LA STRATEGIA E’ IL NEGOZIATO

Discorso pronunciato al Senato sul problema degli euro-missili

Signor Presidente, signor Presidente del Consiglio, onorevoli senatori, il fatto che il Senato della Repubblica si trovi a discutere, a pochi giorni di distanza da un analogo dibattito alla Camera dei deputati, un problema decisivo per la sicurezza dell’Italia e per la continuità del processo di distensione, sottolinea l’importanza e la delicatezza che questo argomento ha nella coscienza dì tutti noi e della nostra libera valutazione politica: non si tratta di una decisione facile, ma di un atto dovuto al servizio dell'Italia e della sua sicurezza, in armonia con gli impegni che liberamente il nostro paese ha assunto, e non da oggi, nell'ambito dell’Alleanza atlantica.

In questo richiamo all’argomento in discussione e in base alle motivazioni ampiamente sviluppate nella mozione presentata a firma del presidente Bartolomei, ed altri, ribadiamo, senza alcuna riserva, la nostra adesione alle decisioni che il Governo ha preso e che ha ripetutamente e con senso di responsabilità comunicato al Parlamento, sia in una fase precedente Il 31 ottobre di quest’anno, sia nelle comunicazioni testé concluse da parte del Capo del Governo.

La nostra adesione a questa scelta difficile ma per noi senza riserve viene collocata all'interno di una prospettiva d’insieme della nostra politica estera che non viene minimamente turbata nei suoi elementi strategici di fondo. Il primo di questi elementi strategici di fondo è l’importanza che sempre noi abbiamo attribuito ed attribuiamo alla distensione come frutto di convivenza tra i popoli e di dialogo fra di loro. Riteniamo pertanto che l’adesione dell’Italia all’alleanza atlantica e la nostra capacità di onorare gli impegni a questa scelta connessi abbiano dimostrato, in più di trent’anni, che l’obiettivo della pace è sempre stato salvaguardato in un'Europa che nei periodi storici precedenti è stata invece teatro non solo di conflitti sanguinosi dal punto di vista continentale, ma di guerre mondiali catastrofiche per tutta l'umanità.

Non solo il Patto atlantico, a cui noi aderiamo, non ha scopi aggressivi ed ha finalità prettamente difensive, ma esso non è mai stato e non può essere nemmeno in questo momento un ostacolo ad un dialo­go fecondo tra alleanze politico-militari contrapposte di tipo diverso o addirittura nel campo delle relazioni bilaterali tra gli Stati. Vorrei ricordare qui che proprio in un momento assai difficile, mentre il clima della "guerra fredda" pesava sull'umanità, l’alleanza atlantica non ha impedito al Governo dell'Italia di allora, presieduto dall'onorevole Aldo Moro e con Ministro degli Esteri il collega senatore Nenni, di promuovere con altri Paesi alla Conferenza di Ottawa, sulla base delle posizioni di sicurezza dell'Italia a dell'Europa, quel dibattito tra Est e Ovest che ha poi portato alla Conferenza di Helsinki e all'approvazione di quell'Atto Finale che ha sollevato tante speranze nel mondo. Quindi la posizione di difesa, di sicurezza, di solidarietà atlantica, come la storia che sta alle nostre spalle dimostra, non è mai stata per noi - e non lo è in questo momento - un elemento di impedimento o di ostacolo a tutti quegli sforzi doverosi, necessari, importanti, che devono esser fatti per sostituire la ragione alla prova di forza, la distensione alla sfida degli apparati militari, il disarmo ad una catastrofica gara per mantenere l'equilibrio del terrore.

E' in questa filosofia, signor Presidente, onorevoli senatori, che si colloca per noi anche questa non facile scelta in ordine all'ammodernamento dell'apparato missilistico della NATO sul territorio europeo.

Nell'altro ramo del Parlamento è stato osservato da alcuni colleghi che il Governo si sarebbe presentato a questa difficile scelta ignorando la gravità del contesto internazionale, quasi prendendo una decisione di normale amministrazione in base ad un’arida contabilità delle forze schierate nei campi avversi. Il Presidente del Consiglio già nella replica alla Camera, ha opportunamente corretto questa interpretazione, ma vorrei aggiungere, per quanto riguarda la Democrazia Cristiana, che a noi non è mai sfuggito e non sfugge il carattere drammatico dell'attuale situazione internazionale nella quale si colloca anche la decisione che stiamo per prendere ed è anzi in rapporto a tale contesto che noi prendiamo con serenità di coscienza e senso del dovere le decisioni che ci spettano. Noi non dimentichiamo che in questo momento il mondo è in preda a gravi tensioni di carattere internazionale. Quanto avviene nell'Iran (dove elementari principi nel rapporto tra gli Stati, come quello dell'immunità del personale diplomatico, vengono barbaramente ignorati), il precipitare della situazione nel delicato settore del Medio Oriente, l’aggravarsi inquietante e drammatico della questione energetica, l'esplodere di conflitti armati in varie parti del mondo o, ancora, lo svolgimento di un dialogo difficile tra gli Stati Uniti e l'Unione Sovietica, rappresentano per tutti noi, in questo momento, un quadro internazionale di una gravità evidente che dovrebbe far riflettere tutti gli uomini di "buona volontà" per un generale sforzo di pacificazione sulla scorta di un elemento che è fondamentale per il nostro sentire cristiano e democratico, ma anche per tutti gli italiani dal momento che la Costituzione della Repubblica afferma solennemente che l’Italia bandisce la guerra come strumento di soluzione delle controversie internazionali e che da sempre, dopo la sua liberazione e la sua ricostituzione in Stato democratico, il nostro Paese ha visto e vede nel negoziato, nella trattativa, nel colloquio anche difficile il mode per risolvere le controversie internazionali.

