LE RAGIONI DI UNA SIGNIFICATIVA SVOLTA POLITICA

Prima analisi del voto del 21 aprile

Le convulse conclusioni di un duro scontro elettorale, reso meno avventuroso dalla scelta dell'Ulivo di non prestarsi all'accentuazione di una rissa improduttiva, potevano far prevedere che il match non sarebbe stato nullo. Ma niente di più. Le previsioni sono state incerte, persino come affluenza alle urne, sino alla fine. Si è così rivelato inconsistente il calcolo, vagheggiato da più parti, di un esito senza vinti e senza vincitori che avrebbe aperta la via ad un Governo di grandi intese per varare una riforma presidenzialista e tornare a votare. Il senso della svolta si è avuto poco dopo l'apertura delle urne. A parte il modesto tentativo del Cirm di accreditare, nonostante il divieto all'uso degli exit pol, una affermazione generalizzata del centro-destra, grazie ad un servile mix di sondaggi e di proiezioni, si è avvertito quasi subito un risultato opposto. L'Ulivo, ancora una volta, ha dato dimostrazione di saggezza. Prudenti i primi commenti accompagnati, inevitabilmente, da un crescendo di emozioni e di entusiasmi. La conferma è venuta poi dalle reazioni imbarazzate, arroganti persino nella sconfitta, evasive e tutte proiettate su un grottesco palleggio di responsabilità, del cosiddetto Polo delle libertà. Il rinvio di ogni conferenza stampa, l'assurdo invito di Berlusconi a ritrovarsi all'estero, le penose difese televisive di Fede e di Pilo, vivacizzate da un arrabiatissimo Lucio Colletti, la balbettante presa d'atto ripresa il giorno dopo con le dichiarazioni a più stadi di Fini, Buttiglione e Casini, e dello stesso Berlusconi, confermavano la inequivocabile vittoria del centro-sinistra. Il rovesciamento c'è stato ed è consistente. L'Ulivo, una coalizione di centro-sinistra ancorata ad un serio programma di governo, è prevalso al Senato ed anche alla Camera, dove Rifondazione Comunista è antagonista della destra, contro le rivincite del partito azienda e dei suoi interessi, le nostalgie dei post-fascisti che vogliono il rovesciamento della Costituzione del 1947, le promesse demagogiche di riduzione delle tasse, i tentativi di smantellamento dello Stato sociale, con l'appoggio dei gruppetti di cattolici conservatori che, per mediocri ragioni di potere, avevano assecondato un selvaggio selvaggio e rischiosi propositi di restaurazione autoritaria.La svolta è stata politicamente netta, significativa, anche se sono da valutare con attenzione, senza inutili trionfalismi, le ragioni che l'hanno determinata. L'analisi deve essere libera da preconcetti. Tutto il contrario, cioè, del commento che sul "Corriere della Sera" un insoddisfatto Ernesto Galli Della Loggia (1) ha dedicato al paradosso di una sinistra (solo essa?) che ha vinto grazie al maggioritario in un Paese di centro-destra. Non basta infatti respingere così evidenti manipolazioni.

1° Il successo dell'Ulivo al Senato ed alla Camera

Torneremo più avanti sui presunti paradossi del sistema maggioritario che, nelle elezioni del 1994, non avevano stupito commentatori che si erano allora sperticati in elogi per il successo, politicamente ambiguo e programmaticamente inesistente, di Berlusconi e del centro-destra. Va richiamato, anzitutto, il risultato essenziale del voto del 21 aprile. I dati non lasciano dubbi. A cominciare dall'affluenza alle urne. L'82,7%, rispetto all'86,1% del 1994, è un indice di alta partecipazione che non ha riferimenti nei Paesi a consolidato sistema bipolare. (2) E' interessante notare che l'affluenza (tab. II°) è stata più elevata al centro ed al nord, dove secondo molti opinionisti era prevedibile un certo astensionismo, e meno consistente al sud e nelle isole, dove ci si aspettava una mobilitazione tradizionalmente clientelare più accentuata. Nell'insieme questo risultato dimostra una diffusa coscienza dei rischi politici cui è esposto il Paese. Doverosa, a questo proposito, è una analisi di dettaglio, collegio per collegio, del livello di partecipazione elettorale perché un giudizio di carattere generale è insufficiente per individuare le cause di una potenziale e pericolosa disaffezione. Il mutamento del quadro politico è inoppugnabile. L'Ulivo, tenendo anche conto dell'orientamento dei senatori a vita, ha la maggioranza assoluta al Senato (tab. I°) con 157 seggi complessivi (di cui 23 in seconda assegnazione), mentre il Polo delle Libertà è nettamente collocato all'opposizione con 116 seggi (irrilevanti, politicamente, sono il seggio alla lista Pannella-Sgarbi e quello ai neofascisti di Rauti). Rifondazione Comunista, con 10 seggi, ha una presenza politicamente non trascurabile anche se numericamente irrilevante. La Lega-Nord, con i suoi 27 seggi, rispetto ai 31 del 1994, conferma un ruolo di tutto rispetto senza tuttavia poter rovesciare la situazione a favore del centro-destra. Più complessa, come è naturale che sia, è la situazione alla Camera (tab. II°). L'Ulivo ha la maggioranza relativa con 284 seggi, ed il Polo delle Libertà è ugualmente collocato all'opposizione con 246 seggi. I 35 seggi di Rifondazione Comunista, i 59 della Lega-Nord ed i 6 degli altri gruppi, rendono più articolato, rispetto a Palazzo Madama, il rapporto di forza, ma non delineano alternative politiche credibili. Di fronte a questo nuovo quadro politico, in cui la svolta a favore dell'Ulivo è di tutta evidenza, è apparso risibile il tentativo di Berlusconi, poi rientrato, di lamentare brogli per contestare un rapporto a suo dire non veritiero tra voti raccolti, in casi limitati, e attribuzione dei seggi che è invece il merito che i sostenitori del maggioritario attribuiscono a questo sistema. La sconfitta del Polo delle Libertà ed il successo elettorale del centro-sinistra, da consolidare politicamente, è l'indiscutibile verità del voto del 21 aprile.

