Rintracciare nel pensiero e nell'azione di Luigi Sturzo la concezione
che egli ebbe del partito non significa riproporre meccanicamente, in
tempi profondamente diversi, un modello di forza politica. Una simile
pretesa dimostrerebbe la assoluta incomprensione della lezione
sturziana. Si tratta invece di individuare in tale concezione gli
elementi vitali che ne determinarono il successo, il modo con il quale
vennero affrontati i problemi del tempo, l'impostazione teorica
- ancora valida in sede di principio anche se da adeguare sul terreno
storico concreto
- di una grande forza politica popolare e democratica di ispirazione
cristiana.
Non prenderemo perciò in considerazione gli avvenimenti concreti e le
lunghe battaglie che portarono alla affermazione del Partito Popolare
come forza tra le più significative dello sviluppo nazionale, così come
non ci riferiremo alle azioni concrete, alle battaglie che
caratterizzarono la breve vita del Partito Popolare, sulle quali
ovviamente è possibile anche un giudizio critico severo, di
individuazione degli errori commessi, ma ci riferiremo soprattutto a
quello che, sul terreno del pensiero, ha rappresentato lo sforzo di
preparazione del sorgere, in Italia, di un moderno Partito Popolare di
ispirazione cristiana.
Il senatore Gronchi, con la lucidità che caratterizza il suo pensiero,
ha fatto un quadro preciso e puntuale di quella situazione, e ha
ricordato che la vita politica attiva del Partito Popolare è stata una
vita assai breve, che tre anni per un partito, da un punto di vista
operativo, sono forse meno che tre giorni. Ma non si capirebbe la
vivacità e la forza della battaglia di quei tre anni, e non si capirebbe
la successiva intransigenza nel resistere alle tentazioni e alle
pressioni autoritarie, se non si risale col pensiero al periodo di
maturazione che preparò l'avvento del Partito Popolare Italiano.
Non fu un gesto improvviso di Luigi Sturzo quello che culminò, dal
vecchio albergo Santa Chiara, nell'appello ai «liberi e forti», ma fu il
punto terminale di una battaglia politica concreta che l'ha seguita.
E' noto infatti a chi conosce gli atti preparatori della vicenda
popolare, che il riferimento agli elementi cardine della concezione del
partito, viene fatto risalire al discorso di Caltagirone nel 1905 (1).
In quel discorso, con grande lungimiranza, Luigi Sturzo traccia una
visione organica, precisa, sintetica, di un modello di forza politica
che era innovativa, profondamente rivoluzionaria rispetto alle varie
concezioni esistenti nel movimento cattolico italiano dell'epoca. Dal
1905 al 1919 sono trascorsi più anni di quelli che hanno poi impegnato
il partito nella battaglia politica concreta, ma sono stati anni
essenziali per portare a maggior maturità, e a una maggior
consapevolezza anche negli amici che collaboreranno con Sturzo, quella
concezione che lo stesso Sturzo aveva già chiaramente delineato fin dal
1905.
Vale quindi la pena di richiamare essenzialmente quali furono, fin
d'allora, gli elementi caratteristici essenziali, quelli validi al di là
dell'usura storica, del modello di forza politica che Sturzo determinò
con la sua azione.
Sappiamo qual'era il clima politico a sociale italiano all'inizio del Novecento. Da un lato la classe borghese dominante, forte dei suoi meriti risorgimentali, ma priva di un'autentica spinta liberale, si piega a qualsiasi trasformismo pur di conservare il potere. Trionfa il clientelismo, che rappresenta il peggior sistema di umiliazione politica. Dall'altra vi erano le masse cattoliche, estranee allo Stato per il rifiuto del processo risorgimentale, ma tuttavia profondamente divise tra di loro sin modo per superare tale estraneità. Il vecchio filone dell'intransigentismo - quello per intenderci che alla morte del re usciva sui giornali con titoli: “Il re è morto; il papa è vivo” - continuava la sua battaglia dottrinaria a pratica di rifiuto, di astratta negazione, dei principi della Rivoluzione Francese, delle conquiste democratiche e costituzionali, dello stato liberale, in una parola, che determinava sul piano pratico l'assenteismo dei cattolici dalla vita pubblica. Tale assenteismo dottrinario e pratico era addirittura rafforzato formalmente dal “non expedit” che vietava ai cattolici la partecipazione al voto. Ma accanto a questa tendenza intransigente di fondo andava emergendo nell'Opera dei Congressi, che raggruppava le varie organizzazioni dei cattolici, quello che Sturzo con sintomatica affermazione definiva un ibridismo costituzionale, cioè un impegno che stava a metà strada fra la difesa in chiave religiosa dei diritti storici e della chiesa e la volontà di far emergere alcuni difetti dell'ordinamento statuale e di agire per modificarli. Movimento dell'Opera dei Congressi, da una parte, che col suo ibridismo costituzionale mescolava il religioso col sociale e col politico; intransigentismo, dall'altra, che faceva della nostra dottrina soltanto una posizione di rifiuto della realtà dello Stato, erano due ostacoli storicamente presenti nei tempi che prepararono l'avvento del Partito Popolare. Come furono superati questi ostacoli? Con quali caratteristiche don Sturzo diede vita al movimento del popolarismo che sfociò poi nella fondazione del Partito Popolare?