Ma si usa spesso l'analisi preoccupata della situazione internazionale per dire: a che scopo, allora, aggiungere un altro elemento di tensione in Europa con la installazione de parte della NATO di un certo numero di armi nucleari., sia pure tattiche o di "teatro"? Non è forse meglio rinviare, aspettare, non prendere questa onerosa decisione?

Signor Presidente, onorevoli senatori, su questo punto che riguarda l'equilibrio delle forze in Europa, come fattore di garanzia per tutti, vorrei ricordare che se noi dovessimo non prendere le decisioni al nostro esame e finissimo con l’insterilire in una posizione vana di attesa che aggraverebbe tutto, noi non miglioreremmo l’attuale situazione internazionale ed anzi aggiungeremmo un elemento di ulteriore preoccupazione al quadro descritto perché la realtà per quanto spiacevole è molto precisa davanti a noi. Mentre nel mondo, sul piano internazionale, va riprendendo un clima di tensione, di prove di forza, di conflitti che speriamo possa essere bloccato al più presto, non possiamo aggiungere il dato di fatto di una solidarietà atlantica coinvolta da un processo di crisi e di dissociazione, di un'Europa occidentale in una posizione rassegnata e indifesa che si affida soltanto al deterrente della potenze degli Stati Uniti d'America, a fronte di un Patto di Varsavia e di una Unione Sovietica che sul piano della presenza militare non lasciano dubbi quanto a compattezza, energia ed efficacia, perché tutto diventerebbe obiettivamente più grave o difficile.

La destabilizzazione militare e politica dell'Europa occidentale, nel quadro internazionale di preoccupazioni ricordato, non sarebbe un fattore di miglioramento: nella situazione internazionale si aggiungerebbero altri elementi di crisi con gravi rischi per l'intero sistema internazionale.

Questa riflessione sulla necessità di salvare responsabilmente un dato importante rappresentato dall'equilibrio tra le forze, non a fini di riarmo, ma per consentire un dialogo alla, pari allo scopo di ridurre al livello più basso possibile il potenziale di armamenti nucleare e convenzionale in entrambi i campi, è alla base della nostra valutazione della decisione che il Governo, con ampiezza di motivazioni, ci ha sottoposto. Il nostro consenso a questa decisione parte da un’osservazione molto precisa che è venuta affermandosi proprio dalla Conferenza di Helsinki in poi. Prima di quella Conferenza, alla base delle relazioni internazionali, in un clima di "guerra fredda", vi era le convinzione che ogni Stato, o coalizione di Stati, dovesse esclusivamente ricercare la sicurezza nella propria capacità di dissuasione. Era, in altre parole, la dottrina dell’equilibrio del terrore che ha portato per molto tempo, soprattutto le grandi potenze nucleari, ad accumulare nei rispettivi arsenali le armi atomiche ad alto potenziale distruttivo che tutti conosciamo,

Dalla Conferenza di Helsinki in poi, con l'arresto e la fine, almeno per quel periodo, del1a "guerra fredda", si è introdotto nel dialogo internazionale un nuovo concetto delle relazioni tra i popoli e gli Stati: quello della sicurezza reciproca che si sostituisce all'equilibrio del terrore, fondato sulla incontrollata corsa agli armamenti, e si attesta - a1 contrario - sulla regola fondamentale che ciascuno Stato o coalizione di Stati dove sentirsi sicuro rispetto agli altri schieramenti per l'equilibrio delle forze, per la parità degli armamenti nei settori strategico, tattico, convenzionale.

Del resto, se ben si riflette, è a questa filosofia che si è collegato l'intenso sforzo diplomatico per realizzare un accordo di grande importanza come Il Salt 2, concluso nel 1977-78, che ha portato gli Stati Uniti d'America e l’Unione Sovietica su una posizione di equilibrio e di controllabile parità per quanto riguarda i missili intercontinentali e i grandi armamenti nucleari strategici. Anche prima dell'accordo Salt 2 le discussioni erano assai vivaci tra Est e Ovest circa la possibilità di quantificare la consistenze di tali armamenti in entrambi i campi. Un elemento positivo della trattativa Est-Ovest in materia di Salt 2 è stato quello non solo di convenire sulla opportunità di arrestare ed un livello sopportabile e paritario 1'equilibrio delle forze, ma di introdurre consensualmente anche delle forme di controllo in base alle quali gli Stati che hanno sottoscritto gli accordi sono in grado di verificare sistematicamente il rispetto di tale parità.

