INTERVENTO DEL SEN.GRANELLI, AL SENATO, SULLA CRISI NEL GOLFO

Signor Presidente,

onorevoli Ministri, Colleghi,

la nostra discussione pone giustamente in primo piano le responsabilità, non facili, che la Repubblica deve assolvere, in un momento internazionalmente delicato, ed é molto giusto che nel Parlamento il confronto sia serio, approfondito, non eviti gli aspetti difficili e cerchi di tener contro della vasta inquietudine dell'opinione pubblica. Non sono incompatibili il dovere dell'assunzione delle proprie responsabilità, da parte del Governo e del Parlamento, e l'attenzione alle grandi preoccupazioni che in questo momento si diffondono nella società italiana, tra le nuove generazioni, in associazioni di varia ispirazione, nella Chiesa Cattolica ed in altre istituzioni religiose. C'é la percezione esatta, da parte dell'opinione pubblica, che se vanno, da un lato, salvati alcuni diritti inalienabili dell'ordinamento internazionale bisogna, anche, stare in guardia dai rischi che una guerra può portare con sé precludendo sviluppi utili e positivi alla soluzione degli stessi problemi che originano una drammatica crisi come quella del Golfo.

Dobbiamo dare comprensione massima, non rinunciando alle nostre responsabilità, a questa preoccupazione che sorge dal Paese e che é ammonitrice anche per ogni singolo parlamento le cui opinioni, data la gravità della scelta, vanno assolutamente rispettate. Personalmente non ho dubbi nel ritenere che, nella introduzione del Presidente del Consiglio, vi sia un punto che é stato costante orientamento dell'azione del Governo sul quale non si può che convenire e convenire pienamente. Ci troviamo di  fronte, nell'area del Medio Oriente, ad una nuova, grave, violazione del diritto internazionale. Sappiamo bene che tipo di regime é quello di Saddam Hussein, conosciamo le limitazioni alla libertà del suo ordinamento interno, ricordiamo anche il cinico massacro dei curdi e l'avventurismo che ha accompagnato molte scelte dell'Iraq.

Ma oltre a questo il fatto nuovo, grave ed inammissibile, é l'occupazione "manu militari", con la forza, di uno Stato sovrano che é portatore di diritti propri. E dopo l'occupazione, condannata dall'ONU, é venuta la provocatoria annessione dei territori arbitrariamente occupati al proprio ordinamento nazionale. Non  é questo un principio di cui si può occupare soltanto negli studi accademici. Si tratta di un principio vitale per l'ordinamento internazionale. Se noi accettassimo il fatto compiuto, riconoscessimo sia pure per necessità che vale la regola del più forte, rispetto agli Stati più deboli, non solo avvalleremmo un sovvertimento molto grave del diritto internazionale, ma metteremmo in forse la base giuridica per risolvere anche gli altri problemi dell'area del Medio Oriente. Si lascerebbe in vita, in pratica, con un pericolo evidente in una situazione resa esplosiva da molti fattori, una presenza militare massiccia e aggressiva dell'Iraq che, priva di sanzione internazionale, diventerebbe una minaccia permanente per tutti gli Stati dell'area.

NON SI PUO' PREMIARE L'AGGRESSIONE DELL'IRAQ

Non ci può quindi essere dubbio che, per quanto riguarda gli sforzi dell'ONU al fine di realizzare, con le proprie risoluzioni, il ripristino del diritto violato e la difesa dello Stato membro oggetto di occupazione, il richiamo al rispetto delle regole internazionali debba rappresentare, giustamente, la base di tutta l'attività che il Governo italiano, insieme ad altri governi, ha sviluppato nelle ultime settimane e deve continuare a sviluppare con coerenza. Ma accanto alla difesa del diritto del Kuwait, del suo ripristino, dobbiamo fare la constatazione politica che siamo, nella fase del dopo Yalta, in una situazione difficilissima per il cammino della distensione e ci troviamo, improvvisamente, di fronte ad una prova delicata e cruciale per la organizzazione delle Nazioni Unite e per il suo ruolo sovranazionale.

Occorre cautela nell'amplificare questo ruolo. Siamo solo all'inizio e non é che l'ONU disponga, oggi come oggi, di forza autonoma, di prassi, di prestigio consolidato, di strumenti giuridici tali da poter assumere quell'onere di un efficace Governo mondiale che tutti auspichiamo anche perché corrisponde, come sappiamo, alle intenzioni originarie dello stesso Trattato di San Francisco. Siamo solo all'inizio, assistiamo ad iniziative interessanti perché, fortunatamente, si é creata  con la distensione, all'interno del Consiglio di Sicurezza, una positiva convergenza politica tra Stati prima di oggi contrapposti tra loro, specialmente gli USA e l'URSS, nel tentativo di fare dell'ONU uno strumento imparziale che possa dirimere le controversie internazionali.