Mi limiterò ad alcuni tratti essenziali, il primo dei quali è di grande
attualità. Concordo perfettamente con il
professor Scoppola a questo proposito, e cioè che Sturzo ebbe vivissimo
l'istinto del politico che muoveva dalla realtà storica e sociale più
che dai principi in maniera esclusiva. Sturzo era infatti polemico nei
confronti, per esempio, del dottrinarismo di un Toniolo che concepiva sì
in modo organico, ma astratto, la società a la sua organizzazione, e
quindi per quanto monumentale potesse essere la sua costruzione,
risultava irrilevante rispetto ad una concreta operazione
storico-politica. Sturzo, con grande modernità, concepiva la politica
come espressione viva delle tendenze di sviluppo della società, cioè
collegava la politica a ciò che cresce, che si muove, che è vitale nella
società, e su quello esercitava una funzione di mediazione di principi,
che altrimenti
- sganciati dal vivo del divenire storico – rimanevano mere astrazioni
inutilizzabili.
Non dimentichiamo che la contestazione, che oggi è di moda e come
termine e come atteggiamento, esisteva anche allora, ed era profonda.
Che cos'era l'insoddisfazione delle plebi meridionali, la protesta delle
masse
contadine, l'insofferenza per il clientelismo giolittiano, il contrasto
fra paese reale e paese legale, se non la dimostrazione di un vivo e
diffuso scontento della società civile e insieme l'esigenza di trovare
uno sbocco
politico per modificare la situazione?
Si è accennato, nel corso di questo convegno, alla sociologia cristiana
- tema che porterebbe molto lontano
nella sua definizione - ma io credo che vi sia un aspetto della figura
di Sturzo che andrebbe ancora profondamente esplorato e dovrebbe essere
fatto conoscere meglio al vasto pubblico. E' l'aspetto dello Sturzo
sociologo, che non si ispirava ad una sociologia di derivazione
integrista o ideologizzata, che pretende di spiegare tutta la realtà
sociale in base ad alcuni principi dati, ma ad una sociologia di
derivazione storicista, che tende alla interpretazione dei fatti sociali
intesi non come fatti meramente settoriali ma come parti che riguardano
l'intera società e la sua dinamica di sviluppo. E fu proprio in quella
comprensione viva della società, con i suoi problemi, con le sue
contestazioni, con i suoi movimenti, che Sturzo riuscì a dare
interpretazione politica o senso politico alle tensioni esistenti.
Non si spiegherebbe la battaglia di Sturzo per le autonomie se non in
uno stretto legame con la società; non
si spiegherebbe la battaglia per la proporzionale – che non fu una
battaglia tecnica, ma di libertà
- la battaglia per il suffragio universale e per il voto alle donne, se
non si scorgono in queste battaglie le ragioni politiche
e gli strumenti concreti per liberare la vita politica italiana dal
clientelismo giolittiano e dalla estraneità delle forze sociali rispetto
alla conquista del potere politico.
Il primo elemento vitale del popolarismo mi sembra perciò che riguardi la politica intesa non come un'astrazione che discende da una tavola dei principi, e neppure come la pura e semplice organizzazione della protesta e del dissenso, ma come la capacità di mobilitare e di organizzare le forze sociali contro lo sfruttamento clientelistico, per l'affermazione della propria autonomia, per conseguire cioè un concreto sbocco politico che sia coerente con le esigenze espresse nella società.