Sulla strada de1a distensione, del rapporto corretto tra gli Stati, dell'equilibrio fondato sulla sicurezza e non sulla orsa agli armamenti il Salt 2 rappresenta pertanto una conquista importante. Mi si consenta di dire a questo punto, signor Presidente del Consiglio, che il Gruppo parlamentare della Democrazia Cristiana insiste in maniera particolare perché, anche alla prossima riunione della NATO, venga sottolineata con forza l’utilità e l’importanza che il Congresso americano ratifichi il più presto possibile il Salt 2, perché la ratifica di questo accordo non solo è un aspetto decisivo della stabilizzazione politico-militare sul piano internazionale, ma è la premessa stessa sulla base della quale si può pensare anche ad un equilibrio sottostante nell’arca regionale europea ed in altri "teatri" strategici. Non è casuale, onorevoli senatori, che proprio su questo punto talune correnti di opinioni che negli Stati Uniti si oppongono alla ratifica del Salt 2 facciano il ragionamento rovesciato rispetto a quello che sentiamo spesso fare in Italia e cioè affermino che, in presenza di uno squilibrio di forze in Europa e di una incapacità degli europei di fare la propria parte nell’ambito della difesa occidentale, a nulla valga sottoscrivere un Salt 2 che immobilizzerebbe il potere di dissuasione degli Stati rispetto a quello dell’Unione Sovietica. La conseguenza, da noi non condivisa, sarebbe appunto quella di non ratificare Il trattato dei Salt 2 per consentire agli Stati Uniti di riprendere la loro superiorità strategica, così che, in tale contesto l'Europa stessa potrebbe sentirsi più protetta senza nemmeno ricorrere alle decisioni che siamo chiamati a prendere. Ma in questo caso la nostra sicurezza sarebbe ancor più legata all'unica, ed esclusiva iniziativa degli Stati Uniti e 1'Europa occidentale sarebbe,anche politicamente, una realtà inerte e di fatto subordinata, a1 di là di ogni generosa illusione, alle decisioni altrui.

Anche per questo è assolutamente necessario svolgere una risoluta e tempestiva iniziativa in favore dell'approvazione del Salt 2 da parte del Congresso americano, perché è proprio in relazione ad un'efficace strategia della sicurezza al massimo livello, alla quale deve far seguito poi la sicurezza ai livelli sottostanti, che si inserisce anche il discorso europeo sulle armi tattiche nucleari cosiddette di "teatro".

In questo senso, onorevoli senatori, dobbiamo venire subito alla questione che più ci angustia e che più è presente davanti a noi in questo momento. E' evidente che, se non dovesse essere ratificato da parte del Congresso americano il Salt 2, le stesse decisioni che la NATO si appresta a prendere andrebbero viste in una logica del tutto diversa e persino irrilevante se si prescinde dallo stato di inferiorità nel quale si verrebbe a trovare 1'Europa occidentale. Ma non è di questo che parliamo in questo momento: noi diamo per acquisito che 1'equilibrio a livello strategico delle superpotenze nucleari venga conservato e contenuto e che accanto a tale equilibrio si aggiunga un altro elemento di garanzia e di pace per il "teatro" europeo. E che le condizioni attuali dell'equilibrio delle forze in Europa debbano essere oggetto di discussione, di negoziato, di valutazione distinta dall'accordo sul Salt 2, si evince dalla stessa logica di questo trattato e da quanto in esso pattuito.

Non è casuale che siano stati esclusi dalla trattativa tra gli Stati Uniti e l'Unione Sovietica alcuni tipi di armamenti che, in particolare, sono localizzati nel "teatro" europeo proprio perché avrebbero dovuto far parte, come fanno parte, di un successivo negoziato: quello del Salt 3. Si può in proposito ricordare che c’è addirittura un protocollo del Salt 2 che autorizza 1’Unione Sovietica a produrre gli aerei Backfire che portano armi nucleari, il che conferma che non vi era nessuna volontà da parte delle superpotenze di risolvere in quella sede il problema dell’equilibrio a livello europeo da affrontare successivamente.

La realtà, cari colleghi, è però la seguente: mentre sul piano internazionale Stati Uniti ed Unione Sovietica hanno positivamente raggiunto un equilibrio delle loro forze strategiche, in Europa la situazione non solo non è rimasta in una situazione di stallo ai livelli precedenti, ma è andata sempre più attestandosi verso uno squilibrio e una asimmetria che non possono non preoccuparci, E’ infatti noto che mentre da parte europea occidentale l’apparato difensivo è rimasto pressoché fermo alle posizioni precedenti (ricordo tra parentesi le vivaci polemiche all’accantonamento, oltre che della produzione dei missili MX e dei bombardieri S.2, della bomba al "neutrone" per favorire la conclusione delle trattative sui Salt 2), per il Patto di Varsavia e 1'Unione Sovietica le cose sono andate invece nel senso opposto.

Non voglio con questo dire, come qualche collega ha fatto alla Camera, che il riarmo a scala europea dell’Unione Sovietica e del Patto di Varsavia sia avvenuto violando accordi per prendere di sorpresa i Paesi dell’Europa occidentale e la stessa NATO. Si deve osservare che vi era di fatto una specie di riconoscimento implicito a non interferire in campi che, successivamente, sarebbero stati oggetto di negoziato. Non è quindi in contestazione la possibilità di un comportamento, ma la conseguenza di un ulteriore squilibrio che l’Unione e il Patto di Varsavia, sostituendo gli obsoleti "SS-4" a "SS-5", hanno determinato ammodernando il proprio sistema difensivo con gli "SS-20" a testata multiple, mobili, con un'efficacia di intervento su tutto il territorio europeo e anche al di là di esso e ancora con la crescente disponibilità dei bombardieri "Backfire", mentre l'Europa occidentale sta ancora discutendo se cominciare a produrre, per poi impiegare nell’ambito della NATO, gli armamenti necessari al proprio ammodernamento. Del resto che questa superiorità del Patto di Varsavia esista è un fatto dimostrato da approfondite discussioni in atto da tanto tempo in Europa, in Occidente, sulla stampa specializzata, negli ambienti parlamentari e politici.

