Granelli chiede un nuovo ministero sulle dismissioni e Andreatta lo sgrida. i dubbi di Saja Picano relatore dc: " cominciamo subito dalle banche " . nuovi soci per Immobiliare Italia
Dino Vaiano, Corriere della Sera, 27 novembre 1992)
PUBBLICO IN VENDITA . Il piano Amato approda in Parlamento e al Senato
restano senza luce.
Le privatizzazioni partono al buio.
Alle 15.30 c'è il gran pienone al Senato. Le commissioni Bilancio,
Finanze e Industria cominciano l'esame del piano Amato, ma subito manca
la luce. I senatori tirano fuori gli accendini e qualcuno scherza: "E
la vendetta dell' Enel che non vuol essere privatizzata". Il blackout
si ripete altre due volte, poi l'esame parlamentare decolla con la
relazione del senatore dc Angelo Picano. Facce scure sui volti di molti dc,
qualche lobbista in giro. La grande partita fra "gattopardi" e
privatizzatori si giocherà nei prossimi giorni, quando un comitato
ristretto preparerà una bozza di parere. Alla Camera la procedura è analoga, ma il lavoro dei deputati sarà preceduto da una serie di
audizioni (Consob, Bankitalia). Entro il 17 dicembre il Parlamento dovrà
esprimere un parere. Partirà in tempi brevi anche Immobiliare Italia, la
società che curerà la vendita di case e caserme: ma il governo nella
migliore delle ipotesi incasserà solo 500 dei 3 mila miliardi previsti
per quest'anno. E mentre il ministro dell'Industria Giuseppe Guarino
ribadisce la sua estraneità alla fuga di notizie sul piano Amato
("Non so niente. Né io né alcun mio collaboratore al ministero ha
alcuna responsabilità ", ha detto) sulla quale indaga il tribunale
dei ministri per scovare la "talpa", il presidente dell'
Authority antitrust, Francesco Saja, solleva piu' di un interrogativo
sulla struttura del progetto: per creare quei famosi 15.16 nuovi grandi
gruppi e allargare la concorrenza non sarebbe meglio mettere sul mercato,
frazionati così come sarà fatto per la Sme, settori come l'elettronica,
la chimica, l'energia, l'acciaio? Perché mantenere gruppi come
Finmeccanica, Enichem, Ilva? Ma torniamo al Senato. Picano sostiene che le
privatizzazioni devono partire dalle banche e dall' Ina e che la regia del
processo dovrà essere affidata a un comitato di ministri. L'Iri può
cedere subito Credit e Sme, l'Eni collocare in borsa Agip e Snam. Secondo
il relatore Comit, Credit, S. Paolo, Monte dei Paschi, Banca di Roma
"sono nomi che il mercato è pronto a comprare senza riserve".
Per i futuri assetti azionari delle imprese creditizie Picano suggerisce
la creazione di un capitale "di comando", intorno al 20-25%
delle azioni, da attribuire a grandi investitori nazionali. Un' altra
quota (10-15%) per i capitali esteri, un 20% ai
dipendenti e il 50% ai piccoli azionisti. Picano ipotizza un
riassetto delle partecipazioni pubbliche, riesumando la strategia dei poli
e ipotizzando un' alleanza tra Stet e Olivetti nell' informatica. Parole
critiche vengono da Luigi Granelli, dc, ex ministro delle Partecipazioni
statali, che vorrebbe affidare la gestione delle privatizzazioni a un
ministro senza portafoglio. Granelli annuncia che chiederà una riunione
della direzione del partito. Ma il responsabile economico della Dc, Nino
Andreatta, lo gela: "Nemmeno nell' ex URSS è stato istituito un
ministero per le privatizzazioni. Basterà la direzione del Tesoro".
C'è poi il nodo dell' Immobiliare Italia. La grande società mista che
curerà l'operazione "addio al mattone di Stato" avrà sei soci
pubblici, oltre all'Imi. Venderà caserme, carceri, fari, riserve e
perfino la casa del fascio di Salò. I partner dell'Imi saranno Crediop,
Banca di Roma, Bnl, Iri, Eni (Snam) e Iccri ma è possibile che entrino
subito anche due privati: Ambroveneto e Centrobanca (banche popolari). Il
governo preme per incassare i 3.000 miliardi previsti, ma la prima lista
di beni affidata dalle Finanze in dote a Immobiliare Italia vale solo 900
miliardi. E verosimile che l'Imi non anticipi allo Stato una somma
superiore al 50% del valore dei beni conferiti. E quindi 450.500 miliardi.
Il governo ha comunque spianato la strada alle privatizzazioni cancellando
una norma infilata alla chetichella alla Camera in un provvedimento legato
alla manovra economica. L'emendamento, votato a Montecitorio su pressione
delle lobby delle Forze armate, prevedeva che i soldi ricavati dalla
vendita di caserme finissero al bilancio della Difesa.