Giovanni Paolo II lo ripete in continuazione: "tacciano le armi e riprenda il negoziato di pace". E ancora, evocando il monito di Pio XII, "tutto è perduto con la guerra, nulla è perduto con la pace".
Questo forte richiamo morale è rivolto, in primo luogo agli uomini di governo che possono correggere il tragico corso delle cose. Ma l'appello ad atti di coraggio è scarsamente raccolto.
La real-politik porta nella direzione dell’uso della forza, con il suo carico di distruzione e di morte, e a sostenere che i bombardamenti sono il mezzo per favorire uno sbocco diplomatico.
Bisogna reagire a questa forzatura. Con l’impiego devastante dei missili si tende ad annientare l’avversario, per imporgli la pace dei vinti, non crea le condizioni per trattare. Maggiore equilibrio e rispetto della verità ci vorrebbe anche nell’usare l’argomento che le bombe servono a proteggere le donne, i bambini, la popolazione albanese dalle barbare e condannabili repressioni della polizia speciale serba, dai terribili rischi di genocidio, dalla tragedia dell’esodo di massa dei profughi. Con queste argomentazioni si scivola, lo si voglia o no, nella propaganda di guerra.
Onestà vuole si riconosca, invece, che pur restando dei serbi la responsabilità primaria dell’aberrante disegno di stabilire il proprio dominio nel Kosovo con il ricorso alla “pulizia etnica”, anche la guerra ed i bombardamenti hanno concorso a rendere ancora più drammatica, senza vie d’uscita, la situazione. L’intervento armato ha avuto tra i suoi effetti il ritiro degli osservatori dell’OSCE, delle Organizzazioni umanitarie, degli strumenti dell’ONU a difesa dei profughi, che con la loro presenza sul territorio rappresentavano almeno un freno, una possibilità di denuncia credibile all’opinione pubblica mondiale, di ogni inaccettabile massacro.
Anche la presenza massiccia di truppe serbe ha trovato un alibi, nel dispiegamento al confine con la Macedonia, nella necessità di difendere l’intangibilità territoriale da un ventilato intervento della Nato, anche con forze di terra, discusso ma mai definito negli accordi di Rambouillet. Si è così offerta a Milosevic una occasione per estendere il controllo sul Kosovo e per annientare a vasto raggio ogni resistenza, al coperto di una guerra subita, che gli consentirà di trovarsi domani in vantaggio negoziale, sia per la concessione dell’autonomia che in eventuali spartizioni, quando l’incendio sarà spento senza vincitori né vinti. E’ un altro degli effetti perversi della guerra.
Occorre rendersi conto al più presto che la continuazione dei bombardamenti oltre a non servire alla ripresa del negoziato in pratica ostacola ogni volenterosa mediazione. Per questo il pressante invito di Papa Woityla oltre ad avere un alto significato morale, è una efficace indicazione diplomatica e politica. La riprova si ha nel fatto che la diplomazia vaticana sta operando, in ogni sede possibile, per influenzare le parti in causa ed ottenere, contemporaneamente, la cessazione dei bombardamenti e la disponibilità a mettersi attorno ad un tavolo per trattare.
Il Governo dovrebbe agire nella stessa direzione, che è la stessa che muove in questo momento la Francia, in coerenza con l’impegno assunto in Parlamento a prendere iniziative immediate ed efficaci per far cessare i bombardamenti, con una pressione esplicita sugli alleati, e per rilanciare un negoziato nel quadro dell’ONU e d’intesa con la Russia e con il “gruppo europeo di contatto”. Se ciò non avviene aumenta, con ragione, un rischioso disagio nella maggioranza di fronte al mancato rispetto di una vincolante mozione parlamentare. L’assicurazione che si sarebbe sfruttato ogni spiraglio doveva portare ad insistere per una pausa di riflessione prima di passare alla fase 2 dei bombardamenti. Si è invece intensificata l’azione militare, con interventi ancor più devastanti, e l’Italia ha dato il suo assenso in risposta alle consultazioni del segretario della Nato Solana.
La fedeltà agli impegni della Nato, da assumere sempre nel rispetto dei Trattati e quindi con la consultazione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, non contrasta con il diritto di levare la propria voce, richiedere una correzione di rotta, quando un’azione intrapresa per la pace rischia di tradursi nel suo contrario. L’Italia non è una nazione a sovranità limitata ed ha, nelle alleanze contratte liberamente, un diritto pari a quello dei suoi alleati. Bisogna dare attuazione senza controproducenti tergiversazioni agli impegni assunti in Parlamento. La Francia, peraltro, ha preso precise iniziative di contenuto che non ci possono trovare disattendi.
Essa non si limita a chiedere a Milosevic di accettare condizioni imposte dalla guerra, come la presenza militare della Nato sul suo territorio quale imposizione unilaterale sempre rifiutata al tavolo del negoziato. Né fa leva, a scopi di propaganda, sulle violazioni di diritti umani fondamentali che solo con la fine della guerra possono essere meglio tutelati. La Francia esclude tassativamente ogni intervento di truppe sul territorio, considerate essenziali nella fase finale dei bombardamenti aerei da tutti gli esperti militari, e non pensa che l’intervento della Russia su Belgrado possa essere concepito a puro sostegno del prendere o lasciare della Nato.
Chirac tende a promuovere una iniziativa congiunta con Primakov per ancorare la tregua tra la parti alla proposta di prevedere una forza di interposizione russo-francese autorizzata dall’ONU, non della sola Nato, a garanzia internazionale dell’autonomia a scadenza precisa del Kosovo e del rispetto dei diritti fondamentali delle minoranze etniche. E’ una linea che non trova, al momento, concordi gli Stati Uniti, ma che gli europei possono sostenere come alternativa alla guerra e come sbocco concreto verso un efficace negoziato. Palazzo Chigi ha assicurato che l’Italia sta svolgendo con discrezione le sue iniziative e non le rivela per non comprometterle.
Si comprende una certa prudenza. Ma non si capisce perché non debbano essere conosciute azioni del Governo coerenti con gli impegni assunti in Parlamento. Tanto più che le indiscrezioni fanno temere una scarsa capacità di reazione verso chi punta, invece, ad una accelerazione delle azioni militari e alle tesi più oltranziste presenti nella Nato sia pure attenuate da una generica buona volontà. Ha ragione Marini di ricordare, come ha fatto a Cianciano, che la fedeltà all’Alleanza Atlantica non impedisce all’Italia di agire con determinazione per far cessare la guerra e aprire la via alla pace con la trattativa diplomatica.
Non c’è tempo da perdere. La pressione dei popolari sul Presidente D’Alema e sul ministro Dini deve essere continua, riconoscibile da cattolici che seguono con angoscia gli avvenimenti e constatano con amarezza lo scarso ascolto dei moniti di Giovanni Paolo II. Senza gesti chiaramente finalizzati si logorerà il rapporto con il Parlamento con rischi gravissimi di crisi, che il PPI vuole giustamente scongiurare, o con la pura sopravvivenza di un Governo senza autorevolezza.
Il Popolo
30 marzo 1999
Luigi Granelli