Non voglio qui riferirmi a tutti i dati che da varie parti sono stati richiamati. Convengo con chi osserva che in questa materia i confronti puramente statistici possono essere anche devianti. C'è l'efficacia, la diversità, l'agilità, il modo di impiego degli strumenti bellici, che devono essere tenuti in conto e che non consentono sempre di fare comparazioni schematiche e statistiche soddisfacenti.

Ci sono anche altre considerazioni più nettamente politiche, ma certamente non è corretto, quando si parla del "teatro" europeo, conteggiare per esempio, come è stato fatto anche alla Camera, i missili "Poseidon" o altri che sono già vincolati, come ha riconfermato il Presidente del Consiglio, a1 trattato Sa1t 2 e che comunque non entrano nella materia di prevedibile negoziato del Salt 3.

Dal 1977 in poi abbiamo assistito al fatto the gli "SS-20” prodotti e installati dall'Unione Sovietica, e i bombardieri Backfire, hanno portato di fatto ad una superiorità del Patto di Varsavia e dell'Unione Sovietica rispetto alla NATO che in Europa Occidentale si trova ora nettamente svantaggiata. Per quanti dati possano essere citati anche in quest'aula, dobbiamo ricordare che noi ci rimettiamo correttamente, più che al parere dei tecnici, della stampa specializzata di varia ispirazione, o dei militari, ai pareri costituzionalmente espressi nello svolgimento delle loro funzioni dai Ministri degli Esteri e dai Presidenti del Consiglio, non solo in questo ma anche in altri liberi Parlamenti, ed è indiscutibile che il principio della superiorità del Patto di Varsavia rispetto a quello della NATO in Europa è stato da tutti largamente e ufficialmente riconosciuto. Anche quei Paesi, come l'Olanda, che hanno assunto in Parlamento una decisione diversa da quella che noi ci accingiamo ad assumere si è significativamente riconosciuto che pure in presenza di un evidente squilibrio sia opportuno rinunciare unilateralmente a ripristinare l'equilibrio per avviare comunque in posizione di svantaggio una trattativa nei confronti dell'Unione Sovietica e del Patto di Varsavia. Ma su questo tornerò successivamente.

Non è tuttavia soltanto il fatto che oltre cento “SS-20" sono già installati e che i Backfire sono già in funzione, a preoccupare. C'è il punto sostanziale, sottolineato dalla stessa proposta comunista, che la produzione sovietica è già in atto, continua e si svolge con un programma ben stabilito. In un discorso tenuto dal cancelliere tedesco Schmidt il 13 novembre sono stati citati i seguenti dati. Egli ricorda che in base ai programmi di produzione dell'Unione Sovietica, impostati per un periodo che va sino al 1984, ogni anno vengono prodotti cinquanta missili "SS-20", con tre testate ciascuno, e che ogni anno vengono aggiunti, a quelli che già esistono, trenta bombardieri Backfire. E' quindi evidente che non c'è solo il dato concreto di un'installazione di missili e di dotazioni nucleari che mettono in condizioni di svantaggio e di inferiorità la NATO in Europa, ma c'è la continuità di una produzione che 1'Unione Sovietica giustifica anche per scopi difensivi su altri fronti, non necessariamente europei, che rischiano tuttavia nei prossimi tre o quattro anni di quadruplicare il potenziale missilistico e nucleare di possibile impiego anche sul fronte europeo. E' naturale, di fronte a questa contestazione, che ci torni in mente il rilievo critico e polemico fatto alla Camera dei deputati dall'onorevole Berlinguer a proposito di un discorso del Ministro della difesa americano Brown, sul quale tornerò poi per un’altra considerazione. Il segretario del PCI ha detto alla Camera che ci illudiamo quando puntiamo sul negoziato dopo aver deciso di ammodernare la nostra struttura difensiva perché i missili, una volta prodotti, non possono non essere installati. Se questo ragionamento vale - e preciserò meglio dopo che lo sforzo per il disarmo deve portare non solo a bloccare le produzioni in atto o future, ma anche a distruggere armi nucleari già installate – l’argomentazione per cui i missili, una volta prodotti vanno impiegati, vale, a mio avviso, a maggior ragione per l’Unione Sovietica che questa produzione continua nonostante le installazioni avvenute e sottolinea l'urgenza di negoziare al più presto procedure che portino alla riduzione dei suoi e dei nostri programmi che del resto sono stati per ora solo impostati.

Ecco allora perché, onorevoli senatori, la decisione del Governo di aderire alla determinazione della NATO di riequilibrare, sul piano strategico e tattico in Europa, lo svantaggio esistente con la produzione e lo spiegamento dei missili "Cruise" e "Pershing 2" è, dal punto di vista della nostra doverosa sicurezza, un elemento che non si propone come obiettivo una nuova corsa al riarmo. La corsa al riarmo purtroppo esiste già; tutt'al più si tratta, come ha ripetuto il Governo in più occasioni, di ristabilire un equilibrio che è stato superato da altri e di ripartire, come del resto si è fatto sul piano internazionale tra USA e URSS, per cercare negozialmente di ridurre il reciproco potenziale missilistico al livello più basso possibile.

