Virginio Rognoni: RICORDO DI LUIGI GRANELLI

(trascrizione, con gli aggiustamenti necessari per il testo scritto, del discorso pronunciato a Binasco (Milano) il 1 dicembre 2001 nel secondo anniversario della morte, dopo le parole introduttive di Mariolino Mauri e Pierluigi Castagnetti)

Luigi ci manca molto, manca il suo giudizio, manca il suo gesto; ricordarlo a voi che l'avete seguito, apprezzato, che l'avete amato, che giusto ne sentite amaramente la mancanza sembra inutile. Ma, di questi tempi, urgente è il bisogno della memoria collettiva, del ricordo di quanti sono stati testimoni di esemplare storia civile e politica. Far vivere, dunque, e organizzare la memoria collettiva. Ma ricordi personali urgono in ciascuno di noi e io ne ho moltissimi.

C'è stato un momento in cui Luigi ed io, a Roma, dividevamo due stanze in Via dei Coronali - dal '74 al '76 - così piccole che quando arrivava Adriana bisognava fare un po' di ginnastica per consentirle il passaggio. Ricordi struggenti che si riassumono, alla fine, in quelle tre giornate forti che abbiamo vissuto insieme a Rimini. Anche qui con Adriana, con il sindaco di Inveruno Mainini. Già si vedeva l'amico distrutto; c'era il taxi che ci aspettava per andare al Congresso, Luigi che non scendeva dalla camera e da li a poco eccolo nella hall dell'albergo; e quello sguardo di Adriana che diceva tutto e non diceva nulla; Luigi, con la sua forza, con la discrezione e il pudore della sua malattia. Tutte cose che, per tanti versi, abbiamo conosciuto dopo.

Nella vasta sala del Congresso eravamo vicini; ascoltava e prendeva appunti, come era solito fare, rileggeva il discorso che avrebbe tenuto. Un Congresso difficile, quello di Rimini; c'era stato un Consiglio Nazionale in luglio e lì, non molti per la verità - ed io e Luigi eravamo tra questi - pensavano di arrivare subito ad una serie di cambiamenti duri, dopo una vicenda elettorale - quella regionale - addirittura disastrosa. Molti si domandavano se Martinazzoli sarebbe venuto o se avrebbe continuato il suo corrucciato Aventino; curiosità legittima, ma anche irritante e futile rispetto alle cose severissime che da lì a poco il Congresso avrebbe sentito da Granelli. Non a caso le prime parole del mio intervento, poco dopo quello di Luigi, furono pressappoco queste: "Non l'assenza di Martinazzoli darà il segno a questo Congresso, ma il discorso di Granelli che tutti abbiamo ascoltato".

Grande oratore, Luigi; analista rigoroso, sapeva essere però anche appassionato tribuno: tribuno quanto era giusto esserlo in qualsiasi assemblea. Come non ricordare quando ci si chiedeva: "Luigi ha già parlato? Deve ancora parlare?". Nessuno voleva mai perdere il suo intervento. Ma era un politico esigente e rigoroso anche verso se stesso, informatissimo. Io sono stato al Governo con lui per poco - dal giugno '86 al giugno '87 -. Lui era ministro della Ricerca Scientifica; arrivava al Consiglio con alle spalle una lettura attenta dei dossier; non soltanto dei dossier del suo Ministero, ma anche di tutti quelli che stavano all'ordine del giorno. Così era Luigi. A Rimini esplode ancora una volta innanzitutto la sua forza morale; alza la frusta sul Congresso e lo sferza, impietoso. Lui, e non altri o più di altri, poteva dare una frustata del genere; la sua dirittura e consistenza morale gli riconoscevano questo diritto.

