Desidero esprimere il mio ringraziamento sincero, non formale per questa occasione che mi viene offerta di una riflessione in comune, come credente oltre che come uomo impegnato nella vita politica, su temi che hanno una notevole importanza per il nostro presente e per il nostro futuro.
Al di là del modesto contributo che io posso dare, c'è anche un elemento di grande utilità per me in questo incontro, perché fatalmente l'attività di ogni giorno travolge, spesso appiattisce sull'esistente. Le occasioni di riflessione, di meditazione, di guardare lontano sono sempre più rare.
Per me questa pausa è, in un certo senso, un ritorno alle origini, a quel riflettere prima di agire che anche in politica si va un po' dimenticando, cadendo nel pragmatismo a nella logica del giorno per giorno.
Immagino
questo incontro come una occasione di scambio reciproco di opinioni e di
riconciliazione tra impegni diversi che, però, hanno una matrice comune,
sulla cui base è possibile ricavare dei supporti per le responsabilità
non lievi che ciascuno nel suo campo deve assolvere.
Vi
ringrazio, dunque, per questa sosta che mi avete offerto, per questa
riflessione in comune che è utile anche a chi, come me, non dimentica il
grandee impegnativo significato
del richiamo a una vocazione cristiana della politica: essa deve rispettare la
propria laicità per non coinvolgere la Chiesa
o la religione in valutazioni improprie, però non può separarsi mai
da un comune respiro, da una visione trascendente a da un modo serio di
intendere la nostra identità ideale fuori da ogni integrismo e da ogni
chiusura.
Questi
pensieri esprimono in qualche modo come io personalmente, ma anche molti con
me, guardiamo al Convegno Ecclesiale di Loreto come a una grande occasione,
per la Chiesa italiana, ma anche per la comunità dei credenti interpellati a
vario titolo dalla società italiana.
Ho
avuto la fortuna, qualche settimana fa, dì partecipare all'Università
Cattolica a un grande incontro dei giovani dell'Azione Cattolica di Milano a
della Lombardia. presente il Cardinal Martini a il Cardinal Pappalardo: due
situazioni emblematiche della realtà del nostro Paese nella quale sì
registra una ripresa, un vigoroso risveglio di coscienza cristiana delle
giovani generazioni che guardano alla società, e ai fenomeni che nella società
si manifestano a volte anche in maniera drammatica, con uno spirito e una
volontà cristiani encomiabili. Sarebbe grave che la Chiesa italiana sciupasse
questa occasione e i credenti vedessero il Convegno di Loreto come soltanto
del Magistero e non come occasione tendente invece a mettere in valore tutte
le risorse di cui disponiamo.
Questa
è un po’ la chiave che mi è servita per pensare al contributo che sento di
dover dare alla riflessione che avete avviato sulla riconciliazione tra
cultura scientifica, tecnologica ed umanistica nel contesto italiano. Le mie
riflessioni nascono proprio dall’interno dell’esercizio delle mie
responsabilità come Ministro della ricerca scientifica e tecnologica (che si
trova ad operare in un momento difficile della vita italiana) sollevando, tra
l’altro, tante attese nella comunità scientifica, anche in ambienti che
hanno tradizioni, idealità e culture diverse dalla mia e che trovano nella
problematica viva, moderna degli sconvolgimenti che la scienza e la tecnologia
vengono a portare nel nostro processo storico, degli elementi concreti,
pratici, di dialogo, e talvolta di riconciliazione. Può essere utile per voi
poter disporre di qualche segno di una esperienza che concretamente io vengo
facendo.
Come
premessa a qualsiasi altra considerazione, in ordine al tema della
ricomposizione delle due culture, si può notare che essa nasce dal fatto che
anche di fronte al prorompente sviluppo tecnologico e scientifico, alle più
importanti conquiste che mai nei periodi storici precedenti siano avvenute con
tanta ampiezza e rapidità, c’è una percezione che trascende la scienza,
che va oltre i fenomeni che vengono via via scoperti attraverso il sapere
scientifico.
Mi
confidava recentemente, in una conversazione informale, il Nobel della Fisica,
Carlo Rubbia, che la sensazione per lui più forte culturalmente e moralmente
all’indomani di una scoperta scientifica che lo ha collocato nella storia
del pensiero scientifico moderno era l’esatta sensazione che dietro ad ogni
scoperta, per grande che sia, c’è un infinito da riscoprire nuovamente: più
avanzate sono le scoperte e più le leggi della natura e i valori fondamentali
allargano gli orizzonti.
Al
di là delle ricadute tecnologiche (che sono quelle poi più largamente
utilizzate per fare determinati interventi sul temporale, sulla società,
nella produzione, …) e al di là dell’avanzamento generale del progresso
umano (perché il miglioramento delle conoscenze è condizione non solo del
cambiamento del modo di vivere, di consumare e di produrre, ma anche del
progresso generale della qualità della vita), al di là di queste ricadute
che sono certamente significative , il momento scientifico è quello di
maggiore importanza. Senza avanzamento delle conoscenze, senza forte sviluppo
scientifico, queste ricadute sarebbero modeste.
La
paura, di altri tempi per la verità, che la scienza fosse in qualche modo
antagonista al disegno della perfezione, alla affermazione dell’uomo nella
sua visione trascendente, viene meno quando uno scienziato, appunto di quel
calibro, proprio nel massimo della sua scoperta scientifica riscopre la
modestia delle possibilità umane e l’infinito dell’universo che è da
scoprire nelle sue leggi e nei suoi valori fondamentali.