Del resto, onorevoli colleghi, credo che una osservazione obiettiva si imponga a questo proposito. Quando si accusano la NATO, l’Europa, l'Italia, di voler innescare arbitrariamente una corsa al riarmo, di rendere più complesso il ricorso al negoziato, non può non balzare agli occhi di tutti il fatto che, anche con le misure in via di adozione da parte dell’Alleanza atlantica, vi è una sproporzione tra le parti che è chiara anche alla nostra opinione pubblica. Abbiamo da un lato missili già installati e armamenti in funzione, accompagnati da un programma di produzione che può addirittura aumentare progressivamente le forze disponibili nel "teatro" europeo; dall’altro lato non abbiamo un analogo ed operante apparato difensivo, ma soltanto una decisione di produrre determinati missili non prima di sei mesi, con la concreta disponibilità di dispiegarli tra tre o quattro anni. Se l’obiettivo è quello di raggiungere, operativamente, l’equilibrio delle forze siamo sempre e di fatto in una posizione svantaggiosa. Quindi se il Patto di Varsavia dispone già di una ragguardevole e superiore difesa la NATO può contrapporre un potenziale difensivo che ancora oggi dipende dalle decisioni che debbono essere prese a Bruxelles per giungere in futuro all’equilibrio delle forze nel "teatro" europeo.

Vorrei inoltre sottolineare che il Governo italiano non dà a questa decisione un significato militare e strategico, ma un significato soprattutto politico. Non c’è la ricerca di una pezza d’appoggio quando sosteniamo di proporre contestualmente all’Unione Sovietica una trattativa, un negoziato serio, per ridurre ad Est e ad Ovest gli apparati missilistici che rischiano di accumularsi in una spinta generalizzata alla corsa al riarmo. L'offerta di un negoziato, di una trattativa concreta ed immediata, consente in altri termini non solo di ridurre la portata delle stesse decisioni che stiamo per prendere, ma addirittura di annullarle in parte, di ridurle a zero, nell’ipotesi che da parte del Patto di Varsavia e dell’Unione Sovietica si addivenga con buona volontà ad analoghe e parallele misure di disarmo e di attenuazione del proprio potenziale difensivo. Qui nasce un chiaro e insuperabile dissenso politico, onorevoli colleghi, con le posizioni del Partito comunista italiano e di altri gruppi della sinistra.

Si è detto, da parte comunista -ed è un'affermazione importante- che l'equilibrio delle forze è anche in Europa un elemento fondamentale per garantire la sicurezza, la distensione, la pace ed anche il disarmo. Questa è una scelta di principio rilevante ed apprezzabile del Partito comunista, che vogliamo sottolineare anche in questa sede per il significato implicito di autonomia che assume; comprendiamo, del resto, che i colleghi comunisti non siano nelle condizioni di accertare concretamente in che misura va valutato lo squilibrio denunciato da più parti. Sul piano concettuale e politico, è tuttavia importante che non vi sia dissenso in un largo arco di forze democratiche e costituzionali sul fatto che l'equilibrio delle forze è un elemento di garanzia. Del resto, questa posizione è congeniale alla collocazione dell'Italia nella NATO e nella Comunità Economica Europea che, a mio avviso, non è messa in discussione dal Partito comunista nel momento in cui esso assume, sul problema degli euromissili, una posizione diversificata che noi ed altri partiti democratici non condividiamo.

Quella che è in discussione, invece, è la decisione su un punto specifico che va affrontato senza reticenze in vista della riunione della NATO a Bruxelles, anche perché un puro rinvio di sei mesi, su una materia di tanta delicatezza, non rischia soltanto di aggravare la situazione con un aumento della sfiducia ad Est e ad Ovest sulla possibilità di una via negoziale.

Se, come giustamente il Presidente Cossiga ha ricordato, la decisione di produrre e impiegare in Europa i missili di cui stiamo parlando, dopo avere per sei mesi tentato invano di avvicinare punti di vista contrastanti, la convinzione che non c’è spazio per la trattativa in conseguenza di un esito negativo di sondaggi ufficiali è evidente che si darebbe allora all'introduzione di queste armi un inquietante e irreversibile significato di corsa agli armamenti. Ricorrere ad una simile decisione dopo l'accertamento che è stato difficile o addirittura impossibile evitarla perché la controparte preferisce lo “status quo” significherebbe dare alla decisione stessa un carattere traumatico, il senso di una sfida che potrebbe portare alla ripresa e allo sviluppo della tensione, anziché, come ci auguriamo, ad una ripresa dal dialogo per abbassare le possibilità reciproche di armamento attraverso il negoziato.

Insistiamo quindi perché, contestualmente alle decisioni che dobbiamo prendere in favore di una elementare sicurezza, il Governo italiano si faccia portavoce nell'ambito della NATO - come dal resto ha già fatto – dell’estrema importanza, dell’assoluta necessità dell'offerta seria, convinta, articolata, all'Unione Sovietica e al Patto di Varsavia di un negoziato per riequilibrare al livello più realistico possibile gli armamenti anche sulla base della propria disponibilità e rivedere in tempo utile, in parte o addirittura nella sua totalità, la stessa decisione dell’alleanza atlantica.

