Parla Luigi Granelli. Berlusconi fa solo i suoi interessi e la destra più che un polo è un’ammucchiata.
Sul palcoscenico della politica ha ricoperto ruoli importanti. Con la Democrazia cristiana prima, con il Partito popolare poi, ha combattuto importanti battaglie. Eppure Luigi Granelli, attuale vice presidente del Senato, senza clamore, né pubblicità, quasi in punta di piedi e con l’eleganza che lo contraddistingue, ha deciso dio non ricandidarsi più per assumere un ruolo, forse ancora più importante ed impegnativo: quello del regista della politica, consapevole che “va incoraggiato il ricambio della classe dirigente”.
Allora senatore Granelli la sua decisione di non ricandidarsi è un addio o un arrivederci al mondo politico?
Né l’uno, né l’altro perché continuo a combattere la mia battaglia culturale e politica all’interno del partito popolare. Questa è una scelta che dovrebbero are tutti senza complicazioni eccessive perché si è al servizio del partito non ci si deve servire del partito a scopi personali.
Da osservatore della politica come vede lo schieramento progressista?
Lo schieramento progressista è caratterizzato da una forte connotazione trasformistica. Il fatto che Occhetto abbia dovuto accantonare ogni ipotesi di programma di governo per mettere insieme tutto e il contrario di tutto per vincere, dimostra la debolezza politica dello schieramento di sinistra.
Berlusconi, Bossi e la Lega sostengono che votare il centro significa regalare i voti alla sinistra. È così?
Assolutamente no. Anzi il centro ha una funzione di rapporto con la sinistra e anche con un’opposizione di destra, ma è una posizione essenziale in una democrazia come quella italiana. Il pluralismo si supera con un processo storico, non con le forzature della legge elettorale verso l’alternanza del potere.
Dove nasce l’importanza di un voto al centro?
Io contesto che si debba votare centro. Credo che si tratti di scegliere, e votare un partito che si colloca al centro per vocazione naturale, ma che, come diceva De Gasperi e ci ha insegnato Moro, guarda a sinistra. Solo che la sinistra deve presentare una sua identità e non un agglomerato che punta solo ad alternarsi al potere.
Questo significa che lei non vede di buon occhio l’alleanza fra Martinazzoli e Segni?
L’ho criticata per il modo con il quale è avvenuta nel senso che il Partito popolare italiano aveva bisogno di un apporto come quello di Segni che era nelle condizioni di gettare dei ponti verso forze politiche di diversa connotazione ideale, ma anche Segni aveva ed ha bisogno di un rapporto con il Partito popolare di Martinazzoli, altrimenti il suo disegno si sarebbe rivelato soltanto un’illusione.
Se gli elettori non avessero un centro, secondo lei voterebbero più la sinistra o la destra?
È una domanda difficile perché la pubblicistica normale tende a dire che la propensione al voto a sinistra è prevalente, ma in realtà non è così perché la destra non è solo una posizione politica, è una ramificazione di interessi di convenienze, di clientele e quindi dal punto di vista della rappresentazione politica è molto pericolosa.
Quali i rischi di una destra al potere?
Ma questa in realtà non è neanche una destra, è un’ammucchiata di destra. La nostalgia sia pure modernizzata del fascismo che Fini non ha mai abbandonato, la difesa spregiudicata dei propri interessi di sovrapporre quelli nazionali che conduce Berlusconi e la proposta qualunquista che ancora non ha trovato la via di una sua visione nazionale, e non a caso è localizzata territorialmente, fa della destra un accordo elettorale politicamente vuoto. Non a caso i problemi per loro arriverebbero il giorno in cui dovessero vincere le elezioni. Anzi sono già cominciati, basta sentire Bossi nella sua polemica con Berlusconi e constatare che quest’ultimo non ha ancora risposto alla tesi di Bossi, non nostra, di rivedere la legge Mammì e di ridurre la presenza eccessiva di Berlusconi nel sistema televisivo italiano. Questi sono segni di contraddizione che confermano quanto la destra non sia unita da un programma, da un’idea o da una volontà di restaurazione come è accaduto in Francia o in latri paesi moderni, ma è un agglomerato di interessi e come tale è molto debole.
Insomma una destra pronta a tutto pur di ottenere consensi?
Magari i consensi li ha anche, ma sono solo legati ai propri interessi e non ad una visione nazionale che pure in Europa la destra ha voluto in parecchi paesi.
Che voto dà a Berlusconi?