Io
credo che questa testimonianza di Rubbia, che non era stata fatta davanti alla
televisione, ma in una conversazione privata col Ministro della Ricerca, sia
un elemento importante per comprendere il travaglio che esiste nel mondo
contemporaneo e come noi dobbiamo inserirci in questo travaglio correttamente
comprendendo il forte richiamo ai valori che trascendono la scienza e che
qualificano il nostro modo di essere.
Questa
chiave di lettura dell’importanza della scienza e della ricerca scientifica
e delle sue applicazioni tecnologiche in relazione sia al mutamento delle
condizioni storiche in cui si sviluppa la vita dell’uomo sia al
miglioramento della qualità della vita, ci porta ad esprimere subito qualche
considerazione sulla situazione di fatto in cui viviamo non soltanto in
Italia, ma sul piano internazionale, perché un altro degli elementi positivi
della scienza è il suo carattere internazionale.
Niente
vi è di più anacronistico, rispetto al sapere scientifico, della chiusura
nazionalistica o dell’illusione di una cultura, di una tradizione o di una
razza che sia esauriente rispetto a questo compito universale della scienza
posta al servizio dell’uomo. Fra i veri scienziati non vi sono barriere né
storiche, né geografiche, né razziali, né ideologiche; il vero scienziato
è alla ricerca della verità e la pone al servizio dell’umanità nel suo
insieme. Ci si trova di fronte a una situazione estremamente importante non
soltanto sul piano internazionale, ma anche in Italia, dove esistono
caratteristiche storiche, concrete ed operative, nelle quali abbiamo
l’obbligo di operare, che non possono essere trascurate se non
vogliamo fare delle riflessioni riguardanti soltanto il nostro intimo senza
tradurre, poi, queste riflessioni in comportamenti concreti.
Attraverso
conversazioni fatte nell’adempimento dei miei impegni istituzionali, rilevo
che in Italia è in atto un travaglio piuttosto importante (magari più forte
a livello concettuale e più rigido nelle strutture che hanno una loro logica
di conservazione) riguardante il passaggio dalla centralità della cultura
classica (che nel passato era dominante) verso un rapido e travolgente
progresso della scienza e della tecnologia come apertura nuova verso la società.
In
qualche misura noi assistiamo a un rovesciamento di tendenza che può essere
pericoloso. Siccome il sapere scientifico è più sconvolgente dal punto di
vista delle novità e fa intravedere traguardi inimmaginabili, c’è il
tentativo (o il rischio) di sostituire la centralità della cultura
umanistica, che riteneva la scienza e la tecnologia un fatto di secondo
livello, allo schema opposto dove la scienza e la tecnologia vengono esaltate
al punto da ritenere che la tradizione culturale umanistica, filosofica,
classica, religiosa, morale non sia più che un ricordo, una memoria storica
da preservare perché l'uomo continui a riflettere, ma che ha scarsa
importanza sulla vita a sul progredire storico.
Si
assiste ad un travaglio che assume una importanza anche per le sue
applicazioni al sapere scientifico, alla tecnologia, alla scienza,
all'innovazione e così via: è quasi una vita residuale dell'altra parte
importante della cultura, quella rivolta alla riflessione complessiva
dell'uomo, sul suo destino,...
Questo
travaglio si riflette anche nelle cose concrete. Oggi in Italia, nonostante le
difficoltà che esistono, è facile far comprendere alla classe dirigente, al
governo, l'importanza di destinare risorse crescenti alla ricerca scientifica
e tecnologica per evitare di essere estromessi dal confronto internazionale,
ma è molto meno facile far comprendere che tutto il resto non va buttato alle
ortiche, che l'innovazione non riguarda solo la scienza a la tecnologia, ma
anche il modo di intendere la filosofia, la storia, la teologia e tutte le
altre scienze umanistiche.
Non
deve sembrare strano che un Ministro della Ricerca scientifica quasi appaia
spaventato dal successo di quello che è la sua cura più importante. Io so
che mio compito istituzionale è evocare, spingere, far comprendere al Paese
che bisogna raccogliere la sfida tecnologico-scientifica ma il timore di
diventare in qualche modo l'apprendista stregone che poi non controlla quello
che può manifestarsi è un timore reale. Non ho nostalgia acritica per la
cultura classica, che pure è servita anche a me per capire molte cose, ma
nutro timore per una mancata ricomposizione tra la scienza umanistica e quella
tecnologico-scientifica, perché vedo nella non ricomposizione di queste due
culture una perdita secca, grave a irreparabile per il progresso complessivo
dell'umanità.
Naturalmente
la ricomposizione non è un fatto meccanico. Anche lo sviluppo delle scienze
umanistiche ha bisogno di tener presenti i cambiamenti che si verificano nella
società, così come gli orientamenti scientifico-tecnologici non possono
dimenticare che qualora manchi questo aggancio fondamentale all'umanesimo c'è
il rischio che si ricada pur con tutto il bagaglio di conquiste e di progresso
che la scienza porta con sè, ad un livello di sottocultura tecnica. Per
l'esperienza che ho anche con frequenti contatti a livello internazionale in
questo campo del progresso scientifico, devo dire che la ricomposizione delle
due culture non è questione the riguarda solo noi in quanto credenti,
riguarda tutto il mondo, tutte le culture, tutte le idealità: la necessità
dell'intrecciarsi della cultura umanistica con quella scientifica, è
avvertita da chiunque abbia una visione della propria funzione professionale
meno schematica e meno legata al suo settore.