Questo è un punto importante che potrebbe trovare un largo consenso anche nel nostro Parlamento. A tale proposito vorrei dire ai colleghi dal Partito socialista che abbiamo apprezzato ed apprezziamo la loro richiesta - dal resto coerente con una lunga tradizione pacifista -di inserire nella mozione finale, approvata alla Camera, la cosiddetta clausola "dissolvente". E’ del tutto evidente che, in presenza di un esito positivo dal negoziato, l’Italia deve farsi carico di assicurarsi che la NATO provveda a quei ridimensionamenti di spesa, di investimento, di produzione e di attuazione nel programma di riammodernamento missilistico, decisi e successivamente superati dalla conclusione positiva delle trattative. Non è questa una preoccupazione esclusiva dal Partito socialista, anche se esso ha richiesto una maggiore sottolineatura formale con un emendamento che gli altri partiti solidali col Governo non hanno avuto difficoltà ad accogliere. Credo che tutti quelli che nel Parlamento italiano hanno in forme diverse adesione alla proposta governativa siano politicamente concordi sul fatto che 1'obiettivo è di operare perché queste armi micidiali diminuiscano ad Est e ad Ovest e che ogni accordo possibile debba necessariamente portare alla sospensione, alla riduzione, al ridimensionamento delle stesse decisioni adottate.

Non si può usare contro questo onesto convincimento la dichiarazione del ministro della difesa Brown - e qui la cito in termini diversi da quelli di prima - quando assicura il Congresso americano che gli stanziamenti necessari per la produzione dei missili sono una scelta reale che non parte da una pregiudiziale inutilità della proposta. Questa è una posizione direi normale per chi presenta un progetto di spesa ad un parlamento. Ricordo tuttavia una cosa non trascurabile e cioè che la causa generale del disarmo bilanciato e controllato presuppone non soltanto eventuali variazioni di bilancio, corrispondenti ad una prassi normale nel momento in cui venisse raggiunto un risultato positivo nel negoziato, ma richiede addirittura che in entrambi i campi vengano distrutti e annullati armamenti già prodotti o installati. Non è immaginabile che di fronte alla disponibilità di una parte a distruggere o ridurre del missili già installati, si adduca dall’altra una ragione contabile o puramente economica, per continuare a produrli. E' evidente che in un accordo nelle trattative tra Est e Ovest sulla riduzione e il ridimensionamento degli apparati missilistici sia doveroso ricorrere, sulla base di quella che è stata definita la clausola "dissolvente,, ad atti lealmente conseguenti: anzi è a quell’obiettivo che noi vogliamo tendere, la vera strategia del negoziato.

Ed é proprio ricordando certe esperienze della nostra politica estera che sottolineiamo come l'essere chiari, leali, onesti, nell’assumere i nostri impegni difensivi in un momento delicato ci garantisce anche nella fase successiva, di fronte a qualsiasi difficoltà, il prestigio, la forza morale per fare riflettere tutti sull’opportunità di abbassare, nell'interesse dell’umanità e non solo dell’Europa, lo schieramento minaccioso di armamenti missilistici che sono inquietanti per tutti . Non avremmo molte carte da giocare sul piano della dignità e dell'iniziativa politica se dovessimo cadere in quel vecchio difetto dei "giri di valzer" della politica estera che, per paura o per non assunzione delle proprie responsabilità, ha altre volte impedito di poter dire cose giuste e opportune in ogni momento per la effettiva costruzione di un equilibrio pacifico.

La nostra intenzione è dunque quella di promuovere con energia, con convinzione e con volontà, non un ammodernamento della difesa atlantica in Europa che sia l'inizio della corsa agli armamenti, ma al contrario un riequilibrio che consenta di dialogare seriamente con l'Unione Sovietica e il Patto di Varsavia per modificare a livelli ragionevoli la struttura stessa degli armamenti.

E siccome crediamo sul serio a questa finalità mi permetto, signor Presidente del Consiglio, di formulare una proposta che lei, nella sua discrezione e nella sua responsabilità costituzionale, valuterà con la necessaria attenzione in rapporto alla sua concreta utilità. Per sottolineare le nostre reali intenzioni sembra opportuno che, all'indomani della decisione di Bruxelles, quando la NATO avrà perfezionato le sue proposte, il Governo non solo compia un passo diplomatico in modo simultaneo presso tutte le capitali del patto di Varsavia, ma si proponga anche una iniziativa eccezionale, di un contatto al più alto livello possibile con 1'Unione Sovietica, direttamente a Mosca, per ribadire che 1'Italia, nel momento stesso in cui aderisce ad una doverosa necessità difensiva, è pronta a dare tutto il suo contributo perché venga utilizzato ogni spiraglio di negoziato, di trattativa per il raggiungimento di risultati positivi nello spirito, del resto, di quell'accordo di Helsinki che abbiamo sottoscritto come italiani, come atlantici, come europei amanti della pace.

E' indispensabile far seguire alla decisione che riteniamo di dover prendere, una concreta offensiva diplomatica a sostegno della distensione, del disarmo, della convivenza internazionale.

