DIOCESI DI MILANO: promemoria per il "Caso Granelli" (1958)

Fabiano De Zan, direttore del "Cittadino" di Brescia, in un suo articolo: "Democristiani e cattolici", che "Stato Democratico" (giornale della "Base") ha riportato nel numero del 5 maggio 1958, scrive: "E' naturale pensare che questi interventi (nel caso Granelli) di autorevoli esponenti cattolici (allude all'articolo dell'Osservatore Romano contro il Tempo e alla precisazione de l'Italia al comunicato del Il Popolo sul "cordiale colloquio" dell'Arcivescovo di Milano col Granelli stesso) abbiano un significato non politico, ma esclusivamente religioso e ideologico, poiché solo a questa condizione essi possono essere giustificati. Ma in tal caso, essi mancano proprio di quella documentazione su cui ogni accusa (massime di ordine ideologico) dovrebbe essere fondata. In che senso i candidati D.C. diffidati sarebbero venuti meno all'ortodossia? Quali dichiarazioni o atteggiamenti hanno provocato quella sanzione che dovrebbe mettere in guardia gli elettori cattolici? La D.C. ha il diritto di saperlo con esattezza per dissipare ogni pericolo di un malinteso". Allo zelo di Fabiano De Zan per la verità cattolica, rispondiamo che "i candidati D.C. diffidati" pubblicamente sono uno solo, e cioè il signor Granelli; e che se la D.C. ha "diritto di saperlo con esattezza" siamo in grado di offrire la documentazione giustamente richiesta, nell'identico scopo di "dissipare ogni pericolo di malinteso".

a) Il problema dell'apertura a sinistra.

In una serie di articoli dal titolo generale "Cattolici e socialisti in Italia", pubblicati sul settimanale della "Base" in tre successive puntate (Stato Democratico, anno II, n. 5, 5 gennaio 1958 - "Un discorso preliminare e necessario"; id. anno II, n. 5, 5 gennaio 1958 - "Il problema va collocato a livello politico"; id. anno II, n. 9, 5 marzo 1958 - "Nello Stato democratico la base è il limite di ogni collaborazione"), Luigi Granelli si propone di "esaminare l'importante e decisivo problema dei rapporti tra cattolici e socialisti nel nostro paese". (Stato Democratico: anno II, n. 5, pag. 9). Nel primo articolo ("Un discorso preliminare e necessario") l'autore critica tre modi errati di porre il problema.

1) Il primo "si riduce in sostanza ad auspicare un incontro tra D.C. e P.S.I. ad un livello puramente governativo". Si tratterebbe di "un accordo puramente parlamentare per far passare una legge o formare un governo". "Qualsiasi soluzione di questo tipo, osserva il Granelli, posto che riuscisse .... sarebbe certamente precaria, priva di giustificazioni ideali e, comunque esposta a pericolose insidie e a pesanti cedimenti" (Stato Democratico, anno II, n. 5 pag. 9).

2) La seconda falsa posizione del problema "auspica addirittura una conciliazione di principio, sul terreno astratto dell'analisi culturale e dell'ideologia, come fase obbligatoria e preventiva a qualsiasi accordo in campo politico". Di questo parere, dice il Granelli, sono gli utopisti che "si illudono di giungere per tale via ad ottenere tutti i crismi ideologici necessari per un pacifico esperimento di collaborazione politica". Ed anche certi realisti in mala fede che "nella radicale inconciliabilità dei principi cui si ispirano le due forze politiche, intendono giustificare aprioristicamente, senza fare i conti con la realtà storica, la propria opposizione a qualsiasi incontro tra cattolici e socialisti". (Stato Democratico, anno II, n. 6 pag. 9).

3) Il terzo modo errato riduce "l'incontro ad una convergenza programmatica, anche se in forme più estese e più organiche di una pura alleanza parlamentare". Il Granelli lo critica sia perché non si può credere che "un partito politico possa facilmente convergere sul programma dell'altro e accettarne la funzione di guida rinnegando praticamente tutte le ragioni della sua precedente differenziazione"; sia perché è falso ritenere, a suo parere, che " un'alleanza politica trovi le sue giustificazioni soltanto sul terreno pratico e non debba invece provocare anche un sistematico ripensamento delle ragioni di fondo, culturali e storiche, che al di là delle cose fatte o da fare - riesca a rompere continuamente certi chiusi assolutismi ideologici delle forze che lealmente collaborano e ad arricchire quindi la collaborazione stessa di sempre nuovi valori ideali e di sempre nuovi motivi strategici". (id.) Il Granelli conclude l'articolo ora esaminato con queste espressioni: "Vogliamo sperare che, una volta sbarazzato il terreno dai troppi equivoci, si possa finalmente sviluppare una franca discussione fra quanti, pur pensosi della necessità di non correre il rischio di pericolose avventure o di non inseguire ingenue illusioni, sanno che è ormai tempo di aprire delle prospettive concrete ma non frettolose e superficiali ad  un incontro tra cattolici e socialisti che consenta un effettivo sviluppo in chiave di libertà, dello Stato Democratico italiano".