Io l'ho conosciuto nei primi anni '50 quando mi arrivava a Pavia un giornaletto, "La Base", da Milano, da via Cosimo del Fante. "Chi sono questi amici che dicono cose che con meno pigrizia potrei scrivere io? Chi sono? Io mi riconosco in questa cultura, in queste cose che dicono". Nasce così l'amicizia con Luigi,con Marcora e con tanti altri che vedo qui in sala. L'incontro con "La Base" avviene in questo modo. A proposito della "Base": sono d'accordo con Castagnetti: "La Base" è stata importante nella storia della Democrazia Cristiana. Il partito Popolare di Sturzo, nel primo dopoguerra, era molto più laico di quanto non sia stata la Democrazia Cristiana nel secondo e per una serie di ragioni che sarebbe troppo lungo qui ricordare. Ma fra tutte le correnti interne alla DC - ecco il rilievo di Castagnetti su cui sono del tutto d'accordo - la "Base" è stata certamente quella che più si è spesa per la laicità della politica; una laicità da guadagnarsi giorno dopo giorno, in mezzo a tutte quelle difficoltà che la dura contrapposizione con il Pci continuamente poneva nel mondo cattolico. E con la laicità la "Base" - non a caso - fu la corrente più incline al dialogo con gli altri partiti, la corrente meno esposta alla tentazione dell'integralismo.

Nel conflitto De Gasperi-Dossetti nel '48 circa l'interpretazione e l'utilizzo del voto del 18 aprile la Base stava con De Gasperi. "Abbiamo la maggioranza assoluta, facciamo da soli; proponiamo e realizziamo il nostro programma": così, per rapidissimi riferimenti, Dossetti. "No,c'è una questione democratica aperta che impone,per il consolidamento della Repubblica, la collaborazione con i partiti di democrazia laica; attraverso questa collaborazione, potrebbe, tra l'altro, trovare definitiva soluzione, dopo la parentesi fascista, la stessa "questione cattolica",retaggio di una particolare storia civile e politica dei cattolici italiani": così De Gasperi, sempre per rapidissimi cenni. E noi, che, più tardi, ci saremmo riconosciuti nella "Base", eravamo con De Gasperi. In ogni caso il giudizio della "Base" su quel passaggio delicatissimo è stato certamente a favore della scelta degasperiana.Tuttavia (ecco il "tuttavia" di Castagnetti e un altro suo rilievo importante che condivido) negli ultimi anni Luigi ha una particolare attenzione per Dossetti; una attenzione che nasce in particolare quando Dossetti pone il problema della difesa della Costituzione e Granelli ha già costituito l'Associazione dei "popolari intransigenti".

Ricordo bene Dossetti, con quel saio straordinario e bellissimo, a Milano; ancora una volta io ero vicino a Luigi e insieme lo ascoltavamo mentre rovesciava la sua indignazione nei confronti del tentativo, tutt'altro che immaginario, di "rovinare" la prima parte della Costituzione. Era il famoso discorso della "Sentinella quanto rimane della notte?" Sarà anche per questa ostinata difesa della Costituzione; sarà anche per gli eventi di guerra ancora in molte parti del mondo. C'era stata la guerra del Golfo e poi c'erano i fatti tragici nella ex Jugoslavia e tutti ricordiamo la profonda riflessione di Dossetti sul secondo conflitto mondiale come "un evento enorme del quale nessun uomo che oggi viva o solo nasca oggi, può o potrà attenuare le dimensioni, qualunque idea se ne faccia e con qualunque animo lo scruti". Sarà anche per questa dossettiana esecrazione della guerra ed esaltazione della pace - posti come valori di fondo della stessa Costituzione - che Luigi si sente subito in sintonia con il "grande monaco", il vecchio combattente di "Cronache sociali ". Del resto abbiamo ancora ben presenti le riserve e la denuncia rigorosa di Luigi sul contraddittorio impiego della forza per interventi c.d. umanitari, soprattutto quando l'intervento dello strumento militare non abbia la copertura dell'ONU, purtroppo metafora sbiadita del "governo" del mondo.
Grandissima è stata la passione politica di Luigi; lo sappiamo tutti. Egli - e non sono affatto retorico - è un po' la cifra del movimento dei cattolici democratici come oggi lo si può ripensare dentro l'arco del secolo che appena si è chiuso. È davvero straordinario l'intreccio della sua cultura e del suo impegno con la storia del movimento dei cattolici democratici; non saprei proprio vedere Granelli in un contesto diverso, tanto si è immedesimato in quella storia. Il lungo e travagliato processo di unificazione del Paese, e all'interno di questo processo,il rifiuto e, via via,l'adesione dei cattolici e così l'Opera dei Congressi, gli intransigenti, Romolo Murri, lo straordinario lavoro di Sturzo, il partito Popolare, l'antifascismo, la Resistenza, la "questione comunista" come "questione democratica" da risolversi attraverso la pratica della libertà e il progressivo allargamento della base democratica del Paese. Luigi, con tutta la sua passione e la sua intelligenza, è dentro questa storia. L'ha vissuta quasi fosse contemporaneo di tutti gli eventi che si sono succeduti. Ed è per questo che da lui è venuta e viene una lezione per tutti, anche di metodo. Se fosse qui ci spingerebbe in avanti o farebbe di tutto per trattenerci da errori e mediocrità; soprattutto ci direbbe: "rifletti in tutta libertà sul tuo impegno politico e poi fa quello che ti senti di fare"; questo ci direbbe Luigi.