E qui consentitemi, onorevoli senatori, di fare una ultima considerazione. La ricerca del riequilibrio delle forze in Europa non è per noi un punto di arrivo, ma è al contrario un punto di partenza. Noi vogliamo che assieme alla ratifica del Salt 2, a1 ripristino di una reciproca capacità di dissuasione nel "teatro" europeo si continui a camminare verso quell'obiettivo strategico che è alla base dell'intuizione fondamentale della nostra politica estera, cioè quella del disarmo bilanciato, parallelo, controllato, in tutti i campi e in tutte le direzioni.

Non occorre certamente dire a colleghi esperti come quelli che sono presenti in questa Aula che nè il Salt 2, che si limita a congelare gli armamenti tra le superpotenze nucleari né 1'equilibrio europeo al livello più basso possibile, possono essere considerati misure di disarmo nel senso vero del termine. Queste sono misure di contenimento del potenziale reciproco, di equilibri sulla base delle forza, ma la finalità del disarmo implica un discorso molto più ampio che deve portare anche al ridimensionamento del numero impressionante di armi che sono in campo sia sul piano internazionale che su quello dei "teatri" strategici e in particolare dell'Europa. Alla Conferenza di Vienna per la riduzione delle forze convenzionali, a Madrid per la verifica dell’accordo di Helsinki, in tutte le sedi internazionali, a cominciare dall’ONU, l'Italia deve farsi portatrice dell'esigenza fondamentale di immaginare l'equilibrio del futuro non come lo status quo, ma come il punto di partenza per arrivare al disarmo effettivo e bilanciato e ad una più equa utilizzazione delle risorse sul piano mondiale. Sotto questo profilo non possiamo trascurare od ignorare alcuni elementi, emersi proprio in questi giorni, di disponibilità alle trattative anche da parte dell'Unione Sovietica e del Patto di Varsavia. Ci sono state, certamente, e ci sono durezze negli atteggiamenti della diplomazia sovietica che non possiamo accettare per la nostra dignità. Quando, ad esempio, si è cercato di far capire all’Italia che la nostra dissociazione dalla solidarietà atlantica avrebbe potuto risparmiarci in caso di conflitto, si è fatta una proposta inaccettabile che non tiene conto della nostra doverosa solidarietà, e non solo perché sappiamo che nel caso di una guerra nessuno sarebbe risparmiato, ma perché sappiamo che la pace è indivisibile e vogliamo fare la nostra parte insieme con gli altri popoli per la comune difesa come condizione di autonomia e di distensione. Così come, ancora, ultimativo e duro è apparso il commento del Ministro Gromiko a Berlino dopo l'incontro con il cancelliere tedesco Schimdt.

Ma al di là di queste durezze, non possiamo non valutare, come fatti positivi, talune proposte contenute nel discorso di Breznev a Berlino, dove lancia l'ipotesi e la prospettiva di un negoziato per la riduzione degli armamenti, l'intervista dello stesso "leader" sovietico sulla "Pravda" quando aggiunge che, nel caso di una decisione da parte della NATO, il negoziato diventerebbe più difficile ma - sembra di capire per la prima volta - che non sarebbe escluso in questi giorni, infine, con la riunione dei Ministri degli Esteri del Patto di Varsavia si è affermata una novità assai interessante quando si dice - leggo testualmente dal comunicato generale - che "la realizzazione del programma di armamento della NATO potrebbe precludere ogni soluzione in termini di negoziato del problema". Tutti questi sintomi di aperture stanno a dimostrare, ci sembra, che anche una grande potenza come 1'Unione Sovietica deve farsi carico della necessità di salvare nel mondo la via del negoziato rispetto a quella dello scontro e del confronto a livelli militari crescenti.

Riteniamo quindi che ogni sforzo debba essere compiuto, ogni tentativo vada sostenuto con convinzione, perché la situazione mondiale è drammatica ed esplosiva non solo per l'accumularsi di un numero esuberante di armi strategiche militari, per i 400 miliardi di dollari all'anno che vengono spesi in armamenti, per il cinico e progressivo commercio di armi che coinvolge tragicamente un "terzo mondo" bisognoso di emancipazione più che di conflitti sanguinosi, ma soprattutto perché ciò avviene nel momento in cui l’umanità ha bisogno di impegni cospicui nella lotta contro la fame, il sottosviluppo, l'arretratezza, che richiedono di sottrarre con urgenza energie e risorse impiegate nella difesa e di orientarle verso una costruzione più giusta e più equa del1'ordinamento mondiale.

Vogliamo pertanto che venga rilanciata con forza una strategia dell'Italia per la pace e per il disarmo che va ben al di là dell’equilibrio delle forze sul piano internazionale e in Europa. Chiediamo questo impegno con grande convinzione morale e politica, ma da oggi, e non per complesso di inferiorità verso una certa campagna che si sta conducendo negli ultimi tempi. Desidero fare in proposito una breve precisazione: abbiamo sentito e sentiamo (non solo in Italia, ma in Europa e nel mondo, come è giusto che sia in Paesi in cui le decisioni anche difficili sono preparate da dibattiti, da campagne nell’opinione pubblica) timori, difficoltà, disagi che non sfuggono a nessuno. Autorevoli voci di parte cattolica hanno giustamente richiamato la necessità e 1'importanza di vigilare e di agire perché le armi vengano ridotte, in tutti i campi ed in tutte le direzioni e si faccia più spazio alla giustizia e alla cooperazione internazionale che è 1’esatto contrario dello scontro e della ripresa della "guerra fredda". Non abbiamo nessuna ragione di dubitare della buona fede assoluta di personalità autorevoli ed eminenti, come ad esempio Monsignor Bettazzi, quando criticando anche le decisioni del nostro libero Parlamento, ammoniscono tutti a non percorrere la strade della corsa al riarmo, e ancora quando cattolici, che non si riconoscono nella Democrazia Cristiana, suggeriscono che non bisogna sottovalutare questi rischi e fanno proposte per noi politicamente inaccettabili.