Il secondo elemento importante che spiega come Sturzo concretamente
abbia potuto superare gli ostacoli di tradizione e di mentalità diffusi
nel movimento cattolico di allora, che prima abbiamo richiamato, va
ricercato nel vivo senso della storia che lo animava. Condivido a questo
proposito l'osservazione che Gronchi esprimeva rispetto ad alcuni
difetti delle nuove generazioni. E non mi riferisco alla generazione cui
io appartengo, che ha riscoperto Sturzo e il popolarismo nelle battaglie
dopo la Resistenza, ma mi riferisco alle giovani generazioni di oggi,
che rischiano quasi sempre di far partire la loro contestazione, la loro
protesta, dal livello zero nel quale non esiste passato, non esiste
tradizione, non esistono spiegazioni. Ma il livello zero della
contestazione finisce spesso per coinvolgere la stessa contestazione, in
quanto la negazione e il rifiuto di tutta l'esperienza passata si
traduce al limite in frustrazione, in impotenza, in incapacità a dare
uno sbocco politico ai fenomeni sociali contemporanei.
Per Sturzo invece fu proprio la coscienza storica che gli consentì di
affrontare con successo taluni problemi del suo tempo. Non respinse
acriticamente il passato, ma anzi cercò di individuare nel passato le
ragioni e le radici di comportamenti e di tradizioni. Per questo Sturzo,
di fronte all'Opera dei Congressi, non si atteggiò ad una posizione di
sdegnoso rifiuto, non si limitò a criticarne l'ibridismo costituzionale,
ma, pur lavorando per il suo superamento, attraverso una valutazione
attenta comprese che nel coacervo dell' Opera dei Congressi era presente
la tradizione della prima Democrazia Cristiana, erano presenti i
fermenti delle Leghe Bianche, vi erano cioé forze tendenzialmente assai
diverse da quelle che l'Opera dei Congressi intendeva rappresentare nel
suo complesso.
Dalla viva comprensione della storia, ricercata a maturata, Sturzo ha
saputo ricavare le condizioni per il superamento dell'Opera dei
Congressi conservando al tempo stesso, come eredità per il Partito
Popolare, quanto di vitale vi era anche in quell'ibrida istituzione.
Analogamente Sturzo seppe comprendere le ragioni di crisi dello Stato
italiano e indicare le vie per la sua trasformazione attraverso
1'assunzione di responsabilità politiche da parte delle masse popolari
cattoliche, proprio attraverso il riconoscimento che l'unità nazionale
era un bene, ma che esistevano difetti e limiti nel processo
risorgimentale operato nel nostro paese dalla classe liberale.
Ma il senso della storia in Sturzo non fu accettazione acritica
dell'evoluzionismo determinista; non fu concezione meccanica del
divenire come meta incessante e “sempre in linea retta”, come amava
dire, ma fu senso delle alterne vicende, degli alti e dei bassi, delle
possibili involuzioni, fu quindi capacità di collegare l'azione delle
forze che agiscono nella società al senso vivo della storia da
costruire.
Sottolineo questo aspetto di consapevolezza, da un lato, delle
insufficienze di fondo della storia politica nazionale, e dalla
posizione del movimento dei cattolici, e di individuazione, dall'altro,
degli elementi di sviluppo sempre presenti anche nelle esperienze
storiche passate, riguardino esse appunto, come è il caso del Partito
Popolare, sia la storia nazionale che la storia del movimento dei
cattolici,
perché è una lezione che tutti noi dovremmo continuamente avere
presente. Chi conosce la realtà attuale dei partiti sa molto bene come
- ad esempio nella Democrazia Cristiana di oggi - troppo poco ci si
sforzi di diffondere presso le nuove generazioni il senso del legame col
nostro passato, che non deve certo essere un legame di tipo meccanico
perché anzi in tal modo si traviserebbe la lezione viva di Sturzo, ma
deve piuttosto essere un legame critico, un collegamento di pensiero, la
consapevolezza di appartenere ad uno stesso filone di lotta che pone la
forza politica consapevole come forza di costruzione storica.
Giustamente Scoppola ha già ricordato che la concezione che Sturzo ebbe
dell'autonomia per il partito politico dei cattolici non è soltanto
aconfessionalismo: anzi l'autonomia è per Sturzo un concetto assai più
ampio dello stesso separatismo.