2° Il bizzarro risultato del voto per il proporzionale

Non è priva di fondamento la discussione che si è sviluppata a proposito dei risultati emersi dal voto per il recupero proporzionale (25%) alla Camera. E' su questo elemento non privo di bizzarria che Berlusconi aveva tentato, con spericolatezza, di rovesciare la stessa interpretazione del voto. Il dato relativo (tab. III°) merita attenta riflessione sia per comprendere gli effetti del maggioritario vigente, sia gli umori politici che trascendono la pura quantità del consenso raccolto. Stimolanti, sotto questo profilo, sono le osservazioni del prof. Renato Mannheimer sul "Corriere della Sera" (3). E' a prima vista singolare che, nel proporzionale, il Polo delle Libertà abbia avuto 16 milioni e 482 mila voti (arrotondati) e l'Ulivo 16 milioni e 233 mila voti. Sono circa 150 mila in meno i voti dei vincitori delle elezioni. Non si tratta certo di una inversione di tendenza anche se l'analisi, sia pure limitata allo scarto tra i consensi raccolti nel maggioritario e nel proporzionale, non è trascurabile ed è certamente più interessante del giudizio abbastanza semplice sul voto uninominale. A conferma c'è da notare subito che i 16 milioni e 730 mila voti raccolti dall'Ulivo, nel maggioritario per la Camera, rispetto ai 15 milioni e 30 mila voti del Polo delle Libertà non lasciano margini di interpretazione. Ma il fenomeno non è nuovo. Anche nel 1994 il centro-destra ha avuto quasi 1 milione e mezzo di voti in meno nel proporzionale rispetto ai voti avuti nel maggioritario, mentre il centro-sinistra ha registrato una differenza in più di oltre un milione di voti. Ci sono abbastanza elementi per non fermarsi alla prima impressione. Molti analisti hanno osservato, a cominciare da Renato Mannheimer, che lo scarto dimostra che va affermandosi, tra gli elettori, un crescente "spirito della coalizione", mentre il recupero con il proporzionale registra gli sbandamenti e le contraddizioni di un sistema residuale. Tralasciamo, per ora, il rilievo su un certo strumentalismo interpretativo a favore della superiorità del sistema maggioritario secco o a doppio turno. Le diversità di comportamento degli elettori sono del tutto evidenti e nessuno può negare l'utilità di una attenta lettura politica. Correttezza vuole che l'analisi tenga conto dei meccanismi tipici del maggioritario che, a differenza del proporzionale, determinano un particolare rapporto tra voti espressi e seggi rappresentati. Singolare, se non scorretta, è apparsa la valutazione di Ernesto Galli Della Loggia che insiste, più di un nostalgico proporzionalista, sulla maggioranza dei voti raccolti dal centro-destra e sul premio avuto dall'Ulivo grazie al sistema elettorale. Anche Galli Della Loggia sostiene, ovviamente, che non può essere messa politicamente in discussione la vittoria dell'Ulivo e si limita, con una irritata presa d'atto, a suggerire al PDS, considerato un unico vincitore circondato da minuscole formazioni vassalle, di tener conto di una destra consistente di cui non si segnalano contraddizioni nell'impostare la sua politica. Più che un'analisi sembra una scorciatoia per rilanciare, di fronte ad un risultato poco gradito, il consociativismo delle grandi intese e tornare ad insistere su un Presidenzialismo da seconda Repubblica.

3° L'interpretazione corretta del voto uninominale.

Sarebbe fuorviante seguire queste valutazioni. E' meglio seguire gli stimoli di Renato Mannheimer integrando, se mai, i suoi approfondimenti scientifici con qualche riflessione politica. Si può consentire, in generale, sul diffondersi di un maggiore "spirito di coalizione", che non da oggi difendiamo come valore democratico e non solo come opportunità elettorale, ma da un esame collegio per collegio la tendenza è meno rassicurante. E' certamente prevalsa l'opinione che solo l'intesa di centro-sinistra poteva battere la destra, con la positiva conseguenza di un consenso maggiore, nell'uninominale, di quello della somma dei partiti della coalizione. Non va tuttavia ignorato che la composizione degli schieramenti, a sinistra e a destra, riflette un pluralismo politico radicato nella storia del Paese, una diversità di concezioni e di posizioni lontane dal progetto, che ogni tanto riaffiora, del partito unico e positivamente disponibili alla logica della coalizione perché questa scelta è l'unica che consente alle forze in campo di affermarsi con un sistema elettorale maggioritario. Non c'è, in questa osservazione, alcuna propensione ad un ritorno, che in questa fase non avrebbe senso, al sistema proporzionale. La spinta alle coalizioni, da rafforzare come effetto di una scelta più che di uno stato di necessità, è anche un importante segno di evoluzione politica che va incoraggiato. La tendenza in atto, che è cosa più complessa di una pura e semplice affermazione del maggioritario in quanto tale, ha un non sottovalutabile valore politico. Sta prevalendo una tendenza al "patto di maggioranza" più che al partito unico di tipo americano. Per motivi storici e culturali lo "spirito della coalizione" non nasce, in Italia, solo da ragioni numeriche, per sfruttare al meglio il sistema elettorale, ma è anche diffusa coscienza del valore democratico dell'intesa programmatica tra forze diverse che non intendono dissolversi opportunisticamente in un unico e ambiguo soggetto politico. Può essere auspicabile, nel futuro, una ulteriore evoluzione politica verso la semplificazione degli schieramenti, anche per ridurre gli eccessi di condizionamento delle forze marginali, ma la pluralità dei partiti, liberata dall'eredità della degenerazione partitocratica e ricondotta alla funzione sancita dall'art. 49 della Costituzione, non va vista come un ostacolo, un segno di arretratezza, rispetto all'affermarsi del sistema maggioritario. E' in rapporto a questa realtà che si è pensato ad una limitata correzione in senso proporzionale, ma gli effetti non sembrano coerenti con l'obiettivo.

4° L'uso strumentale della quota proporzionale.