A questo punto mi pare di poter riassumere schematicamente così:

Nota critica

Non è facile capire come esclusa la possibilità di un incontro programmatico (ritenuto troppo precario e pericoloso) e d'una conciliazione ideologica (giustamente giudicata impossibile) ci si possa trovare d'accordo coi soci ali sti su nuovi valori ideali: perché anche l'ideale dello stato democratico si ispirerà, nei suoi principi profondi, (derivanti dal diritto naturale e dall'etica) alla diversa concezione dei valori supremi della vita, che sono caratteristici delle due correnti. Il Granelli scrive nel secondo articolo ("Il problema va collocato a livello politico": Stato Democratico, anno II°, n.6, pag.9): "é naturale che il P.S.I. sia marxista e classista, come é naturale che la D.C. sia interclassista e abbia della libertà un concetto che supera la visione economicista del marxismo o del liberalismo italiano". Ma se é vero questo, anche l'idea le dello stato democratico che ciascuna corrente si propone di realizzare sarà necessariamente dettato e caratterizzato dalle differenti concezioni ispiratrici dei due movimenti. Sicché non può essere accettata la protesta del Granelli: "sbagliano coloro i quali ritengono che un incontro tra socialisti e cattolici sia possibile a patto che i primi rinuncino al marxismo o al classismo; o che i secondi cessino di essere cattolici o interclassisti" (Stato Democratico, anno II°, n. 6 pag. 9). Effettivamente, se una collaborazione su un programma non può essere durevole, tanto meno é possibile un incontro sui nuovi ideali senza una rinuncia sul terreno dei principi. E poi, questo  rincorrere "nuovi ideali " e questo ritessere "nuovi motivi strategici" in collaborazione coi socialisti, non ha forse il senso d'una implicita confessione di insufficienza dottrinale e di incapacità o di impotenza pratica del cristianesimo sociale? Si può essere cattolici quando non si crede più alla sufficienza e alla vitalità della dottrina della Chiesa ?

b) Rapporti tra politica e morale.

Il secondo articolo (Stato Democratico, anno II n. 6 pag. 9 - "Cattolici e socialisti in Italia - Il problema va collocato a livello politico") prende lo spunto dalla polemica sorta cinque anni fa, all'indomani delle elezioni del 7 giugno 1953, tra Padre Messineo e Don Carlo Colombo, a proposito di apertura a sinistra. "Il giudizio di Padre Messineo, scrive il Granelli, ricava il suo carattere negativo da ragioni ideologiche e di principio che di per sé escluderebbero in ogni caso la possibilità di alleanze tra forze ad ispirazione diversa e ridurrebbero così alla radice il contenuto di libertà e di tolleranza democratica." "Il giudizio di liceità difeso da Don Carlo Colombo non ricava la sua giustificazione da una minore fedeltà ai principi supremi, ma è suggerito soltanto da motivi particolari e contingenti di ordine storico-politico". "Ha ragione Padre Messineo quando mette in guardia da certe pericolose tendenze al progressismo ponendo l'accento sulla inconciliabilità esistente tra i principi ispiratori dei cattolici...e l'ispirazione marxista o laicista". "Sarebbe tuttavia arbitrario e scorretto pretendere di trarre da ciò delle conclusioni direttamente pratiche". "L'opportunità o meno di una alleanza tra i partiti in un sistema democratico nasce a livello politico e non può mettere mai in discussione quella sostanziale distinzione ideologica o di principio che deve permanere anche tra le forze che sono portate a collaborare in un dato periodo storico". "Ne consegue perciò che, mentre per quello che riguarda la difesa dei valori e dei principi non può essere posta in discussione da un cattolico la funzione insostituibile del Magistero della Chiesa, per un credente che si muove nello spirito e nella lettera della Costituzione ... il problema della alleanza politica deve essere valutato con le categorie di giudizio proprie della politica e da chi dispone di effettive e determinanti responsabilità su questo piano specifico". In particolare, "il problema dei rapporti tra cattolici e socialisti", che "nasce in Italia, e non a caso, a livello politico ed è imposto dalla particolare storia del nostro paese",...."deve essere anzitutto affrontato sul terreno in cui prende vita e si sviluppa". "Il discorso ... va perciò condotto su un piano rigorosamente politico, senza ingenuità di carattere sociale e senza intolleranti e e ingiustificate preclusioni ideologiche".