Ma non c'é dubbio - lo dico con molta preoccupazione ai rappresentanti del Governo - che non siamo in presenza di una situazione del tutto tranquillizzante per quanto riguarda la possibilità di un azione forte, indipendente, incisiva dell'organizzazione delle Nazioni Unite. Se si osservano con attenzione, nel Trattato di costituzione dell'ONU, gli articoli  dal 42 al 46 ci si rende subito conto che il Consiglio di Sicurezza ha dovuto ricorrere, per far fronte alla drammatica situazione del Golfo, a misurare in qualche modo eccezionali, imposte dalle circostanze, per la mancanza di consolidati strumenti di intervento pure previsti. Ricordo che tra gli obiettivi dell'ONU vi é quello previsto dall'art. 45, della vera e propria costituzione di una forza multinazionale, alla quale partecipino Stati diversi sotto l'egida, la bandiera, e la responsabilità anche militare delle Nazioni Unite. Devo poi sottolineare che l'art. 46 fissa, significativamente, modalità e procedure per la definizione di piani per l'impegno della forza militare e che l'articolo 47, a sua volta, prevede la nomina di un Comitato di Stato Maggiore con il compito di collaborare  con il Consiglio di Sicurezza per risolvere, in una logica multinazionale, anche i problemi del comando delle forze aeree, navali, terrestri, che sono sempre di grande delicatezza.

Questi articoli sono ancora sulla carta: l'ONU non é riuscita, non ne ha ancora avuta l'opportunità, a trasformare importanti indicazioni giuridiche in strumenti operativi che, oggi, tranquillizzerebbero di più tutti nel momento in cui si ricorre ad un uso limitato della forza per imporre l'applicazione delle risoluzioni adottate dalle Nazioni Unite. Ho già sostenuto tempo addietro, in Commissione Esteri, e torno ad insistere affinché l'Italia si faccia promotrice di proposte per contribuire ad una sollecita realizzazione di questa parte, ancora lacunosa, dell'ordinamento dell'ONU allo scopo di rendere consistenti e autorevoli i suoi interventi. Non si può per questo dimenticare la situazione politica contingente e cioè che, dopo le risoluzione adottate dal Consiglio di Sicurezza, se l'intervento dell'ONU in un momento drammatico, nel tentativo sia pure pragmatico di dare i primi concreti segnali di un Governo  mondiale, dovesse per qualche ragione fallire o dovesse, anche per il disimpegno di alcuni Stati, risultare preponderatamente qualificato dalla presenza di una grande potenza come quella degli Stati Uniti, si comprometterebbe qualcosa di più dell'intervento nell'attuale crisi del Golfo.

Con il fallimento della propria missione complessiva nel Medio Oriente la stessa funzione dell'Organizzazione delle Nazioni Unite perderebbe credibilità anche per gli auspicabili processi di rafforzamento per i futuro. Aggiungo che la situazione dell'ONU non può essere valutata soltanto sotto il profilo giuridico: nel considerare l'opportunità del suo successo, nell'azione che viene svolgendo, non va dimenticato che sul punto specifico, l'invasione del Kuwait da parte dell'Iraq, si é realizzata una convergenza internazionale di rilievo, di grande significato politico che non va incrinato con leggerezza.

Il fatto che sulle risoluzioni dell'ONU vi sia stata la convergenza di nazioni quali l'Unione Sovietica, la Cina, molti Stati arabi, i Paesi europei e della CEE, oltre agli Stati Uniti, dimostra che la quasi totalità della Comunità internazionale é impegnata in un suo sforzo dal quale non possiamo tirarci fuori con improvvisa emotività, né dobbiamo assumerci la responsabilità di indebolire quella ampia solidarietà politica tra Stati diversi che, sola, conferisce oggi una base autorevolmente multinazionale all'intervento dell'ONU. Vi sono dunque ragioni che, anche se non escludono fondate preoccupazioni, sono politicamente rilevanti ed esigono che l'Italia si muova con coerenza, non si sostengono alle Nazioni Unite per il raggiungimento dei suoi obiettivi con il massimo di concorso multinazionale possibile in difesa del diritto e di una pace con giustizia.