La elezione di una quota proporzionale, per la Camera, punta infatti a correggere un maggioritario secco non del tutto corrispondente al pluralismo politico italiano. Ma la sua applicazione ha rivelato in queste elezioni più di un inconveniente. L'astruso e complicato meccanismo dello "scorporo", che consente espedienti come i collegamenti plurimi e le liste proporzionali "a perdere", porta ad esiti non sempre corretti. E' ad esempio comprensibile che chi ha ottenuto molti seggi nell'uninominale ne abbia meno nel proporzionale, ma quando (tabella IV°) la lista del CCD-CDU con 2.190.000 voti, raccolti nell'insieme delle Circoscrizioni, ottiene 12 seggi ed il PPI-Unione Democratica, con 2.555.000 voti ne ottiene 4, cioè un terzo, c'è una evidente alterazione della rappresentanza. Il gioco trasformistico, spesso favorito dal maggioritario, lungi dall'essere corretto è in pratica accentuato da comportamenti politici spregiudicati o riluttanti. Se si fa eccezione per la Lega che, presentandosi sola e senza obblighi di coalizione, ha potuto avvantaggiarsi della semplicità di un voto uguale, con lo stesso simbolo, sia nell'uninominale che nel maggioritario, per le altre liste la scelta è apparsa più complessa e frequentemente influenzata da motivazioni opportunistiche. L'imposizione di candidature concordate al vertice ha provocato proteste, rigetto, disimpegno e dispersione di voti che hanno pesato sui risultati nazionali. Il proliferare delle doppie e triple candidature, ad integrazione di quella nel collegio uninominale, è diventato più una rete di sicurezza per candidati esposti a rischio che non lo strumento per affermare una identità di partito rispetto alla coalizione. Senza questa rete l'impegno dei candidati sarebbe stato maggiore nel raccogliere i consensi. Si aggiunga che, in molti casi, gli stessi candidati nell'uninominale, per non incrinare vasti consensi nel maggioritario, hanno ridotto al minimo il sostegno alle liste proporzionali determinando, di fatto, la lamentata riduzione di voti rispetto all'uninominale. Camuffamenti e tatticismo, espressioni di un degrado del costume politico che nessun sistema elettorale può eliminare, hanno completato l'uso strumentale della quota proporzionale. Non è mancato chi ha votato per una coalizione nel maggioritario e, nell'illusione di riequilibrare la sua scelta, ha addirittura optato per lo schieramento opposto nel proporzionale. La concorrenza tra le liste di centro, alleate nell'uninominale, ha favorito un certo trasformismo. Anche l'utilizzo dei simboli per creare confusione tra gli elettori, come dimostra il cinico sfruttamento dello scudo crociato per scoraggiare scelte chiare e accreditare un possibile ritorno della DC, è stato spinto al massimo. Per tutto ciò l'esperienza del voto proporzionale richiede una attenta valutazione critica. Sia che si vada verso il doppio turno, in funzione di un confronto elettorale più limpido, sia che permanga un sistema misto per evitare forzature maggioritarie eccessive in rapporto alla realtà del Paese, è necessario che il legislatore rimuova le cause di un uso così distorto dei meccanismi introdotti. Quanto è accaduto dimostra che non basta cambiare o migliorare le leggi elettorali. E' anche il loro utilizzo politico nella costruzione delle coalizioni, nella definizione delle alleanze, nella salvaguardia di corrette identità di partito, nei criteri di designazione delle candidature, che deve ispirarsi a maggiore chiarezza per favorire un costume di democrazia ed evitare scelte strumentali da parte degli elettori.

5° Il segnale ad alto rischio del voto nel Nord-Est.

Una analisi particolareggiata del voto aiuta a comprendere le ragioni specifiche della svolta politica del 21 aprile. La classificazione tradizionale dei risultati elettorali del Nord, del Centro, del Sud e delle Isole è utile premessa ad approfondimenti più mirati. Il richiamo ai seggi ottenuti in tali aree (tabb. V° e VI°), anche nel confronto tra Camera e Senato, favorisce, al di là degli effetti della radicalizzazione tra i due schieramenti maggiori, una più attenta comprensione dei mutamenti dello scenario politico. Al Nord l'arretramento del Polo delle Libertà è assai significativo. In Piemonte Liguria e Trentino, e con il risultato che fa parte a sé della Val D'Aosta, l'Ulivo ed i progressisti (il simbolo usato da Rifondazione Comunista nel proporzionale) hanno quasi il doppio dei parlamentari del centro-destra. Al di là del previsto successo in Emilia, il centro-sinistra rimonta in Lombardia alla Camera, dove nelle precedenti elezioni aveva avuto una dèbacle, con 29 deputati rispetto ai 42 del Polo delle Libertà e con 20 senatori rispetto a 16. In Friuli lo scarto tra maggioranza e minoranza è netto alla Camera (9 a 6), in favore dell'Ulivo, mentre nel Veneto è più ridotto (19 seggi a 12). Ma in tutte queste regioni, con un evidente zoccolo duro nel Nord-Est ed in Lombardia, il dato politicamente rilevante è rappresentato dall'affermazione della Lega. Il movimento di Bossi ha infatti ottenuto 58 deputati e 27 senatori (1+1 in Liguria, 4+3 in Piemonte, 27+11 in Lombardia, 19+9 nel Veneto, 4+2 in Friuli e 2+1 In Emilia Romagna, 1 in Trentino). Alla base di questo innegabile successo politico della Lega, che è per la democrazia italiana un segnale ad alto rischio, ci sono diverse motivazioni. Anzitutto c'è da osservare che l'isolamento di Bossi, ritenuto da molti commentatori