E'
un sentimento abbastanza diffuso che però tarda a tradursi nei fatti. E ciò
richiama a quante e quali cose di qualità e non solo di quantità andrebbero
fatte nell'ordinamento scolastico, nell'Università, nei programmi di studio,
nei corsi nella definizione stessa delle lauree a delle cattedre, nella
apertura della scuola alla società.
Questa
parola 'ricomposizione' implica una profonda riforma strutturale della scuola,
della destinazione delle risorse, della formazione a del personale docente.
Disponiamo
di esempi concreti the confermano l'importanza di questa ricomposizione. Qual
è l'atteggiamento che si assume di fronte alle grandi scoperte, quelle che
abbiamo davanti a noi e quelle che nei prossimi decenni vedremo via via, o
vedranno le generazioni che seguiranno a noi? Non è casuale che di fronte a
tutte queste scoperte che possono rappresentare sconvolgimenti di
straordinaria portata nei rapporti tra gli uomini a nelle relazioni tra gli
Stati, vi sia sempre un atteggiamento misto di paura a di facile euforia.
C'è
una parte che ritiene che attraverso le conquiste straordinarie della scienza
a le successive applicazioni tecnologiche 1'umanità abbia la possibilità di
risolvere tutta una serie di problemi che nel passato non ha risolto: quindi,
c'è una valutazione ottimistica a addirittura euforica, quasi che la scienza
di per sé stessa abbia una carica positiva a benefica, comunque applicata,
comunque sviluppata. E' questa una attitudine che risente molto del vecchio
illuminismo che non è più così radicato nella cultura contemporanea, ma che
sicuramente ha degli epigoni soprattutto nei paesi tradizionalmente meno
influenzati dalla cultura classica.
L'altro
atteggiamento è di sospetto verso le scoperte scientifiche a tecnologiche, su
che cosa introdurranno nella nostra vita di ogni giorno, a quindi un
atteggiamento esattamente contrario a quello ottimistico ed euforico: è
quello angosciato a pieno di paura per le conseguenze obiettivamente
catastrofiche che potrebbero derivare da un uso acritico del sapere
scientifico.
Possiamo
fare alcuni esempi concreti.
5.1.
L'ENERGIA NUCLEARE può essere ad un tempo uno strumento potentissimo
per creare condizioni di sviluppo e di evoluzione anche in paesi che ancora
non hanno conosciuto il progresso a può ad un tempo essere occasione di
distruzione totale del pianeta: quindi è comprensibile che ci sia un
atteggiamento euforico circa le possibilità di uno strumento come questo e un
atteggiamento angosciato per le conseguenze disastrose che la medesima
conquista scientifica può provocare nell'umanità.
5.2
LA TECNOLOGIA SULL’INFORMAZIONE è un’autentica rivoluzione: la
massa di informazioni che si possono avere in tempo reale, il poter consultare
biblioteche a banche dati di altri Paesi, il sapere come le ricerche in questo
o quel settore sono sviluppate nel mondo, e così inserire il proprio sforzo
di ricerca nella ricerca complessiva, à una rivoluzione di portata generale.
Non a caso anche gli economisti cominciano a dire "nel futuro non ci sarà
solo il costo del denaro e il costo del lavoro a rendere competitivo un
prodotto, ma la conoscenza sarà uno dei fattori fondamentali, chi conoscerà
di più sarà più potente, più forte anche nelle relazioni economiche".
Anche qui un grande filone inesplorato, ma già sconvolgente, che crea
possibilità mai conosciute nella storia dell'uomo; nel momento in cui si
afferma che più conoscenza consente più possibilità, sorge, come per
l'esempio del nucleare di prima, la domanda angosciata "ma questa
conoscenza da chi sarà controllata? Quale sarà il potere di chi la usa? Sarà
uno strumento di liberazione dell'uomo o uno strumento di dominio di
pochi?". Ritroviamo un atteggiamento duplice: può essere ad un tempo un
mezzo di grande espansione, di grande sviluppo, ma anche di grande pericolosità.
Valuto piuttosto decadente il grande dibattito fatto in questi ultimi tempi su
Orwell a il Grande fratello: si può affrontare questo tema in termini più
moderni e meno legati ad un episodio letterario, ma non c'è dubbio che
l'informatica ha in sé queste potenzialità positive, benefiche e questo
rischio di enorme strumentalizzazione dell'individuo.
I
tempi rispetto alle scoperte iniziali dell'Abate Mendel sono passati molto
rapidamente, e si è addirittura arrivati al confine delle ricostruzioni dei
cicli vitali, della loro manipolazione, del loro cambiamento. Finché tutto
questo si limita alle ricadute positive nell'agricoltura, nell'ambiente, nella
creazione di nuovi farmaci per tutelare meglio la salute umana abbiamo
probabilmente davanti un grande campo dove la scienza apre frontiere di grande
utilità per 1'uomo. Si pensi soltanto ai popoli sterminati dalla fame per i
quali non possiamo soggiacere all'idea che tutto si risolva in aiuti di
emergenza, nel continuare a trasferire in quei paesi la sottoproduzione del
nostro benessere e del nostro tenore di vita. L'applicazione su larga scala
dell'ingegneria genetica applicata all'agricoltura nei paesi della fame
consente di moltiplicare i raccolti, di cambiare il tipo di coltura e di
produzione, di preservare l'ambiente e così via, quindi è una cosa enorme.
Ma l'ingegneria genetica può inoltrarsi in un confine al di là del quale c'è
la sostanza stessa della vita, c'è la manipolazione di geni. Vi citerò anche
qui un esempio: sono stato di recente negli Stati Uniti, e devo dire che nel
Paese dove vige ormai la religione della "deregulation", dove sembra
che abbattendo tutti i vincoli l'uomo possa conquistarsi un destino sempre
migliore, in questo Paese l'unico campo in cui hanno introdotto e mantengono
una normativa piuttosto rigida è proprio quello dell'ingegneria genetica.
