Il paese è in guerra civile e il presidente Duarte si espone all’accusa di connivenza con la repressione
Nei rapporti tra i partiti che vantano, insieme ad una comune affinità di ispirazione, una propria autonoma responsabilità politica, ci sono dei momenti in cui non si può tacere il dissenso, specie quando investe una ragione di coscienza. È il caso del giudizio sulla situazione inquietante e disastrosa nella quale si trova, in El Salvador, Napoleon Duarte dopo un convulso concatenarsi di avvenimenti che hanno finito con il collocare in una posizione innaturale ed insostenibile un partito popolare che voglia tener fede al suo essere democratico cristiano. Dopo l’efferato assassinio di Monsignor Romero, nella Cattedrale di San Salvador, la situazione ha raggiunto aspetti tali di violenza, di repressione generalizzata, di sterminio dell’opposizione, da divenire sempre più incontrollabile. I tristemente famosi “squadroni della morte” hanno continuato a seminare il terrore con la connivenza di militari oltranzisti presenti nel governo denunciata, oltre che da fonti internazionali autorevoli e dalla Commissione per i diritti umani, dalla Chiesa cattolica che con monsignor Rivera y Damas è rimasta schierata con il popolo perseguitato. Il bilancio è ogni giorno più grave. Siamo ormai allo scontro armato in cui tutto è imprevedibile tranne lo spaventoso numero delle vittime di un popolo che vuole libertà.
Prima di questo aggravamento Napoleon Duarte aveva avuto, di fronte ad una profonda frattura tra gli stessi militari, un’impennata di orgoglio un sussulto di intransigenza coerente con le sue origini di combattente per la libertà, con il preannuncio dell’uscita dal governo se non vi fosse stata una decisiva correzione di rotta. In tale ipotesi si poteva riaprire il necessario dialogo con il fronte delle opposizioni e bloccare le perdite di consenso popolare sempre più ampie. Si trattava, come ho scritto su “Il Popolo” il 12 dicembre 1980, di una sortita disperata per cambiare il corso delle cose o per disimpegnarsi da una giunta di governo destinata a diventare il polo reazionario di uno scontro fratricida.
Il rapporto elaborato dall’olandese Verger, per conto di una missione nel Salvador da parte del PPE, aveva dimostrato che quello era il momento in cui i partiti democratici-cristiani europei e latino-americani avrebbero dovuto incoraggiare una presa di distanza di Duarte da un processo involutivo che travolgeva con lui il suo stesso partito estraniandolo, di fatto, dalle lotte popolari per i diritti fondamentali, l’indipendenza e l’autodeterminazione, la conquista, con la pacificazione, di condizioni di vita più umane. Ma questa spinta, nonostante autorevoli sollecitazioni di democratici cristiani italiani, belgi, olandesi, non vi è stata. Il fatto è assai grave. È prevalso l’attendismo, si sono sottovalutati pericoli reali, ed oltre alla mancanza di iniziative collegiali singoli partiti non solo europei hanno esercitato pressioni su Duarte per convincerlo a non cambiare strada ove avesse avuto questa intenzione.
Nessuno può sottrarsi alle proprie responsabilità in presenza di un così drammatico precipitare degli eventi. Lo sbocco è stato l’opposto di quello minacciato. Non solo gli esponenti più duri del regime sono rimasti al loro posto estromettendo definitivamente i militari dissidenti, che con Majano si sono dati alla clandestinità, ma con l’offerta a Duarte della presidenza della giunta di governo hanno spregiudicatamente cercato ed ottenuto una copertura politica per sviluppare un’ancor più brutale repressione. Il rischio, se si continua con l’attendismo, è ora quello di assistere impotenti ad una guerra fratricida che dissangua un popolo bisognoso di aiuto, ai pericoli di interventi stranieri lesivi della sovranità nazionale e di un compromettente sostegno alla repressione da parte degli Stati Uniti, al coagularsi di tutte le forze popolari e democratiche anche di segno moderato in un fronte delle opposizioni che punta all’insurrezione, con tutto quello che essa significa, per liberarsi da un regime intollerabile e sempre più isolato.