Probabilmente l'idea dell'autonomia dei cattolici in politica è l'idea
più fortemente innovativa che Sturzo introduce nel pensiero e
soprattutto nell'azione politica concreta dei cattolici, tuttavia anche
in questo caso
- e forse soprattutto in questo - la preparazione è tenace e metodica.
Dice infatti nel discorso di Caltagirone del 1905: «Il partito dei
cattolici non è una emanazione chiesastica nel senso clericale della
parola, non è né può essere una emanazione monarchica nel senso che vi
danno i liberali; la difesa dell'altare è la difesa della religione e la
difesa del trono è la difesa del principio di autorità, ma né l'altare
né il trono sono coefficienti organici del partito dei cattolici,
ragioni costituzionali del1'organismo di una vita libera,
costituzionale, popolare ».
Le motivazioni dell'impegno politico dei cattolici erano cioè squisitamente democratiche e popolari, e perciò il partito dei cattolici era concettualmente autonomo in quanto perseguiva fini propri, cioè i fini di cittadini democratici e non semplicemente i fini dei cattolici. Ma certo Sturzo era ben consapevole della esistenza, e anche della drammaticità per alcune coscienze cattoliche, della questione romana, e non intendeva certo negare il problema né essere indifferente alla sua soluzione. Il problema della libertà religiosa è evidentemente troppo grande per un cattolico sincero perché possa essere ignorato, ma Sturzo, che aveva dell'autonomia del partito un'idea complessiva, aveva la forza di collocare in essa anche il problema della libertà religiosa, punto quindi non esclusivo della milizia politica dei cattolici, ma elemento che costituiva uno degli aspetti del tema della libertà in Italia. Affermava infatti: « I cattolici, come nucleo di uomini di un ideale e di una vitalità specifica, debbono proporsi il problema nazionale, che fra gli altri problemi involve in sintesi anche il religioso, ma non come una congregazione religiosa (...), né come partito clericale che difende i diritti storici della Chiesa, ma come una ragione di vita civile ispirata ai principi cristiani della morale pubblica, nella ragione sociologica, nello sviluppo del pensiero fecondatore, nel concreto della vita politica ».
Il senso della vocazione nazionale dava quindi forza ed autonomia al
partito dei cattolici, poneva cioé i cattolici democratici sullo stesso
piano di legittimità degli altri cittadini, sottraendoli alla
subordinazione "papalina" nella quale erano confinati e dal loro
assenteismo e dal giudizio che su di essi davano le altre forze
politiche. Del resto
- è ancora Sturzo che lo afferma - «le nostre forze militanti, nello
sfasciarsi del vecchio organismo e nel veder sostanzialmente limitata
l'attività delle associazioni cattoliche al movimento religioso,
cominciarono a riacquistare la coscienza chiara dell'ibridismo
costituzionale dell'organizzazione dell'Opera dei Congressi e la
conseguente impossibilità di raggiungere in essa una posizione qualsiasi
di partito nazionale».
La sola battaglia per la libertà religiosa avrebbe cioè finito
coll'immobilizzare i cattolici fuori delle strutture dello Stato,
impedendo il loro apporto concreto anche per gli altri problemi presenti
nella società italiana. Sturzo, con una concezione della libertà
organica e istituzionale, salvando la quale anche la libertà religiosa
sarebbe stata affermata, affermando la quale anche i diritti della
religione sarebbero stati salvati, riporta i cattolici nell’alveo della
legalità e li mette in grado
- a livello di assoluta parità - di collaborare con le altre forze
politiche per la soluzione dei comuni problemi nazionali.
Vi è a questo proposito un passo di Sturzo assai significativo, che credo illustri meglio di qualsiasi nostro commento la convinzione profonda che la formazione del pensiero politico avviene attraverso lo scontro dialettico e la sintesi che ne risulta. «Forse non a tutti sembrerà conveniente che si affrontino questioni credute ancora immature per lo spirito pubblico italiano, o per lo meno sulle quali debba sentirsi una parola di autorità più che una libera discussione almeno da parte dei cattolici [...]. Io ritengo, invece, che ogni fatto storico si prepara con la formazione del pensiero come ogni legge viene imposta più dai fatti e dalle convinzioni che dalle ragioni di semplice autorità. [...] E' quindi preparatoria ad ogni soluzione la discussione dei problemi, quando anche non spetti che solo ad una autorità, qual'essa sia, il giudicare e il decidere. Le soluzioni storiche impongono la discussione che diviene vita; e io sento la necessità di tali discussioni, che non riducono la vita ad un astratto filosofare, ma che applicano le teorie alla vita, e a quella vita che, per un fatto complessivo e naturale di tutti noi, che ne viviamo tanta parte, chiamiamo oggi nazionale».