un atteggiamento perdente in un sistema tendenzialmente bipolare, si è nei fatti trasformato, grazie ad una calcolata radicalizzazione tripolare, in un'arma insidiosa contro i due schieramenti contrapposti, ma accomunati, dalla propaganda leghista, nella difesa di un potere logoro e di uno Stato centralista incapace persino di garantire sicurezza. La Lega Nord, aiutata anche da una diffusa sottovalutazione del fenomeno, è di proposito tornata alla sua impostazione originaria fatta di protesta, qualunquismo, autotutela di interessi particolari, contro istituzioni giudicate fatalmente parassitarie ed ha fatto leva su disagi reali puntando tutto sulla diversità e sull'orgoglio del movimento. La minaccia di una secessione, incentrata sull'indipendenza della Padania sulla base di un distorto diritto di autodeterminazione dei popoli, non è mai stata così forte. Questa contrapposizione, foriera di avventurosi rischi, si è poi intrecciata con i bisogni di sicurezza, di maggiore autonomia, di difesa del benessere raggiunto, presenti in realtà ricche e in espansione, come quelle lombarde e del Nord-Est, che spesso confondono la solidarietà con lo spreco di risorse. Regioni politicamente moderate che non hanno trovato nel centro-destra, dopo il 1994, quelle garanzie di sicurezza che a suo tempo la DC offriva largamente, hanno in aggiunta temuto di scivolare, con l'Ulivo, in pericolose avventure di sinistra. Un leader grossolano ma acuto come Bossi è stato così in grado di intercettare in queste aree voti in libera uscita, moderati impauriti sia dalla destra che dalla sinistra, amministratori in contrasto con un soffocante centralismo statale, imprenditori attirati in modo acritico dall'esperienza autonomistica "bavarese", e sull'onda di questa congiuntura la Lega ha potuto sfruttare, a suo vantaggio, una protesta certamente più composita della motivazione originaria del movimento. Questa valutazione trova abbondanti conferme nel diffuso fermento di iniziative di Sindaci che, nel Triveneto, sono da tempo mobilitati nella ricerca di una forte autonomia, nella crescita spontanea e tumultuosa di quel "capitalismo del signor nessuno" che si è fondata sul "modello della porta accanto", come ricorda Giorgio Lago in un interessante libro intervista dedicato al Nord-Est (4), nel fascino di una creativa realtà socio-economica, lusingata dai mercati internazionali, che avverte le lentezze degli apparati, le strozzature burocratiche, gli stessi doveri della solidarietà, come limitazioni insopportabili. Di fronte ad un fenomeno di questa portata non basta denunciare le intrinseche contraddizioni, a cominciare dalla fragilità competitiva di una economia che rischia di essere condizionata proprio dalla esasperazione del localismo, perché è soprattutto politica la spinta a trasformare i bisogni dell'azienda, del lavoro, dello sfruttamento delle proprie risorse, degli ostacoli al buongoverno amministrativo in protesta destinata a sfociare nelle tentazioni dell'autarchia e persino della secessione. Per questo il successo della Lega, in una parte significativa del Nord, se conferma la sua impossibilità di diventare a pieno titolo un movimento a base nazionale, richiede, soprattutto, risposte politiche precise. La rincorsa sul terreno delle lusinghe federaliste, per anticiparlo come suggerisce un dissidente autorevole e coerente come Petrini, consente a Bossi di rifiutare il dialogo e di aumentare le sue irresponsabili sortite destabilizzanti. E' ormai controproducente la eccessiva tolleranza verso le iniziative scissioniste di una Lega spaccatutto, riassunte nell'inammissibile attività del Parlamento di Mantova, che insieme al repertorio della resistenza fiscale e del Comitato di Liberazione Nazionale esprimono violenza verbale antieducativa o preludono a illegali rotture del Paese. Il confronto con la Lega non va abbandonato, ma esso, anche per incoraggiare chi come Irene Pivetti dissente da certe posizioni devastanti del leader, non può rinunciare alla inflessibile difesa dell'unità della Nazione, in sintonia con i giusti richiami del Presidente Scalfaro. E' apparsa singolare, a questo proposito, la presa di posizione del Vescovo di Como, mons. Maggiolini, che ha addirittura invocato Pio IX° per mettere in discussione la conquista unitaria del Risorgimento (5). E' invece nel quadro di una forte riaffermazione dell'unità nazionale che bisogna realizzare, per corrispondere ad un interesse generale più che per tacitare la Lega, una forte riforma autonomistica dello Stato, unico sbocco di un federalismo solidale, lo snellimento della Pubblica Amministrazione, fatto di trasparenza e di "deregulation", un ampio decentramento di poteri e di funzioni statali e la integrazione delle creatività produttive locali in una nuova e trainante fase di sviluppo dell'economia nazionale. Non è praticabile, in Italia, una "via catalana" ad un puro negoziato di potere. Il centro-sinistra può sfidare Bossi solo mettendosi sulla strada delle riforme possibili ed alternative ad una insana disgregazione istituzionale, dimostrando di valorizzare il dialogo rispetto alla contrapposizione e all'isolamento, per essere nelle condizioni o di influenzare un cammino evolutivo della Lega o di intercettare direttamente le esigenze di molti moderati, per dare una voce politica corretta ed efficace ad una protesta che nelle elezioni del 21 aprile è stata usata strumentalmente dalla Lega.