Un voto molto modesto perché io non l’ho mai considerato un grande imprenditore come tutti dicono. La sua attività economica si è sempre svolta con successo in settori largamente protetti prima nel campo edilizio, in un momento in cui la speculazione dominava e poi nell’intelligente possesso della pubblicità in vista della televisione. Poi quando i profitti sono alti si può fare l’imprenditore di maniera pagando bene i collaboratori, scegliendo le persone, dandosi un look. Per me l’imprenditoria è qualcosa che si costruisce in modo diverso: con idee creative, con un lavoro costante, con la produzione di beni e non con l’appropriazione da parte dello Stato delle proprie fortune.
E come politico?
Come politico sbaglia. Sono d’accordo con quanti dicono che se vince è peggio per lui e se perde ha giocato una partita sbagliata.
Perché?
Perché il giorno in cui avrà responsabilità politica diventerà più difficile difendere in Parlamento, come osserva Montanelli, i suoi interessi particolari.
Nella sostanza quindi il Cavaliere scende in politica per difendere soltanto i propri interessi?
Lei crede che questo gli italiani non lo abbiano capito? Certo sarebbe sbagliato dire che Berlusconi coglie solo la difesa dei suoi interessi, perché in effetti si appropria anche di quella parte di elettorato che cade nelle promesse facili. Quando al paese si offre di non pagare le tasse, di dare lavoro a tutti, di stare meglio di adesso e senza nemmeno obblighi verso lo Stato, allora è chiaro che ci si trova a cogliere un aspetto elettorale superficiale che non è quello strettamente legato all’area degli interessi del signor Berlusconi. Ma nessuno in Italia dimentica che a sostenere politicamente Berlusconi sono stati interlocutori come Craxi, e non solo lui, che oggi non hanno più possibilità di esercitare questa funzione. Per questo motivo molti pensano che Berlusconi abbia deciso di condurre personalmente questa difesa.
Quindi è d’accordo anche con chi sostiene che votare Berlusconi equivale votare Craxi?
Non cos’ meccanicamente. Tra l’altro Craxi, a parte la sua prassi che è stata rovinosa, aveva un’intelligenza politica non comparabile con la modestia di Berlusconi.
Che futuro ha il Partito popolare?
Un futuro difficile perché se pensa che la via scelta sia quella di superare più facilmente le difficoltà si sbaglia. Le difficoltà resteranno, ma bisognerà avere il coraggio, se non si avrà un’investitura di governo, di passare all’opposizione a testa alta, senza lamentele, sfidando gli altri a dimostrare se sono capaci di governare riallacciando con il Paese una fiducia, che se non ha fruttato in queste elezioni, frutterà nelle prossime.
Facciamo un pronostico: chi le vince le elezioni?
Secondo me nessuno, ma è una previsione troppo semplice, stiamo a vedere. Credo però che da questa scadenza elettorale gli italiani potranno trarre una lezione amara perché costateranno che non è facile risolvere emotivamente i problemi del governo, delle coalizioni, delle maggioranze e dei programmi e che bisogna riflettere di più prima di credere che votando con il risentimento o premiando la demagogia si apre una strada nuova al Paese.
Tra Occhetto e Berlusconi chi preferirebbe alla presidenza del Consiglio?
Nessuno dei due. Occhetto non dà nessuna garanzia di una svolta reale evolutiva come sarebbe necessaria a causa della eterogeneità dello schieramento che lo sostiene. Berlusconi, che oltre tutto deve vincere la partita al suo interno prima di esercitare questo ruolo, rappresenterebbe una proiezione diretta di interessi specifici nella vita nazionale assai grave per un Paese democratico.
Meglio Segni?
Segni è un leader che può occupare dei ruoli, ma non è il solo che può fare un governo soprattutto in una situazione di difficoltà parlamentari.
Chi metterebbe sulla poltrona di segretario del Partito popolare?
Sono convinto che per un tempo non trascurabile debba restare Martinazzoli. Sarebbe troppo facile gettare la spugna dopo un passaggio complesso e difficile come quello che si è realizzato. Certo Martinazzoli alla giuda del partito non può contare sulle emergenze e sui pieni poteri,deve finalmente chiamare a raccolta tutte le energie che in periferia e al centro sono disponibili, anche senza chiedere incarichi, per costruire dal basso e con convinzione una grande forza politica dai connotati ideali e morali di cui ha bisogno l’Italia.
Il Popolo
9 marzo 1994
intervista di Elsa di Gati