Così "smagrita" di una rete che sarebbe tuttavia controllabile dal "pubblico" la Rai potrebbe impegnarsi nella gestione di due reti in condizioni di minore onerosità strutturale e preparare la loro "specializzazione" in vista di una decisiva tappa consistente nel collocamento sul mercato di tutta o di parte della rete più commerciale. Sempre in questa fase transitoria può essere realizzata la terziarizzazione del sistema produttivo Rai oggi integrato nell'unica azienda pubblica (i quattro centri di
produzione) e caratterizzato da costi molto elevati ancorché difficili da valutare e soprattutto da ristrutturare.
Documento n. 3 - Maggio 1995
ANTITRUST TELEVISIVO PRIMA DEL VOTO
Il problema centrale della questione televisiva non è, come potrebbe sembrare, il voto sui Referendum del prossimo 11 giugno, ma la sentenza con cui la Corte Costituzionale il 7 dicembre 1994 ha decretato la fine della disciplina del sistema radio-televisivo rilevando che quest'ultimo, invece di realizzare l'effettivo pluralismo delle tv ridimensionando la posizione dominante della Fininvest, ha finito per "legittimare stabilmente" proprio quella posizione con tutti i vantaggi che ne derivano "nell'utilizzo delle
risorse e nella raccolta della pubblicità". Entro l'agosto 1996 (termine di scadenza delle concessioni provvisorie) dovrà essere approvata una nuova disciplina che prevenga la formazione di posizioni dominanti come quella in atto a vantaggio della Fininvest. Qualunque sia l'esito del Referendum, che non può essere rinviato con compromessi pasticciati, il Parlamento dovrà dunque intervenire sull'ordinamento regolandolo in modo diverso dall'attuale.
C'è una continuità d'impegno tra iniziative di riforma della legge
Mammì, risposta ai quesiti referendari, legislazione antitrust. E' importante che le indicazioni di comportamento politico di fronte ai diversi impegni siano coerenti e inquadrate in un organico disegno di riforma.
1 - L'insabbiamento della riforma del 1975.
Il considerare come un tutto unico le singole questioni oggi sul tappeto in materia televisiva è del resto necessario per sottrarre le decisioni politiche e legislative al rischio della frammentazione che è stata la principale, e deleteria, caratteristica degli interventi governativi e parlamentari da un ventennio a questa parte. La riforma della RAI del 1975 che
trasferì dal Governo al Parlamento le competenze in materia di indirizzo, controllo e nomine ed introdusse il decentramento nelle strutture organizzative del servizio pubblico non fu mai attuata completamente.
Rientrarono infatti dalla finestra del potere dei partiti i condizionamenti di prevalente natura politica che erano stati fatti uscire dalla porta di un'autonomia aziendale garantita dal Parlamento; il decentramento non fu mai realizzato nelle produzioni nazionali e rimase finanziariamente ed organizzativamente debole nei prodotti destinati alla diffusione regionale. Il potenziamento della terza rete fu realizzato soltanto quando essa divenne vettore di una produzione nazionale (quella, appunto, della Terza Rete)
La stessa discontinuità e frammentazione di decisioni e di politica si è verificata nei comportamenti riguardanti il rapporto pubblico-privato. Dalla scelta del monopolio pubblico si passò alla piena liberalizzazione dell'iniziativa privata si passò, attraverso una serie di compromessi occasionali e saltuari, grazie anche ad una giurisprudenza disorganica e contradditoria.
Non ci fu una scelta di medio e lungo periodo a conclusione di un dibattito approfondito e nemmeno una decisione di Governo regolata da organiche innovazioni legislative : ci fu soltanto un'intricata storia di cedimenti e di patteggiamenti fino allo sbocco negativo della legge
Mammì che sanzionò o, meglio, "condonò" uno stato di fatto costruito su una serie infinita di violazione di leggi.
Oggi è necessario che queste vicende non si ripetano e che non si subordini, ancora una volta, alla logica delle emergenze o dei ricatti un ordinamento che per la importanza dei principi costituzionali coinvolti merita una scelta di fondo ampiamente discussa, organicamente costruita e coscientemente approvata. Bisogna ad esempio evitare che tutto il problema venga ridotto ad una rivincita politica su Berlusconi e la sua entrata in politica o, ancora, che si ritenga più importante che il popolo, demagogicamente inteso, si limiti ad esprimersi in un Referendum anziché disporre di un buon sistema radio-televisivo.
Tutti gli intereventi in materia di comunicazioni dovranno insomma ubbidire a chiari principi informatori il cui rispetto, da parte di tutti, garantisca il risultato finale di una riforma pienamente corrispondente alla Costituzione, all'altezza delle migliori legislazioni europee, adeguata alle più avanzate innovazioni tecnologiche.
