Assemblea.

C'è una pericolosa tendenza a rifugiarsi in partiti territoriali con l'illusione di salvare il salvabile. Martinazzoli ha accompagnato critiche condivisibili alla gestione nazionale del PPI con la proposta ad alto rischio di una scomposizione regionale del partito da ricomporre poi su basi federali. La tardiva frenata sul partito del nord ha solo aumentato una discussione bizantina. Molti, in Lombardia, sostengono che l'Assemblea di Rimini deve essere solo il punto di partenza di un processo costituente verso un nuovo soggetto politico. Invece di battersi per un immediato cambiamento di rotta politica del partito si pensa solo a nuovi statuti, da varare entro l'anno nelle diverse regioni, alla sostituzione del Consiglio Nazionale e della Direzione con organi composti sulla base di quote regionali, alla nomina in secondo grado di un Segretario nazionale coordinatore. E' una scorciatoia che aggraverà la crisi del partito ad ogni livello.

Non è questo il PPI cui ho dato la mia adesione. Scompare il partito nazionale, democratico, ad ispirazione cristiana, con una forte articolazione di poteri alla periferia, con una identità riconoscibile in tutto il Paese. Già una volta Martinazzoli ha sciolto senza alcun congresso la DC cui avevo aderito e mi sono trovato, dopo le speranze sturziane dell'inizio, con Buttiglione segretario. Ora si cerca la discontinuità dal PPI per fare un partito regionale senza tessere, senza sezioni, che spera di sopravvivere nelle istituzioni grazie ad un capo carismatico e ad una lista unica.”

Prevede l’insuccesso della futura sperimentazione “La Margherita DL” poiché non verranno rimosse le carenze, le disfunzioni e la totale mancanza di un progetto politico come quello che ha caratterizzato il primo Partito Popolare e pertanto non si riconosce più nel partito attuale:

“Non sono interessato ad un percorso simile. Pur essendo lombardo non aderirò ad un partito locale in contrasto con le scelte di fondo di cinquant'anni di battaglie ideali e politiche. Martinazzoli e padre Sorge sbagliano a pensare di rianimare il popolarismo sturziano in un Polo di centrosinistra senza partiti. Su quella via c'è solo una già sperimentata omologazione con una sinistra sempre meno riformista che punta ai voti dei cattolici più che ai loro valori.

Assai scarsa è anche a livello locale la disponibilità al rinnovamento della politica e della vita di partito. Si notano le stesse chiusure, lo stesso culto degli organigrammi, che si denunciano in campo nazionale. Se si chiedono e si hanno incarichi si può forse esercitare qualche influenza. Il contributo di idee non trova ascolto e diventa assolutamente irrilevante. Ho dichiarato di non reclamare posti di compenso sin da quando ho lasciato spontaneamente il Parlamento. Quello che potevo offrire era solo un contributo di analisi e di proposta in uno spirito di servizio che trova sempre meno spazio. Per questo avevo anche annunciato da tempo di non candidarmi per il Consiglio Nazionale.

Considero importante l'invito di Scalfaro a Lavarone. Ci sono stagioni politiche che si concludono per tutti. Si possono testimoniare le proprie idee anche con altri mezzi. Sbagliano gli amici della mia generazione che pensano invece di condizionare in eterno la vita di un partito che tocca ad altri gestire senza insopportabili tutele. E' per l'insieme di queste ragioni che ho maturato la scelta, non facile per me, di considerare irrevocabilmente conclusa la mia militanza nel PPI. E' un distacco che mi costa, ma che ho deciso con serenità e piena consapevolezza.

Apprezzo i vostri sentimenti, ma le scelte personali vanno rispettate. E poi mi conoscete abbastanza e sapete che dico sempre quello che penso e faccio quello che dico. Il mio intervento potrebbe finire qui. Sento solo il sincero desiderio di ringraziare i molti amici con i quali ho combattuto tante battaglie nel partito, ed anche quelli che sono stati oggetto delle mie critiche, a volte aspre, ma mai influenzate da rancore personale. Ma dopo più di cinquant'anni di impegno nella DC e nel PPI posso forse contare sulla vostra cortesia per consegnare alla vostra riflessione due ultime, grandi, preoccupazioni che hanno influenzato le mie decisioni.”

