BERLUSCONI E DI PIETRO

In un confronto televisivo con poco spazi per pacati ragionamenti Rosy Bindi ha giustamente posto a fini, senza ottenere risposta, il quesito se non era opportuno che Berlusconi seguisse l’esempio di Di Pietro rinviando alla conclusione delle sue vicende giudiziarie l’eventuale assunzione di un ruolo politico di primo piano. Il leader della destra ha preferito chiamare impropriamente in causa il diritto alla presunzione di innocenza che vale, ovviamente, anche per Berlusconi. Egli ha fatto finta di ignorare che anche nella pubblica amministrazione c’è l’istituto della sospensione cautelare dei funzionari che, in caso di processo, sono invitati ad astenersi da prestazioni.

Il problema è di evidente opportunità, oltre che di rispetto dell’operato della magistratura. Il lettori del “Popolo” sanno che, tempo addietro, avevo dissentito dalle sollecitazioni venute da varie parti a Di Pietro non solo ad assumere un ruolo politico, non ostante la richiesta di rinvio a giudizio, ma persino ad entrare nel Governo come ministro degli interni o della giustizia. La sofferta e lodevole decisione presa allora dal Magistrato più famoso di “Mani Pulite”, cui si deve grande riconoscenza, per rinviare ogni scelta a dopo la soluzione delle sue vicende giudiziarie, è apparsa più apprezzabile delle spinte interessate, strumentali, per un suo coinvolgimento sospettabile di sfruttare anche la sua popolarità preferita.

Quando è accaduto al Tribunale di Brescia è stato al contrario esemplare. I fatti serviti a troppi per condizionare l’azione di Di Pietro, prima e dopo la sua uscita dalla Magistratura, sono stati giudicati insussistenti e il non luogo a procedere rafforza ora la sua credibilità e il suo prestigio. C’è solo da rammaricarsi che questo chiarimento sia avvenuto senza che il Palmento abbia potuto fare luce, nonostante la relazione presentata dall’apposito Comitato, anche sui ruoli inquietanti dei Servizi segreti e di ignoti informatori nel tentativo di delegittimare Magistrati impegnati in prima linea in un’opera di moralizzazione.

L’accertamento dovrà essere ripreso con rigore nella prossima imminente legislatura. La vicenda pesa ancora sul mistero, per il quale bisognerà attendere il processo a carico di Previti, Paolo Berlusconi ed altri, delle azioni eventualmente compiute per dissuadere Di Pietro, al di là delle sue stesse difficoltà a riconoscersi concusso, a continuare nella sua opera di Magistrato scomodo. Invece di riflettere sull’accaduto è, come è noto, ricominciato a corteggiare Di Pietro per ottenere da lui, alla vigilia del voto, dichiarazioni o utili vantaggi elettorali.

Molti sostenitori interessati sono tornati a suggerirgli dove collocarsi, cosa fare, a prescindere dai suoi stessi intenti politici che meritano più di un chiarimento. Mastella, immaginando di essere un Presidente del Consiglio incaricato, gli ha persino nuovamente offerto un posto di ministro in un mercato di potere senza confini. Anche Folena, da sinistra, ha voluto spendersi in promesse più o meno allettanti di governo.

Si è trattato di pressioni assai discutibili. Di Pietro, come ha osservato giustamente Romano Prodi, può decidere, dopo l’ultima sentenza di Brescia, e deciderà quando e come vorrà, nell’esercizio dei suoi diritti. Solo dopo anche chi lo stima potrà finalmente discutere con libertà delle sue scelte programmatiche e politiche e in che misura sarà o no d’accordo.

Sorge invece un’altra domanda. Perché altri e tra essi Berlusconi, implicati in non trascurabili vicende giudiziarie, non seguono l’esempio di Di Pietro rinunciando, almeno temporaneamente, alla pretesa di ruoli politici di primo piano mentre sono in corso processi a proprio carico? Non sfugge che con questa scelta sarebbe possibile difendersi in modo più persuasivo ed efficace per riprendere poi, dopo aver dimostrato l’infondatezza delle accuse, una trasparente battaglia politica anche per i governo del Paese.

Ad analoghe sollecitazioni Berlusconi ha risposto, sempre in televisione, che non intende compiere passi indietro per non fare il gioco dei suoi avversari politici che, tra l’altro, sono i registi dell’operato della Magistratura che lo indaga. L’affermazione è gravissima. Essa dimostra non solo che il buon esempio di Di Pietro non vale per Berlusconi, ma che nel caso della formazione di un governo di centro-destra dopo le elezioni si profilerebbe, drammaticamente, un nuovo scontro tra i poteri dello Stato inquietante per le sorti del diritto e dell’uguaglianza dei cittadini.

A meno che non ci riservi, dopo il voto, il colpo di teatro di un ritiro di Berlusconi per causa di forza maggiore, per sostituire in extremis la ragione all’arroganza, ma anche a questo dovrebbero pensare gli elettori che, oltre ad avallare il comportamento discutibile di un candidato in aperta polemica con la Magistratura a dirigere il Governo, potrebbero trovarsi di fronte al vuoto politico o ad outsider scelti da Fini.

Il Popolo
10 aprile 1996
Luigi Granelli