Hanno
infatti capito che attraverso quella via possono accadere cose di una
rilevante gravità. Anche questo è un elemento concreto di questa duplicità
the io tengo a sottolineare sulla base delle cose che la mia esperienza ha
portato a toccare con mano.
Ampi
orizzonti si aprono alla ricerca biomedica, non solo per concepire interventi
crescenti tesi alla difesa della vita dell'uomo, ma addirittura alla
sostituzione di organi, alla creazione di forme di sostegno della vita che
erano inimmaginabili tempo fa. Ma accanto agli utilizzi positivi come quelli
di diminuire la sofferenza umana, di porre la scienza a tutela e a difesa dei
valori importanti della vita, vi sono nella ricerca esiti che portano
all'eccesso, all'accanimento terapeutico, all'allargamento della possibilità
degli interventi sull'uomo e sul suo corpo vitale che implicano delle
valutazioni morali non trascurabili.
5.5.
LA CONQUISTA DELLO SPAZIO.
E'
l'ultimo esempio, forse più interessante perché è il più fantasioso. Non
c'è dubbio che la conquista dello spazio da parte dell'uomo apre immense
possibilità. Quando si pensa che con i satelliti scientifici si possono
individuare le risorse terrestri e si può vedere come combattere l'avanzare
del deserto, come individuare nelle foreste amazzoniche le zone da demolire a
da destinare a colture; come progettare le deviazioni dei fiumi e quindi
cambiare la geografia e la natura di intere regioni; quando si pensa che
attraverso la presenza di satelliti nello spazio si potranno scoprire leggi
relative all'energia con ricadute enormi, quando si pensa già a fabbriche in
assenza di gravità che possano produrre farmaci, cristalli e sostanze di un
certo tipo, si vede come anche qui la conoscenza si apre a dismisura e diventa
un'occasione forte di avanzamento del progresso.
Basta
pensare ai mutamenti che ci sono stati nella storia della scienza con
l'invenzione del cannocchiale, con la prima osservazione del sistema solare;
pensate quello che sarà possibile quando nel 1986 si manderà nello spazio il
primo telescopio gigante the invierà sulla terra una mole tale di dati che
tutti gli astrofisici del mondo messi insieme non saranno in grado di
sfruttarli compiutamente perché c'è una sproporzione tra i dati che saranno
tecnicamente disponibili e la capacità umana di elaborarli per trarne delle
conseguenze.
Ma
anche qui quanti sono quelli che intendono la conquista dello spazio come un
modo per far crescere l'umanità tutta intera e quanti invece immaginano la
conquista dello spazio come un segno di prestigio a di dominio o addirittura
progettano la smilitarizzazione per ridurre anche questa grande risorsa a uno
scontro di potenza?
Anche
qui la duplicità emerge nettamente.
Ho
fatto questi esempi per dire come noi dobbiamo compiere ogni sforzo per
lasciar cadere sia l'atteggiamento dell'euforia che quello della paura. Se di
fronte alle conseguenze negative che
possono derivare dalle conquiste della scienza noi dovessimo cadere in un
atteggiamento di chiusura o di rigetto o di rifiuto, noi commetteremmo non
solo un errore storico, non solo andremmo in una direzione diversa da quella
aperta dal Concilio Vaticano II, per quanto riguarda la nostra posizione di
credenti, ma lasceremmo ancora più campo all'utilizzo di queste potenzialità
a quanti, non avendo una visione morale della vita, sono più portati a
sfruttare la scienza in Termini di dominio, di potere e di alterazione delle
regole fondamentali. Quindi noi non possiamo condividere l'atteggiamento di
chi vede nel massimo orizzonte scientifico il massimo di pericolosità per
l'uomo.
Si
deve coraggiosamente guardare
alla scienza includendo anche epoche storiche dolorose di contrapposizione, di
polemiche e di scontri, con un atteggiamento certamente positivo e al tempo
stesso senza esaltazioni aprioristiche, entusiastiche, proprie di chi pensa
che la scienza ci libererà da ogni male.
Riemerge
allora, non in termini di mediazione, ma in termini di valori, il tema della
ricomposizione tra la scienza e l'umanesimo, perché per accettare fino in
fondo i risultati positivi delle conquiste scientifiche, e non cadere in una
superficiale esaltazione delle stesse, bisogna avere un'alta coscienza
dell'uomo singolo, ma anche dell'uomo sociale.
Non
si tratta, infatti, di individuare la ricomposizione come equilibrio tra i
docenti di discipline scientifiche e i docenti di discipline umanistiche, ma
come un fatto unitario, perché l’una a l'altra di queste discipline sono
complementari, sono ricongiungibili ad un'unica cultura del1'uomo, dell'uomo
inteso anche nella sua dimensione di dovere sociale, oltre che di diritto
individuale. La ricomposizione presuppone, quindi, una visione culturale
d'insieme capace di unire questi due fattori, una modifica di strutture
operative, dove la cultura viene svolgendosi e rapportandosi alla società,
una destinazione di risorse che sottragga al consumismo la dispersione di
tante energie e le orienti verso un trasferimento del sapere molto più ampio
e più diffuso ai vari livelli di tutte le classi sociali.
Per
evitare un dominio del sapere bisogna che la crescita culturale sia generale,
anche se di gradazione diversa, senza escludere nessuno: in questa luce la
ricomposizione tra le due culture scientifica e umanistica diventa un problema
chiave del nostro tempo. Ritengo, anzi, che questo problema corrisponda a un
bisogno diffuso.
