L'IMBROGLIO BERLUSCONI

Un così evidente e rapido logoramento politico del governo Berlusconi non era nelle previsioni dei più. Dopo le elezioni il trionfalismo del nuovo corso faceva pensare ad una svolta di lunga durata. Gli stessi ambienti democratici avevano messo in conto il periodo non breve di una politica conservatrice che avrebbe contenuto, per senso di responsabilità, le spinte autoritarie di una destra camuffata e rampante in modo da assicurare al Paese un ragionevole periodo di maturazione di possibili alternative.
Non è stato così. Anche le opposizioni sono state in qualche misura colte di sorpresa. Quanto è accaduto richiede una analisi non superficiale. Gli svolgimenti di una crisi inedita, assai incerta nei suoi sbocchi, non possono essere imputati solo a gravissimi avvenimenti, dagli scontri con la Magistratura a continue rotture nella maggioranza parlamentare, perché non può sfuggire che le radici delle difficoltà sono profonde e investono l'ambiguità del disegno politico del "patron" della Fininvest.
Mentre scrivo tutto può accadere. Una lacerante crisi piena di contraddizioni e colpi di scena, che esige il massimo di vigilanza democratica, può aprire la via alla non facile formazione di un nuovo Governo di transizione. Oppure una difesa fatta di espedienti di un potere arrogante può tamponare lo sfascio della maggioranza, con inquietanti forzature della prassi costituzionale, ma non rimuovendo le cause del logoramento rinvierebbe lo scontro nella ricerca di avventurose elezioni anticipate.
Ma i vincoli della periodicità di "Cultura" non impediscono di fare considerazioni utili quali che siano gli sviluppi della situazione. Nulla resterà come prima nel 1995. Il disastro provocato dal fallimento ormai innescato dell'ambizioso disegno di "Forza Italia" non investe solo la governabilità e la ricerca dei modi, in primo luogo della riforma della legge elettorale, che consentano di ricorrere al Paese per un pacato e costruttivo ricorso alle urne. E' lo stesso confronto politico che va posto su basi nuove dopo le alterazioni messe in campo con le ultime elezioni.
Non si rispetta la verità quando si sostiene che il primo governo della legislatura è stato eletto direttamente da elettori che con la loro scelta hanno precluso ogni cambiamento. Non è così. E' questo l'imbroglio morale e politico, denunciato proprio su "Cultura" all'indomani delle elezioni, che è venuto via via dissolvendosi a causa della sua arbitrarietà. Berlusconi ha concepito e realizzato la sua ascesa al potere non presentando al Paese un leader, un programma, una maggioranza, ma accordandosi con la Lega al nord e con Alleanza Nazionale al sud, riciclando qua e là transfughi opportunisti di altri partiti, al solo scopo di raccogliere voti a prescindere da reali intese programmatiche e politiche.
Le alleanze sottoposte agli elettori erano almeno due, non facilmente integrabili, e la formazione della maggioranza è avvenuta dopo, in Parlamento, sulla base di una assoluta genericità di programmi, conditi da irresponsabile demagogia, e di una lottizzazione di potere, per accontentare i contraenti che non aveva nulla da invidiare a precedenti degenerazioni politiche. Le risse, dopo una breve ed effimera luna di miele, non potevano che riprendere di fronte alla durezza dei problemi da affrontare, Come è possibile pensare di durare con queste premesse?

