POSTFAZIONE a
"MESSAGGI IN BOTTIGLIA"
Ringrazio l'associazione "Popolari
intransigenti" che, in occasione del mio settantesimo compleanno, ha
curato questa raccolta e Mario Mauri per la sua brillante prefazione. Un
affettuoso ringraziamento devo a mio figlio Andrea che mi ha aperto la via,
alcuni anni fa, all'uso del computer e di Internet, il che ha voluto dire
ampliare smisuratamente le mie possibilità di informazione e di intervento.
Analogo il ringraziamento a mia nuora, Rita, che si è occupata della parte
grafica. Ed un grazie particolare a mia moglie, Adriana, che oltre ad essere
una preziosa correttrice di testi e di bozze, mi è stata sempre vicina con la
critica, la discussione, la competenza economica e la straordinaria
solidarietà.
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Ed ora qualche riflessione finale. Perché una
raccolta di scritti, interventi saggi, nel quinquennio - '94 / '99 - che
Gabriele De Rosa ha collocato in una fase di transizione infinita? Desiderio di
testimonianza controcorrente ? Vanità, civetteria ? Attaccamento nostalgico ad
una esperienza personale ? Forse. Confesso però che ho avuto una ambizione in
più. Penso che, in una interminabile transizione, la difesa dei valori della
politica, della memoria storica, dell'analisi dei problemi, della cultura
propositiva, rispetto alle vuote presunzioni del "nuovismo" alla
moda, al pragmatismo senza principi, possa aiutare a guardare oltre una
attualità drammatica.
La crisi della politica è di portata generale
e supera, nelle sue cause, l'orizzonte italiano. Ne è segno la tendenza,
abbastanza diffusa, a ridurre il '900 ad un insieme di tragedie da dimenticare,
quasi per seppellire un passato che si ritiene ingombrante da ricordare. Erik
J. Hobsbawm, nel suo stimolante libro "Il secolo corto", l'ha infatti
concentrato tra 1914 e il 1991 per porre in risalto, nell'insieme, una pesante
eredità negativa. Due guerre mondiali disastrose, la follia nazista con Hitler
ed i fascismi, Stalin e il tradimento della rivoluzione, la grande crisi degli
anni trenta, l'arma nucleare e l'accumularsi di una potenza bellica distruttiva
senza precedenti.
E si devono aggiungere, dal Vietnam al
Kosovo, le guerre locali, le violazioni dei diritti fondamentali delle persone
e dei popoli, la graduale emarginazione dell'ONU ed il vulnus al diritto
internazionale, la ripresa della politica di potenza e dell'uso della forza per
dirimere, con una diplomazia ridotta a comparsa, le controversie
internazionali. Sembra che, all'attivo, ci sia solo lo straordinario progresso
scientifico e tecnologico, che riafferma il primato dell'uomo. All'opposto, c'è
chi pensa che sarà il dominio incontrollato della scienza e della tecnologia a
caratterizzare il terzo millennio. La macchina dovrebbe sostituirsi all'uomo.
E' un rovesciamento inaccettabile. La tecnologia delle invenzioni, dalla ruota
alle esplorazioni del cosmo, è stata ed è un mezzo usato dall'uomo per la sua
emancipazione, per la valorizzazione del creato, non per renderlo schiavo. E'
quindi debole la pretesa di fare del progresso scientifico e tecnologico
l'alternativa esistenziale all'uomo nel prossimo secolo e persino la fine della
scelta religiosa decretata dalla morte di Dio.
Per molti l'inizio del secolo breve è quasi
da cancellare. Così facendo non si tiene conto di importanti conquiste e delle
lezioni severe che contengono anche le grandi tragedie. Si pensa di poter
entrare nel 2000 senza vincoli o angosce. E' un salto nella modernizzazione
indefinita, nella globalizzazione come dominio dei più forti, nella felicità
dei consumi e del benessere per chi è in grado di competere, della cultura
unica e del pensiero unico. La via del nuovo secolo si apre all'insegna di un
"nuovismo planetario" che, grazie al calendario, ha del tutto
tagliato le sue radici. Non condivido né la lettura riduttiva del '900 né la
teoria della irreversibilità dell'attualismo nuovista. E' da questo
orientamento semplicistico e manicheo che è venuta la bizzarra tesi, elaborata
qualche anno fa da un intellettuale giapponese americano, sulla presunta fine
della storia, in sintonia con chi aveva sentenziato l'assoluto dominio
dell'uomo sulle cose e quindi la morte di Dio. Anche da qui ha preso forza la
politica come pragmatismo e potere senza finalità. Partendo da quella premessa
si può finalmente navigare a vista senza crucci etici.
