PERCHE' NON POTREMMO ESSERE UNA FORZA RIFORMATRICE ?

Per evitare il rischio di una perdita d’identità storica la DC deve respingere il ruolo di “polo conservatore”, che una destra più economica che politica vorrebbe assegnarle. Una terza fase che la società italiana non ha ancora sperimentato. Dover operano tentazioni trasformistiche. Collaborazione e alternativa tra DC e PCI. Il richiamo all’ispirazione cristiana e il rapporto con i cattolici.

Non crede che molte delle attuali difficoltà politiche della DC traggano origine dalla separazione netta, che vi è stata, tra linea del rinnovamento e confronto a sinistra; non pensa che tale separazione, e la conseguente rinuncia, da parte DC, a un confronto a sinistra abbia dato spazio all’idea che fosse possibile un rinnovamento moderato o a destra della politica italiana con pericolosi effetti di trasformismo sull’insieme delle altre forze della maggioranza?

"Penso che la causa delle difficoltà politiche della DC, per molti aspetti comuni anche ad altri partiti, consista in una rischiosa perdita di identità ideale e storica connessa alle profonde trasformazioni della società italiana, al determinate esercizio della funzione di governo, al mutamento di stragia di altre forze politiche che indebolisce tradizionali schieramento senza aprire la via a processi evolutivi o a reali alternative. Anche la minore coscienza del rapporto tra una politica di rinnovamento, di cambiamenti strutturali che si scontrano con interessi consolidati, e confronto costruttivo, anche se dialettico, a sinistra in un campo sociale e politico è conseguenza della causa più ampia cui ho accennato. Ritrovando, con una seria analisi della mutata realtà in cui opera, una funzione popolare, democratica, riformista, e una limpida ispirazione cristiana scevra da integralismi confessionali, la DC non può che rifiutare, in coerenza con le sue migliori tradizioni, modelli di efficienza tecnocratica, trasformismi sul versante conservatore, spostamenti o collusioni a destra del tutto innaturali. De Gasperi ha dimostrato, al di là di aspetti particolari della sua politica, che una posizione di equilibrio, aperta all’evoluzione della democrazia italiana, si può mantenere soltanto con una visione di centro che guarda a sinistra e che è intransigente nel mantenere nette distinzioni a destra. Perdendo il senso di questa funzione ideale e storica, che Moro ha difeso con un allargamento al massimo delle possibilità dei rapporti a sinistra della DC, è fatale l’esposizione al rischio di una perdente rincorsa trasformistica dal centro verso la destra, sia a livello elettorale che nel campo politico parlamentare".

Come giudica in proposito le recenti aperture di alcune forze politiche al Msi?

"Assai negativamente. L’isolamento del Msi è la conseguenza di una chiara e irrinunciabile scelta politica, non di una incoerente discriminazione antidemocratica. Tutti i partiti presenti in Parlamento, espressione di un libero mandato popolare, hanno uguaglianza di diritti. Ma il partito di Almirante non ha mai abbandonato il rigetto radicale della Repubblica nata dalla resistenza antifascista, della Costituzione ispirata al civile confronto tra le forze democratiche e popolari, e il suo progetto di seconda repubblica è solo l’aggiornamento di una sovversione che trova il suo antidoto non nell’abbandono, ma nella difesa di un arco ben delimitato delle forze costituzionali. Dovrebbe essere un motivo serio di riflessione per il PCI, di analisi più attenta della strategia dell’alternativa, la circostanza che non dalla DC ma da esponenti qualificati di un partito della sinistra come il PSI sono venuti possibilismi verso il MSI che trovano precedenti solo nella deteriore esperienza del “milazzismo”.

Sembrerebbe che, a seguito della linea demitiana e dopo il 26 giugno, la DC sia spinta a divenire “polo”, “parte” dello schieramento politico, abbandonando ogni vocazione “speciale”, “centrale”. Cosa ne pensa e cosa può implicare per la vita politica italiana?

"Non credo che De Mita abbia una visione così limitata della DC e della sua politica. Sono state forti le spinte, per la verità non nuove, a fare della DC un “polo” conservatore, una “parte” chiusa a sinistra e possibilista verso la destra o subordinata a un centrismo delimitato ad egemonia laica e socialista, e tra le cause della flessione del 26 giugno vi è senz’altro anche quella di una minore vigilanza contro queste pressioni che si sono fatte più insidiose con le lusinghe di un modello effimero di modernità che si propone di sostituire con la tecnocrazia le condizioni politiche, legate alla forza di un ampio consenso popolare, per una effettiva trasformazione del paese in senso moderno e democratico. Su questo punto la DC non può non precisare in modo assolutamente chiaro, al prossimo congresso, la sua irrinunciabile funzione di segno opposto al “polo” conservatore o allo svolgimento di una “parte” che una destra più economica che politica vorrebbe affidarle, snaturandola. In caso contrario le conseguenze sarebbero gravissime. La DC sarebbe sempre più costretta a un ruolo emarginato a destra, e in declino. Illusoria si rivelerebbe anche la speranza del PCI di trarre vantaggio dallo spostamento a destra della DC: l’unico effetto prevedibile è quello di una crescente destabilizzazione con un riflusso moderato verso un centro instabile, ad egemonia laico-socialista, accompagnata da un crescente isolamento a sinistra di un PCI che rifiuti un ruolo irrilevante, “alla francese”.

