IL NOSTRO DOVERE DI CATTOLICI IN POLITICA

Bene ha fatto il PPI a organizzare per il 9/10 dicembre, a Palermo, un incontro di riflessione sugli esiti del “Terzo Convegno Ecclesiale della Chiesa italiana”. I temi che i cattolici sono invitati ad approfondire in entrambi le occasioni sono di grande importanza. La ricerca di un rapporto di “fedeltà al Vangelo” per realizzare con impegno una nuova società in Italia, sulla base delle nostre specifiche responsabilità, non ci è estraneo.

Rispetto all’importante Convegno Ecclesiale di Palermo i credenti non possono che porsi in posizione di partecipare attesa, accompagnata dalla preghiera, se non altro per le difficoltà obiettive che la riflessione avviata ha di fronte a sé nella società di oggi. Ma anche i cittadini cattolici che sono investiti, per loro libera scelta, di responsabilità istituzionali e politiche non possono restare indifferenti perché le opposizioni, i comportamenti, l’azione della comunità cristiana sono assai rilevanti per il rafforzamento, sul piano del costume civile, della democrazia italiana.

Alcuni pregevoli interventi apparsi su “Avvenire” e in particolare quelli di Giorgio Campanili sono una utile guida per assumere, in qualsiasi campo si operi, responsabilità schiettamente cristiane. Il mondo contemporaneo, non solo la società italiana, è scosso da cambiamenti tempestosi e spesso irrazionali. Un selvaggio individualismo, accompagnato da chiusure egoistiche verso i “diversi”, mette a dura prova i sentimenti di solidarietà, fratellanza, giustizia, cui ci esorta da tempo il Magistero della Chiesa.

L’illusione che il liberismo economico, affidato alle leggi di mercato e al dominio degli interessi più forti rispetto a chi non dispone di analoga forza, risolva, in una logica in cui il profitto sembra essere il solo metro di misura, il problema di una economia aperta, competitiva, al servizio dell’uomo – come ci è stato da lungo tempo insegnato – si diffonde sempre di più e coinvolge in modo acritico anche molti cattolici.

La telecrazia con i suoi vistosi mezzi di persuasione, sviluppa con crescente aggressività il suo disegno di manipolazione delle coscienze, di riduzione dei cittadini al ruolo passivo di sudditi della democrazia plebiscitaria, a soggetti di sondaggi più che di cosciente partecipazione, e confisca il diritto ad essere informati con obiettività, con completezza, per esercitare una libertà di scelta connaturata alla dignità della persona.

Persino la Costituzione, alla cui stesura hanno dato contributi di alto valore etico cattolici democratici come Lazzati, Rossetti, Moro e tanti altri, è oggetto di attacchi per travolgere con la sommaria e demagogica aspirazione ad una seconda Repubblica di tipo presidenziale, regole democratiche di convivenza, di rispetto delle minoranze, che hanno garantito per decenni il pacifico sviluppo della società italiana.

La vocazione, lo spirito di servizio, la testimonianza di cristiani hanno una funzione di più ampio respiro, rispetto ai dati della situazione sociale, economica, istituzionale, ma non possono prescindere dalla realtà in cui operano. L’educazione, la diffusione di valori autentici a cominciare dai diritti della persona e dei valori sociali, il volontariato a sostegno di una sofferente umanità, l’etica della solidarietà in tutti i campi, hanno un significato più ampio delle contingenti situazioni politiche o istituzionali.

Ma basta? Possono i cattolici, pur nella libertà di scelta autorevolmente confermata dal Concilio Vaticano II, estraniarsi dai loro doveri democratici, dall’obbligo di concorrere alla difesa dei valori costituzionali e di convivenza civile, da una presenza vigile sui conflitti in atto e sul futuro dell’Italia? Questa preoccupazione non sembra essere assente a Palermo nel momento in cui la comunità ecclesiale si  interroga non solo per far rifiorire una più intensa vita cristiana, ma per porsi – come sempre – al servizio della stà italiana.

I precedenti Convegni di Roma e di Loreto non sono stati evasivi in proposito, anche se limitati sono stati  gli effetti su una cattolicità che in monti casi resiste alla necessità di un forte risveglio religioso, morale, civile, ed anche politico. Sarebbe grave caduta di tensione in proposito. Soccorrono qui, in modo puntuale, i suggerimenti di Giorgio Campanili.

La politica, come ebbe a dire papa Paolo VI, è la forma più alta della carità, in un Paese che ha tanto bisogno di spirito di servizio.

E la carità, in ogni caso, è il segno della presenza dei cristiani, lo stile dei loro comportamenti, il punto di riferimento di una rispettosa comprensione anche del dissenso che in alcuni casi è del tutto naturale. Questo richiamo vale anche per la diaspora che ha investito, di recente, i cattolici che hanno deciso su loro esclusiva responsabilità di agire in campo politico.

Torna d’attualità il principio riaffermato dalla Gaudiurn et spes che ricorda come a nessun cattolico è “lecito rivendicare esclusivamente in favore della propria opinione l’autorità della Chiesa”. Il cattolico impegna sé stesso, il suo partito, la sua associazione, e non la sua Chiesa, diceva con una convinzione insieme religiosa e politica De Gasperi, a conferma della piena cittadinanza democratica dei cattolici. Il rispetto per la buona fede di tutti i cattolici, quale che sia la loro scelta pratica, è un campo di prova assai impegnativo in una fase di diaspora.

Ma si può, dal rispetto di questo pluralismo, che deve consentire a tutti i cattolici di far conoscere con chiarezza di principi, oltre che per coerenza di comportamenti, le loro ragioni politiche, scadere in una visione opportunistica che teorizza l’utile presenza dei cattolici in tutti gi schieramenti, l’annullamento delle diversità che sono alla base delle loro scelte, la furberia della non scelta nell’attesa di un ritorno all’unità per contare di più nel potere che non nell’affermazione dei loro valori?

Sarebbe l’esatto contrario della testimonianza di verità, di coerenza, di servizio all’interesse generale, cui ci esorta, senza confondersi con nessun schieramento politico contingente, il Magistero della Chiesa. Non si tratta di dare ragione agli uni contro gli altri, ma di evitare, come sottolinea Campanili, insegnamenti tanti “alti e nobili” da consentire a tutti di ricavarne, in pratica, un “consenso quasi automatico”.

Interessante è la proposta, sempre di Campanili, di formare in ogni regione Centri Studi sulla dottrina sociale della Chiesa, aperti a tutti, non per fare di essa la base impropria di scelte politiche, di progetti di partito, ma per richiamare a chiare assunzioni di responsabilità e per evitare, al tempo stesso, che gli impegni nel sociale dei cattolici “possano esaurire il ruolo civile della comunità cristiana”.

Anche per questo chi è esposto in prima linea, in trincee politiche quanto mai ingrate, guarda, con trepidazione, alle riflessioni del Convegno Ecclesiale di Palermo, e non mancherà, in rapporto alle sua conclusioni, di misurare sul metro dei valori cristiani la propria autonoma assunzione di responsabilità al servizio di una vigilante difesa della democrazia italiana, del suo sviluppo contro ogni tentazione di ridurre a politica a puro scontro di convenienze e di potere, nella costruzione di una società solidale e più giusta in cui i valori cristiani siano autenticamente vissuti e non solo esaltati.

 

Luigi Granelli
Il Popolo
21 novembre 1995