Io ho riflettuto a lungo quando ho saputo della "Associazione dei popolari intransigenti" e mi sono domandato la ragione di quell'aggettivo. Ricordo una riunione a San Giuliano Milanese; perché intransigenti? Mi sembrava un improvviso salto all'indietro, ma, alla fine, mi era facile rimuovere la perplessità che ancora oggi possono esserci pensando, come ci ha detto Castagneti, che intransigente era proprio lui, Luigi; intransigente verso se stesso prima ancora che verso gli altri, in un momento in cui ogni cosa sembra essere regolata dalla compromissione e dal relativismo. Ma l'intransigenza di Luigi verso se stesso è intrigante e coinvolgente verso ognuno di noi.

Oggi il momento sembra difficile perché pare che una storia si concluda. Voi sapete come me che i partiti nascono come nascono, sulla voglia di libertà, sulla spinta di indignazioni profonde, di interessi particolari; per volontà di uomini forti. La storia dei cattolici nel nostro Paese sarebbe completamente diversa se non ci fosse stato il pensiero e l'azione di Sturzo. Ma i partiti politici possono anche deperire, dissipare il loro patrimonio e morire. Gli elettori possono chiudere anche stagioni esaltanti. Non dobbiamo chiudere gli occhi, arrestarci di fronte a questa realtà, amarissima fin che si vuole, però una realtà che è nelle cose. Pensiamo, per esempio, per quanto riguarda il nostro Paese, a cosa è stato il partito d'Azione per la cultura politica italiana; il partito d'Azione che affondava le sue origini nelle vicende risorgimentali, che aveva come custodi e promotori uomini di grande temperamento come Calamandrei e tanti altri; il partito d'Azione è un po' il partito delle mie emozioni giovanili e non solo. A questo proposito permettetemi il ricordo di una mia "battuta", assolutamente disinvolta, in risposta ad un giudizio di Forlani sul partito d'Azione: "almeno la De potesse essere una sorta di partito d'Azione di massa!" E, in verità, c'era una borghesia italiana non cattolica, non credente, laica, un ceto intellettuale ,,di operatori nel campo delle professioni che stava nel partito d'Azione come nel partito Repubblicano alla quale guardava anche De Gasperi con grande intuizione e intelligenza politica^ulla base di un comune convincimento di anticomunismo democratico. Ma questo partito, nonostante tutto, muore, scompare e la sua classe dirigente si disperde: chi va nel partito Socialista: De Martino, Riccardo Lombardi, chi nel partito Repubblicano: Farri, La Malfa, Valiani. Un partito, insomma, nasce ma può anche morire e la storia va avanti e il Paese e la democrazia hanno sempre bisogno di partecipazione e di cure.

Oggi noi viviamo un momento di grande difficoltà. Una stagione - lo ripeto - sembra chiudersi e così l'organizzazione, se non proprio il significato, di una lunga esperienza. Ci viene proposto, con la nascita della Margherita e lo scioglimento del PPI un balzo in avanti che, per alcuni, è un salto nel buio e per altri addirittura un salto all'indietro.