Niente di più falso. La storia ricomincia
sempre. E' accaduto anche dopo guerre devastanti e nonostante la terribile
barbarie dell'olocausto. I secoli non sono compartimenti stagni. Anche la fase
iniziale del '900 è stata influenzata da avvenimenti dell' '800 e dei secoli
precedenti: la rivoluzione francese, il primo costituzionalismo, il suffragio
universale e la rottura dell'emarginazione delle grandi masse popolari.
I tempi di Machiavelli sono addirittura
evocati oggi per giustificare, con le dottrine del "Principe", la
spregiudicatezza di molti uomini di potere contemporanei. Persino le utopie di
Campanella, Erasmo, Tommaso Moro hanno influenzato la nascita, nel secolo
trascorso, delle grandi ideologie. Nel '900, se mai, l'utopia è diventata
ideologia blindata, assolutista, adottata come base di un potere autoritario e
causa di disastri nel secolo breve.
Non c'è forse bisogno, anche qui, di andare
contro corrente anziché affidarsi, in un clima millenaristico, alle fughe in
avanti di una modernizzazione senza anima e di una globalizzazione che tutto
vuole omologare ? Tanto l'analisi del passato, quanto le previsioni sul futuro
sono carenti e discutibili. Già all'inizio del secolo, nel 1909, Thomas Mann in
un racconto, criticato per alcuni riferimenti politici, ha scritto che non c'è
storia senza dialettica e scontro e che "non è possibile desiderare la
conciliazione universale e pacifica di tutte le distanze, di tutti i
conflitti". E il filosofo tedesco Hans Georg Gadamer, nato nel 1900,
antinazista, ancora vivo, critica in una intervista le valutazioni
apocalittiche del '900 e, quanto al prossimo secolo, respinge l'idea di
"un ordine mondiale simile ad uno Stato formicaio, in cui l'occhio vigile
degli apparati controllerà ciò che ogni singolo individuo fa o non fa. E' una
scenario per la civiltà umana del tutto improbabile."
Queste riflessive considerazioni sono
rilanciate con convinzione da un intellettuale di sinistra, Mario Tronti, nel
suo bel libro "La politica al tramonto". La sua penetrante analisi
conferma doti già conosciute di questo storico marxista. Egli è aperto al
revisionismo, senza tuttavia cambiare campo, vuole il cambiamento pur essendo
fermo critico di ogni dilettantesco nuovismo, guarda ai valori e rifiutando
l'idiozia della fine della storia attribuisce al tramonto della grande politica
la principale ragione della crisi e della transizione alla cieca del nostro
tempo. Calzanti e suggestivi sono i suoi riferimenti. Ricordando la crisi del
'29 egli critica Marx, e la sua teoria della fine catastrofica del capitalismo,
e cita giustamente Keynes che, con il suo programma a sostegno dei laburisti,
ha indicato allo Stato una politica che ha salvato l'economia dalla incapacità
di sviluppo cui era condannata dal puro automatismo dei mercati. Il male del
'900, ricorda con efficacia Tronti, è che "l'economia ha saputo usare la
politica, la politica non ha saputo usare l'economia." Lo stesso si può
dire del progresso scientifico e tecnologico, dei grandi sconvolgimenti che
potevano aprire cammini nuovi e sono serviti solo ad avventurose fughe in
avanti.
La storia ricomincia sempre per intima
necessità di vita, ma la politica come può rinascere senza impegno
volontaristico e senza pensiero? Tronti critica la cultura attualistica laica e
di sinistra e, con onestà intellettuale, constata che la Chiesa di Roma è
rimasta sola a ricordare con intatta capacità profetica anche gli errori del
capitalismo, le ingiustizie e lo sfruttamento del lavoro, la pace contro la
guerra, il fondamento etico del diritto internazionale, il protagonismo
incomprimibile della persona ed il dovere della solidarietà tra gli uomini di
qualsiasi condizione sociale, razza, religione. E' il valore, nella storia,
della profezia. La cultura laica sembra aver perso, con il fallimento delle
ideologie, anche le visioni di lungo periodo.