5° Il consenso al centro-sinistra nell'Italia centrale.

I risultati raggiunti dall'Ulivo nell'Italia centrale sono il frutto di una confortante comprensione del valore politico e programmatico della svolta di centro-sinistra. Il dato elettorale è più espressione di fattori strutturali, radicati sul territorio e nella storia politica del Paese, che non di mode congiunturali. L'Ulivo ed i progressisti hanno ottenuto, complessivamente, 83 deputati e 41 senatori, rispetto ai 37 ed ai 21 del Polo delle Libertà. I deputati della Lega Nord sono solo 3 (tabb. V° eVI°). Se era per certi aspetti prevedibile l'affermazione del centro-sinistra in Toscana, in Umbria e nelle Marche, data la tradizionale e forte presenza della sinistra, meno scontati e perciò ancor più interessanti sono i risultati riguardanti il Lazio. Il centro-destra, presente e forte nelle burocrazie della capitale e per il perpetuarsi delle prassi clientelari, ha qui tenuto rispetto alle posizioni nettamente minoritarie delle altre regioni: 24 deputati e 12 senatori sono, per il Polo, una rappresentanza non trascurabile. Ma l'Ulivo, in sintonia con la tendenza in atto in tutto il centro Italia, ha rotto coraggiosamente l'equilibrio conservatore con candidature qualificate e, soprattutto, con una forte coscienza della coalizione che ha ridimensionato la radicalizzazione dello scontro destra sinistra. I 33 deputati ed i 16 senatori sono, per l'Ulivo ed i progressisti, una fortissima affermazione. Il fattore politicamente significativo è l'effetto che ha avuto l'intesa strategica, non solamente elettorale, tra la sinistra e le altre forze democratiche. Va sottolineato, preliminarmente, il significato di una non facile ed apprezzabile evoluzione politica della sinistra in quelle che erano considerate le sue roccaforti. Qualificate ed autorevoli personalità popolari, cattolico democratiche, laiche, hanno infatti avuto sostegni leali ed eloquenti affermazioni a conferma che la scelta di centro-sinistra non era frutto di calcolato opportunismo. Da tempo il PDS ha realizzato, con sforzi accompagnati da lacerazioni, un cambiamento di fondo rispetto alle esperienze, non prive di pregiudizi e faziosità, del vecchio PCI. In altri casi si è trattato di un adeguamento ai tempi, di cambiamenti più tattici che politici, ma nelle aree controllate da decenni dalla sinistra, attraverso un esercizio di parte del potere locale, l'evoluzione verso una concezione meno strumentale delle alleanze, la comprensione del valore strategico del rapporto con il centro, appare assai interessante. Il riformismo della sinistra, accumulato in anni di lotte e di incomprensioni, ha maturato una più attenta comprensione della realtà italiana. Anche le forze democratiche di centro hanno saputo comprendere che l'apporto della sinistra era essenziale sia per battere una destra minacciosa ed autoritaria, sia per aprire una fase nuova nella vita politica nazionale. Niente di tutto questo è riscontrabile nel centro-destra. La loro intesa elettorale è rimasta, come nel 1994, opportunistica, priva di un reale programma, ancorata ad una generica contrapposizione al pericolo comunista che non tiene conto delle trasformazioni del Paese. Lo stesso accordo tra l'Ulivo, inteso come coalizione programmatica e di governo, e Rifondazione Comunista, quale forza di opposizione anch'essa impegnata a battere la destra, oltre che a salvaguardare la propria identità, ha messo in evidenza la maturità democratica di tutti i contraenti. Non c'è stata alcuna ammucchiata. E' poco realistico pensare che, in Italia, la sinistra di governo, largamente rappresentata dal PDS, possa assorbire anche il ruolo di una vigile sinistra di opposizione, portatrice di soluzioni alternative, che ha il diritto di far sentire la propria voce in Parlamento. La criminalizzazione da parte della destra dell'accordo tra l'Ulivo e Rifondazione Comunista va respinta. Lo stesso Sartori ha ricordato che in un sistema maggioritario la desistenza è una regola del gioco. Ruoli politici diversi sono fisiologici nella democrazia parlamentare e vanno difesi, senza complessi di inferiorità, come contributi alle battaglie contro l'involuzione antidemocratica e a favore della stabilità di governo. Sarebbe un errore sottovalutare, o ridurre ad espediente elettorale, un rapporto limpido tra l'Ulivo, coalizione di governo di centro-sinistra, ed una sinistra più esigente, quale è Rifondazione Comunista, che richiede chiarezza e correttezza di rapporti pur nella distinzione delle responsabilità. I risultati abbastanza omogenei ottenuti dal centro-sinistra nell'Italia centrale richiedono dunque, a tutte le forze che lo compongono, la capacità di approfondire e sviluppare, come in un laboratorio politico, una cultura della coalizione tra sinistra e centro che è fonte di sicura evoluzione della nostra democrazia. E' in quest'area che si è capito, in particolare, che la sinistra storica da sola non è un'alternativa di governo e corre rischi anche all'opposizione, mentre le forze democratiche, senza un rapporto costruttivo con la sinistra, sono alla mercé degli interessi forti e della destra. Qui, più che altrove, è maturata, grazie ad una preziosa sapienza storica e ad un solido radicamento, la forte coscienza della necessità di un "patto sociale" e politico di centro-sinistra per fare uscire il Paese da una profonda crisi. Il merito maggiore della svolta elettorale, come ha scritto in un commento largamente condivisibile Alfredo Reichlin, è quello di aver restituito "alla politica - cioè alla riflessione sui grandi temi dello sviluppo storico dell'Italia - quel posto che finora le era stato sottratto dalla chiacchiera politologica e da un "nuovismo" senza radici" (6). Le ragioni del successo dell'Ulivo sono tante, ma la principale è come si è giustamente notato quella di avere messo in campo una proposta politica, un programma, una idea di coalizione solidale e rispettosa delle diversità,  finalmente all'altezza della natura e gravità della crisi che ha investito l'Italia da quasi un ventennio. A questa svolta hanno contribuito in modo determinante gli elettori dell'Italia centrale, nonostante la minore pressione locale della destra.

6° Il voto a macchia d'Ulivo nel Mezzogiorno.