L'importante segnale del test amministrativo

Non a caso il primo segnale di inversione di tendenza, di fronte ad un modo arrogante di governare e al crescente scollamento della maggioranza parlamentare, si è avuto con il test limitato e tuttavia significativo del recente turno di elezioni amministrative. I pericoli di una insidiosa involuzione politica a tutti i livelli hanno avuto un positivo effetto autocritico sui partiti all'opposizione. Il PDS ha compreso che di fronte ad una destra decisa a tutto semplici intese a sinistra -in pregiudiziale antagonismo al centro e al PPI- erano insufficienti ad arrestare la svolta autoritaria.
Il PPI, a sua volta, ha avvertito soprattutto in periferia che una ripresa di ruolo (intese in pari dignità finalizzate al buongoverno amministrativo) erano impossibili con una svendita a "Forza Italia", legata a filo doppio con la destra, mentre potevano essere positivamente sperimentati nuovi rapporti a sinistra. I gruppi intermedi, che in passato avevano spesso cercato spazio nella radicalizzazione dello scontro tra centro e sinistra hanno meglio compreso i rischi della situazione.
Ne è discesa la conseguenza non della prefigurazione di uno schieramento generalizzato, che sarebbe stato improprio, ma di scelte politiche libere da pregiudiziali e finalizzate a contrastare localmente pericolosi scivolamenti a destra e a favorire seri programmi amministrativi: scelte di candidati comuni di prestigio, aperture concrete alle migliori energie della società civile con una minore interferenza di partiti che hanno ripreso una fisiologica funzione di orientamento politico.
Gli elettori, percorsi anche da delusioni per la frammentaria e incoerente azione governativa, hanno premiato questi sforzi e processi diversificati di centro-sinistra o di sinistra-centro hanno registrato significativi successi. Mentre, all'opposto, lo schieramento di destra, con una Lega in libera uscita quasi ovunque, ha rivelato la sua inconsistenza politica ed un calo di consensi goffamente minimizzato.
La meritata affermazione, a Brescia, di Mino Martinazzoli è stata di grande importanza anche per il futuro di un PPI capace di ritrovare una qualificazione politica e programmatica coerente; ma anche per molti altri capoluoghi, amministrazioni provinciali, non pochi comuni minori, la tendenza ad intese tra sinistra e centro per superare una radicalizzazione vantaggiosa solo a destra si è largamente affermata.
Si è giustamente osservato che quanto si è realizzato in periferia, con una giusta esaltazione politica delle autonomie locali, non è meccanicamente esportabile sul piano nazionale. Ma il segnale non può essere ridotto ad un allarme per lo sgretolarsi di una eterogenea maggioranza governativa. Esso contiene insegnamenti preziosi anche per un nuovo modo di concepire i rapporti tra i partiti che intendono restare sul terreno di una democrazia articolata e pluralista.
La priorità dei programmi, la scelta trasparente delle candidature, la caduta di reciproche pregiudiziali, la capacità di fare agli elettori proposte verificabili (anziché sottostare alle logiche dei sondaggi e dei plebisciti), il rispetto della diversità delle situazioni locali e di quella nazionale, sono elementi di grande importanza se si vogliono favorire ad ogni livello, nel segno della chiarezza, convergenze costruttive di qualità non comparabile con gli accordi opportunistici inventati da Berlusconi.
Per questo, mentre è positivo che a sinistra sia continuata una salutare riflessione sul processo avviato, è francamente incomprensibile una certa indifferenza dimostrata dal segretario del PPI Buttiglione per il successo delle non facili battaglie condotte dal partito in periferia. I riconoscimenti sono stati freddi e formali e non solo con Martinazzoli. Non si è avviata alcuna riflessione critica. Eppure la prova dei fatti è stata abbastanza severa nei confronti di una linea nazionale del PPI che ha continuato a privilegiare la ricerca di accordi con "Forza Italia", quasi ovunque respinti, e a ridurre a stato di necessità priva di significato ogni intesa a sinistra.
Sarebbe pertanto grave la mancanza di un chiarimento politico nel PPI su questo punto. Sciupare una occasione come quella che si è delineata vorrebbe dire frustrare, anziché svilupparla, una esperienza di grande valore proprio per la concezione "sturziana" del ruolo del partito.
Martinazzoli ha ragione quando osserva che dove il PPI ha scelto con coerenza e chiarezza, non nascondendosi difficoltà e rischi, ha visto riconosciuto con dignità il proprio ruolo di partito di centro anticonservatore e orientato, come diceva anche De Gasperi, a sinistra.

Riparare i guasti politici del berlusconismo.