E' significativo che Tronti non si fermi,
come è proprio della sua formazione laica, alla valutazione storica del ruolo
della Chiesa. Egli si apre, significativamente, ad una lettura dell'influenza
che lo spirituale, la convinzione religiosa, può avere sullo storico e sul
politico. Con un parallelo suggestivo all'influenza che ebbero, in Inghilterra
soprattutto, l'etica protestante, il rigore calvinista, sullo sviluppo iniziale
del capitalismo, egli vede oggi nello spiritualismo, nella vita religiosa
liberata da deformazioni clericali, nel ruolo della Chiesa, antidoti efficaci contro
i processi di "reificazione", l'identificazione con un piatto
storicismo. "Diffido - ha detto Tronti in una intervista - da un agire
soltanto laico e così sto riscoprendo la spiritualità". Ed esalta le
aperture di Papa Giovanni XXIII e di altri Pontefici, del Concilio vaticano II,
come esempi di un lungimirante rapporto tra Chiesa e modernità non separato,
come accade nella cultura attualistica, da valori essenziali e permanenti.
Altra coincidenza è il richiamo all'importanza del pensiero politico come base
indispensabile di una reale azione politica.
Se la storia ha in sé le ragioni dello
sviluppo umano è la grande politica lo strumento della sua trasformazione in
progresso. Aldo Moro, nella transizione tra l'ultimo dopoguerra e la rinascita
democratica, ha scritto, restando fedele a questo principio per tutta la vita,
che "senza pensiero politico non vi è azione politica." Anzi, che
"pensare politicamente è già agire politicamente" anche se non ci
sono riscontri immediati. Il tramonto della politica è dunque una sconfitta,
non una opportunità. Curioso, infine, è che Tronti, nella breve antifona di
salmi che premette al suo libro, dopo aver scritto che non "c'è grande
politica senza la grandezza del tuo avversario" respinga, per l'oggi, la "paura
del criterio politico". L'obiettivo resta la lotta politica contro la
guerra, non l'appiattimento sull'esistente, perché è in questa scelta, che è
poi quella della ragione contro il puro potere, del diritto rispetto alla
violenza, della norma a tutela dei deboli nei confronti dell'uso della
forza,della spiritualità come antidoto alle chiusure storiciste, che si può
ritrovare la "nobiltà dello spirito umano. Il messaggio dunque c'è
-conclude - nella bottiglia di questa allusiva sinfonia di salmi" che è
stata posta a premessa di un lodevole sforzo autocritico e controcorrente.
Mario Mauri, nella sua precisa, simpatica,
troppo lusinghiera prefazione, sottolinea che, nel quinquennio della raccolta
"messaggi in bottiglia", io appaio e, a volte, sono un
"emarginato dall'attualità della politica". So che è una mia
propensione, una facile tentazione per gli intransigenti. Leggendo Tronti, ed
altri, mi sono tuttavia trovato in buona compagnia in una analisi che va nel
profondo della crisi in corso. Non vedo Mario Tronti da alcuni anni e la
coincidenza in molte cose è singolare e non concordata. Le idee, come si vede,
influenzano anche da lontano i rapporti tra le persone. E' questa l'ambizione
in più di questa raccolta di "messaggi in bottiglia". Offrire a
qualcuno, anche casualmente, uno spunto, può essere una occasione per fare
rivivere un desiderio di riflettere, di guardare lontano. Una ambizione,
appunto. Con qualche possibilità. Tanto più che l'idea romantica del messaggio
in bottiglia, che a qualcuno può capitare di leggere, è, nell'era informatica
del 2000, anche un moderno segnale che qualcuno può cogliere navigando su
Internet. E qualche esperienza passata può forse anche aiutare, chissà, qualche
esponente delle nuove generazioni a meglio capire il presente e a tentare di
preparare un futuro meno scontato.
Milano, 10 settembre 1999
LUIGI GRANELLI