Le
discussioni che avvengono in varie sedi a vari livelli, sulla utilità di
mettere a confronto e a dialogo, di sottoporre a processi di ricomposizione,
la cultura scientifica a tecnologica con quella umanistica sono abbastanza
diffuse, ma per noi cristiani credo che un tale processo debba essere meno
superficiale, o per lo meno non legato soltanto a motivazioni sostanzialmente
utilitaristiche.
Consentirete
anche al Ministro per la Ricerca scientifica di esprimere questa sua
preoccupazione come credente, perché credo che rispetto a Loreto anche questo
fatto debba emergere. Mentre l'intrecciarsi delle discussioni a livello
culturale sulla ricomposizione tra scienza a umanesimo può avere un confine
dettato dalla prudenza, da realismo, dalla coscienza di valori generali che
appartengono alle varie culture, per noi credenti la riflessione deve essere
molto profonda.
Noi
dobbiamo vedere in che senso, con quale direzione, con quale significato i
nostri sforzi per una rinascita spirituale, per una autentica capacità di
vivere la religione si coniugano con questi problemi che sono così presenti
nel nostro tempo. E forse su questo punto la lezione del Concilio non è stata
sufficientemente sviluppata a approfondita dai cattolici italiani.
Non
è che si può vivere soltanto di citazioni, ma io me ne sono scritte alcune,
tratte dai testi conciliari, che mostrano come questi testi sono rimasti, per
molta parte lettera morta.(E non hanno avuto quella ricchezza di
approfondimento che fornirebbe tante risposte ai problemi che ho affrontato
nella prima parte, della mia relazione, facendoli scaturire non da una
riflessione filosofica, ma dalla constatazione della fase storica in cui
viviamo.
Consapevole
della mia scarsa autorità in una materia come questa, ma della parità
insieme ad altri come credente nell'affrontare la questione impegnativa della
ricomposizione delle due culture, citerò alcuni testi che, a mio parere, sono
molto importanti per dare senso alla riflessione che sto compiendo ad alta
voce.
Traggo
una prima affermazione dalla 'Gaudium et Spes':
"L'umanità
vive oggi un periodo nuovo della sua storia, caratterizzato da profondi a
rapidi mutamenti che progressivamente si estendono all'intero universo.
Provocati dall'intelligenza a dall'attività creativa dell'uomo, su di esso si
ripercuotono, sui suoi giudizi e desideri individuali e collettivi, sul suo
modo di pensare e di agire sia nei confronti delle cose, che degli uomini.
Possiamo così parlare di una vera trasformazione sociale e culturale che ha
dei riflessi anche nella vita religiosa." (1325)
E'
un'affermazione molto precisa che dimostra come lo svolgersi stesso della vita
religiosa si colloca in questa fase straordinaria the l'umanità sta vivendo.
E
prosegue più avanti, sempre nella 'Gaudium et Spes', una frase in chiara
connessione con la precedente, in cui si dice:
"I
fedeli, dunque, vivano in strettissima unione con gli uomini del loro tempo, e
si sforzino di penetrare perfettamente il loro modo di pensare e di sentire,
di cui la cultura è espressione. Sappiano armonizzare la conoscenza delle
nuove scienze, delle nuove dottrine e delle più recenti scoperte con la
morale e il pensiero cristiano, affinchè la pratica della religione e l'onestà
procedano in essi di pari passo con la conoscenza scientifica e con il
continuo progresso della tecnica, in modo che possano giudicare e interpretare
tutte le cose con senso integralmente cristiano". (1531).
Vi
è un elemento di riflessione di una profondità tale su cui anche un convegno
come quello di Loreto potrebbe avviare importanti approfondimenti, non nel
senso della riscoperta di una rivincita integralistica nel nostro modo di
essere di fronte al mondo moderno, tentazione spesso presente tra di noi ma
nel senso di capire come una religione così intesa, una spiritualità così
manifesta si introduce nel progresso delle conoscenze in una maniera non solo
vitale, ma addirittura essenziale.
Senza
questo c'è il rischio che la mediazione tra umanesimo e scienza sia una
mediazione storicamente conclusa non capace di superare il momento storico.
Procedendo
con un altro paragrafo che, sull'onda di quest'impostazione del Concilio, ha
rappresentato veramente una svolta nei rapporti tra scienza a religione:
"A
questo punto, ci sia concessa di deplorare certi atteggiamenti mentali che
talvolta non mancarono nemmeno tra i cristiani, derivati dal non avere
sufficientemente percepito la legittima autonomia della scienza, e che,
suscitando contese e controversie, trascinarono molti spiriti a tal punto da
ritenere che scienza e fede si oppongano tra loro" (1431)
. E'
il paragrafo che fa riferimènto direttamente al caso Galileo e che ha avuto
ricadute enormi nel mondo scientifico contemporaneo.
C'è
una frase di Giovanni Paolo II che mi pare estremamente utile per la
riflessione che stiamo facendo.
In
occasione di una celebrazione alla Pontificia Accademia delle Scienze del
novembre 1979, per il centenario di Einstein, Giovanni Paolo II ha detto:
"Io
auspico the teologi, scienziati, storici, animati da uno spirito di sincera
collaborazione approfondiscano l'esame del caso Galileo e nel leale
riconoscimento dei torti, da qualunque parte provengano, rimuovano le
diffidenze che quel caso ancora frappone nella mente di molti alla fruttuosa
concordia tra scienza e fede, tra Chiesa e mondo. A questo compito che potrà
onorare la verità della fede e della scienza e aprire la porta a future e
proficue collaborazioni, io darò tutto il mio appoggio".