A questo punto possiamo così riassumere in forma schematica:

Nota critica

Tali affermazioni, non ci persuadono perché:

  1. non è la Chiesa che crea artificiosamente, per intolleranza ideologica un legame tra la verità o la morale e l'ordine temporale; ma sono le stesse azioni dell'ordine temporale, le stesse scelte politiche, che, in quanto azioni umane e libere, sono passibili di giudizio morale.
  2. perché anche in situazioni in cui non è evidentemente in gioco l'ortodossia, la Chiesa può chiedere ai fedeli di preferire ciò che Essa giudica più adatto a salvaguardare gli interessi spirituali coinvolti in una determinata scelta politica.

E a proposito di "apertura a sinistra" (intesa non solo in senso ideologico, come è evidente, ma anche in senso tattico o programmatico) l'Autorità Ecclesiastica ha creduto opportuno, almeno fino ad ora, di esprimere un parere negativo, proprio per il pericolo in cui, a suo giudizio, verrebbero a trovarsi nelle attuali circostanze in Italia, gli interessi spirituali della Comunità cristiana, minacciata dal P.C.I., di cui il P.S.I. è fedele vassallo. Si tratta di raccomandazioni pressanti, più che di ordini veri e propri che vincolino in virtù di obbedienza. Ma siccome sono raccomandazioni espresse non senza una giustificata preoccupazione per gli interessi spirituali dei fedeli, esse impegnano almeno in virtù di prudenza. La quale non è una virtù facoltativa; e il suo esercizio, in un caso come questo, diviene senz'altro moralmente obbligatorio. A meno che qualcuno sia certo dia vere motivi così seri, da controbilanciare le pur gravi ragioni dell'autorità. Ma il signor Granelli ha, obiettivamente, delle giustificazioni di tanto peso? E' evidente che la fatale necessità storica dell'apertura al socialismo da lui sostenuta è solo un'affermazione aprioristica e gratuita, che sa (e questo è il peggio) di dottrina marxista. Vi si sente infatti la reminiscenza di una tesi tanto cara al Comunismo: la tesi messianica della ineluttabile dittatura finale del proletariato, a cui la storia ci porterà fatalmente. Da tutto il contesto del discorso del Granelli, affiora poi l'impressione che l'autore sostenga un dualismo tra la politica e la morale, tanto marcato da far pensare ad una separazione netta, se non ad una opposizione, tra i due settori dell'agire umano.

c) Rapporti tra autonomia e obbedienza di fronte all'autorità della Chiesa.