Ad apertura di ogni scritto più recente di Luigi, ad apertura del suo ultimo discorso - quello di Rimini, per esempio - e in una qualsiasi pagina di questo preziosissimo volumetto, "Messaggi in bottiglia", noi vediamo la preoccupazione di Luigi. "Non possiamo svendere le nostre buone ragioni", egli ci ammoniva;le ragioni della De perché la De è una cosa seria. Volevo dire partito Popolare; mi è sfuggito il nome della De e allora consentitemi, per inciso, di ricordare la battaglia che Granelli ha fatto per la difesa del nome e del simbolo; una battaglia straordinaria. Io ho condiviso l'opinione prevalente che si dovesse cambiare il nome, che fosse opportuno fare così e non capivo l'ostinazione e la caparbietà di Luigi nel difendere il nome .Tuttavia oggi gli darei ragione e non so come sarebbe andata la storia di questo Paese, se fosse prevalsa la sua opinione. Forse avremmo dovuto, mentre si segnava una sottolineata discontinuità rispetto a un certo passato, organizzare meglio ciò che doveva essere assolutamente conservato, di fronte ad una svolta della politica che faceva scomparire addirittura la storia. Forse il mantenimento del nome avrebbe aiutato questa doverosa conservazione. Errore di uomini, certamente, condizionamenti, anche, ma le cose sono andate come sappiamo.

La preoccupazione di Luigi era molto forte. "Le nostre buone ragioni": un monito pesante con il quale ognuno si doveva e si deve misurare.

Io dirò francamente la mia opinione, che è poi l'unico modo serio per onorare la sua memoria.

La laicità dell'impegno politico di Granelli è sempre stata fuori discussione e così l'apertura al dialogo con le altre forze politiche. Ma oggi, con la scelta che abbiamo di fronte (Ulivo,Margherita, PPI), dobbiamo fare decisamente un passo in avanti. Torna, qui, la riflessione su quella fase del movimento cattolico caratterizzata - siamo agli inizi del secolo - come il periodo della "intransigenza". Bene, l'intransigenza - vado per brevissimi cenni - è servita ai cattolici, sostanzialmente estranei al processo di unità del Paese e dispersi (per dirla con lo stesso Granelli)"in mille rivoli", perché cominciassero ad avere coscienza di sé e visibilità in campo sociale e civile. I cattolici entro un loro "movimento", articolato fin che si vuole, ma ricco di tensioni unitarie, cominciano ad essere una realtà. C'era la questione romana, c'era in non expedit, c'era la fedeltà alla Chiesa, ma, progressivamente, si affacciavano anche sentimenti di lealtà e di adesione allo Stato. Cominciava a proporsi, quantomeno in campo sociale, il "mondo cattolico", nelle sue coerenze e nella sua identità. Sturzo utilizza questo "contenitore" come strumento e veicolo della sua battaglia civile e, in prospettiva, decisamente politica. Il popolarismo come filosofia, come metodo e pratica politica, centrato sulla libertà e autonomia della persona, trova un formidabile supporto nella fitta trama delle organizzazioni sociali a cui i cattolici, per via del non expedit si erano proficuamente dedicati. Sturzo pone, se così si può dire, questo suo "popolarismo" sulle spalle dei cattolici ai quali offre, alla fine, a seguito di un lento processo di avvicinamento, un partito: il partito Popolare. Non solo il popolarismo, ma anche il partito Popolare sono scenario e' strumento per tutti gli italiani; ma, di fatto, sono i cattolici, i cattolici democratici che se ne impadroniscono anche per la dichiarata ispirazione religiosa che sta alla base del movimento e, per contro, a causa del "laicismo imperante" che caratterizza le formazioni liberali dell'epoca e i loro gruppi dirigenti. Anche se laico e aconfessionale, l'ispirazione religiosa del partito chiama a raccolta i cattolici (e, infatti, si è parlato non di un partito dei cattolici, ma di un partito di cattolici). Essi trovano nel partito sia uno strumento di difesa contro quello che ho chiamato il "laicismo imperante" dei gruppi dirigenti dell'epoca, sia lo strumento per un progressivo dialogo, a pari dignità, con gli stessi gruppi e con tutte le forze politiche presenti nello scenario del Paese.

Non solo, il partito per i cattolici che rispondono all'appello di Sturzo è anche, se non soprattutto, strumento di riscatto di una loro condizione periferica rispetto alla vicenda nazionale. È il definitivo superamento della filosofia del "patto Gentiloni". Non in politica a supporto di altri, ma in politica con la propria identità, la propria storia e le proprie idee. In molte pagine di Sturzo c'è questo richiamo al ruolo del partito come strumento di "riscatto" dei cattolici: il popolarismo, da un lato, cioè la proposta politica, e il partito Popolare come veicolo di questa politica e garante della lealtà e della presenza autonoma dei cattolici nella vita dello Stato.