Confermo, per questa parte, un motivato consenso alla mozione concordata dalla maggioranza con il Governo. Ma sia pure a titolo personale, interpretando credo anche il sentimento di altri colleghi, devo dire che, al contrario, non ho trovato persuasiva la relazione del Presidente del Consiglio riguardante gli sforzi compiuti per mantenere aperto lo spiraglio del negoziato, in una onorevole trattativa. Vorrei ricordare a me stesso, oltre che a tutti i colleghi, che quando l'ONU fa riferimento al ricorso ad un uso limitato della forza tende, per la sua stessa filosofia, ad attribuire comunque un carattere di dissuasione, di deterrenza , al proprio intervento militare. Non possiamo nemmeno immaginare l'ONU come una organizzazione sovranazionale che gioca con leggerezza, in una logica di potenza, la carta della guerra: le Nazioni Unite, anche quando devono ricorrere all'impegno della forza, non possono che farlo per riaprire la via ad un negoziato con serietà, i problemi aperti nel Kuwait e nell'intera area del Medio Oriente.

Va detto con molta franchezza che non intendo, su questo punto, sottoporre a giudizio critico l'orientamento di fondo del Governo Italiano,. E' noto, tra l'altro, che - il Presidente Andreotti lo ha ricordato - ancor prima di queste circostanze, nel 1980, al tempo della risoluzione del Consiglio Europeo di Venezia, l'Italiaho sostenuto per il Medio Oriente la necessità del negoziato, i diritti dell'OLP, l'autodeterminazione del popolo palestinese e la sicurezza per lo Stato di Israele. In più occasioni il nostro Paese ha propugnato questa linea di comportamento. Se mi é consentito, in argomento, un riferimento di partito non c'é dubbio che la DC non può dimenticare il grande contributo morale e politico che uomini come La Pira, Fanfani e Moro hanno dato, in tante occasioni, in situazioni difficili, per aprire la via ad una soluzione negoziale dei problemi dell'area medio-orientale.

Per questo con eguale ed ancora più forte enfasi, in coerenza con le nostre stesse tradizioni e con una nuova linea di politica estera italiana, dobbiamo dare pieno ed attivo sostegno in sede internazionale, tramite l'ONU, al ripristino, oltre che del diritto violato dall'Iraq con l'occupazione e l'annessione del Kuwait, dei diritti soffocati ed offesi nel Medio Oriente, specie per quanto riguarda il popolo palestinese ed il Libano. C'é da essere lieti che si diffonda, nell'opinione pubblica nazionale e internazionale, che le risoluzioni dell'ONU sono atti di rilevante importanza. Ma, onorevoli Colleghi, signor Presidente del Senato, rappresentanti del Governo, il COnsiglio di Sicurezza dell'ONU non ha adottato, negli ultimi tempi, soltanto le risoluzioni relative all'aggressione ikrachena: ha adottato, sia pure con minore consenso, importanti risoluzioni sul diritto del popolo palestinese all'autodeterminazione e ad un proprio Stato, sulla sicurezza internazionale garantita di Israele, sull'integrità del Libano, sui problemi del disarmo in una area che, tra l'atro, l'occidente ed anche l'Italia hanno contribuito ad amare e, infine, dell'assetto e di uno status di cooperazione politica, economica e militare dell'intero Medio Oriente.

L'ITALIA NON HA REAGITO ALLE OMISSIONI EUROPEE

E' allora urgente e indispensabile che la Comunità Internazionale non dimostri di essere unilaterale nell'applicazione di alcune risoluzioni delle Nazioni Unite e di trascurare l'importanza e l'efficace rispetto di altre. Sotto questo profilo, a mio parere, i rischi di una preponderante presenza degli Stati Uniti nella crisi del Golfo dipendono - dobbiamo dirlo con onestà - anche dalle mancate occasioni e dalle colpe della CEE, nel suo insieme, e dalle colpe di omissione degli Stati europei. Non sono convinto di quello che ha detto il Presidente Andreotti e cioè che l'Europa ha fatto tutto quello che  doveva in questa situazione, per giocare un ruolo più autorevole e diretto nella crisi medio-orientale. Non mi riferisco ad osservazioni fatte con saggezza e obiettività dal collega Bufalini, nella critica allo spettacolo negativo dato da autorevoli personalità europee in un corsa concorrenziale alla corte del dittatore dell'Iraq in materia di ostaggi.