Ci
si può chiedere quale efficacia pratica abbia avuto questo insegnamento sui
nostri comportamenti , sulla nostra stampa, sulla nostra cultura, sulle nostre
università, sulle università pubbliche dove noi siamo presenti.
Ci
si può chiedere come tradurre queste indicazioni di ricomposizione che non
nascono più soltanto dalle esigenze complementari della scienza con
l'umanesimo, ma nascono dal profondo del sentire religioso. Qui, mi pare, c'è
una valutazione molto importante fra quelle che fin qui abbiamo definito
dell'attitudine della coscienza religiosa, della spiritualità, dell'onestà,
della pratica di vita come elemento fondamentale per dare concretezza ad una
ricomposizione che non può essere lasciata a pochi luminari della scienza, a
pochi cultori di umanesimo, ma che deve diventare patrimonio di tutti.
Si
apre oggi una particolare responsabilità per i cristiani, rispetto a questo
modo di intendere la loro presenza nel rapporto tra scienza, tecnologia e
umanesimo.
Ma
occorre sottolineare a questo proposito che il dialogo non deve mai portare
alla perdita della nostra identità. C'è un elemento non negativo anche nelle
ingenuità integralistiche delle nuove generazioni del nostro tempo: c'è un
integralismo che si chiude a riccio, nella presunzione di superiorità, privo
di atteggiamento di carità e di amore verso gli altri, di ascolto e di
capacità di intendere anche il travaglio dell'uomo come tale nella conquista
del sapere (e certamente questo sarebbe in antagonismo con i criteri che
abbiamo fin qui evocati).
Ma
c'è un pragmatismo privo di principi che non è meno disastroso di questa
chiusura integralistica; c'è la necessità quindi di alimentare in maniera
costante una nostra idealità, una nostra identità che non sia ostacolo al
dialogo, ma lo faccia fruttificare, lo faccia andare nella direzione giusta.
Sarebbe
molto utile leggere qui alcune pagine di Theillard de Chardin, anticipatrici
su questo punto, dello stesso Concilio, dove Chardin sposta questa riflessione
direttamente sull'importanza dell'evoluzione anche negli stessi studi
teologici:
"Mi
sembra inammissibile the mentre ogni branca della conoscenza umana ha i suoi
laboratori di ricerca e di esperienza, la Scienza Sacra non abbia alcun organo
di progressione... Non vi è alcun gruppo di cattolici ufficialmente
costituito che si occupi di sollevare, impostare, approfondire i problemi, di
cercare... Bisognerebbe creare un centro di vera ricerca con l'intento di
considerare tutte le questioni e proporre le soluzioni, sia pure provvisorie
in modo di sentire il dovere teologico che rinasce non dalla coscienza
storica, ma dalla trascendenza, per dire che noi non possiamo essere chiusi al
modo di intendere il sapere teologico nelle diverse fasi storiche in cui esso
si manifesta”.
Si
può concludere questa parte dicendo the noi abbiamo una responsabilità in più
rispetto ai laici (intendo la cultura laica) per immaginare questa
ricomposizione delle due culture in termini più ricchi e con una radice
spirituale, morale e religiosa che è implicita nell'abbandono di ogni
confessionalismo, nella capacità di camminare con gli uomini, che è poi la
lezione complessiva del Concilio: quella specifica cui ho fatto riferimento è
quella che dovrebbe aprire grandi possibilità per tutti noi.
Ma
il Concilio non è una svolta importante soltanto sotto questo profilo. C'è
un ultimo punto che non può essere ignorato: ed è la denuncia culturale,
sociale e morale delle grandi disparità che esistono nel mondo e nelle società
concrete nonostante le grandi possibilità che la scienza mette a
disposizione.
Ancora
dalla 'Gaudium et Spes':
"Mai
il genere umano ebbe a disposizione tante ricchezze, possibilità e potenza
economica, e tuttavia una grande parte degli uomini è ancora tormentata dalla
fame e dalla miseria e intere moltitudini sono ancora interamente analfabete.
Mai come oggi gli uomini hanno avuto un senso così acuto della libertà, e
intanto si affermano nuove forme di schiavitù sociale e psichica. E mentre il
mondo avverte così lucidamente la sua unità e la mutua interdipendenza dei
singoli in una necessaria solidarietà, a causa di forze tra loro
contrastanti, violentemente viene spinto in direzioni opposte; infatti
permangono ancora gravi contrasti politici, sociali, economici, razziali,
ideologici; né è venuto meno il pericolo di una guerra totale capace di
annientare ogni cosa". (1327).
Scienza,
cultura, fede dovrebbero portare ad una maggiore coscienza nell'intesa, nella
solidarietà, nella capacità dell'uomo a realizzare un mondo più giusto.
Nella realtà ciò non è frequente.
La
stessa lettura, molto superficiale sia da parte dei sostenitori che dei
contrari, che è stata fatta in Italia della recente lettera dei Vescovi
americani sul tema della disoccupazione, è la dimostrazione del basso livello
morale, scientifico e politico di questo nostro Paese. Non c'è dubbio,
infatti, che se il progresso scientifico e tecnologico deve servire solo a
ridurre i costi della produzione e a creare masse sterminate di disoccupati,
noi abbiamo un'applicazione perversa del progresso stesso; se invece il
progresso scientifico viene utilizzato per risanare le imprese, ma insieme per
migliorare le condizioni di lavoro, accrescere le opportunità di scelta,
creare un nuovo modo di intendere la vita, la salute pubblica, l'ambiente, il
tempo libero, allora ecco che mettiamo il progresso scientifico al servizio
della gente, della umanità.