A parte l'onestà intellettuale e politica che non può non colpire, è
doveroso notare in sede storica che i congressi del Partito Popolare
erano in effetti assai vivi e differenziati nelle posizioni politiche,
anche nelle concezioni di fondo, assai più di quanto non siano apparsi i
successivi congressi del dopoguerra della Democrazia Cristiana. E
nonostante ciò il popolarismo non mise mai in discussione la sua unità
- non considero certo rottura del popolarismo il fenomeno di taluni
transfughi che cedettero di fronte al fascismo
- perché nella concezione di Sturzo l'elemento dialettico della
contrapposizione del pensiero e della ricerca nella elaborazione della
posizione politica comune era elemento consapevole a determinante.
Quando al congresso di Bologna, Sturzo diceva che la religione è
universalità e la politica divisione, che non si poteva confondere il
Partito con la Chiesa, diceva anche che se la politica è diversità,
dalla diversità deve nascere la capacità di ricercare con un metodo
comune determinate impostazioni politiche.
Sulla base di questa forte tensione ideale, che affondava però le sue
radici di sostanza nella realtà del paese, Sturzo si batteva
coerentemente contro una posizione, purtroppo assai viva ancora oggi,
che concepisce i partiti come delle sedi dove il programmismo trionfa
come elencazione astratta, testamentaria, di cose da fare che rimangono
velleitarie se manca l'impegno vivo per realizzarle o se restano
sganciate dal contesto storico. Diceva spesso “Un programma diventa vivo
quando, insieme all'affermazione, c'è il giudizio storico sul modo di
realizzarlo; c'è l'elaborazione di un pensiero politico. C'è, cioé, la
necessità di trovare un cemento unitario attraverso la ricerca e la
dialettica “. Vi è insieme una lezione di realismo politico e di
democrazia interna di partito. Sturzo non ha mai polemizzato contro le
tendenze, anzi le ha sempre valorizzate se esse rappresentavano, come
devono rappresentare, elemento di dialettica e di ricerca
nell'elaborazione di un pensiero politico che non è mai definito una
volta per tutte.
Solo così il partito può diventare scuola di pensiero e di azione. Solo
così i discorsi cessano di essere un rituale al quale spesso non si
crede, ma diventano elemento vivo di un'esperienza che unisce le cose
che si dicono alle cose che si fanno. Solo così, sul terreno della
coerenza, si può valutare l'opera dei politici, ed è su questo terreno
che noi dobbiamo chiedere oggi, alla classe politica attuale, di
misurarsi e di farsi valutare.
Quest'ultimo aspetto del pensiero sturziano è certamente il meno originale e direi anzi che si colloca nell'alveo tradizionale della filosofia politica cattolica, a partire dal tomismo. Ma certo Sturzo proponendo la creazione di un partito di cattolici autonomo, democratico e popolare non intendeva innovare la filosofia politica dei cattolici, bensì dotarli di uno strumento di azione politica adeguato ai rapporti sociali e alle istituzioni politiche del momento storico in cui vivere. E' quindi del tutto coerente la sua concezione organica e sussidiaria dello Stato che assume tuttavia, coerentemente con la sua passione di uomo del suo tempo, un rilievo e una concretezza storici assai penetranti. Il pesante classismo dello Stato borghese nato dal Risorgimento, il centralismo soffocatore derivato dall'unificazione regia, i problemi economici e sociali delle masse meridionali sono tutti motivi storici ben precisi che lo portano a battersi per un controllo democratico del potere (suffragio universale e proporzionale), per il potenziamento delle autonomie locali, per la riforma agraria, le cooperative, il credito rurale, cioè per tutti quegli istituti che potevano recepire la spinta creativa e rinnovatrice della società. Tutti i problemi, anche quelli singoli e particolari di categoria, trovavano un terreno unificatore nel tema istituzionale generale: tutto quanto poteva essere risolto da istituzioni che non fossero lo Stato doveva a tali istituzioni essere affidato, e tutto quanto doveva essere affidato allo Stato, doveva essere deciso con il concorso di tutto il popolo. In questo senso la finalizzazione del potere assumeva un contenuto e una forma istituzionale ben precisi.
