LE RESISTIBILI IDEE DI BISAGLIA

Nel rilanciare con la sua intervista a “la Repubblica” alcune proposte istituzionali, formulate con più precisione che nel passato, il senatore Bisaglia si è ispirato a cautela e saggezza. Queste doti emergono, in particolare, quando si sollecita un dibattito su questioni di rilievo, non prive di effetti politici dirompenti, con la cura di rinviarne le conclusioni alla “non lontana assemblea nazionale della DC”. Un’eco di questa problematica di aggiustamenti istituzionali, che lascia per ora in ombra il tema della modifica della Costituzione repubblicana, si trova anche nelle anticipazioni di un tormentato e ambizioso saggio dell’onorevole Martelli fornite dal settimanale “l’Espresso”. Si può presumere, anche in questo caso, che l’appuntamento decisivo e risolutore sia il non lontano congresso del PSI.

Poiché Bisaglia osserva che il primo governo Forlani non è un governo di legislatura, anche se non è a termine, non ci vuole molto ad immaginare che dopo le impegnative scadenze che attendono la DC ed il PSI potrebbe aprirsi, in Italia, una nuova stagione istituzionale e politica, destinata a modificare in profondità il nostro ordinamento. Non fosse altro che per questo, è doveroso accogliere l’invito al dibattito.

Il rinvio di decisioni al termine di un’approfondita riflessione è saggio perché se talune di queste proposte, in particolare quelle relative al sistema elettorale, fossero finite sul tavolo del presidente del Consiglio incaricato, il compito di Forlani non sarebbe stato facilitato. Si pensi alle conseguenze per i partiti cosiddetti “minori”, invitati ad apparentarsi o con la DC o con il PCI, con la lusinga di un premio elettorale destinato solo a loro in base ad una singolare concezione giuridica che trascura ogni obiezione di legittimità costituzionale, ed alla istituzionalizzazione della egemonia dei grandi partiti portati, inevitabilmente, a fronteggiarsi in due schieramenti contrapposti.

Dove finisce, in questo caso, l’ipotesi di terza forza rilanciata di recente dal PSI e dal PSDI? Quale destino avrebbero partiti significativi come il repubblicano ed il liberale? È immaginabile e positivo che la DC ed il PCI assumano innaturalmente, la prima il ruolo di perno di uno schieramento conservatore ed il secondo la guida di uno schieramento genericamente riformista?

Gli accorgimenti tecnici non sono risposte a queste obiezioni politiche di fondo. Non cambia nulla se, al posto della minaccia di un sistema uninominale all’inglese, si offre ai partiti “minori” l’alternativa di un doppio turno secondo il sistema francese che li vedrebbe comunque soccombenti. Né è pensabile che il PCI (basta leggere quelli che scrivono suoi esponenti autorevoli e competenti) accetti, in sostanza, un’ipotesi da seconda Repubblica soltanto perché viene loro concesso, sulla base delle proposte di Bisaglia, di organizzare sotto forma di “governo ombra” quello che già hanno e cioè responsabili di settore, come Pecchioli e Pajetta, a capo di burocrazie più efficienti di quelle ministeriali.

Non diverse, anche se meno organiche, sono le proposte di Martelli. L’autorevole esponente socialista, pur affrontando con citazioni di Del Noce e di Baget-Bozzo questioni attinenti ai massimi sistemi come la rifondazione della sinistra, la conciliazione tra socialismo e cristianesimo, il rilancio addirittura religioso dell’utopia a condizione che si accetti il riformismo possibile, finisce con il proporre modesti ritocchi ai regolamenti parlamentari, ambigue revisioni dei sistemi elettorali, nel contesto del primato di alcuni partiti destinati ad assicurare l’ordine della governabilità rispetto al disordine delle spinte sociali e politiche.

Come è possibile, in queste condizioni, muoversi verso la modifica di meccanismi delicati, con la pratica archiviazione della proporzionale, se con facile previsione manca quell’accordo “tra tutte le forze politiche, senza nessuna forzatura” che lo stesso Bisaglia auspica per il successo delle sue proposte?

È vero che egli stesso afferma che le sue idee in questa materia non sono dei dogmi, ma l’improvviso candore non può fare dimenticare che l’autore di queste tesi è un importante “leader” democratico-cristiano e che, tra l’altro, egli è membro importante di un governo che assume, con giuramento, la Costituzione come base di ogni azione.

Vuole forse dire, quest’affermazione, che la Costituzione è un tabù? Niente affatto. Dobbiamo ricordare che i “padri fondatori” della Repubblica hanno opportunamente messo a disposizione delle generazioni future i mezzi per modificare, anche in profondità, la Costituzione a condizione che tali modifiche dispongano di un largo consenso in Parlamento. Ma il procedimento, in questo caso, è del tutto opposto. Al di là dei ruoli di governo e di opposizione è possibile cambiare, sulla base di un ampio consenso popolare e non di bizzarre teorie di ingegneria costituzionale., la Costituzione in punti sostanziali. Se si tiene conto di questa premessa si comprende come l’avvio di una nuova fase costituente, certamente necessaria, richiede un’intesa preliminare tra le forze democratiche e popolari che hanno fondato la Repubblica e non, all’opposto, lo scontro radicale tra di esse.

Su questa strada molte modifiche sono possibili, rispetto a quanto stabilito con largo consenso nel 1947, ma non quella di sostituire la volontà popolare interpretata dai partiti con i sogni autocratici di questa o quella oligarchia. Non ci riferiamo, con questa affermazione, agli insegnamenti di Aldo Moro così attento alla realtà sociale e politica del paese da non cadere mai in visioni astratte ed illuministiche dello Stato.

Riprendiamo, in modo aggiornato, la lezione di Sturzo, di De Gasperi, dei costituenti democratici-cristiani che hanno contribuito, insieme ad altre forze ideali e politiche, a fondare la Repubblica. Lo Stato, secondo questi maestri del nostro pensiero politico, è la proiezione in termini di ordinamento giuridico, della società e del suo incessante sviluppo sociale, culturale, politico.

Per questo l’intesa tra tutti i partiti costituzionali, come conseguenza di un esame di merito dei problemi da affrontare, è la premessa indispensabile di riforme radicali dell’attuale ordinamento.

Procedendo in senso opposto si arriva alla seconda Repubblica vagheggiata, non a caso, per interrompere con una stabilizzazione istituzionale una evoluzione politica che, coinvolgendo anche il PCI, minaccia troppi interessi. Non sembra che le scorciatoie istituzionali e le involuzioni politiche siano una via d’uscita della crisi attuale. È bene ricordare che il pluralismo del nostro sistema politico è una peculiarità positiva, non un cancro da estirpare, e che la difesa del principio della proporzionale è qualcosa di più di un sistema elettorale. C’è da scegliere tra la forza della vita che scaturisce dalla società e la burocratizzazione del nostro futuro che viene proposto, se non da Bisaglia e da Martelli, dai sostenitori accaniti di una seconda Repubblica che annulli le conquiste della prima.

C’è ancora tempo per riflettere prima di lanciare in modo spericolato idee quanto meno ambigue che meritano, da noi e da altri, risposte motivate ed esaurienti anche in altra sede.

la Repubblica
sabato 18 ottobre 1980
Luigi Granelli