QUESTO "POLO" CORRODE LA DEMOCRAZIA

Sono da condividere i forti richiami di Natta, apparsi su “L’Unità”, a sostegno della più ampia mobilitazione possibile contro i gravi rischi di sovvertimento democratico che investono la nostra democrazia. Aggiungo che ho positivamente constatato, nei miei contatti periferici in varie parti d’Italia, che la preoccupazione è molto diffusa e profondamente sentita anche tra i cattolici democratici. Ci sono quindi condizioni incoraggianti per passare al più presto dall’allarme ai rimedi politici con il comportamento coerente di quanti, pur nella diversità delle loro posizioni di fondo, sentono il dovere preliminare di aprire una fase nuova nella vita nazionale. Non sempre questa urgente necessità è avvertita. Tra i guasti di una politica spettacolo senza limiti, che tutto consuma, si è considerato quasi normale il degrado della lotta politica, l’attacco palese e occulto alle istituzioni, la lacerazione delle regole della convivenza democratica, che la spregiudicatezza della destra italiana e l’arrogante presunzione di chi ha preso il potere con un imbroglio elettorale considerava irreversibile. Gli insulti inaccettabili a Scalfaro, che tutti i democratici apprezzano per la serena e tenace difesa dei valori costituzionali, sono andati al di là di pur discutibili polemiche di merito e hanno investito, per la prima volta dal dopoguerra, la funzione stessa del presidente della Repubblica che si vorrebbe prigioniero di un dato elettorale controverso e antagonista di un libero Parlamento. Con la stessa logica sovvertitrice si è giunti ad un contrasto destabilizzatore tra il governo e il Consiglio superiore della magistratura, con un presidente del Consiglio indagato che richiama all’ordine in televisione i giudici, a polemiche inaudite con la Corte Costituzionale definita “cupola di mafiosità” impegnata ad intaccare i diritti dei cittadini, a considerare carta straccia il ruolo senza vincolo di mandato di deputati e senatori per delegittimare un Parlamento in cui si dissolve una maggioranza. Si potrebbe continuare nell’elencazione. Il filo conduttore di violazioni costituzionali più o meno scoperte e crescenti è il tentativo, da interrompere prima che sia troppo tardi, di considerare un fatto compiuto l’acquisizione di una democrazia diretta, plebiscitaria e antiparlamentare, con i risvolti autoritari indotti da una efficiente e controllata telecrazia.

Insidiosa, oltre che devastante è poi la tesi, grossolanamente difesa da Cesare Previti di Forza Italia, del prevalere di una inammissibile costituzione materiale, rispetto alle regole scritte secondo lui di fatto non più vincolanti, giustificata da prassi partitocratriche da noi criticate anche in passato e soprattutto a causa dell’introduzione della legge elettorale maggioritaria. Il ragionamento è aberrante. Si dimentica, volutamente, che la materia elettorale è disciplinata da legge ordinaria proprio perché la Costituzione, fatti salvi i suoi principi fondamentali, va posta al riparo dal formarsi tramite la rappresentanza eletta di maggioranze e opposizioni. L’obiettivo diventa così ancora più allarmante. La cosiddetta costituzione materiale è la leva per demolire, pezzo per pezzo, lo “stato di diritto” e tutte le sue garanzie. In un contesto diverso accadde anche con il fascismo. Si pensa che chi ha il potere è autorizzato, contro lo stesso Parlamento, a fissare unilateralmente le regole e non invece a esercitarlo in un quadro di norme costituzionali di valori permanente. I regimi autoritari si fondano appunto su questo presupposto dal quale discendono, logicamente, l’investitura senza mediazioni politiche del capo e di una classe dirigente cooptata, il filo diretto con la prassi dei sondaggi e dei plebisciti, l’identificazione tra governo e Stato che distrugge l’articolazione dei poteri. Negli ultimi mesi è stata più volte in discussione la forma democratica della vita nazionale sancita dalla Costituzione. Lo si è constatato anche in materia di conflitto tra rilevanti interessi privati e funzioni pubbliche. L’involuzione autoritaria si è accentuata per il profilarsi di un inquietante potere personale. In nessun paese democratico un “leader” politico che controlla tutte le televisioni private, e parte della stampa e dell’editoria, ed ha una forte presenza nella pubblicità, nella distribuzione, nelle assicurazioni e nelle attività finanziarie, avrebbe potuto assumere le responsabilità della presidenza del Consiglio senza una scelta preliminare, trasparente e verificabile, tra interessi privati e funzione pubblica.