E' stata osservata una certa debolezza nella concezione di politica
estera del Partito Popolare. Ciò è certamente vero per quanto riguarda i
primi scritti di Sturzo, ma soprattutto in esilio, nel periodo
londinese, vi è un processo di maturazione su questi temi che non va
trascurato. Vi è saldamente affermato che la pace e il diritto devono
essere posti a fondamento dell'ordinamento internazionale e che occorre
lottare politicamente per superare gli egoismi nazionalistici e
instaurare la collaborazione tra i popoli. Sono idee che a qualcuno
potranno sembrare generose ma utopistiche: tuttavia le vicende
internazionali degli ultimi decenni ci hanno insegnato che, in politica
estera, il realismo non è necessariamente una virtù; che, forse, si può
uscire dalle tensioni e dai blocchi di potenza solo perseguendo con
coraggio e convinzione l'utopia della pace e della collaborazione. Del
resto è quanto i popoli e soprattutto le nuove generazioni ormai sentono
con chiara consapevolezza, ad Ovest come ad Est: l'orrore della guerra e
l'insopportabilità anche della guerra fredda, anche della divisione in
blocchi, anche della subordinazione alle superpotenze. Da quanto siamo
venuti esponendo deriva una lezione importante per noi che viviamo la
vita di un partito di cattolici cinquant'anni dopo la fondazione del
Partito Popolare Italiano. Certo non si tratta di ripetere
meccanicamente un modello, perché anzi, se volessimo fare ciò,
dimostreremmo di non aver compreso l'insegnamento storico di Sturzo, ma
si tratta piuttosto di aver presenti i tratti caratteristici essenziali
dell'esperienza sturziana e di riproporli in modo coerente alle nostre
condizioni storiche. In questo senso ritengo attualmente viva a vitale
la concezione del partito come strumento volontaristico, riconducibile
ad una costante interpretazione dei fermenti della società e ad una
concezione dello sviluppo storico che consente la mobilitazione delle
masse popolari e delle "élites" intellettuali per una lotta politica che
accetti il metodo costituzionale e della tolleranza ideologica.
Ma vi è un altro insegnamento valido che mi sembra di poter trarre
dall'esperienza di Sturzo, e che io propongo in modo particolare alle
nuove generazioni, nella critica sincera a certi difetti che mi sembra
di individuare nei loro atteggiamenti più diffusi. E questo insegnamento
è il senso della lotta per l'affermazione storica dei principi. Una
volta individuati concettualmente taluni obiettivi, occorre avere la
pazienza, la tenacia e il coraggio di perseguirli. Nel discorso di
Caltagirone del 1905 Sturzo aveva già chiara la concezione di quello che
sarebbe poi stato il Partito Popolare, eppure la sua nascita avvenne
quattordici anni dopo.
Il partito nacque nel 1919 perché Sturzo aveva la consapevolezza che, una volta delineato il traguardo ideale, non avrebbe conseguito risultati concreti e quindi avrebbe implicitamente sottoposto al giudizio di astrattezza e di velleitarietà anche il traguardo proposto, se non avesse iniziato e tenacemente perseguito quella lunga a paziente battaglia che fa delle intuizioni di pochi il cemento per l'adesione di molti. E' questo l'insegnamento che io credo si debba ricordare oggi alle nuove generazioni, perché troppi giovani, di fronte alla delusione per gli insuccessi, di fronte ai risultati che non si realizzano a breve periodo, rischiano di abbandonare la lotta, di assumere una posizione qualunquista o di frustrazione nei confronti del divenire storico.