Le indicazioni fornite dal test elettorale amministrativo non sono prive di insegnamenti di fronte allo sconvolgente degrado, con quel che ne consegue, di una eterogenea maggioranza in campo nazionale. Anche a livello locale la convergenza tra la sinistra ed il centro, tra il PDS e il PPI, è maturata non come puro fatto di schieramento, ma in base ad analisi realistiche, su programmi applicabili, in vista di obiettivi precisi in difesa di un reale buongoverno e della difesa delle regole democratiche.
Di fronte ai guasti politici del "berlusconismo" non sarebbe serio improvvisare, senza la necessaria preparazione, una risposta di puro schieramento, tra gruppi che escono da esperienze di governo e di opposizione. E' necessario, per prima cosa, determinare l'uscita dalla scena del Governo della destra, a ciò sempre più ridotto anche per il contrasto con la Lega, non per una mediocre rivincita ma per il danno che esso provoca al Paese e per i pericoli cui espone, manipolando persino la Costituzione, la democrazia parlamentare.
Siamo da tempo di fronte ad alti rischi. La propensione a governare anche quando viene meno la maggioranza, scavalcando il Parlamento in un rapporto diretto con gli elettori prescindendo dai poteri di scioglimento delle Camere del Capo dello Stato, rivela una gestione arrogante del potere che minaccia le istituzioni repubblicane. Ma questo è solo uno degli episodi che chiedono di correre ai ripari per la difesa dei nostri ordinamenti.
Quando il Presidente del Consiglio si autoassolve in televisione, invece di attendere il giudizio della Magistratura, rivendicando come tutti i cittadini una pur legittima presunzione di innocenza, si altera in modo grave il corretto rapporto tra i poteri di uno Stato democratico e costituzionale. Se poi si aggiunge che anche in caso di rinvio a giudizio il primo ministro non valuterebbe, nemmeno sotto il profilo della opportunità, le conseguenze sulla propria funzione pubblica la preoccupazione aumenta. Se poi si coinvolge il Governo in un conflitto quasi permanente con i Magistrati impegnati in delicatissime indagini, con un ruolo di punta del Ministro della Giustizia, l'allarme per la credibilità delle istituzioni è doveroso.
Non meno inquietante è il fallimento della politica economica. Dopo aver tentato di ridicolizzare lo sciopero generale contro gli aspetti iniqui della legge finanziaria, provocando tensioni dannose per la ripresa produttiva, si è giunti in poche ore ad accedere allo stralcio sulle pensioni richiesto dai sindacati, solo per salvare il Governo. Di conseguenza la manovra economica governativa (che sosti
tuendo un equilibrato ricorso al fisco con scandalosi condoni e patteggiamenti "una tantum"' era già  insufficiente) è risultata inesistente e incapace di risanare la finanza pubblica.
Permane diffidenza sui mercati finanziari, non c'è copertura per oltre ventimila miliardi di oneri per interessi, derivante da tassi elevatissimi rispetto al contenimento di Ciampi, la spesa non essenziale resta fuori controllo, nessuna convincente misura è prevista per dare sostegno allo sviluppo economico, alla ripresa del Mezzogiorno, al rilancio degli investimenti e all'occupazione. Non a caso il Ministro del Tesoro, Dini, riconosce il fallimento e annuncia per i primi mesi del 1995 una manovra aggiuntiva che, in pratica, dovrà essere una nuova legge finanziaria.
Anche l'immagine internazionale dell'Italia appare compromessa. Già la presenza di esponenti di derivazione fascista aveva determinato rigetto e freddezza, ma se a ciò si aggiunge l'europessimismo del Ministro Martino, che ci colloca tra le posizioni di retroguardia, e una linea nazionalista e provinciale della nostra politica estera, usata dal presidente Berlusconi soprattutto per un retorico presenzialismo privo di proposte credibili, si comprende come non siano assolutamente sottovalutabili i rischi di un nostro passaggio tra i Paesi di seconda serie.