Non abbandona la sua idea e spinge ad attuare una decisa correzione di rotta del Partito Popolare:

“La prima preoccupazione riguarda il partito. Dovreste avere il coraggio di ripartire dall'Assemblea costituente del PPI, non da quella avventurosa di un mediocre e variopinto centro che avrà solo l'effetto di ritardare il rinnovamento del partito. Si è in pratica abbandonato il progetto di un partito di nuova impostazione, ricco di dibattito interno, dotato di strumenti di studio e capace di elaborare proposte coerenti con i valori del cattolicesimo democratico, di promuovere il massimo di partecipazione e di formazione di una nuova classe dirigente. La gestione del potere ha spesso portato a smarrire una strada che doveva riqualificarci e recuperare il meglio della nostra esperienza storica.

Ci sarà il coraggio di ricominciare? Non basta aggiornare la struttura organizzativa, adeguarla ad un rapporto con la società e con le istituzioni diverso dal passato. Bisogna recuperare la funzione del partito prevista dalla Costituzione e superare le degenerazioni della partitocrazia. Occorre definire meglio le ragioni ideali dell'impegno politico, rinnovare il costume interno e moralizzare il rapporto con le istituzioni, fare spazio alla ricerca e allo studio perché, come ricordava Moro, senza pensiero politico non ci può essere una incisiva e coerente azione politica.

Va preservato e aggiornato il monito di Zaccagnini. Proprio perché si diffonde in tutti i partiti un pragmatismo senza principi, si tagliano le radici con il passato, si abbandona la riflessione culturale, i popolari dovrebbero fare il contrario per ridare alla politica speranza e tensione ideale. Poco o nulla si è fatto in questa direzione. Manca al PPI una rivista di pensiero, non ci sono centri studi, la formazione dei quadri non è più un obiettivo.

Se non si torna a questa concezione del partito anche la difesa dell'identità diventa astratta declamazione. Un partito si qualifica per le proposte che fa sulla base dei propri valori non per affermazioni di principio che non trovano riscontro nei suoi comportamenti. Bisogna abbandonare la tentazione di dissolvere il partito in eterogenee e opportunistiche federazioni di centro. Non serve nascondersi in un partito unico, da chiunque proposto, o in blocchi elettorali senza rispetto delle diversità.

E' assai rischioso a questo proposito il passaggio delle prossime elezioni regionali. La proposta di dar vita, caso per caso, a liste con un unico simbolo in cui i partiti rinuncino ad una presenza visibile è purtroppo condivisa da popolari autorevoli che non avvertono i pericoli di annullamento del ruolo del PPI. Luigi Sturzo, in una circolare pre-elettorale, condannava i partiti che cercano in ibride coalizioni locali il consenso, attraverso vecchie clientele, per poi riprendere nell'assetto parlamentare la propria personalità al di fuori di ogni influenza elettorale e rivendicava il merito dei popolari di presentarsi, anche in eventuali alleanze, con la propria bandiera, sostenendo un programma specifico.

E' un insegnamento da non dimenticare. Tanto più che la prova regionali peserà sulle successive elezioni politiche. Ma sarà in grado il PPI di interrompere un cammino che molti danno per scontato ? “

Sviluppa poi il secondo tema che riguarda l’alleanza e l’attività di governo:

“La seconda preoccupazione che consegno alla vostra riflessione riguarda la partecipazione dei popolari al Governo e, più in generale, i rapporti del PPI con la sinistra. Ci sono state negli ultimi tempi polemiche dei popolari rispetto al modo di governare. Anche in congresso si sono levate voci critiche. Sono stati detti alcuni no giustificati alla ipotesi di una lista unica proposta da Palazzo Chigi. Ma, nonostante questo, il Presidente del Consiglio l'ha riproposta in congresso con abilità tenendo fermi i suoi obiettivi. Non bisogna farsi ingannare dalle parole. D'Alema sa valutare le decisioni politiche, avverte il clima non tranquillizzante, ma non si impressiona certo per i soli mugugni o per le grida manzoniane che non sfociano in atti coerenti con le critiche. La sua strategia è stata riproposta nella sostanza anche nell'intervento di ieri.

Il Presidente del Consiglio ha cercato di cambiare le carte in tavola con toni rassicuranti. E' vero che D'Alema non ha usato il termine partito del Presidente. Ma quando annuncia addirittura in una sede di governo che la maggioranza c'è, che il candidato premier c'è, che si tratta solo di abolire la quota proporzionale e di mettere in soffitta i simboli di partito, l'esito politico non è per nulla diverso. Né apre spazi reali a decisioni collegiali la disponibilità a passare la mano per la leadership, se questa scelta dipende da una sua improbabile convinzione che ci possa essere un candidato migliore.