La vocazione speciale e centrale della DC era anche legata, e legittimata, particolarmente in Moro, dal riferimento all’ispirazione cristiana del partito. Cosa può significare concretamente il richiamo a quell’ispirazione oggi?

"L’ispirazione cristiana del partito, come l’ha sempre intesa in modo laico Moro e noi con lui, contrasta con una concezione del potere che non sia strumento di trasformazione e di sviluppo, servizio verso le posizioni più deboli. Frutto di un reale confronto democratico e di una competizione dialettica senza discriminazioni pregiudiziali e aperta, senza schemi prestabiliti,all’allargamento della base democratica e popolare dello Stato e alla collaborazione e alle alternative, sempre che la prima e le seconde non sacrifichino mai i valori della libertà e del pluralismo sociale e politico. Il richiamo a questa ispirazione oggi non può che significare una forte scelta riformatrice, un impegno alla moralizzazione della vita pubblica, una volontà esplicita di confrontarsi con tutte le forze politiche, al governo o all’opposizione, sui problemi reali del paese (risanamento economico e sviluppo, giustizia fiscale e rifiuto del corporativismo, riordinamento istituzionale, costruzione della pace e della cooperazione internazionale) e non su precostituite e immodificabili formule di schieramento. È questo il terreno sul quale la DC deve recuperare, aggiornandola, la strategia morotea dell’attenzione e l’intuizione tutt’altro che superata, di una terza fase che la società italiana non ha ancora sperimentato nonostante l’aggravarsi di una crisi che non ha precedenti".

L’area Zac, a Chianciano, è tornata a proporre il tema del confronto con il PCI. Ma con quali differenze, rispetto alla fase di solidarietà nazionale?

"La solidarietà nazionale è una esperienza chiusa, ma rimane per la DC e per le altre forze democratiche la questione comunista, così come non può essere facilmente cancellata, per il PCI, la questione democratico-cristiana che non si può aggirare con una ambigua politica della mano tesa verso cattolici che rinuncino ad una loro specificità ideale e politica. Perché, da posizioni anche diverse, cioè dal governo e dall’opposizione, due grandi partiti di popolo come la DC ed il PCI non dovrebbero confrontarsi, senza escludere utili collaborazioni o feconde alternative, sui grandi problemi della riforma democratica dello Stato, sui processi di un’umanità percorsa da pericoli gravissimi in campo internazionale, sui valori da salvaguardare nel divenire della società italiana? Perché lo stesso rapporto con le forze democratiche minori, con il PSI, che non può essere subordinato o strumentale alle strategie dei grandi partiti di massa, non dovrebbe essere reciprocamente affrontato in una visione ampia ed organica di democrazia al di fuori di una sterile concorrenzialità nella ricerca di precari equilibri di potere che sanciscono, di fatto, una crescente tendenza ad emarginare al centro e alla periferia, in senso trasformistico, sia la DC che il PCI? Non si tratta di stabilire a tavolino nuove e diverse intese di potere o di fissare in partenza gli sbocchi di un processo di crescita e di articolazione democratica, ma di favorirlo senza pregiudiziali negative di segno opposto, e a tutti i livelli. Una nuova fase della politica del confronto non è, per la sinistra democratica cristiana, il ripiegamento su una stanca ed improduttiva nostalgia alla solidarietà nazionale: all’opposto, si tratta di riprendere un processo difficile, di grande respiro, cui non possono sottrarsi, nonostante la diversità dei loro ruoli, la DC e il PCI. Sono molte le risposte che, in proposito, devono dare anche i comunisti affrontando la realtà, anziché compiere fughe in avanti con una definizione sommaria e poco credibile della politica dell’alternativa".

Ma è possibile tutto ciò e, più in generale, una ripresa politica della DC senza una più netta e radicale rottura con la linea del preambolo?

"Anche la linea del preambolo è un ricordo del passato. Resta il residuo della rassegnazione centrista, con una DC in un ruolo subordinato al PSI e ai partiti laici nonostante un consenso popolare che ne fa il partito di maggioranza relativa, che richiede alla DC di riprendere verso il governo quella funzione di stimolo, di proposta, di governo, che Rossetti rivendicava anche nei confronti di De Gasperi. Questo pericolo non si supera con stanche polemiche pro o contro il preambolo, ma riprendendo con slancio il rinnovamento della DC, la ricostruzione di una coraggiosa identità ideale e politica, la ricerca di soluzioni reali per i drammatici problemi del paese, la elaborazione di una strategia di confronto con tutti i partiti, PCI compreso, che riguardi il futuro e non solo il presente della Democrazia cristiana. Questo, soprattutto, è il messaggio venuto da Chianciano per contribuire ad alzare il livello del dibattito interno al partito e aprire nuove possibilità di evoluzione democratica".