La questione, morale e politica prima che giuridica, è stata aggirata con espedienti fin dall’inizio e nonostante la sollecitazione di puntuali garanzie da parte del capo dello Stato. La nomina di un”comitato di saggi”, nominati dall’interessato, è stata una scappatoia per non compiere alcuna scelta, come è dimostrato dall’evasivo progetto governativo successivamente presentato dal governo. È grave che siano caduti nel silenzio numerosi atti di governo viziati, per conflitto di interessi, in modo scandaloso. Alle critiche si è risposto sprezzantemente che le garanzie ci sono già, ad opera del Parlamento, della magistratura, del presidente della Repubblica e che in ogni caso anche questo problema si potrebbe risolvere con il voto anticipato ad una maggioranza che non se lo porrebbe nemmeno più.

Ce n’è abbastanza per sostenere la priorità del ritorno alla Costituzione. Pochi giorni fa anche Giuseppe Rossetti ha ripetuto l’allarme. Egli ha invitato a “bandire” gli ambigui riferimenti ad una presunta seconda Repubblica introdotti per destabilizzare le consulenze nei confronti di una Costituzione che, fino alla sua modifica con procedure legali, è vincolante per tutti. Non si tratta di chiudersi nella difesa sacrale in un testo che può essere rivisto rispettando le garanzie previste. È tempo di attuare e vivere valori costituzionali che restano di grande attualità. Il capo dello Stato, oggetto di una disonesta campagna di denigrazione da parte della destra, lo ha dimostrato opponendosi con paziente fermezza agli attacchi alla Costituzione.

Scalfaro non ha esitato a difendere il Parlamento, il suo diritto ad esercitare la piena rappresentanza della sovranità popolare, dai virulenti e inauditi tentativi di delegittimarlo. La soluzione di governo che ne è scaturita, grazie all’impegna a rischio di un “grand commis” come Lamberto Dini, non poteva che essere eccezionale e transitoria ma non si può per questo dimenticare che solo su questa via era possibile il ripristino della normalità costituzionale. Non c’è dubbio che il “governo dei tecnici” ha sempre rappresentato, ben oltre l’acuta critica di benedetto Croce, un allontanamento dalla politica che è anch’essa essenziale, al pari delle norme della Costituzione, per la tenuta della democrazia.

Ma tocca ora al Parlamento riassumere la propria funzione primaria per aprire una nuova e costruttiva fase politica. Ci sono materie, dal “blind trust” alla revisione in senso pluralista della legge Mammì e alla riforma elettorale, che possono essere affrontate e risolte con tempestività e larga convergenza parlamentare anche se non sono nell’agenda delle priorità di un governo nato con compiti più limitati. La stessa costruzione di alternative politico-parlamentari, nel caso di premeditati sabotaggi all’opera del governo Dini per riproporre l’opzione di avventurose elezioni anticipate, è un impegno di rilievo che non troverà certo ostacoli nella scrupolosa difesa delle garanzie costituzionali da parte del capo dello Stato.

Ed è infine dovere dei partiti che hanno ostacolato l’offensiva autoritaria di una maggioranza andata in frantumi per le sue contraddizioni, oltre che per il modo dilettantistico di governare, assumere l’onere anche politico di un ritorno alla Costituzione, anche nel corretto avvio di procedure di revisione, e della preparazione con un serio dibattito nel Paese di alternative credibili da sottoporre al vaglio degli elettori. L’obiettivo non è quello di dar vita ad una ammucchiata di forze eterogenee, che ripeta nell’area di centro-sinistra gli errori della confusa aggregazione elettorale entrata in crisi.

Bisogna aprire una libera discussione sui reali problemi del Paese tra PDS e PPI, Verdi e Patto Segni, Lega Nord e i molti democratici dei vari gruppi, se si vuole costruire, in un utile confronto anche con le opposizioni, la transizione possibile che prepari, per il domani, alternative politiche con chiari programmi e a sicura guida democratica richieste dal divenire della democrazia compiuta, non consociativa, e non solo in forza di una legge elettorale maggioritaria. È l’inizio di un’ardua fase politica che deve fra l’altro affrontare, senza scappatoie da seconda Repubblica, riforme istituzionali compatibili con la Costituzione. Non c’è spazio per ambigui rinvii perché, come ricorda Natta, è urgente opporre un lavoro di pacifica costruzione, con rispetto della diversità nel comune impegno, a chi non ha ancora rinunciato a “dichiarare guerra alla democrazia in questo Paese”.

Luigi Granelli
L’Unità
31 gennaio 1995