Non molto diverso è il progetto del grande Ulivo che Veltroni, in un abile gioco delle parti, propone con il consenso di D'Alema. I popolari non possono accettare a scatola chiusa una simile ipotesi. Nel suo intervento al congresso D'Alema ha anche dimostrato di voler continuare nella sua cattiva abitudine di distribuire le parti alle forze politiche, di affidare missioni speciali ai popolari. Ci ha invitati ad essere contro Berlusconi da lui considerato, al contrario, un interlocutore privilegiato in molte occasioni. Ci affida in continuazione il compito di fare il centro con Cossiga, quasi non fossimo un partito che ha il diritto di decidere in autonomia quello che deve fare o non fare.

Lo scopo di D'Alema è chiaro: la maggioranza costituita per portare a termine la legislatura, condizionata dal trasformismo di parlamentari eletti contro il centro-sinistra e contrari a qualsiasi riedizione dell'Ulivo, deve valere anche per le prossime elezioni. Non conta che la maggioranza sia divisa su problemi cruciali. Il Governo c'è, è il migliore possibile, e deve andare così com'è alle politiche del 2001! I partiti del centro-sinistra non devono porsi il problema di predisporre un programma per la prossima legislatura, di costruire una coalizione più forte e coesa, di scegliere collegialmente un candidato Premier. D'Alema ha già annunciato a Villa Madama che il Governo in carica, dopo aver abolito la quota proporzionale, si presenterà alle elezioni con una lista unica e mettendo in soffitta i simboli di partiti quasi sciolti per decreto.

Il Governo si trasforma così in un inaccettabile partito del Presidente in contrasto con le regole della democrazia parlamentare. Non c'è stata una reazione adeguata a questa allarmante proposta. Il PPI non può allinearsi passivamente alla falsa dottrina del pensiero unico, del governo unico, del partito unico. Questa strategia non ha nulla a che vedere con la costruzione di una coalizione tra partiti diversi, aperta ad energie vitali della società civile, proposta agli elettori nel 1996 e da difendere senza esitazioni anche nelle elezioni politiche del 2001.

Bisogna interrompere prima che sia troppo tardi questo disegno egemonico della sinistra che Veltroni, in un gioco delle parti con D'Alema, confonde ad arte con un grande Ulivo. Sono tutti stratagemmi per anticipare un presidenzialismo senza partiti che porrebbe fine al governo parlamentare. Il pluralismo della nostra democrazia va difeso con fermezza se si vuole salvare il ruolo dei partiti e del PPI. Per questo è urgente rompere politicamente l'appiattimento dei popolari su un modo di governare di D'Alema che non rafforza nemmeno la maggioranza.

Il navigare a vista espone ugualmente il Governo a rischi di crisi. L'esito delle regionali o il profilarsi di Referendum devastanti possono mettere in forse la legislatura. Elezioni anticipate in un clima di marasma favorirebbero una destra ancora più pericolosa del passato. Per questo il PPI non può attendere e dovrebbe promuovere un chiarimento di fondo nei rapporti con il Governo. E' insufficiente il tardivo no di Marini e di molti altri al partito del Presidente se, poi, tutto continua come prima nella coalizione e nei rapporti tra i partiti del centro-sinistra.

Anche Parisi sbaglia a confondere l'Ulivo del 2000 ed il partito unico proposto da Palazzo Chigi. Non portano al chiarimento gli ondeggiamenti dei democratici di Prodi per lusingare D'Alema a giorni alterni con la riserva di contrastarlo successivamente con il ricorso alle primarie. Bisogna chiarire in tempo utile come si porta a termine la legislatura, come si affrontano le prossime elezioni politiche. Persino Mastella minaccia di uscire dalla coalizione se non ottiene un rimpasto che compensi la sua insoddisfazione con qualche poltrona ministeriale.

Il PPI deve proporsi ben altri obiettivi. Non si tratta di minacciare uscite a dispetto dalla maggioranza, di esercitare ricatti o di limitarsi agli auspici. L'iniziativa, per essere efficace, deve mettere in conto anche l'appoggio esterno per portare a termine la legislatura e la ripresa di una maggiore autonomia nella preparazione delle elezioni politiche. Va rivendicato il diritto del PPI, dei partiti, a definire senza impropri condizionamenti, in un confronto aperto con i democratici di Prodi, la piattaforma programmatica e politica per le prossima legislatura, il tipo di coalizione tra forze diverse da presentare agli elettori in continuità con le scelte del 1996, l'indicazione collegiale di un Premier rappresentativo dell'intera maggioranza.