Una tregua anche per preparare il futuro del PPI

Il governo Berlusconi ha dato una pessima prova in pochi mesi. Esso deve uscire di scena non per inesistenti complotti a fini di rivincita elettorale, con ribaltoni politici di cui non esistono le condizioni, ma perché la sua azione è risultata dannosa, improvvisata e dilettantistica, per gli interessi del Paese e perché di fronte alle difficoltà difende il suo potere con insulti al Capo dello Stato, attentati alla Costituzione, manipolazioni della prassi parlamentare sino al limite della tentata corruzione di singoli deputati e senatori. Non è tollerabile questo gioco finale al massacro per andare, alle spalle del Parlamento, alle elezioni anticipate avventurose.
Per questo lo sbocco della crisi non può intaccare il diritto-dovere del Presidente della Repubblica di verificare, in piena autonomia, se esistono le condizioni per un Governo ad investitura parlamentare che faccia fronte alle difficoltà economiche, tuteli il prestigio internazionale dell'Italia, completi la riforma elettorale, avvii il riordino istituzionale, per favorire a tempo debito un ricorso pacato e costruttivo alle urne. E' positivo che le opposizioni, in particolare il PDS, riconoscano che una alternativa politica alla spuria maggioranza di destra (caduta per le sue contraddizioni)
possa nascere; non è a portata di mano e può essere correttamente prevedibile solo dopo nuove elezioni ispirate alla massima chiarezza.
Determinante, in questa situazione di evidente emergenza, è il ruolo di garante del presidente Scalfaro. Nessun partito può sostenere per ragioni di comodo la tesi del governo del Presidente, quasi a condizionarne le scelte, ma è chiaro che dopo avere verificato se esistono possibili soluzioni politiche non può che nascere un esecutivo di transizione, non contrattato tra i partiti, che ottenga la legittimazione del Parlamento in un rapporto di fiducia e di garanzia del capo dello Stato. Questa assunzione di responsabilità alla luce del sole non ha nulla a che fare con strumentali ribaltoni.
Ma la transizione deve valere anche per riflettere e pensare al futuro, a nuovi rapporti tra i partiti, al modo di andare con proposte chiare al confronto con gli elettori. Anche il PPI deve affrontare questa prova. E' meritoria la difesa dai maldestri tentativi di assorbimento del partito, della sua dignità, dei suoi programmi da parte di Berlusconi, ma non può reggere a lungo una tattica ondivaga che privilegia un suicida rapporto a destra e non va oltre lo stato di necessità per le convergenze a sinistra.
Né si può pensare di avere un futuro in un blocco moderato e conservatore, presuntuosamente "liberista", sia pure ripulito da un radicalismo autoritario di destra. L' identità di un partito popolare, riformista, ad ispirazione cristiana, aperto a possibili soluzioni di centro-sinistra, torna in primo piano sia per superare la transizione che per preparare nella chiarezza gli equilibri futuri della democrazia italiana. La "leadership" di Buttiglione non garantisce, allo stato attuale, chiarezza di scelte.
Bisogna uscire dall'incertezza e dalle tentazioni del trasformismo. "Il cristiano-ha detto in un discorso inedito del 1983 Giuseppe Lazzati- non è un conservatore: esso guarda le cose nuove c he nascono, con intelligenza critica per vedere se valgono o non valgono. Infatti non è che ami il nuovo perché è nuovo, ma solo se è valido. Se non è valido è un nuovo fasullo e già vecchio prima di nascere. Ma se è valido, allora, il cristiano si apre al nuovo e lo inserisce nel corso della storia e lo valorizza".
Il tono è profetico, ma il monito va raccolto perché senza le scelte coraggiose, programmaticamente motivate, di un partito di centro che guarda a sinistra, come nei momenti migliori della stessa Democrazia Cristiana, è difficile che il PPI resista al richiamo conservatore, ad un perdente trasformismo e assuma al più presto, mobilitando le diffuse risorse del cattolicesimo democratico, quel ruolo ideale e politico determinante che gli insuccessi della destra possono facilitare.

Da: "Cultura - itinerari di politica e di cultura" n. 21
ottobre-dicembre 1994
Luigi Granelli