L'esito elettorale nel Sud e nelle Isole, dove le previsioni e certi sondaggi davano una diffusa prevalenza al Polo delle Libertà, ha messo invece in evidenza una sorprendente capacità di penetrazione elettorale dell'Ulivo (tabb. V° e VI°). Il centro-destra è risultato in netta maggioranza in Sicilia, ha confermato il primato in Puglia, tiene in Calabria, ma è poi superato in tutte le altre regioni, anche se in qualcuna di stretta misura, dallo schieramento opposto guidato da Romano Prodi. Il risultato è proprio per questo espressivo di importanti indicazioni politiche. E' infatti situata nel Mezzogiorno la situazione economico-sociale più esplosiva, rispetto al resto d'Italia, specie in materia di disoccupazione, ed è in quest'area che è in corso, da tempo, un travagliato processo di trasformazione politica, oltre che di costume, dopo l'avvenuta cessazione dell'intervento straordinario. Anche per questo si delinea, oggi, una nuova "questione meridionale". I problemi particolarmente drammatici del Sud sono, da antica data, anche problemi nazionali da affrontare in termini di operante solidarietà e fuori dalle logiche assistenzialistiche. Tocca al Governo di centro-sinistra impostare in modo nuovo una politica economico-sociale per unificare il Paese, nelle basi di partenza, valorizzare con piena ed autonoma partecipazione le risorse locali, e perseguire l'inserimento in Europa della società italiana tutta intera, ma è l'esito elettorale che mette in luce una situazione politicamente favorevole, potenzialmente nuova, a sostegno di questo straordinario sforzo. Il Polo, con l'offerta del liberismo senza freni di Berlusconi intrecciato a residui di assistenzialismo di Fini, pensava di ottenere un risultato politicamente favorevole nel Sud e nelle isole. Alleanza Nazionale, ma anche Forza Italia (specie in Sicilia) si proponevano in pratica di sostituirsi, vincendo, alle vecchie formazioni clientelari in una sostanziale continuità di potere. Il popolo meridionale ha, al contrario, avvertito il rischio ed ha determinato, con il voto, una chiara inversione di tendenza. Il confronto politico ed elettorale è stato certamente più difficile che altrove, ma ha messo in evidenza una espansione a macchia d'Ulivo con lusinghiere affermazioni del centro-sinistra. L'analisi dettagliata del voto consente di confermare questa osservazione politica generale. Mentre in Sicilia lo scarto tra Polo e Ulivo-Progressisti è marcato (15 senatori e 38 deputati, contro 11 e 17), in Sardegna il centro-sinistra ha ottenuto un significativo sorpasso di misura (5 senatori e 10 deputati, per l'Ulivo, contro 4 e 8). In Calabria il sorpasso di stretta misura del Polo si ha solo al Senato, con 6 senatori rispetto a 5, mentre alla Camera è il centro-sinistra a prevalere con 13 deputati contro 10. Il rovesciamento di tendenza politica è stato poi costante, anche se assai combattuto, in tutte le altre regioni. In testa si è collocata la Campania con 18 senatori per l'Ulivo, contro 12, mentre alla Camera il margine è apparso ridottissimo (31 e 30 deputati). Seguono poi, per il centro-sinistra, le affermazioni ottenute in Basilicata (5 senatori e 5 deputati, contro 2 e 2), nell'Abruzzo (4 senatori e 8 deputati, contro 3 e 6), ed in Molise (2 senatori solo per l'Ulivo, e 3 deputati, rispetto a 1). Il voto del 21 aprile nel Mezzogiorno e nelle Isole, pur presentando una sua specificità, è quindi complessivamente positivo per l'Ulivo, anche se è solo l'inizio di un processo di assestamento. Esso suggerisce alcune osservazioni. Senza la convergenza operativa, programmatica, di forze storiche diverse e storicamente radicate sul territorio, non solo l'avanzata elettorale del centro-destra sarebbe continuata, con effetti nazionali di involuzione, ma non avrebbe preso corpo la spinta ad una politica diversa da un assistenzialismo di vertice praticato per decenni. Era già cominciata negli anni scorsi, a livello amministrativo, una riscossa dal basso che acquista via via forza con l'affermarsi di nuove classi dirigenti che rifiutano l'assistenzialismo, chiedono autonomia, promuovono partecipazione, non si sottraggono ai doveri nazionali e sono disponibili anche nel Sud ad una nuova politica. Va aggiunto che l'Ulivo, come coalizione di centro-sinistra, ottiene anche in questo caso consensi unitari, omogenei in tutto il Paese, sulla base di un programma comune di rinascita posto con uguale enfasi all'attenzione degli elettori del Nord, del Centro e del Mezzogiorno, e dimostra di saper costruire, nella società prima ancora che nel Parlamento e a livello di Governo, una reale e solida unità nazionale. Si tratta di un valore politico di rilievo che va al di là di un confortante risultato elettorale. Contraddittorio ed addirittura allarmante appare invece il contesto politico del centrodestra. Assai diverse, se si fa una valutazione libera dalle ragioni di opportunismo delle convergenze elettorali nel Polo delle Libertà, appaiono e sono le prospettive di Forza Italia, movimento calato dall'alto, da Arcore, ed esposto al riciclaggio di esponenti vecchi e nuovi del tradizionale clientelismo, e di Alleanza Nazionale, forza rampante di una destra ancorata a prassi statalistiche di assistenzialismo, che sembrano unite solo da un desiderio di rivincita e di potere. Questa ibrida convergenza, sia pure meno ipocrita di quella realizzata anche con la Lega Nord nelle elezioni del 1994 e voluta da Berlusconi solo per vincere, non ha futuro come non ebbe praticabilità nel recente passato. Al contrario di quanto è accaduto con la coalizione dell'Ulivo, non c'è alcuno sforzo per ricondurre ad unità, in tutto il Paese, una convergente alternativa programmatica e politica sia pure conservatrice, una reale intesa di governo, da contrapporre alla coalizione democratica e riformista del centro-sinistra. E' questa ibrida convergenza la maggiore debolezza del Polo delle Libertà nel Mezzogiorno d'Italia. Se la logica continua ad essere solo quella di una somma opportunistica di forze eterogenee, per sfruttare il sistema maggioritario a fini di puro potere, non ci si può aspettare di più. Va poi aggiunto un interrogativo inquietante, che vale soprattutto per la Sicilia, la Puglia, la Calabria ed, in parte, la Campania: quale sarà l'ipoteca che potranno esercitare, come nei periodi peggiori del passato, le forze più ostili alla lotta contro la criminalità organizzata, Mafia compresa, in conseguenza del successo ottenuto in queste regioni  dal centro-destra? Si tratta di un dato politico obiettivo, non di un gratuito sospetto. La battaglia di rinnovamento coraggiosamente avviata in queste realtà dalla Magistratura, dalla società civile, dalle forze politiche più coscienti del loro ruolo di servizio verso i cittadini, dagli organi non corrotti dell'Amministrazione e dello Stato, può trovare nel centro-sinistra quel forte sostegno che il Polo delle Libertà, anche per casi notori di compromissione, non potrebbe dare. Anche questa constatazione va intesa come conferma non secondaria della importanza politica dei risultati elettorali conquistati, tra molte difficoltà, dall'Ulivo nel Mezzogiorno.

7° Comincia solo ora una vera transizione politica.