Vi è un episodio curioso che si può ricordare a questo proposito. Qualche giorno dopo che Sturzo aveva pronunciato il discorso di Caltagirone del 1905, furono pubblicati gli statuti delle organizzazioni cattoliche di allora, che rappresentavano la smentita ideale e pratica di quanto Sturzo aveva sostenuto. Preoccupato che l'orientamento delle organizzazioni cattoliche in quel momento potesse portare turbamento e sfiducia in quanti cominciavano a comprendere la sua concezione di partito dei cattolici, Sturzo aggiunge al suo discorso un postscritto che è significativamente illuminante. Scrisse infatti: «C'è quindi da lavorare e lottare, contro la sfiducia di coloro che guardano la vita nella cerchia ristretta dei piccoli fatti (...). Ogni formula conservatrice non riuscirà che ad essere un ingombro da togliere, non mai un ostacolo che paralizza la via. L'ideale del partito nazionale dei cattolici resta integro come l'aspirazione più legittima e necessaria alla vitalità dei cattolici militanti; (...) l'influenza di questo ideale non può essere elusa da abbozzi o da tentativi che non riscuotono la fiducia dei più: il cammino, intralciato, non potrà che subire ritardi, ma non sarà arrestato. Del resto nessuno pensa che il progresso sia una ascensione in linea retta; sarebbe l'errore peggiore, che ci porterebbe al suicidio» (pag. 319).
Su questa bellissima pagina di volontà politica si inseriscono le nostre ultime osservazioni. Oggi si parla molto di crisi dei partiti, di distacco dei partiti dalla società civile, di perdita di capacità, prestigio, fantasia, da parte delle forze politiche. Tutto ciò è vero anche se in parte non nuovo e trae a mio avviso origine da un duplice ma connesso ordine di separazioni. La prima è la separazione dalla società: l'autoalimentazione dell'ideologia, del pensiero politico, del "programmismo" al di fuori del contatto vivo della società, l'autoalimentazione della lotta politica e delle controversie di potere all'interno del partito stesso, e non nel confronto con le altre forze politiche. I partiti stanno cioè perdendo quel rapporto non puramente sociologico con la società che li fa appunto essere partiti, cioè soggetti capaci di una spiegazione politica dei fenomeni a di una risposta politica alle esigenze della società. Ma vi è anche un secondo tipo di separazione, che è ancora più grave perché non riguarda l'istituto, ma il livello stesso della coscienza individuale, ed è la separazione o meglio la impermeabilità fra pensiero e azione: si dicono certe cose e poi se ne fanno altre, si fanno promesse e poi non si mantengono, si accettano tutti i discorsi per poi vanificarli.
La lotta politica ha cessato di attribuire primato alle idee, non dà più spazio alle tendenze di pensiero quali momenti elaborativi importanti nella ricerca della migliore soluzione, per i problemi del paese. La degenerazione della lotta politica nell'aspro scontro tra gruppi di potere, spesso addirittura tra persone, non può essere tollerata più a lungo, pena il decadimento dei partiti che potrebbe travolgere le stesse istituzioni democratiche. S'impone perciò, al limite come motivo estremo di sopravvivenza, un profondo rinnovamento strutturale e di metodo dei partiti, che li restituisca alla loro funzione di scuole di elaborazione politica e programmatica, che riannodi quel collegamento con la società che li farà essere tramiti consapevoli della riforma delle istituzioni per dare spazio alle autonomie, che ristabilisca fra le diverse parti politiche il dialogo e il confronto nel rispetto delle regole democratiche a costituzionali. Anche nei confronti della attuale contestazione giovanile, che tende in radice a colpire e travolgere lo stesso sistema dei partiti, le forze politiche consapevoli devono guardarsi dai due opposti errori di una pura negazione delle esigenze a condanna dei metodi, sotto cui affiora una tentazione autoritaria, o, all'opposto, di una mediocre strumentalizzazione, con la pretesa di assorbire queste energie nuove per immetterle nel filone tradizionale della opposizione. A nostro avviso non sono queste le vie per dare uno sbocco politico operativo alle esigenze di contenuto e di metodo portate avanti dalle nuove generazioni, esigenze di democrazia vera, di partecipazione, di responsabilizzazione che non possono essere troppo a lungo ignorate. Ma tali esigenze potranno produrre effetti veramente positivi se costituiranno una spinta al rinnovamento delle forze politiche, se verranno impegnate nella lotta per garantire lo sviluppo storico del paese, sanare la frattura fra società civile e istituzioni, consolidare con le forze popolari in funzione di protagoniste attive la democrazia italiana.
La lezione di Sturzo, in questo senso, è ancora valida: richiede non solo commemorazioni o riconoscimenti storici, ma testimonianze di azione e di elaborazione ideale e politica.
Estratto dal volume “Il partito popolare: validità di una
esperienza”
Dicembre 1969
Luigi Granelli
(1) I problemi della vita nazionale dei cattolici italiani (Caltagirone,
1905) in: “Saggi sul Partito Popolare Italiano”, Roma 1969.