LA BUSSOLA DI BUTTIGLIONE

Rocco Buttiglione ha via via compreso che Berlusconi, almeno in questa fase, non è recuperabile e che tarda un persuasivo revisionismo di Fini rispetto al fascismo. L’opposizione del PPI ne ha tratto vantaggio ritrovando un ruolo determinante. Si apre anche per questo, oltre che per la rottura della lega e la disponibilità del PDS, la possibilità di un governo di tregua per aprire una fase nuova. Il passaggio è in qualche modo obbligatorio, ma il futuro della democrazia italiana resta tutto da definire.

In due interviste a L’Unità e a La Stampa, Buttiglione conferma di non abbandonare il suo progetto di uno schieramento di centro-destra, alternativo alla sinistra, nella speranza di realizzare domani il recupero non praticabile oggi. Non è la prima volta che Buttiglione ribadisce il suo possibilismo in tema di alleanze. Con una certa civetteria polemica, Buttiglione ha ricordato a più riprese di considerarsi un conservatore, di sentirsi profondamente uomo di destra di fronte ad un certo tipo di democrazia, di diffidare persino della parola progressista (L’Informazione, 4 dicembre).

È nel suo diritto. C’è qualche difficoltà a comprendere come questo orientamento sia conciliabile con le responsabilità di segretario di un PPI che si richiama a Sturzo, cha ha avallato più di un accordo a sinistra per le elezioni amministrative e che concorre, attivamente, a rovesciare un governo sempre più di destra con le opposizioni di sinistra. Solleva preoccupazioni il fatto che spieghi le motivazioni del suo modo di pensare ricorrendo a singolari e ambigui riferimenti alle posizioni di J. De Maistre, definito grandissimo filosofo, e a Papa Gregorio XVI i cui scritti andrebbero, secondo lui, “riletti e rivalutati”.

Una prima domanda si impone: perché Buttiglione evoca De Maistre per contrastare gli eccessi plebiscitari della democrazia con l’aiuto di un pensatore storicamente autoritario e antidemocratico? E ancora: a cosa tende la rivalutazione di certe idee del passato in aperto contrasto con le conquiste dei cattolici liberali dell’800, le lezioni di Manzoni e di Rosmini, le battaglia della prima Democrazia cristiana, l’insegnamento di Sturzo e la stessa impostazione ideale e politica di De Gasperi e Moro? L’ostracismo di De Maistre alla democrazia che corrompe il popolo come le sue visioni teocratiche dello Stato, il suo rifiuto del metodo liberale, i suoi obiettivi autoritari e di restaurazione, che hanno fatto da sfondo al sorgere del fascista e dei totalitarismi del nostro secolo, non sono accettabili. I pericoli di una soffocante telecrazia, temuti anche da Buttiglione, vengono oggi proprio dalla destra italiana.

Ma singolare è anche l’invito a rivalutare taluni insegnamenti di Papa Gregorio XVI. Sorge qui una seconda domanda. Per quale ragione si dovrebbero ignorare, con un balzo antistorico alla prima metà dell’800, l’evoluzione della Chiesa in rapporto alla democrazia e agli insegnamenti del Concilio Vaticano II in materia di libertà, di diritti individuali e sociali, di pluralismo politico.

Papa Gregorio XVI fu un acceso difensore del potere temporale ed è noto, sul piano dottrinale, per la condanna delle idee ultime del Lamennais fatta, pur senza nominarlo, nell’enciclica “Mirari vos” del 1832. Il Lamennais fu all’inizio un drastico difensore delle posizioni teocratiche ed antiliberali di De Maistre, ma tra il 1821 e il 1831, fondò il giornale L’Avenir e divenne razionalista, combattivo democratico, sostenitore a suo modo di una democrazia integralmente cristiana. A condanna avvenuta, nel 1837, si firma, democraticamente, Lamennais. Le sue tesi ultime vanno nella direzione del cattolicesimo liberale e sociale e dei primi tentativi di democrazia cristiana. Si dovrebbe rivalutare, con Gregorio XVI, anche la scomunica del Lamennais?

Il consiglio resta piuttosto oscuro. Il riferimento è incoerente con gli stessi suggerimenti di Buttiglione che, nell’intervista citata, pensa giustamente di correggere i rischi plebiscitari e autoritari con pesi e contrappesi di potere della democrazia americana che riconducono a Tocqueville più che ai teorici dell’integralismo e del potere temporale. La richiesta di chiarimenti non è quindi un diversivo polemico. Buttiglione sa che il secondo Lamennais, nonostante il suo ingombrante passato, ha dovuto distinguersi da De Maistre quando ha scelto il terreno della democrazia. E non si può scordare che i cattolici democratici italiani dispongono da Rosmini a Manzoni, da Murri a Sturzo, da De Gasperi a Moro, dalla “Rerum Novarum” al Concilio Vaticano II, di un patrimonio ideale alternativo al pensiero del cattolicesimo tradizionalista e di destra che non può essere archiviato o sperperato con ambigue rivalutazioni.

Luigi Granelli
Il Manifesto
21 dicembre 1994