La svolta politica di centro-sinistra è stata determinata, oltre che dalla giustezza delle scelte fatte, dalla sua confermata corrispondenza alla voglia di riscossa democratica esistente nel Paese. L'analisi è stata fatta, prevalentemente, sulla base dei seggi ottenuti dai vari schieramenti nel nuovo Parlamento, anziché in rapporto ai voti che, se esaminati collegio per collegio, consentirebbero alle singole forze politiche di misurare successi e ritardi anche per adeguare a tale esame le loro iniziative. Il voto del 21 aprile apre con evidenza una nuova fase nella vita italiana. Un effetto di rilievo è stato quello esercitato dal sistema maggioritario sugli schieramenti politici. Sulle leggi elettorali è sempre bene riflettere sulla scorta dell'esperienza concreta. Ci si è già soffermati sulle forzature di un maggioritario poco rispettoso del pluralismo politico, sulle conseguenze dell'uso distorto della quota proporzionale. Non può essere accantonato il problema di eventuali modifiche delle leggi elettorali sia al fine dell'introduzione del secondo turno, sia per realizzare miglioramenti minimi o addirittura radicali del sistema attuale. Ma non c'è però dubbio che la "coscienza della coalizione", sia pure condizionata dalla volontà di vincere le elezioni, è tornata ad affermarsi, dopo la lezione di De Gasperi e l'esperienza iniziale del centro-sinistra, proprio grazie al sistema maggioritario. Non tutti la pensano così. Vi è chi puntava e punta ad una rapida introduzione della logica dei partiti unici, all'americana, al posto di schieramenti compositi. La realtà ha tuttavia dimostrato di essere più forte della fantasia e la coalizione fra partiti diversi, in grado di assicurare stabilità, di favorire la chiara scelta degli elettori, si è dimostrata in Italia l'unica applicazione possibile del maggioritario. Non si tratta di un ritorno al passato. Le coalizioni, nella tradizione italiana, sono state spesso frutto del trasformismo parlamentare, di sapienti o spregiudicate combinazioni di vertice, di prassi consociative, ma proprio per questo non può sfuggire che l'intesa programmatica sottoposta agli elettori e considerata, poi, vincolante per il Governo è un passo avanti notevole per la moralizzazione politica e la stabilità istituzionale. Comincia ora, con questa svolta, la vera transizione nella democrazia italiana. La pretesa di inventare strumentalmente, dopo il terremoto di "tangentopoli", una seconda Repubblica di tipo plebiscitario, alternativa alla Costituzione del 1947, per seppellire i partiti e sostituire ad essi generici schieramenti manovrati dall'alto ha portato solo a scosse di assestamento. Mentre i governi tecnici hanno cercato di rimediare al vuoto lasciato dalla politica la destra, complice un fenomeno spurio di partito-azienda come quello di Berlusconi, ha infatti giocato spregiudicatamente la carta del sovvertimento istituzionale e del varo di un blocco elettorale e di potere. Questo disegno eversivo, indebolito da inquietanti improvvisazioni, è stato però sconfitto ed il ritorno alla politica, alla partecipazione democratica, alla riaffermazione del primato dei programmi sui giochi di potere, ha portato al successo del centro-sinistra. Non siamo alla rivincita della partitocrazia. Nella costruzione della coalizione dell'Ulivo si è tracciato anche un limite preciso, invalicabile, alle antiche abitudini manipolatorie, direttamente gestionali, dei partiti degradati in una prassi partitocratica non riproponibile. Il Presidente del Consiglio, infatti, è ora nelle condizioni di formare il suo Governo in coerenza con il mandato degli elettori, di scegliere i ministri in base alla Costituzione, e di agire senza sottostare alle interferenze delle segreterie dei partiti. Il rapporto tra governo e Parlamento è finalmente restituito ad una logica di chiarezza e di rispetto reciproco delle funzioni istituzionali. Maggioranza ed opposizione traggono la loro diretta investitura da risultati elettorali che nessun disinvolto trasformismo può a breve periodo rovesciare. I programmi e la loro attuazione diventano, più che nel passato, il vero terreno di verifica della fiducia popolare con un salto di qualità rispetto al passato. I partiti, se lo vogliono, sono in grado di riprendere il ruolo loro affidato dall'art. 49 della Costituzione e possono tornare ad essere strumenti di elaborazione politica, di proposta programmatica, di collegamento tra la società e le istituzioni, superando quella tendenza alla occupazione del potere, all'organizzazione di clientele, che tanta parte hanno avuto nel declino della democrazia italiana nell'ultimo ventennio. Questo ritorno alla politica, ad una piena e corretta vita istituzionale, è stato favorito dalla coalizione dell'Ulivo ed ha rilegittimato, in un ruolo creativo e nuovo, le forze democratiche più radicate nella tradizione storica italiana. Il centro-sinistra non ha dato vita, come il Polo delle Libertà, ad un blocco elettorale per vincere comunque. Esso è sorto e si è sviluppato in un incontro propositivo tra la sinistra a vocazione europea, erede del PCI, il cattolicesimo democratico (7), le forze laiche riformiste, i movimenti ambientalisti, e cioè il meglio delle energie culturali e politiche che hanno contrassegnato la storia del Paese. Lo stesso rapporto dialettico tra centro-sinistra e Rifondazione Comunista, da sviluppare con una limpida distinzione delle responsabilità proprie del governo, va inteso come confronto per favorire, se possibile, ulteriori evoluzioni della politica italiana. L'Ulivo deve esprimere un diverso modo di governare e garantire una costante apertura verso la società, una più articolata selezione della classe dirigente, un confronto senza delimitazioni pregiudiziali tra tutte le forze politiche. Il centro-sinistra può perciò interpretare al meglio, nei contenuti del programma e nelle modalità operative, le grandi speranze di cambiamento presenti nel Paese. Non si spiegherebbe diversamente l'entusiasmo suscitato anche tra i giovani impegnati nel volontariato. Il futuro potrà quindi portare, al termine della transizione appena iniziata, anche a nuovi assetti politici. La ricerca di questi sbocchi va incoraggiata, per semplificare, correggere, arricchire schieramenti che certamente risentono dei condizionamenti del passato. Sarebbe tuttavia un errore imperdonabile, destinato al fallimento, riproporre con operazioni di vertice la pretesa di ridurre a due unici partiti alternativi, uno conservatore e l'altro di tipo "clintoniano", la ricchezza culturale e politica del pluralismo esistente.

8° L'Italia può diventare un modello istituzionale.