Mi riferisco, più specificatamente, alla decisione del Consiglio dei Ministri degli Esteri della CEE dell'ultima settimana che ha ammesso, formalmente, che orami non c'era più niente da fare, che non restava che abbandonare il campo, che non c'erano altre iniziative da tentare o da appoggiare. Alludo alla circostanza, politicamente grave, che la nota proposta francese é stata lasciata giocare dal Presidente Mitterand, in modo coraggioso e solitario, anche se devo ammettere che la sia pure tardiva adesione del Governo italiano é certamente positiva. La proposta francese aveva ed ha ancora il merito non solo di non fare venire meno l'impegno e la solidarietà verso l'ONU anche in caso di ricorso all'uso della forza, per ripristinare il diritto calpestato, ma aveva soprattutto il pregio non secondario di affermare, nei confronti delle riluttanze degli Stati Uniti, che la convocazione di una Conferenza Internazionale di pace per avviare il negoziato, con l'intento di risolvere anche tutti gli altri problemi dell'area, aveva ed ha forte possibilità politica di togliete un ulteriore alibi all'avventure di Saddam Hussein.

Non possiamo dire, in questo momento, che la proposta francese é risultata impraticabile solo perché non ha avuto via libera dal dittatore iracheno. Non  c'é stato il consenso forte dell'Europa alla proposta di Mitterand e non si é cercato di vincere, con iniziative persuasive, le resistenza degli Stati Uniti ad assumere un impegno preliminare per la convocazione della Conferenza Internazionale. E' questo un elemento di fatto, inoppugnabile, che viene percepito con preoccupazione ed allarme, da  molta parte dell'opinione pubblica, come un vuoto di strategia nella nostra offensiva di pace nel Golfo. Bisogna quindi svolgere con maggiore determinazione, in queste giornate, nelle ore che rimangano a disposizione, sino all'ultimo minuto, una forte e autorevole iniziativa politico-diplomatica per rilanciare l'ipotesi della trattativa e le possibilità di aprire nuovi margini ad uno spiraglio di negoziato.

Avrei voluto rivolgere direttamente un pressante appello al Presidente del Consiglio e mi rammarico per la sua assenza in questo. Ma ci sono autorevoli ministri, a cominciare da quello della Difesa, che potranno riferirgli le mie sollecitazioni: il presidente Andreotti, per la sua lunghissima esperienza, ha acquisito un prestigio ed una autorità internazionale che tutti riconoscono e che andrebbe messa in campo senza risparmio di energia. In un momento altamente drammatico, di fronte ai rischi di una sconfitta dell'ONU e di tragico conflitto militare, non ci si può affidare ad una quasi ordinaria amministrazione dell'azione diplomatica dell'Italia. Il presidente Andreotti, ripeto, ha l'autorevolezza necessaria per assumere una straordinaria e sollecita iniziativa in questi giorni, in queste ore, per avere contatti dirette con Mitterand, con Gorbaciov, con Mubarak, con Bush, ed altri allo scopo di tentare una via d'uscita in extremis e di dimostrare, al Paese, che non si é lasciato nulla di intentato per far rispettare r il diritto internazionale, da una parte, ma anche  aprire dall'altra la strada ad un sia pure difficile negoziato, ad una trattativa, della massima importanza per il futuro del mondo e per una reale pacificazione.

Ecco perché ho forti preoccupazioni e fondate riserve sull'atteggiamento quasi rassegnato di chi pensa che, attraverso il ricorso alla forza, si possa risolvere sbrigativamente ogni problema. Non va ignorato l'alto motivo venuto dal Pontefice che nessuno dovrebbe strumentalizzare in battaglie di schieramento, ma che può e deve avere una risonanza morale anche nel Parlamento di una Repubblica autonoma, laica, come quella italiana. La suprema autorità della Chiesa Cattolica non si é limitata a fare un generico richiamo alla pace. Se si guarda, alla sostanza delle posizioni, che ancora oggi Giovanni Paolo II° ha riproposto, nelle due lettere significative mandate a Saddam Hussein e a Bush, ci sono due precisi richiami politici che vale la pena di sottolineare.

Anzitutto si ripete l'invito all'Iraq a ritirarsi dal Kuwait, con un atto di generosità, perché va ripristinato il diritto che é stato offeso. Poi, contemporaneamente, si ricorda al Presidente degli Stati Uniti che la guerra illude di risolvere, con l'uso della violenza e della forza i problemi aperti nel Medio Oriente. E' limpido il richiamo al dovere di compiere i gesti più coraggiosi possibili per non considerare chiuso quello che ancora può restare aperto nel tentativo non di tornare indietro, rispetto alla tutela del diritto che é per l'ONU un obbligo irrinunciabile, ma di non andare alla leggera verso conclusioni drammatiche con una guerra che sarebbe una avventura senza ritorno.

