UNA SCELTA EDITORIALE (Il Domani d'Italia, n.1, marzo 1972)

Una nuova rivista che esce nella situazione, quale è quella dell’Italia d’oggi, chiede la sua legittimazione non certo alla pretesa da parte dell’editore e del gruppo redazionale di possedere formule risolutive, bensì allo sforzo di portare un contributo al dibattito culturale e politico. Perché, da noi, di carta stampata se ne produce molta, spesso troppa, ma si legge poco e male, soprattutto in ordine ai temi di fondo che caratterizzano i rapporti della vita civile. E, se a un italiano sostanzialmente “disinformato”, corrisponde un momento di disaffezione nei confronti delle scelte culturali, della cosa pubblica, del recupero in genere del ruolo attivo del cittadino - oggi che questo avrebbe anche il tempo e le possibilità per essere quel protagonista dello sviluppo che la stessa Costituzione vorrebbe - non si può affermare che la “domanda politica”, pur dove esiste realmente, trovi occasioni di riflessione critica.

E’ vero: sono sostanzialmente mutati tempi e circostanze: oggi la cultura - a seguito anche di un utile recupero di “spontaneità” - rischia di esaurirsi nella prassi, più che non costituire un’opera di mediazione costante, e la politica è presentata spesso come una prospettazione di soluzioni e modelli definitori più che come difficile e quotidiano lavoro di composizione. E l’insofferenza verso certi strumenti di lavoro, culturale e politico può considerarsi, in tale quadro, comprensibile.

Non ci nascondiamo queste e altre difficoltà. D’altra parte ci risulta estremamente difficile credere all’impossibilità che il mondo possa venire cambiato anche da un intervento continuo e puntuale sulla realtà, attraverso l’uso di strumenti, il cui logorio - anche dove è marcato - non può certo revocare in dubbio le ragioni e i fini per cui furono previsti e predisposti.

Ecco perché, quando un gruppo di amici, impegnati più direttamente nella “politica” di quanto non siamo noi, ci hanno chiesto di vivere insieme a loro l’avventura di fare una rivista mensile di politica e di cultura, abbiamo accettato di buon grado l’invito. Si trattava di mettere a disposizione quella strumentazione tecnica e quel bagaglio professionale che permettesse di dare un veicolo alle idee e al dibattito, oltreché, più in generale, di verificare, in un lavoro in parallelo, una tensione morale e civile che non può oggi non essere comune a chi considera attentamente la realtà odierna del paese.

E facendoci “editori” del Domani d’Italia intendiamo inoltre riaffermare, sul piano che più squisitamente attiene al nostro lavoro quotidiano di comunicatori, un impegno deciso per la salvaguardia e la riaffermazione della libertà di stampa. Questa, perché possa effettivamente realizzarsi, non può più essere contenuta semplicemente negli appelli e negli auspici generali. Ha bisogno di occasioni e di strumenti concreti, ha bisogno di esperienze alternative rispetto all’attuale sistema editoriale, inteso a garantire e a proteggere le imprese editoriali e non invece chi ritiene di avere qualcosa da dire e, per questo, vuole mettersi insieme ad altri, per fare del comunicare e dell’informazione un momento di crescita politica oltreché umana.

Da queste premesse e da questo incontro di preoccupazioni, di sensibilità e, soprattutto, di persone, nasce l’avventura di Il Domani d’Italia. Il cui successo - e se ci sarà, sempre relativo, ovviamente, per i margini ristretti che consente la situazione e per la consapevolezza che abbiamo di come vanno certe cose - non varrà tanto ascriverlo all’efficienza degli editori e agli interventi della redazione, ma alla risposta del pubblico.

Noi, per nostro conto, fra il possibile rimorso per essere stati zitti al momento opportuno e il rischio di uscire e di parlare, abbiamo compiuto la nostra scelta.

L’Editore