Sono emerse, di recente, forti differenziazioni nel mondo cattolico, in riferimento al tema della pace. Esse sembrano confermare un processo di polarizzazione di due aree distinte, l’una più legata alla cultura cattolica democratica (Fuci, Azione Cattolica, Acli, Lega democratica); l’altra legata all’esperienza di Cl e del Mp. Come considera il fatto che la DC mostra di avere contatti soprattutto con questa seconda area?

"C’è da recuperare un ritardo nel rapporto, come partito, tra le esigenze della politica correttamente intesa e le aspirazioni alle pace, alla giustizia, alla tutela dei diritti dei più deboli come condizione di convivenza tra gli uomini, fortemente presente soprattutto dopo il Concilio Vaticano II tra i cattolici italiani. Non mancano contraddizioni, come del resto anche in periodi storici precedenti (si pensi ai tempi dell’Opera dei Congressi), tra i cattolici italiani che sono accentuate dalla mancanza di un dialogo severo e costruttivo tra chi ha responsabilità politiche, acquisite democraticamente, e chi rifugge da esse pur auspicando un mondo nuovo. La DC non può coltivare sogni egemonici in proposito. C’è un risveglio religioso che non è declinabile sul terreno immediatamente politico, ma è un potente mezzo di emancipazione e di presenza civile del tutto in linea con propositi di rinnovamento e di trasformazione della società. Ci sono fermenti percorsi da tentazioni integriste, ricchi di motivazioni morali e di generosità, che possono portare ad involuzioni politiche già conosciute anche nel Risorgimento. L’impegno per la pace è importantissimo e la DC ha un campo di azione vastissimo al di là degli stessi impegni di governo. Ma i motivi di confronto e di dialogo investono problemi e valori più ampi, di grande portata. Non è vero che la DC ha compiuto una scelta con alcuni cattolici disimpegnati rispetto alla militanza di partito, a scapito di altri: il rischio è invece quello di una incomprensione, diversamente motivata, verso tutti i fermenti nuovi con gravi rischi di caduta per l’impegno politico. Sturzo aveva saputo aprire, culturalmente e politicamente, una via nuova che ha portato su di un terreno nettamente democratico integralisti murrini e cattolici liberali culturalmente autonomi. Gli uni e gli altri sono divenuti, nel vivo della battaglia ideale e politica, popolari nel più autentico senso democratico cristiano. Anche oggi bisogna compiere, come propone la sinistra del partito, un simile salto di qualità".

Civiltà cattolica esprimeva di recente condivisione delle posizioni dell’area Zac, insisteva sulla necessità del rinnovamento, con scetticismo, però. Sempre più frequenti sono poi le critiche di alcune chiese locali alla DC. Infine, gli esterni non eleggeranno al prossimo congresso il segretario. Sembra, insomma, che l’operazione avviata nel novembre ’81 con l’Assemblea sia giunta ad un punto critico se non morto. Qual è la sua opinione in proposito?

"I commentatori di solito sono più distaccati e quando dispongono di lucidità e di intelligenza sono portati ad esprimere scetticismo. Non tocca al oro modificare la realtà. Il giudizio di Civiltà cattolica sulle posizioni emerse a Chianciano, sullo scarso respiro o sulla impraticabilità di altre proposte, è in ogni caso importante. Si tratta di un segnale che non può essere trascurato, di un invito a un rinnovamento effettivo, ideale e pratico, che ha la forza di un presagio da verificare nei fatti. La DC deve sempre mantenere la propria autonomia, decidere in libertà, ma le testimonianze e i forti richiami morali di molte chiese locali, del magistero ecclesiale, dell’opinione di autorevoli ambienti cattolici, non possono essere lasciati cadere invocando l’alibi della distinzione tra religione e politica, fede e storia, secondo i canoni di una crescente e utilitaristica secolarizzazione del vivere quotidiano. La questione travalica le alterne vicende del rapporto tra DC ed esterni. Il problema vero è quello di rimettere in movimento un processo reale di rinnovamento che investe valori, costume, modo di far politica: le battute d’arresto ci sono state e il congresso è, per la DC, una occasione per rimuoverle con l’ottimismo della volontà, con un dibattito ad alto  livello, con prove concrete di un diverso corso delle cose che possa vincere anche lo scetticismo di un acuto osservatore politico come padre Giuseppe De Rosa".

Rinascita n. 48
9 dicembre 1983
intervista di M.D.A.