Non
è che noi dobbiamo chiedere ai Vescovi americani di dirci in che modo
ottenere questi miglioramenti: non si deve, non si può chiedere alla Chiesa
di essere surrogatoria dell'elaborazione scientifica che in questo e in quel
campo deve avvenire; è del tutto futile, allora, il pretendere di criticare
quel documento dal punto di vista della corrispondenza alle leggi
dell'economia, ma bisogna assumerlo dal punto di vista ideologico e morale,
cioè del richiamo all'utilizzo della scienza, della tecnologia, del
progresso, non per creare maggiori disparità tra gli uomini e tra gli Stati,
ma per formare uomini capaci di utilizzare le tecnologie innovative in
funzione del benessere di tutti gli uomini. Non è più possibile fermarci al
campo religioso come se fosse separato dalla storia: è nei comportamenti
concreti che ai cristiani toccano responsabilità gravose nel modo di
intendere l'utilizzo della scienza ai fini di pace, di solidarietà, di
giustizia, di soluzione dei problemi che il nostro tempo deve affrontare.
Anzi,
aumentano le responsabilità. Quando non si disponeva di strumenti scientifici
adeguati, si poteva dire che taluni problemi umani fossero irrisolvibili,
adesso che risolvibili sono attraverso l'utilizzazione dei progressi
scientifici, è una grande responsabilità morale e politica se non si riesce
a dare una risposta positiva.
Ma
in realtà, per mille altri segni a fra mille contrasti, esiste anche una
grande spinta alla riconciliazione tra gli uomini.
Quando
il documento del Concilio constata che, nonostante le cose straordinarie che
avvengono, le quali potrebbero unire, assistiamo ad un mondo che si divide
sempre di più, e che quindi non vive questa unità, noi vediamo che sta
affermandosi l'esatto contrario della riconciliazione.
E
qui vorrei che questa riflessione (se mi consentite la franchezza che ho usato
finora) si sviluppasse tenendo conto del travaglio che avviene anche altrove, perché
lo sviluppo scientifico e tecnologico che pone tutti questi problemi agli
umanisti, ai religiosi, agli uomini di fede, pone analoghi problemi ai
filosofi e agli ideologi di altri movimenti.
La
rivoluzione scientifica (pensate alle conseguenze interne in termini di
organizzazione produttiva, di cambiamento delle classi, di apparizione di
nuovi ceti) sconvolge la lettura marxista della società in modo molto
profondo e crea anche in tutti gli altri modelli del sapere degli elementi di
crisi e di contraddizione. Tipica la crisi dell'illuminismo, perché la storia
degli ultimi cento anni si è incaricata di dimostrare quanto poco lineare
fosse la forza dal progresso. In crisi anche la vecchia analisi marxista, con
la dialettica (scontro di potere) tra le classi tradizionali.
Emblematico
lo scambio di lettere tra Berlinguer a Bettazzi con la constatazione da parte
del più autorevole leader del movimento marxista italiano che la coscienza
religiosa non è più da leggersi come un elemento contrastante con la
liberazione dell'uomo e il sue progresso, anzi la coscienza religiosa può
addirittura essere assunta come presa di coscienza della dignità dell'uomo e
quindi come elemento attivo della trasformazione e del cambiamento sociale. A
questo proposito a me pare che, in diretto riferimento alla tematica della
riconciliazione, noi faremmo un'operazione non solo sbagliata, ma improduttiva
se dovessimo continuare a riproporre il confronto con gli altri in termini di
esclusiva contrapposizione ideologica.
Riproporre
il nostro integralismo nel momento in cui l'integralismo altrui comincia a
venir meno significa fare un'operazione culturalmente e moralmente del tutto
sbagliata e andare nella direzione opposta alla riconciliazione.
Si
va nella direzione di erigere steccati che il progresso storico, invece, va
abbattendo, quando non si comprende, per la paura di misurarsi con gli altri,
o per superbia, che là dove l'uomo cerca la sua liberazione e la sua
affermazione, il dominio della ragione sulle case, c'è un frammento di
cristianesimo, anche se non è militante o praticante. Perché c'è l'uomo. E
noi dobbiamo aver fiducia nell'uomo. Non possiamo immaginare che siamo i soli
depositari della verità storica, quando invece siamo depositari della verità
trascendente.
Ricordo
una bella conclusione di un'enciclica di Paolo VI, quando, partendo da una
valutazione di tutti questi problemi, diceva, rispetto al dovere della
ricomposizione e della riconciliazione, che il primo compito spetta a noi
cristiani cattolici, che dobbiamo leggere il momento in cui viviamo con questa
larga enfasi di apertura verso il mondo, di Chiesa, che cammina con il mondo;
in secondo luogo dobbiamo vedere come nostri interlocutori i credenti di altre
religioni perché chi ha una visione religiosa della vita e ha una qualche
definizione di etica, è più vicino a noi nell'intendere tutto l'uomo e la
sua debolezza rispetto ai problemi da affrontare, ed infine dobbiamo
collaborare con tutti gli uomini di buona volontà che percepiscono, nel loro
sistema ideale e culturale, l'uomo e la sua capacità di dominare la natura e
di piegarla al sevizio generale.