Fatte le premesse sopra accennate circa "le categorie di giudizio proprie della politica"; posto il diritto di valutare il problema delle alleanze "da chi dispone di effettive e determinanti responsabilità" sul piano specifico della politica; tenuto presente il fatto che sull'apertura a sinistra l'Autorità Ecclesiastica ha espresso parere negativo; nasce il problema dei rapporti tra l'autonomia ("del credente che si muove nello spirito e nella lettera della Costituzione" per risolvere un problema che si pone "su di un piano rigorosamente politico") e l'obbedienza del cattolico al Magistero della Chiesa. L'argomento non è trattato su "Stato Democratico" da Luigi Granelli, ma da Enrico De Mita, il quale, più che esprimere sotto propria responsabilità un suo punto di vista, si riallaccia a due articoli: uno, "discutibile", ma "degno di attenzione", pubblicato da Sergio Ristuccia su "Comunità" (1957, n. 49); l'altro di Lorenzo Burzio su "Vita e pensiero" (sett. 1957). Benché lo scrivente, come ho detto, non sia il Granelli, la questione dei rapporti tra autonomia e obbedienza viene presentata come "un argomento complementare, o, se si vuole, preliminare a quello che va impostando chiaramente su queste colonne Luigi Granelli in tema di rapporti, sul terreno politico, fra socialisti e cattolici". (Stato Democratico, anno II, n. 7 pag. 5). Data l'affermata complementarietà, e perché effettivamente, le opinioni del De Mita non sembrano diverse da quelle espresse altrove dal Granelli, riassumiamo l'articolo, che ci pare particolarmente delicato e significativo. Il Ristuccia, citato da "Comunità" scrive: "Gli atteggiamenti che la Chiesa ha il diritto (e il dovere) di dettare ai cattolici possono sì riguardare campi fondamentali della vita pubblica ma non sono poi tanto ampi e numerosi, riguardando le somme questioni di morale e di fede. Se la Gerarchia, in particolari condizioni storiche, allarga i suoi interventi, sta prima di tutto ai cattolici non cedere facilmente per malintesi timori riverenziali, all'illegittima pressione". I passi citati dall'articolo di Lorenzo Burzio su "Vita e pensiero" pongono il seguente caso di coscienza: "Un cattolico davanti ad una prescrizione della gerarchia ecclesiastica su questioni opinabili in campo politico, essendo di parere contrario alla prescrizione per chiara evidenza razionale (sia pure soggettiva) è vincolato in coscienza all'obbedienza?". La risposta del Ristuccia incita alla resistenza. Il Burzio, invece, premesso che la Chiesa non è infallibile nell'esercizio dell'autorità di governo, risponde che il cattolico non è tenuto a modificare il suo parere, ma deve obbedire, se il comando è legittimo. Ma se la gerarchia "caricasse di un valore di magistero ciò che è pura attività di governo, oppure uscisse completamente dal proprio ambito, esercitando un intervento in materia che non ha alcun rapporto con la vita soprannaturale della comunità cristiana", allora "la situazione diverrebbe illegittima". E in tale congiuntura il cattolico avrà la libertà "di far sentire il suo pensiero" e di "operare per influire sulle disposizioni opinabili, regolando la condotta con la virtù della prudenza cristiana". Applicando le idee del Burzio all'apertura a sinistra, punto sostenuto dal Granelli, il De Mita scrive: "oggi in Italia la realizzazione dello stato democratico esige l'equilibrio fra le forze politiche che hanno messo in crisi lo stato storico liberale e l'equilibrio si realizza attraverso il libero gioco delle forze politiche. Ora il libero gioco politico invocato, in campo cattolico può essere impedito da prescrizioni della gerarchia su questioni opinabili, su questioni cioè che non abbiano attinenza con le somme questioni di morale e di fede". Qui è chiaro che per lo scrivente l'apertura a sinistra è una delle "questioni opinabili" che non hanno "attinenza con le somme questioni di morale e di fede". E dimenticando che un giudizio in proposito (se siano cioè in gioco "le somme questioni della morale e della fede) spetta pur sempre alla Gerarchia, il De Mita si trincera dietro l'autorità di Don Colombo e scrive: "quanto rientri tra le questioni opinabili l'incontro, sul terreno politico, tra socialisti e cattolici è stato sufficientemente dimostrato dal teologo Don Colombo nella polemica con il gesuita Padre Messineo". E quindi sottoscrive, riferendola alla questione dell'apertura a sinistra, la conclusione che il Burzio pone al termine del suo articolo: "oggi la situazione si sta modificando......Da una parte è in atto una crescita del laicato cattolico italiano; e dall'altra la situazione del comunismo mostra già segni evidenti di crisi. Anche l'atteggiamento dell'autorità ecclesiastica non mancherà di seguire attentamente la realtà in evoluzione". "Se lo sviluppo avverrà in modo normale, secondo la logica dei principi, la funzione di supplenza che la gerarchia è stata costretta ad assumere, verrà lentamente diminuendo, fino a ridursi al campo strettamente dottrinale, in corrispondenza alla crescita dell'azione laica in Italia". "La durata di questa fase non è prevedibile, poiché essa dipende da tanti fattori: l'augurio dello scrivente è che ciascuno faccia quanto è in suo potere per accelerarla". L'augurio del Burzio trova addirittura "entusiasti" De Mita, Granelli e c., i quali esprimono in più la speranza che il loro giornale riesca a "fare tutto il possibile per abbreviare la durata della fase che ci porti ad una effettiva democrazia" A questo punto mi pare di potere così riassumere:

Nota critica

Tralasciando molte riserve evidenti (la più grave delle quali riguarda l'appello all'autorità di un teologo per eludere l'autorità della Gerarchia), vorrei osservare come il De Mita manchi di obbiettività nell'interpretare a favore proprio e del Granelli gli scritti di persone (come Don Colombo e il Burzio) che non intendevano restringere il loro discorso nel contesto delle idee della Base. E a proposito, soprattutto, di Don Colombo, mi pare doveroso citare quello che l'illustre maestro scriveva il 9 maggio su l'Italia, nell'articolo: Verso le elezioni. Mi sembra la confutazione più precisa e più autorevole delle posizioni di Granelli e c. "Sostituire il proprio giudizio a quello della Gerarchia quando questa, interpretando la legge morale cristiana, enuncia dei doveri di coscienza, significa in realtà la negazione dell'autorità della Chiesa: chi non accetta l'autorità della Chiesa quando i suoi ordini non rispondono alle proprie vedute erige se stesso a supremo giudice o a suprema autorità morale. Il che sarà libero pensiero o coerenza al principio protestante del libero esame, ma non è cattolicesimo".

