«[...] la macchina di Trieste, secondo noi, [...] è tale da far crescere la comunità scientifica, e io penso anche industriale, italiana, in un campo di grande importanza per il nostro futuro. Questo lo dico perché non c'è dubbio che noi in Italia abbiamo le carte in regola per giocare questo ruolo, lo abbiamo sentito qui. [...]
Credo che, tanto per essere molto chiari, sarebbe impossibile immaginare una potenzialità di progettazione e realizzazione della stessa macchina di Trieste, o del nostro apporto alla macchina di Grenoble, se non avessimo alle spalle l'esperienza di Frascati e l'esperienza dell'INFN. Questa è la realtà italiana, nulla si improvvisa, questo è il complesso dei valori che abbiamo di fronte. Quindi bisogna che guardiamo al problema di Trieste, io lo ripeto sempre al mio amico professor Fonda, come a un problema che si inserisce in una programmazione nazionale e europea dei grandi laboratori che consentono all'Europa e all'Italia di fare un salto di qualità rispetto alla concorrenza internazionale. Qui però sono del tutto d'accordo con il professor Pellegrini, e cioè che il tempo richiede di fare appello alle competenze che sono in grado di operare con rapidità e richiede strumenti organizzativi, funzionali, giuridici e finanziari, che siano coerenti con questo bisogno di rapidità. Sotto questo profilo io inviterei a non creare né sospetti, né rischi di contrapposizione nella comunità scientifica e a livello politico. Sarebbe un grave errore e inoltre non farebbe onore a una comunità di questo livello. [...]
La ragione della localizzazione a Trieste sono anche ragioni politiche. Quando il Governo italiano dice che a Trieste bisogna fare una Città della Scienza, non fa torto ad altre città che possono aspirare a questo, ma fa una scelta che ha una sua motivazione che non riguarda solo la comunità scientifica, ma riguarda anche quella industriale e le ricadute che i 2000 visitatori avranno sul tessuto socio-economico di questa regione, una regione che ha bisogno di un decollo [...]. Dobbiamo anche porci il problema, che ha sollevato l'Onorevole Cuffaro, che in ogni caso la vocazione, il destino, il miglioramento anche della struttura di Frascati, esiste a prescindere dall'ubicazione del laboratorio di luce di sincrotrone a Trieste [...]. Una struttura di questo genere, e penso alla trasparenza ultima presentata dal professor Pellegrini, deve nascere a Trieste con un salto di qualità rispetto a tante iniziative del passato, cioè deve determinare in partenza una struttura che sia potenzialmente aperta sia alla collaborazione tra mondo scientifico e mondo industriale, perché questo è vitale per il successo dell'iniziativa, sia tra realizzazione nazionale e cooperazione internazionale [...]. Se noi vogliamo fare una macchina del futuro dobbiamo avere un'apertura di questo genere. Ma Fonda dice tutto preoccupato che bisogna stare attenti a non fare un'ambiziosa struttura internazionale per la quale occorrono dei tempi di attuazione che ci fanno cadere nell'insuccesso che qui è stato dipinto. Sotto questo profilo non c'è dubbio: noi dobbiamo partire con la volontà di fare un laboratorio nazionale per non perdere i tempi che sono indispensabili, ma dobbiamo essere altrettanto determinati ad immaginare che questa struttura nazionale è, da oggi in avanti, aperta a tutte le integrazioni [...].
Ritengo che in questa struttura dinamica che dobbiamo creare, mentre possiamo immaginare un'apertura molto più proiettata nel futuro per quanto riguarda la dimensione internazionale, per quanto riguarda l'industria dobbiamo fare in modo che fin dall'inizio l'industria italiana sia coinvolta. Io ho il piacere di annunciare qui che proprio nella giornata di ieri parlando con il Presidente dell'IRI, Professor Prodi, ho trovato il massimo di disponibilità dell'IRI a sentirsi non solo uno dei protagonisti, ma anche un capofila di eventuali consorzi e industrie pubbliche e private, che si pongono già da ora di fronte alla macchina di Trieste, non come spettatori in attesa, ma come protagonisti [...].
Devo dire che, creando qualche apprensione negli amici triestini, io ho voluto portare la decisione di fare questo tipo di macchina a Trieste soltanto dopo che dobbiamo adottato la delibera in sede europea e dopo aver consultato al massimo livello i fisici italiani. Io ho le mie opinioni su Trieste, quello che faccio lo faccio con grande convinzione, ma se i fisici italiani al massimo livello mi avessero dato un parere diverso da quello che mi hanno dato, io avrei assunto anche coraggiosamente l'impopolarità di deludere il mio amico Fonda, l'amico Rosei e tanti altri. La realtà è che il vertice, che io ho voluto fare, dei fisici italiani, presente Carlo Rubbia, presenti tanti altri, mi ha confortato nel dire che la seconda macchina non era un doppione, che è utile, che può far fare un salto di qualità alla realtà italiana, e che è bene che sia fatta a Trieste [...]».
Questi i presupposti. La decisione finale politica favorevole a far sorgere questa iniziativa, è figlia di tanti padri, quei politici e diplomatici che nell'arco di questi lunghi sette anni hanno colto l'importanza non solo scientifica di questo progetto per Trieste. Ma su tutti sovrasta l'opera di Granelli e di alcune singole figure significative - che il lettore avrà certamente individuato sulle pagine di questo libro - uomini dedicati, mossi da ideali di progresso e civiltà, che la loro efficace azione hanno determinato il decollo dell'impresa.
Luciano Fonda