Ho già avuto modo di ricordare, onorevoli Colleghi, signor Presidente, che i diplomatici conoscono la regola del "fermare l'orologio" nel tentativo di raccogliere in extremis, anche con uno stratagemma formale, qualche risultato positivo. Una moratoria di qualche giorno non sarebbe, per nessuno, una umiliazione. Va verificata con ogni mezzo la possibilità di non lasciare nulla di intentato per riuscire ad applicare, anche con gradualità, le risoluzioni dell'ONU senza aprire la via a quel disastro incalcolabile che è la guerra. Non possiamo non mettere in contro passi straordinari per affrontare, con estrema serietà e con il massimo di iniziativa politico-diplomatica, scadenza che possono travolgerci e precludere positivi sviluppi anche in futuro.

LA GUERRA NON RISOLVE I PROBLEMI E LI AGGRAVA

Per dare maggiore forza a questo appello mi consento solo una citazione, completa, di un passo della lettera di Giovanni Paolo II° al Presidente Bush. Il richiamo esplicito al ripristino del diritto calpestato, giusto e inequivocabile, si collega, profeticamente, ad una affermazione autorevole, drammatica, che mi ha profondamente colpito e che accentua l'inquietudine della mia coscienza. Ribadisco, scrive il Papa, "il profondo convincimento che una guerra non può portare ad una adeguata soluzione dei problemi internazionali e che, sebbene una situazione ingiusta potrebbe essere momentaneamente risolta, le conseguenze che potrebbero derivare da una guerra potrebbe essere devastanti e tragiche".

Non é certo una affermazione di routine di un alto magistero morale. E' un richiamo forte e valido, io credo, anche per la coscienza civile e laica del nostro Paese e per i doveri del Parlamento e del Governo.

E' un richiamo, quello citato, alla necessità di non rassegnarsi a quello che é accaduto e sta per accadere anche perché, non dimentichiamolo, la scadenza del 15 gennaio, fissata dall'ONU a Saddam Hussein perché si ritiri dal Kuwait applicando le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza, non implica un meccanismo automatico che obbliga a decisioni immediate gli Stati che intendono raccogliere l'invito delle Nazioni Unite e avvalersi della loro autorizzazione per un uso limitato della forza. Se il Governo vuole fare qualcosa di più bisogna farlo subito, con energia, al massimo livello di autorità, perché la gente che spera nel diritto, in una pace secondo giustizia, guarda con trepida attesa alle nostre assunzioni di responsabilità. Non possiamo lasciare solo a Mitterand il rischio di un estremo tentativo che sarà abbandonato, anche dalla Francia, se mancheranno sostegni adeguati. Anche il Parlamento, al di là delle diversità di valutazione, deve dare forza al Governo affinché si muova con maggiore determinazione sulla scia della stessa proposta francese.

Dovremmo dare maggiore concretezza politica alla dichiarazione che anche il presidente Andreotti ha fatto, in quest'Aula, ribadendo l'orrore di tutti per la guerra. Sarebbe meschino distinguerci su questo punto, ma evitiamo di dire, di fronte ad un possibile disastro di incalcolabili proporzioni, che "abbiamo fatto tutto quello che dovevamo e adesso vada come deve andare". Non possiamo scivolare in questo fatalismo. Sino all'ultimo minuto, incessantemente, senza rinunciare a nulla, dobbiamo tentare di allargare ogni spiraglio, rilanciare ogni residua possibilità, difendere le nostre scelte a sostegno dell'ONU ma liberando, contemporaneamente, la nostra coscienza del senso di colpa di qualche omissione, di qualche ritardo, di qualche mancata iniziativa.

E con questa speranza, signor Presidente, onorevoli Ministri, Colleghi, che concludo il mio intervento: l'adesione alla prima parte della mozione presentata d'intesa con il Governo dalla maggioranza, la più importante sotto il profilo del diritto internazionale, é leale, seria, convinta. Sappiamo che non bisogna lasciare affermare la prepotenza, l'arroganza, il fatto compiuto nei rapporti tra gli Stati. Ma le nostre preoccupazione, le nostre riserve d'animo, di un particolare modo di pensare: sono, ad un tempo, l'espressione di un dissenso e di una forte esortazione politica affinché in queste ore, nello spazio che ancora abbiamo a disposizione, l'Italia eserciti il massimo di iniziativa politico diplomatica per dimostrare, con infaticabile pazienza, che si é cercato di fare tutto, proprio tutto il possibile, per cercare prima dell'irreparabile soluzioni negoziali perché i valori che sono in gioco sono troppo alti per consentirci colpevoli disattenzione.

Luigi Granelli
Senato
Roma 16 gennaio 1991