Se questo, per tratti rapidissimi, è il quadro di un passato non tanto remoto, per tanti aspetti continuato fino a ieri a causa della "guerra fredda" e della contrapposizione fra Dc e Pci, occorre domandarci se le cose, che sono decisamente cambiate - come tutti riconoscono - non abbiano anche cambiato il "mondo cattolico" e la sua proiezione politica. La domanda è addirittura retorica tanto è persuasiva e netta, per tutti, la risposta affermativa. L'unità politica dei cattolici - che per vero mai è stata una "obbligazione", ma piuttosto una naturale convergenza ed espressione del "mondo cattolico" - dopo la scomparsa della De non esiste più. Cattolici come tali o nella loro versione di ex democristiani sono un po' dovunque e sono un po' dovunque perché il "mondo cattolico", nello scenario del Paese, non è più, come una volta, un "giacimento" politico unitario o quasi, non ci sono più le condizioni per una naturale e consensuale convergenza. Ma nella diaspora dei democristiani, noi cattolici popolari siamo gli eredi più attendibili di Sturzo, De Gasperi e Moro: non c'è dubbio. Ed è per questo che lo scioglimento del PPI e la sua confluenza nella Margherita (pur con tutte le possibili iniziative idonee a non disperdere le nostre radici) ha posto dei problemi come non poteva non accadere per chi ha sulle spalle un patrimonio e una tradizione di grande significato e valore.

Sappiamo quale è la questione di fondo ed è inutile a questo punto cercare di sottrarvisi: la Margherita come federazione di partiti all'interno della coalizione dell'Ulivo o, sempre all'interno della coalizione, la Margherita come soggetto politico unico? Conosciamo le opinioni di Luigi anche se al Congresso di Rimini, dove egli fece il suo ultimo intervento, la questione non era così netta, anche se lo era in prospettiva. Luigi, a Rimini, ci ammoniva:"abbandonate la tentazione di dissolvere il partito in eterogenee e opportunistiche federazioni di centro";"non serve - diceva - nascondersi in un partito unico o in un blocco elettorale senza rispetto delle diversità". Qui io dissentivo da lui. "Il popolarismo - dissi dalla stessa tribuna di Rimini - è una politica, il partito Popolare uno strumento; il popolarismo va oltre il partito Popolare; le diversità non necessariamente richiamano altrettanti partiti; specie in regime elettorale maggioritario le diversità possono comporsi e proficuamente "contaminarsi" nella stessa formazione politica. In un momento nel quale i suoi principi, i suoi obiettivi e i suoi metodi sono condivisi ben oltre l'area dei cattolici democratici è un errore rinchiudere il popolarismo nel partito Popolare, che storicamente è visto e percepito come espressione di questa area esclusiva".

Come si vede, i temi e le questioni che sono dentro il dibattito che oggi c'è nel partito, alla vigilia del suo Congresso e di quello della Margherita, c'erano già, in qualche modo, nel dibattito congressuale di due anni fa. Certo il processo verso una aggregazione delle forze riformiste cattoliche, liberaldemocratiche e ambientaliste a cui dare una soggettività politica unitaria si è accelerato. Ci sono ancora, però, resistenze, alcune delle quali mi pare di poterle ricondurre alla riluttanza di accettare, nella prospettiva di un partito unico, quadri dirigenti che non abbiano alle spalle gli stessi percorsi tipici e tradizionali del "mondo cattolico". È questa riluttanza segno di un confessionalismo residuale? Forse; ecco perché dicevo che occorre fare un passo in avanti e superare definitivamente, anche nei comportamenti e nei gesti, come dire, la "categoria cattolica" in politica.

