Colloquio con il ministro Granelli che anticipa i temi dell'incontro con il collega francese
Il vertice politico Italia-Francia, in calendario da domani a Firenze si delinea come segno premonitore positivo di decisioni concrete al “summit” del Consiglio europeo che a Milano, il 28 e 29 giugno suggella l’attività del semestre di presidenza italiana in sede comunitaria?
Il progetto Eureka nato inizialmente come intesa franco-tedesca e che ha trovato forza nella presidenza CEE italiana per favorire convergenze sul lancio qualitativo di una Europa tecnologica; la posizione ferma del presidente CEE, Jacques Delors, per la creazione di una “comunità della tecnologia e geometria variabile”; il comitato Doge nella sua globalità rappresentativa di interessi innovativi con ricadute economico-produttive: questi in sintesi, i tre segnai di impulso sulla sorte di una “unione” europea che i Capi di Governo CEE dovranno decidere a Milano.
L’incontro di Firenze fra il presidente del Consiglio, Bettino Craxi, e il presidente francese François Mitterand è affiancato da colloqui sulle rispettive competenze fra i “colleghi” ministeriali dei due Paesi. Il ministro della Ricerca, Luigi Granelli, che nel quadro di queste consultazioni preliminari si incontrerà con il collega Hubert Curien, risponde a Il Sole 24 Ore sugli aspetti tecnologico-produttivi del contesto politico e sugli orientamenti italiani.
Quali indicazioni sono emerse, da parte dei ministri della Ricerca CEE, nelle precedenti riunioni del 22 maggio a Roma e del 4 giugno in Lussemburgo?
"Il rapporto che sto sottoponendo al presidente Craxi riguarda indicazioni ovviamente coperte da riserbo. Posso tuttavia anticipare alcuni punti. Innanzitutto, esiste una convinta adesione di massima sulla necessità di cogliere l’impulso “Eureka” per avvicinare la realizzazione della comunità tecnologica europea. Più vivace e meno univoca è invece la discussione sul modo attraverso il quale realizzare i programmi di altre tecnologie. Si è parlato di una Agenzia esterna alla CEE il che, secondo il punto di vista dell’Italia, sarebbe un errore in quanto equivarrebbe a confinare l’Europa in posizioni di arretratezza, una sorta di “comunità agricola” con una semplice aggiunta di qualche modesto programma tecnologico. Prevale tuttavia l’orientamento di inquadrare Eureka all’interno della CEE, però con procedure flessibili e straordinarie rispetto alla normativa corrente".
Si tratta di un nuovo trattato stile Euratom, oppure del ricorso all’art. 235 del Trattato di Roma, ipotizzato dal presidente Delors, che autorizza disposizioni appropriate a una nuova azione necessaria?
"In proposito l’Italia non ha preclusioni, tuttavia occorre fare attenzione al rischio dei tempi lunghi di un nuovo trattato. All’urgenza della sfida tecnologica è importante che il Consiglio di Milano di fine giugno risponda con una esplicita dichiarazione politica dalla quale possano partire azioni, anche pragmatiche, ma chiaro segno di volontà realizzatrice. In proposito vorrei aggiungere che la formula adottata in sede Esa per una politica spaziale a geometria variabile sta funzionando ottimamente. Possono inoltre delinearsi opportunità di partecipazione per altri Paesi, ad esempio quelli dell’Efta: una esperienza CEE già provata a livello di azioni Cost che potrebbe essere ulteriormente estesa. Per contro, va segnalata la preoccupazione. Fra i “dieci” di alcuni paesi minori rispetto al rischio di una Europa meno unita come ritmo di velocità tecnologica. In proposito, desidero sottolineare che le dieci aree di Eureka (laser, elettro-ottica, nuovi materiali compositi, nuove intelligenze artificiali e sistemi esperti, robotica avanzata, fabbrica flessibile e integrata, microelettronica, ingegneria dei materiali, biotecnologie e agro-alimentare, grandi calcolatori) sono di ampiezza tale da consentire equilibri di accesso fra i vari Paesi in rapporto a singole vocazioni scientifiche e specifici interessi industriali. Non “tutti in tutto”, ma tutti nella strategia complessiva: è questo il messaggio ai Capi di Stato nel vertice di Milano".