Di fronte a questi pericoli si deve compiere ogni sforzo per fare, anche con l’iniziativa pacificatrice dei governi e per quello che ci riguarda di quello italiano, un’”escalation” militare che può pericolosamente estendersi in tutta l’America centrale.
Bisogna voltare pagina al più presto ed aprire la via ad un realistico negoziato politico.
È auspicabile che la democrazia Cristiana italiana assuma, come ai tempi del tragico “golpe” militare in Cile, una posizione responsabile e chiara e sviluppi in ogni sede, dal Parlamento nazionale ed europeo alle organizzazioni internazionali di partito, iniziative capaci di favorire una svolta reale in El Salvador per distinguere le responsabilità, porre fine alle sofferenze di quel popolo, assicurare l’indipendenza del paese, prendere le difese, come fa in modo esemplare la Chiesa, di quanti lottano per affermare la dignità umana contro la spirale delle violenze ed il perdurare delle ingiustizie. Lo stesso Duarte ha sempre sostenuto, la presenza dei militari al governo con la tesi, inizialmente sostenuta anche da forze ora all’opposizione, che non c’era altra via per evitare la guerra civile. Ora, purtroppo, anche questa giustificazione è venuta drammaticamente meno.
Per quanto sia difficile risalire la china è doveroso esplorare ogni via di riconciliazione anziché attendere che il peggio prepari soluzioni di forza di cui porteremmo, anche non volendolo, pesanti responsabilità storiche. Tra non molto sarà in Italia, nel quadro di contatti con tutti i Paesi Europei, una delegazione del fronte di tutte le opposizioni salvadoregne. Essa è capeggiata dal socialdemocratico Manuel Ungo, che gode del sostegno dell’Internazionale socialista, ed illustrerà a nome di un vasto e pluralistico schieramento di partiti comprendente anche un movimento popolare social-cristiano nato da dolorose scissioni la causa dell’autodeterminazione e della conquista della libertà e della normalità costituzionale da parte del popolo salvadoregno.
Il dialogo anche critico e la ricerca di soluzioni equilibrate e garanti dei diritti di tutti non potranno essere elusi. La difesa dei diritti fondamentali in El Salvador, come in America centrale e ovunque, rimane un punto fermo per i democratici cristiani in particolare. A ìnche di fronte alla nuova amministrazione di Reagan questo punto di vista va ricordato con fermezza e spirito costruttivo dagli europei.
È proprio in vista dell’assolvimento di questi doveri, della necessità di aiutare il popolo salvadoregno ad uscire dalla tragedia che vive in pienezza di diritti e di indipendenza, che sarebbero auspicabili – come si sollecita da tempo senza troppa fortuna – scambi di opinioni ed iniziative congiunte tra l’Internazionale democratiche-cristiane per favorire, nei limiti del possibile, una soluzione politica della crisi nel Salvador anche in costante contatto con gli Stati uniti. Ma in ogni caso si impone, di fronte alla gravità degli eventi, una presa di coscienza uffuxiale della democrazia ristaina italiana che è nota e stimata in America latina per il suo tradizionale sostegno alla libertà e all’indipendenza di ogni popolo: un franco e motivato dissenso, che tenga onestamente conto anche delle altrui ragioni, per aiutare ad invertire in El Salvador una tendenza e soluzioni che portano alla catastrofe, è più apprezzabile del silenzio e dell’inerzia di chi dopo aver incoraggiato un esperimento negativo pensa magari di attribuire domani agli errori o all’imprevidenza del solo Napoleon Duarte la responsabilità di un fallimento che, sin d’ora, tutti ci coinvolge.
La Discussione
26 gennaio 1981
Luigi Granelli