Nessuno si nasconde le difficoltà e le incertezze del momento; certamente non se le nascondeva Granelli. Rispetto al processo costituente verso un nuovo soggetto politico, Luigi è stato addirittura sferzante al Congresso di Rimini. La sua resistenza a questo processo non era certamente una sorta di "egoismo ideologico di partito", ma piuttosto il rifiuto di accettare una decisione e un "salto" che, per tanti aspetti, egli vedeva come un risultato che veniva da lontano; il risultato di una serie di errori, di mediocrità, di occasioni mancate, di lassismo; per di più una serie di fatti su cui sempre aveva esercitato una critica severissima, molte volte inascoltata e considerata addirittura fastidiosa. Egli non accettava che si dovesse, d'ora in poi, agire politicamente con uno strumento (il partito) diverso da quello che si era praticamente consumato, a suo giudizio, per debolezza ed ignavia di una classe dirigente. Un rifiuto di grande nobiltà, anche drammatico per la scelta da lui maturata, e manifestata al Congresso, di considerare irrevocabilmente conclusa la sua militanza nel PPI. L'uomo politico intrecciato in mille modi con uomini, cose, vicende di partito che si fa solitario per meglio difendere, nella situazione data, come egli disse,"i valori del cattolicesimo democratico, le conquiste della Costituzione, una visione di grande respiro dei rapporti a sinistra" . E non manca, anche qui, la battuta ironica che gli era consueta: "già una volta Martinazzoli ha sciolto senza alcun Congresso la De cui avevo aderito e mi sono trovato, dopo le speranze sturziane dell'inizio, con Buttiglione segretario".

Ecco Luigi; quasi il segno delle cose virtuose che dovevano accadere e che, contro di lui, non sono accadute.

Ci manca e ci mancherà molto, ma, oltre ai ricordi, numerosissimi sono gli scritti che ci ha lasciato sui quali possiamo tornare a pensare e riflettere. Il patrimonio dei suoi scritti, dei suoi appunti, delle sue riflessioni è veramente straordinario. Ha lavorato fino all'ultimo con impegno e grandissima generosità; come abbia fatto non lo so. Ha ragione suo figlio. L'anno scorso, nel primo anniversario della sua scomparsa, Andrea, richiesto di dare una testimonianza, ha detto cose bellissime, ed era naturale perché bellissimo è stato il clima, il quadro della famiglia, il rapporto fra genitori e figlio che Andrea aveva vissuto e sentiva dentro di sé. Ha parlato del padre lontano per i suo impegni, ma insieme vicinissimo; del padre che egli, Andrea, scopre sempre di più con il passare del tempo. Ha ricordato l'episodio dell'aereo dirottato e lui, uomo di governo, offertosi come ostaggio. Andrea non aveva capito quel gesto; più tardi l'avrebbe compreso come gesto esemplare, fuori da ogni retorica. "Io da ragazzo vedevo mio padre sempre con i giornali in mano". Così la testimonianza di Andrea, schegge di ricordi della sua infanzia e della sua giovinezza. Certo Luigi non ha sprecato un momento della sua vita, sorretto sempre da una vivacissima curiosità. E proprio per questo, alla sua intelligenza naturale, si è accompagnata una solida cultura.

Granelli ministro della Ricerca Scientifica. Io sono testimone di una confidenza che mi fece una volta Arturo Falaschi, uno scienziato di primissimo ordine a livello internazionale: "Luigi è stato il miglior ministro della Ricerca Scientifica che abbia mai avuto questo Paese; i suoi anni al Ministero sono stati anni di grande lavoro e di grandi iniziative". L'estate dell'83, la ricordo bene. Io lascio il governo e in quello nuovo - gabinetto Craxi - entrano, tra gli altri, Granelli e Martinazzoli. Credevo che Luigi aspirasse al Ministero del Lavoro o a qualche ministero economico e invece: ministro della Ricerca Scientifica, il più grande ministro della Ricerca Scientifica; straordinario. E badate, come ministro della Ricerca Scientifica, Luigi ha detto alcune cose sul rapporto fra cattolici e laici, sulla posizione che i cattolici devono avere nei confronti della ricerca scientifica di notevole rilevanza. Già allora c'era un'inquietudine nel mondo della scienza che Luigi ha subito sottolineato con grande sensibilità. Un'inquietudine tra gli uomini di scienza che impone molta umiltà in tutti e, così, la ricerca, senza pregiudiziali ideologiche, diventa ricerca comune fra laici e cattolici anche nel delicatissimo campo della bioetica. Anche qui gli steccati non contano più.

Così era fatto Luigi. Le sue curiosità intellettuali sono state diversissime e sorprendenti. I suoi "Messaggi in bottiglia" (la raccolta di alcuni suoi interventi del '94) hanno una postfazione, forse il suo ultimo scritto. Bene, quelle poche pagine così intense e forti, quasi un dialogo a distanza con il filosofo Mario Tronti, sono lo specchio di Luigi: uomo colto, intelligente, umanissimo.