Questa
ricomposizione che parte dalla rinascita spirituale nostra, dal dialogo
ecumenico con le altre Chiese e con le altre religioni, dal dialogo più ampio
con gli uomini di altre idealità, ma tutte orientate a ricomporre l'uomo a la
società, a utilizzare la scienza nel modo giusto, mi sembra essere la
conclusione sostanziale di fronte all'angoscia o all'esaltazione generate dai
progressi della scienza a della tecnologia.
Bisogna
riprendere il filone di ottimismo cristiano, privo di paure e di euforie
superficiali, ma che riposa sulla fiducia fondamentale nell'uomo.
La
consapevolezza che l'uomo acquista la possibilità, attraverso l'avanzamento
delle sue conoscenze, di risolvere in termini solidali i problemi dell'umanità,
eliminando tante privazioni, tante sofferenze, tante miserie, non implica una
diminuzione della percezione della presenza di Dio, ma significa la necessità
di riconsiderare il ruolo dell'uomo nel contesto dell'ambiente.
Cito
a questo proposito una frase di P. Arrupe:
“In
realtà il Dio della rivelazione cristiana non toglie all'uomo, ma dà
soltanto, non distrugge la libertà umana, ma la crea, la esalta, la rispetta.
Non vuole l'uomo povero a miserabile, ma lo vuole grande a ricco; non ha
invidia della sua felicità, ma lo vuole infinitamente felice. C'è di più:
per la Bibbia Dio è grande non quando l'uomo è piccolo, abbandonato e
umiliato, ma quando è grande perché la gloria di Dio è la grandezza
dell'uomo".
Questa
capacità di intendere la faticosa marcia dell'uomo per conquistare il suo
futuro, viene ricollegata alla percezione di Dio e alla percezione di Dio
nella storia.
Dio
ricava la sua gloria dal fatto che l'uomo che Egli ha creato per amore, e ha
colmato di doni (primo di ogni altro il dono della libertà), è vivente perché
è nel vivere, cioè nello sviluppare pienamente se stesso che l'uomo mostra
la grandezza di Dio.
Se
la creazione è imperfetta non è perché Dio sia stato incapace di creare un
mondo perfetto, ma è stato per dare all'uomo la possibilità di portare a
compimento la sua opera, di completare a perfezionare il suo agire, al fine di
portare l'uomo a un giusto ottimismo per tutto quello che egli è nella sua
interezza, anche nei suoi travagli e nei suoi frammenti di verità. Tutto
questo è, secondo me, la base della riconciliazione ed è la base che può
portare a liberare il nostro tempo storico da quella anacronistica chiusura
antireligiosa della cultura laica e marxista che è un residuo del passato,
così come ne è chiusura il confessionalismo e l'integrismo che immaginano
ancora la riconquista del mondo più che la capacità di camminare con il
mondo nella esaltazione di questa funzione ottimistica e positiva dell'uomo:
questo mi pare l'elemento della riconciliazione.
E
siccome ho iniziato questa mia riflessione citando il premio Nobel per la
fisica, il Prof. Carlo Rubbia, voglio concluderla con una citazione semplice,
che riferisco a memoria, di un altro premio Nobel, il Lorentz, che ha una
espressione di straordinaria bellezza a proposito di questi ragionamenti
finali che io ho cercato di fare.
"Dio
esiste e, come è avvenuto per la creazione, possono ancora accadere cose
imprevedibili che aiutano l'uomo a dominare la natura e a meglio comprendere
la verità del trascendente".
Di
fronte ad alcuni che pensano che nella imprevedibilità della scienza e del
progresso ci sia una minaccia per l'uomo, altri vedono una continuità della
creazione e la capacità dell'uomo di operare sulla perfettibilità della
creazione.
Mi
pare questa l'occasione migliore per penetrare ancora di più il mistero della
trascendenza e dell'essere cristiani.
Del
pari, mi pare l'elemento di grandissima importanza per la Chiesa italiana, per
i cattolici italiani, per i credenti tutti per dare al messaggio cristiano
quel valore di testimonianza e di profezia che vale più di tutte le parole
fuse insieme, ma povere di vita per mancanza di esempio.
Roma,
17-19 febbraio 1985
2.
L’IMPEGNO PER UNA RICONCILIAZIONE TRA SCIENZA E UMANESIMO
3.
E’ ILLUSORIA LA RICERCA DI UN PRIMATO TRA LE DUE CULTURE
4.
LA RICOMPOSIZIONE CULTURALE E' CONDIZIONE DI PROGRESSO STORICO.
5.
ANGOSCIA ED EUFORIA PER LE CONQUISTE SCIENTIFICO TECNOLOGICHE.
5.3.
L'INGEGNERIA GENETICA.
5.4.
LA RICERCA BIOMEDICA.
5.6.
OSSERVAZI0NI DI CARATTERE GENERALE.
6.
UN DIALOGO COSTRUTTIVO PER INTEGRARE LE DUE CULTURE
7.
LE PROSPETTIVE DEL CONCILIO ECUMENICO VATICANO II.
8.
SPERANZE PER IL CONVEGNO ECCLESIALE DI LORETO.
9.
IL VALORE DEGLI INSEGNAMENTI DELLA CHI ESA NEL MONDO.
10.L'UNITA'
E LA PACE NELLA GIUSTIZIA DEL GENERE UMANO.
11.
LA GRANDE CAUSA DELLA RICONCILIAZIONE TRA GLI UOMINI.
12.GLI
UOMINI SONO CHIAMATI A PERFEZIONARE LA CREAZIONE.
Prospettive di riconciliazione per la Chiesa d’Italia
Seminario dei sacerdoti Docenti delle Università italiane
Luigi Granelli
Ministro della Ricerca Scientifica e Tecnologica