Quali sono gli aspetti preparatori del suo incontro a Firenze con il ministro francese Curien?
"Premesso che Firenze serve a mettere a punto una convergente azione italo-francese verso il successo dell’iniziativa Eureka. Preciso che sono previsti successivi ulteriori contatti con altro Paesi europei perché non vogliamo poggiare su intese preferenziali. A Firenze peraltro insisterò con il ministro Curien sulla definizione dei cinque punti discussi in Lussemburgo per i quali egli si è già pronunciato disponibile (programma “Race”, laboratorio Tritio a Ispra, luce sincrotrone, progetto Iris di informatica applicata, Paesi in via di sviluppo: si veda “Il Sole 24 Ore” dell’8 giugno – Ndr). In effetti saremmo poco credibili al “summit” di Milano nel sostenere progetti ambiziosi in campo tecnologico e industriale senza aver prima dimostrato che si procede con la necessaria celerità su problemi per i quali già si è raggiunto un accordo di massima".
Quali riflessi tecnologico-produttivi sono previsti in Italia dal progetto Eureka?
"Già ha avuto luogo una circostanziata riunione di esperti – a livello CNR, Enea, Infn e industrie pubbliche e private – per valutare l’effetto Eureka nel contesto nazionale. C’è la più ampia disponibilità, sia di enti di ricerca sia di industrie, a partecipare e per di più in settori dove siamo all’avanguardia nel contesto europeo: laser, robotica, fabbrica automatica, o ad esempio, biotecnologie che in Italia si stanno sviluppando sia come ricerca (il Centro Unido di Trieste è un esempio), sia come impegno di imprese pubbliche e private. L’aspetto più rilevante sta nel fatto che Eureka – secondo la proposta francese di attuazione in sede CEE deve coinvolgere l’industria italiana come risorse tecnologiche, produttive finanziarie."
Come far fronte a questa esigenza di risorse e dove pescare i fondi?
"Premesso che l’ordine di grandezza su cui orientarsi per Eureka dovrebbe aggirarsi almeno sui mille miliardi di Lire all’anno e che l’Italia dovrebbe attestarsi su una compartecipazione media del 15% per sfruttare al meglio ogni opportunità tecnologico-produttiva (anche se ovviamente tali cifre sono in rapporto alle decisioni di Milano), va detto che non si tratta solo di risorse finanziarie fresche, ma di far convergere risorse singole già esistenti. Sulla spesa mondiale di R&S, la quota dei “dieci” è 20% (contro il 27% Usa e il 17% del Giappone) ma la ragione della bassa produttività della ricerca europea sta nella quota del 15% spesa in azioni comuni. Vero è che anche raddoppiando la quota – come auspicato dal vicepresidente Narjes – arrivando al 3% si sarebbe al di sotto del necessario: ma il punto sta nel concentrare l’impegno comune".
Il programma Eureka, con settori a potenzialità militare oltre che civile, come si colloca rispetto a SDI?
"Grave errore sarebbe confondere le due iniziative perché una decisione Eureka sarebbe dovuta prendere comunque, prescindere dalla proposta del presidente Reagan. È sbagliato ritenere il rilancio tecnologico europeo alternativo alla cooperazione con gli Usa o scambiare progetti di natura militare con altri a più ampio respiro. L’importante è che l’Europa della tecnologia non abbia tendenza a preclusioni: valga in proposito la filosofia dell’attuata politica spaziale, esempio di coesione per una cooperazione su basi di maggiore equilibrio".
Il Sole 24 Ore
12 giugno 1985
intervista di Paola de Paoli