In periodi di transizione è giusto andare alla ricerca di nuovi modelli politici ed istituzionali. Bisogna però liberarsi da complessi di inferiorità. In molti dei Paesi che sperimentano da tempo sistemi elettorali maggioritari, dalla Francia all'Inghilterra, c'è ad esempio insoddisfazione per meccanismi che ostacolano una più articolata rappresentanza parlamentare e non favoriscono una maggiore chiarezza nelle scelte di governo. Perché dovremmo importare soluzioni che non tengono conto della diversità storica e politica dell'Italia, quando è possibile sperimentare formule originali capaci di coniugare meglio rappresentatività nelle istituzioni e stabilità di governo? L'alternativa come metodo di governo è ormai un'esperienza in atto, anche in Italia, e si può concordare con la valutazione positiva di Norberto Bobbio (8), ma perché invece di valorizzare coalizioni a base programmatica corrispondenti alla realtà politica del Paese dovremmo importare l'idea di movimenti puramente elettorali? L'osservazione calza ancora di più per quanto riguarda la discussione sulla riforma dello Stato. La nostra Costituzione del 1947, espressiva di valori conquistati con largo consenso in una fase storica irripetibile, non preclude cambiamenti anche profondi a condizione che non mettano in discussione la natura democratica, parlamentare, della Repubblica. Il Parlamento è nelle condizioni di affrontare con trasparenza anche il problema delle riforme costituzionali, senza ricorrere a "tavoli" para-istituzionali o ad avventurose Assemblee Costituenti che introdurrebbero solo un devastante dualismo nelle funzioni legislative. E' quindi possibile ritrovare, in Italia, uno spirito costituzionale per rafforzare correttamente, in termini di stabilità, la funzione di governo, tutelare i poteri di controllo e di legislazione del Parlamento, garantire un equilibrio dinamico tra gli organi dello Stato, attuare un forte regionalismo con caratteri federali, modificare con un incisivo decentramento gli apparati pubblici. Perché dovremmo copiare sistemi presidenziali o semi-presidenziali estranei alla storia ed alla realtà del Paese? Il ritorno alla politica, che il voto del 21 aprile sollecita, richiede anzitutto che venga data priorità ad una organica azione riformatrice del Governo ed alla parallela ripresa di ruolo del Parlamento. Il programma dell'Ulivo corrisponde largamente a queste necessità e Romano Prodi può esercitare, senza limitazioni, il suo ruolo istituzionale di "premier" scegliendo una struttura dell'esecutivo che valorizzi le competenze e la coerenza programmatica. I grandi temi del lavoro e del rilancio dell'economia nazionale, della scuola, del pluralismo informativo, della semplificazione fiscale, della riforma della Pubblica Amministrazione, della tutela dei beni ambientali, della sburocratizzazione degli apparati per fare spazio ai diritti dei cittadini, dell'ingresso a pieno titolo in Europa, indicano una tabella di marcia non eludibile e costituiscono un severo terreno di verifica. Anche i problemi della riforma dello Stato, dell'aggiornamento della Costituzione, del miglioramento del sistema elettorale vanno affrontati con la disponibilità ad un costruttivo confronto con le opposizioni. Il Parlamento, assumendo un ruolo che non può essere sequestrato, in questo campo dal governo o da logiche di maggioranza, può e deve avviare, con strumenti adeguati, una sessione costituente fondata su seri approfondimenti di proposte che nessuno deve accettare a scatola chiusa. La delusione di chi pensava di riproporre, dopo un pareggio elettorale smentito dalle urne, un governo di "grande intesa", molto vicino al deplorato consociativismo, per cambiare la Costituzione del 1947 con una riforma presidenziale ancorata ad una trasformazione plebiscitaria della nostra democrazia, non giustifica una fase di immobilismo costituzionale. L'Ulivo deve farsi carico anche di questo in un confronto attivo con il Parlamento. La coalizione di centro-sinistra è chiamata a dar prova, in più campi, di determinazione, di dialogo interno e di compattezza, nell'attuazione del programma concordato e nel serio confronto con l'opposizione in materia costituzionale. Ma proprio per questo la "coscienza della coalizione", delle sue ragioni e delle sue potenzialità, non potrà non svilupparsi anche nel Paese, tra i cittadini, negli ambienti intellettuali e scientifici, nelle organizzazioni sociali e politiche, in corrispondenza alla straordinaria prova di vitalità democratica emersa dalle consultazioni del 21 aprile. Si apre qui, in forma del tutto inedita rispetto al passato, anche la questione del ruolo dei partiti, della loro trasformazione, di un rinnovamento del modo di fare politica per garantire, nella società, una presenza non di puro potere che concorra alla formazione delle classi dirigenti, perché senza collegamenti trasparenti tra il Paese e le istituzioni anche le coalizioni possono disperdere, nella "routine" del governare, il senso della loro funzione e l'obiettivo di una costante crescita della democrazia. Il centro-sinistra ed i partiti che lo sostengono possono consolidare la svolta verificatasi nel Paese, affrontare e superare la transizione avviata, realizzare in modo aggiornato quella terza fase della politica italiana che Moro, Berlinguer, Ugo La Malfa, avevano intuito, costruire nella realtà storica e politica dell'Italia, e non solo per l'effetto del sistema maggioritario, una originale democrazia dell'alternanza. E' questa, nel suo significato strategico, la scommessa culturale e politica dell'Ulivo. Non è detto che l'Italia non possa diventare, come in altri momenti della sua storia, un modello politico ed istituzionale da guardare con attenzione. Si tratta, in sostanza, degli stessi obiettivi che Giovanni Galloni ed altri, nel primo numero di "Nuova Fase" (9), avevano indicato nel 1994, in un momento di particolari difficoltà, per promuovere un salto di qualità nel dibattito culturale e politico italiano. L'occasione sembra ora più propizia, grazie al voto del 21 aprile, e non andrebbe sciupata.

(1) Ernesto Galli Della Loggia - L'alternanza realizzata - Corriere della Sera, 28 aprile 1996.

(2) La flessione di oltre tre punti in percentuale rispetto al 1994, in parte attribuibile alla novità delle operazioni elettorali in una sola giornata, è   certo un segnale di disaffezione rispetto alla tradizione italiana di alta frequenza alle urne, ma denota comunque una forte mobilitazione politica perché è noto che nei Paesi con sistemi bipolari la partecipazione al voto è di norma molto più bassa.

(3) Renato Mannheimer - Nessun vento elettorale di sinistra - Corriere della Sera, 29 aprile 1996.

(4) Giorgio Lago - Nord Est chiama Italia - Neri Pozza editore - 1996

(5) A più riprese mons. Maggiolini è tornato, sulla stampa ed in interviste televisive, a prendere le distanze sul problema dell'unità d'Italia, giudicata non un dogma, citando antichi contrasti tra lo Stato e la S. Sede. L'autorevole intervento preoccupa non tanto in relazione alle autonome iniziative scissioniste della Lega quanto perché riapre una "querelle" storica, non una questione di fede, che Sturzo, De Gasperi, ed i cattolici democratici italiani hanno chiuso da tempo, ma che potrebbe gettare un'ombra sul senso dello Stato e sul sentimento nazionale dei cattolici stessi che sono, oggi, su posizioni di convinto rispetto della legalità repubblicana. Il dissenso in materia è legittimo, ma è doverosa la chiarezza da parte dei cattolici che la pensano diversamente su un problema tanto delicato.

(6) Alfredo Reichlin - Ha vinto l'idea del patto sociale - Unità, 3 maggio 1996

(7) La definizione di cattolici democratici si riferisce al movimento politico che, in Italia, ha preso le mosse ai primi del novecento da Murri, Sturzo, De Gasperi, e che oggi è rappresentato dal PPI. Altri cattolici, legittimamente, hanno preso nel corso dei tempi posizioni diverse, dai clerico-moderati del patto Gentiloni ai clerico-fascisti dell'appoggio a Mussolini, e attualmente danno con il CCD ed il CDU appoggio, dopo la scissione della DC, al polo di centro-destra. Il PPI, tra i promotori dell'Ulivo, ha avuto una buona affermazione elettorale ed ha più che raddoppiato, insieme a Prodi e Maccanico, la rappresentanza parlamentare con circa 100 seggi. Nel CCD e nel CDU si è avviato un chiarimento interno per i poco soddisfacenti risultati.

(8) Norberto Bobbio - L'alternanza sblocca la democrazia - La Stampa, 23 aprile 1996.

(9) Giovanni Galloni, B. Amato, L.Granelli, P. Merli Brandini, G. Sacco, G. Bianchi - Nuova Fase, quaderni di cultura e politica sociale n. 1, marzo 1994. 

"Nuova Fase"
Milano, 10 maggio 1996
Luigi Granelli