Osservazioni

Le idee che il Granelli esprime nel 1958 su Stato Democratico sono già apparse nel 1954 su Prospettive, in editoriali non firmati (che potrebbero essere del Direttore Aristide Marchetti) ed in articoli di Giuseppe Chiarante, attuale capolista del P.C.I. di Bergamo. Quindi si tratta di un fermento ideologico non occasionale; né si può credere, come mi diceva ieri (14 maggio 1958) il segretario provinciale di Milano, Giovanni Marcora, che si tratti di posizioni ormai superate. Cito alcuni periodi dall'articolo: "Provvedimenti anticomunisti", apparso su Prospettive del 25 dicembre 1954 (anno I n. 2-3): "in che cosa consiste il vizio ideologico o culturale delle forze di sostegno dello stato democratico? Proprio in questo, nella incapacità di uscire dai termini astratti e politicistici tradizionali. Le ideologie politiche vengono ripetute nei vecchi schemi tradizionali; la dottrina sociale cristiana, il liberalismo all'antica maniera, il repubblicanesimo di Mazzini, il socialismo di Turati. Con questi schemi ideologici si combatte l'ateismo marxista o si contrastano le nostalgie nascenti, ma non si dà una risposta organica ed esauriente ai milioni di lavoratori comunisti che combattono la quotidiana battaglia per la vita come altrettanti milioni di lavoratori cattolici; non si impostano i problemi moderni di sviluppo dell'economia o di riforma burocratica; manca la possibilità concreta di porre in crisi le ideologie anti-democratiche ..... gli equivoci delle ideologie antidemocratiche, le insufficienze delle ideologie democratiche esistenti, impediscono allo stato di allargare il suo sostegno con una azione di vertice, la quale non può non trovare, necessariamente, degli ostacoli insormontabili. Lo stato democratico si deve creare dal basso senza preconcetti od esclusivismi ideologici....La impostazione e la risoluzione di questo problema (dello stato democratico) è condizionata alla realizzazione di un clima di unità e di concordia nazionale per una linea di sviluppo della società, clima che è ancora molto lontano dall'essere raggiunto e che esula dalle possibilità attuali del centrismo democratico come formula di governo, per investire direttamente le nuove formulazioni ideologiche scaturienti dall'esperienza di base...". Contro, poi, le ingerenze della gerarchia che impedisce "il libero gioco politico" con prescrizioni su questioni opinabili che non hanno alcuna "attinenza con le somme questioni di morale e di fede", il Granelli aveva auspicato al congresso di Trento del 1956 "un ulteriore approfondimento della ideologia e del programma sociale e democratico della D.C.", soggiungendo: "si deve evitare che il congresso resti fermo su posizioni cristallizzate. Occorre sbloccare le correnti, consentire l'abbandono degli schemi precostituiti e necessita una libera circolazione di idee". (Popolo Lombardo, 27 ottobre 1956). E un anno prima, il 30 luglio 1955, a commento della formazione del nuovo governo della Regione Siciliana, il Popolo Lombardo dava una dimostrazione del suo rispetto per la gerarchia, giudicando in questi termini l'intervento di Sua Em. il Cardinale Arc. di Palermo e dell'Episcopato Siciliano: "in questa serie di pressioni ("della stampa cosiddetta indipendente e degli ambienti più o meno qualificati di destra") ha finito purtroppo per essere convogliata una dichiarazione del Cardinal Ruffini di Palermo, il quale ha ribadito quanto già era stato dichiarato dall'Episcopato Siciliano e cioè l'impossibilità di collaborazione fra cattolici e marxisti. Ed effettivamente è parso che l'intervento del Porporato siciliano sia stato eccessivo, mentre si discuteva intorno ad alleanze politiche e non ideologiche e per di più in Sede amministrativa".

maggio 1958, appunto della Diocesi di Milano inviato ai Vescovi di Brescia, Bergamo, Pavia, al S.Offizio e alla Segreteria di St. nelle rispettive posizioni