Il testimone della staffetta è passato a lui: il ministro della ricerca scientifica Luigi Granelli s’è fatto paladino della campagna contro la sempre più massiccia presenza delle imprese multinazionali in Italia. Le numerose acquisizioni di aziende italiane nel corso del 1984 hanno suscitato apprensione nel mondo politico. Il ministro dell’industria Renato Altissimo era stato il primo a farsi interprete dei timori di “colonizzazione” industriale, annunciando in settembre la presentazione di un disegno di legge del governo destinato a porre dei vincoli all’ingresso delle multinazionali nel capitale delle imprese italiane. Gli si era accodato il parlamentare democristiano Franco Foschi con un disegno di legge severissimo che praticamente impedirebbe ogni ulteriore acquisizione nel settore farmaceutico. Di concreto però non era successo nulla.
Chi invece ha pensato di muoversi davvero è stato il ministro democristiano Granelli che, con una mossa a sorpresa, è riuscito a far rinviare l’approvazione dei finanziamenti ex legge 46 del 1981 ai progetti di ricerca presentati dalle consociate italiane di cinque multinazionali. Il fatto risale al dicembre scorso. Venne convocato il comitato tecnico-scientifico costituito per gli adempimenti della legge 46. furono esaminate 46 relazioni istruttorie già passate al vaglio dell’Imi secondo la procedura prevista dalla legge.
Alla fine, tra l’altro, fu messo a verbale: “In tema di progetti presentati da aziende multinazionali, il comitato esprime l’opportunità che vengano esaminati attentamente i problemi del riparto dei programmi di ricerca fra società estere e società italiane, del regime della proprietà delle licenze e dei brevetti, nonché dell’industrializzazione in Italia dei risultai delle ricerche”.
A far le spese dell’iniziativa del comitato sono stati i progetti di cinque società: la Bayer italiana (farmaci anti-secretivi – antiulcera); la Elettronica, un’azienda italiana nella quale è recentemente entrata con una quota di minoranza la Plessey inglese (sistema integrato di misura e contrasto di emissioni elettromagnetiche); la Grace italiana (materiali flessibili per imballaggio); la Gte telecomunicazioni (convertitori agili di frequenza); la Honeywell information systems Italia (sviluppo di un sistema di elaborazione general purpose di piccole dimensioni).
La cosa ovviamente non è passata inosservata. Il vicepresidente della Confindustria Franco Mattei ha scritto al ministro Granelli, ma la reazione più dura è venuta da Business international, l’associazione che raggruppa le società a prevalente capitale estero operanti in Italia. Nella lettera di Angelo Forte, vicepresidente dell’associazione, al ministro Granelli, si lamenta “il disagio degli associati di fronte alla possibilità di atteggiamenti discriminatori nei confronti delle imprese con casa madre straniera”. “Eventuali difformità di trattamento – aggiunge Forte – oltre ad essere giuridicamente improprie di fronte alla norma italiana, potrebbero generare incertezza anche sulle decisioni di investimento”.
E Granelli come risponde? Intervenendo ad un convegno promosso dalla Honeywell information systems ha precisato che “il finanziamento della ricerca delle imprese multinazionali non può essere indiscriminato”.
In sostanza si dovrebbero privilegiare le società che fanno ricerca in Italia, che permettono la crescita e l’avanzamento tecnologico delle aziende italiane dell’indotto, che esportano dall’Italia.
Sarebbe per contro assurdo finanziare progetti di imprese che hanno soltanto unità produttive in Italia.
Non molto tempo dopo lo stesso Granelli, intervenendo all’inaugurazione di un nuovo stabilimento della Farmitalia-Carlo Erba, si è lanciato in una vera e propria filippica contro la svendita delle aziende farmaceutiche italiane alle multinazionali.
“Troppe aziende nazionali” ha detto, “si sono lasciate, per così
dire, internazionalizzare per scarsezza di finanziamenti o per miopia: d’ora
in avanti non sarà più così”.
Il Mondo
18 marzo 1985