C'è se mai una ragione di stupore profondo quando qualcuno di essi giunge a suggerire all'occidente di usare il deterrente del grano indispensabile all'Unione Sovietica per costringerla a ridurre le proprie testate nucleari dimenticando che, questo, sarebbe un atto di violenza inammissibile. Anche 1'Unione Sovietica, è bene ricordarlo, ha la necessità e il diritto di garantire la propria sicurezza e di evitare rischiosi accerchiamenti. Noi avvertiamo nella giusta misura e con un rispetto che vorremo ricambiato il severo richiamo al lume supremo della pace che viene da molti cattolici, anche da quelli che sono organizzati politicamente in altri settori o partiti, sulla scorta del grande e autorevolissimo monito rivolto a tutto il mondo nel discorso di Papa Giovanni Paolo II all'ONU. Ma, consentitemi di dire, onorevoli senatori, che questi sentimenti sono profondamente radicati anche nella Democrazia Cristiana. I milioni e milioni di cattolici che sono e sperano nel nostro partito o lo votano con convinzione hanno il grande senso dell'importanza della pace, della giustizia, della solidarietà, della lotta contro l'arretratezza e il sottosviluppo. Noi, tuttavia, non rappresentiamo i cattolici in senso generico o esclusivo. Noi rappresentiamo la Democrazia Cristiana che è un partito autonomo che ha anche il senso del suo dovere nazionale e sappiamo che tocca a noi, anche se è un compito ingrato, compiere certe scelte che garantiscano insieme al nostro sentire morale la sicurezza del Paese come condizione di distensione e di pace in un momento in cui essa è in pericolo. Ed anzi, siccome consideriamo la critica una conquista del pensiero moderno, vediamo nei richiami di molti cattolici non qualcosa da mettere al silenzio, ma qualcosa che ci può aiutare a capire che, nell'esercizio della nostra doverosa responsabilità morale, politica e costituzionale, c'è da tenere gli occhi aperti per non sbagliare la strada, per andare avanti nella direzione giusta.

Questo è dunque il senso complessivo dell'adesione che noi diamo alle decisioni del Governo. Noi siamo perché si ratifichi al più presto possibile il Salt 2, siamo perché si adottino, senza spirito di provocazione le decisioni dell’ammodernamento della NATO, siamo per il rilancio convinto del negoziato Est-Ovest che possa dissolvere in tutto o in parte le stesse decisioni che andiamo a prendere;ma al di là di queste contingente scelte politiche, siamo soprattutto per riprendere con il concorso di tutti gli uomini di "buona volontà" una grande battaglia civile a politica sui temi del disarmo, della coesistenza, della pace, della distensione che ha già trovato in questo parlamento e credo trovi ancora larga solidarietà quale che sia il dissenso su un punto specifico che evidentemente divide in modo assai profondo.

E bene ha fatto ella, signor Presidente del Consiglio, a ripetere che non c’è da parte nostra nessuna intenzione di strumentalizzare questo voto a fini di politica interna. Se abbiamo insistito ed insistiamo anche presso i colleghi socialisti perché sottoscrivano la risoluzione finale non è per dar credito sotto banco ad una formula o a schieramenti parlamentari che devono essere il frutto di considerazioni più generali e complesse.

La decisione che stiamo per prendere va al di là della contingenza politico-parlamentare: è - più semplicemente - un modo di far fronte al nostro dovere e alla nostra responsabilità. E’ in questo senso, allora, che noi ci appelliamo a tutti e nel rispettare le idee altrui esigiamo analogo rispetto per le nostre. Noi non stiamo compiendo un atto di provocazione, che tende alla corsa agli armamenti, Noi stiamo facendo in questo momento il nostro dovere politico e costituzionale, in condizioni certamente difficili, ma ricordiamo che nella storia generazioni intere hanno pagato prezzi sanguinosi sia per la violenza dei prepotenti sia, a volte per l'attendismo e la mancanza di coraggio di chi poteva e doveva fermare in tempo la spirale della guerra. Aderiamo con questo spirito alle proposte del Governo rinnovando nella nostra coscienza, di fronte all'opinione pubblica italiana, la nostra fondamentale volontà di pace. Noi vogliamo che non prevalgano nel futuro nè i prevaricatori, né i timidi e gli attendisti, ma si affermi la linea del coraggio e della responsabilità, del dialogo fondato sulla ragione, per salvare, con la sicurezza nostra, la sicurezza dell'Europa e del mondo e con essa la possibilità di costruire una pace vera per tutta l'umanità. 

Luigi Granelli
10 dicembre 1979