Non ci sono per i popolari alternative a destra. La scelta di fondo resta quella del centro-sinistra. E' il modo di essere nel centro-sinistra che va definito con chiarezza e che esige il netto rifiuto dell'annessione in uno scontro blocco contro blocco che la sinistra e la destra vorrebbero imporre a tutti. Non ci deve essere chiusura pregiudiziale. Il confronto tra PPI e sinistra deve avvenire in pari dignità, sui grandi problemi del Paese, sui valori reciprocamente irrinunciabili, non sulle operazioni di potere. Avranno i popolari il coraggio di porre in questi termini la questione del governo e i rapporti a sinistra e con le altre forze politiche? Non è una scelta facile, ma al di fuori di essa i rischi di subordinazione del PPI aumenteranno.“

Conclude il discorso con una affermazione positiva. Continuerà a lavorare, producendo idee per i cattolici democratici:

“Sono queste le preoccupazioni maggiori che lascio alla vostra riflessione. Mi auguro che il mio pessimismo possa essere smentito. Ci sono ancora alcune possibilità di rilancio per il PPI, ma si deve operare una svolta radicale. Resto dell'opinione che l'amico Castagnetti per le sue doti personali, la sua coerenza, l'interpretazione aperta dei segnali di cambiamento della società, sia in grado di avviare una fase nuova nella vita del partito. La condizione irrinunciabile è che la sua investitura non sia condizionata da paralizzanti compromessi. Chi è lungimirante dovrebbe investire senza contropartite su questa scelta. Ai leader che contano voglio rivolgere un ultimo appello: non ponete condizioni al segretario che avrà il vostro voto. Un segretario dimezzato non serve al rilancio del partito. Fate scelte generose. Lasciate che il Segretario eserciti, in autonomia e per libera scelta, il suo diritto di proposta sugli assetti del partito, sulla composizione della Direzione e sull'affidamento degli incarichi, sul modo di organizzare i lavori del Consiglio Nazionale.

Ho rispetto per gli altri candidati, ma vedo prevalere nelle loro impostazioni fattori di continuismo e persino di arretramento rispetto a quelli del cambiamento di prospettiva. Il futuro del PPI è comunque nelle vostre mani. Seguirò con grande attenzione lo sviluppo degli avvenimenti, Non abbandonerò il campo dei cattolici democratici. Mi dedicherò all'Associazione dei popolari intransigenti, fondata con altri amici anni fa proprio per difendere, sul piano culturale e politico, i valori del cattolicesimo democratico, le conquiste della Costituzione, una visione di grande respiro dei rapporti a sinistra.

Ho anche in animo di curare alcune pubblicazioni su importanti momenti della nostra storia politica che mi hanno visto direttamente coinvolto per dare alle nuove generazioni motivi di utile riflessione. Non mancheranno occasioni di dialogo tra noi. La ripresa del PPI può essere ancora possibile se, anziché rincorrere il giscardismo inconcludente di Cossiga ed il contrattualismo di potere di Mastella, i punti di riferimento dei popolari resteranno Sturzo, De Gasperi, Dossetti, Moro, Vanoni. Se si torna alle origini ideali del nostro movimento c'è spazio anche per ricomporre dal basso una diaspora che condanna i cattolici italiani alla irrilevanza politica. Dipende dalle vostre scelte la possibilità per il PPI di uscire dalla crisi guardando in avanti. Spero ancora che non vi manchi questo coraggio.”

 

Dopo poco più di un mese, il 1-12-1999 muore Luigi Granelli.

Il 15-12- 1999 Andreatta esce dal parlamento in stato di coma.

Alle successive elezioni regionali nel 2000 in Lombardia il centro sinistra candida Martinazzoli alla presidenza della regione Lombardia, non si ripete il miracolo di Brescia, ma subisce una pesante sconfitta.

I tre grandi vecchi che hanno cercato di traghettare il cattolicesimo democratico verso nuovi lidi, avendo come riferimento il modello sturziano, escono di scena. La politica ha tempi lunghi dettati più da una palude in cui lo scopo primario è perpetuarsi nelle stanze del potere politico.

Rutelli, Prodi senza Ulivo, Veltroni, Bersani, Letta sono le tappe di sconfitte senza rimedio annunciate da Granelli. Il ritorno della politica, dopo la caduta di Prodi, proclamato da D’Alema e Marini, ha conosciuto la sua disfatta e viene rottamato. La favola di Andersen sul re nudo si ripete.

Renzi, senza esserne l’erede, riprende le loro idee per rinnovare la politica italiana.