QUELLA PROVOCAZIONE DI MARTINAZZOLI SULLE RIFORME ISTITUZIONALI

Lo stimolante commento di Enzo Roggi ad una presa di posizione dell’on. Martinazzoli, sull’”Unità” dell’8 maggio, merita qualche integrazione. Il presidente dei deputati DC, sommariamente definito placido e scettico, ha in effetti constatato che uscite unilaterali del PSI sui temi istituzionali di grande rilievo, polemiche su vari fronti, potrebbero spingere, paradossalmente, verso maggioranze in grado di approvare una riforma elettorale anche senza socialisti.

L’invito al si a considerare con prudenza l’ipotesi di referendum “propositivo” non previsto dalla Costituzione, è fortemente polemico ma non è nello stile di Martinazzoli ricorrere alla minaccia quando è invece urgente riflettere, anche sotto la spinta di una provocazione, su questioni di questa importanza. La riserva del PCI su questo punto non è meno severa e perché, allora la posizione di Martinazzoli non viene considerata congrua?

L’ipotesi di una maggioranza a due, contro tutti, è del resto scarsamente praticabile. Avrebbe poco senso una specie di accordo di Yalta tra DC e PCI in materia elettorale, nel tentativo fallace di subordinare alle loro strategie tutti gli altri partiti, specie se concepito come ha detto al congresso lo stesso Martinazzoli, è chiamata a riprendere un confronto ravvicinato con tutti i partiti, PCI compreso, sui problemi delle riforme istituzionali e dello stesso sistema politico ed anche la materia elettorale, non a caso esclusa dagli accordi di governo, non va considerata come tabù.

L’errore di condizionare alle convenienze della maggioranza la modifica dei regolamenti parlamentari per una nuova disciplina del voto, specie al Senato dove era possibile una intesa ragionevole con largo consenso, non deve essere ripetuto. La DC non può accettare posizioni unilaterali del PSI in materia di riforme istituzionali, né deve scavalcare socialisti e forze laiche in un rapporto strumentale il PCI. Se si vogliono raggiungere dei risultati bisognerà anche superare l’espediente di chiedere ai comunisti consensi aggiuntivi a decisioni prese, preventivamente, dalla maggioranza.

Le riforme istituzionali ed anche quelle, delicatissime, elettorali, richiedono, per la loro natura, la ricerca del consenso tra tutte le forze politiche che hanno realizzato la Costituzione del 1947 e ritengono ancora essenziali i valori di fondo che l’hanno ispirata. Il referendum “propositivo” si pone fuori da questo contesto. Esso non è previsto dalla Costituzione. Non solo perché, come ha osservato l’on. Occhetto alla Camera, per passare ad una Repubblica presidenziale bisogna prima spiegare il rapporto tra i poteri del presidente e quelli delle altre istituzioni, ma perché – oltre ai rilievi di sostanza a modelli di democrazia plebiscitaria – le modifiche costituzionali sono, anche in questo caso, possibili con l’approvazione delle Camere in due successive deliberazioni (art. 138) e solo dopo possono essere oggetto di referendum. Lo stesso leader del PCI, questa volta in modo meno possibilista, ha escluso alla Camera l’ipotesi di Referendum “propositivo” pur facendo riferimento ad una eventuale fase costituente dai contorni molto incerti.

Il richiamo di Martinazzoli al PSI perché, in questa materia, non scelga la via della solitudine e della sortita propagandistica contro tutti non sembra meritare l’ironica criica del PCI. Ma il commento di Enzo Roggi diviene addirittura strumentale quando invita la DC a non minacciare maggioranze diverse, rifiutate dai comunisti, e a scendere sul terreno delle modifiche istituzionali ed elettorali in funzione della democrazia alternativa. A prescindere che la DC, specialmente con il contributo del compianto sen. Ruffilli, ha affrontato  con coraggio questa problematica molto prima della recente svolta dell’on. Occhetto, la prima risposta è che l’approccio comunista di oggi è assai poco persuasivo.

La presa di posizione di Martinazzoli su questo punto, forse perché critica con il PCI, non è presa in considerazione da Enzo Roggi. Non è da oggi che sosteniamo che sarebbe rischioso pensare alla riforma elettorale come strumento sostitutivo della politica. Si possono favorire evoluzioni importanti del sistema politico anche facendo leva su realistiche e coraggiose riforme elettorali, da esaminare finalmente nel merito, ma non si può vedere solo nella loro mancanza l’impedimento al realizzarsi democratico, in tempi politici e storici reali, delle alternative di governo.

Il PCI sa che se disponesse oggi, in questo sistema, del consenso elettorale o delle alleanze necessarie per governare il Paese l’alternativa sarebbe sin d’ora praticabile. Né si può dimenticare, d’altro canto, che nella Repubblica federale tedesca, con un sistema diverso chiamato spesso ad esempio dagli alternativisti, si sono praticate tanto le alternative quanto le “grandi coalizioni” in dipendenza delle condizioni politiche e non solo dei meccanismi elettorali. È chiaro allora che, parallelamente alle riforme elettorali possibili, il compito di costruire le alternative per un domani non prossimo è troppo serio e difficile per essere affidato solo ad esperti di ingegneria costituzionale. E nel frattempo? È sufficiente che il PCI propugni, contro tutti, una sua concezione dell’alternativa?

L’on. Occhetto sembra aver rimosso, al pari di altri, la problematica tutt’altro che secondaria della fase di transizione rispetto ai suoi ambiziosi traguardi alternativi. La scorciatoia dei sistemi elettorali è, anche per lui, una fuga in avanti più propagandistica che politica. Non tocca solo alla DC ripesare, sotto la spinta della sua sinistra, ai moniti di Aldo Moro sulla fase di transizione. Se si affrontano nel loro insieme questi problemi allora non servono maggioranze a dispetto, chiusure pregiudiziali, precorsi a piccoli passi verso la Repubblica presidenziale o forme di democrazia senza partiti.

Il confronto deve essere a tutto campo fra tutte le forze costituzionali? Anche il PCI si può chiedere se ci sta. Non giova quella sorta di “conventio ad escludendum” che il PCI, rimuovendo soprattutto Berlinguer, pratica da tempo verso la DC impoverendo il senso e la praticabilità di proposte innovative non prive di interesse.

L’Unità
11 maggio 1989
Luigi Granelli