2 - L'essenzialità di un ruolo centrale del servizio pubblico.
Occorre anzitutto che un ruolo centrale venga riservato al servizio pubblico. La proprietà privata è prevalente rispetto a quella pubblica in tutti i settori del mondo della comunicazione - periodici, quotidiani, radio e televisioni - anche nei casi in cui un consistente intervento pubblico ha contribuito, in modo sostanziale, al pareggio dei conti economici delle imprese. Si ricordi la legge sull'editoria. Alla consistenza della titolarità privata delle testate e delle aziende editoriali non ha fatto riscontro, d'altra parte, un adeguato pluralismo di posizioni politico-culturali e di articolati interessi economici e sociali.
E' infatti predominante il fenomeno delle concentrazioni di proprietà che tende alla omologazione di molti dei messaggi indirizzati ai lettori e agli spettatori. La riduzione nelle mani di pochi delle proprietà nei diversi campi editoriali è stata agevolata dalla mancanza di una efficiente legislazione antitrust.
Le concentrazioni sono state favorite dal massiccio ingresso della grande industria e dell'alta finanza nella proprietà delle testate giornalistiche. C'è obiettivamente una logica imprenditoriale che subordina l'editoria ad altre attività industriali e finanziarie privilegiando la concentrazione come coefficiente di profitto e, spesso, come strumento di pubbliche relazioni di questi gruppi. Tale tendenza è stata contrastata dalla tenacia dei giornalisti e dal loro impegno nel sindacato e nell'ordine professionale. Nonostante ciò si è andato generalizzando il condizionamento dell'attività editoriale da parte degli interessi forti industriali e finanziari.
In campo radio-televisivo dopo il lungo periodo di monopolio pubblico, dovuto a scelte politiche e a limiti di disponibilità delle frequenze, si è largamente affermata l'iniziativa privata sotto una spinta antimonopolistica collegata ad un'intensa stagione di rinnovamento politico e ad una evoluzione tecnologica che moltiplicava le possibilità di diffusione dei messaggi.
Tuttavia, mentre per la radiofonia l'ingresso dei privati equivaleva all'avvento di un accentuato pluralismo, in campo televisivo e cioè nel settore del più potente e suggestivo tra i mezzi di comunicazione di massa la complessità tecnica degli impianti di produzione e diffusione dei segnali e la grande dimensione degli investimenti necessari all'impresa ha portato in pochi anni ad una fortissima concentrazione degli impianti sino alla pratica costituzione di un monopolio per quanto riguarda la presenza del capitale privato nel settore.
3 - L'alto rischio della concentrazione monopolistica.
Ne consegue la necessità della permanenza di un forte servizio pubblico in grado di bilanciare un potere privato tendente alla concentrazione monopolistica e di immettere nel circuito delle informazioni una gamma autenticamente pluralistica di messaggi che sia rappresentativa della varietà di posizioni politiche e culturali esistenti nel Pese. Tale necessità, naturalmente, è legata al permanere di un assetto del mondo della comunicazione frutto di un succedersi di eventi, scelte, evoluzioni dovute ad iniziative occasionali ed incontrollate del potere politico e di quello economico : un assetto, per intendersi, corrispondente a
quello esistente di fatto oggi.
Diverse potrebbero essere le prospettive di sviluppo del rapporto pubblico - privato là dove intervenisse una politica legislativa in grado di correggere in senso antimonopolistico e pluralistico il sistema della comunicazione. Tra gli argomenti cui si ricorre più frequentemente per giustificare l'accentramento in poche mani - o addirittura in un monopolio - della proprietà delle reti televisive c'è quello della grande dimensione degli investimenti finanziari richiesti dall'impresa televisiva. In realtà i costi eccezionalmente elevati richiesti da quest'ultima sono conseguenza di due esigenze che appaiono destinate ad un forte ridimensionamento.
La prima riguarda l'identificazione in un unico soggetto imprenditoriale degli oneri di finanziamento dell'hardware e del software. In proposito si è venuta recentemente generalizzando, nelle situazioni caratterizzate da un moderno sviluppo della organizzazione imprenditoriale, la distinzione tra chi investe negli impianti di diffusione e chi invece è imprenditorialmente impegnato nella produzione. L'apertura di un mercato delle produzioni varrà, tra l'altro, a risolvere almeno in parte i problemi di occupazione che potranno nascere dalla ristrutturazione del settore e che vengono "terroristicamente" utilizzati dalla propaganda referendaria del monopolista privato e dalla destra.
La secondo esigenza che assorbe forti quantità di risorse nell'impresa televisiva è il "generalismo" delle reti e dei canali, l'abitudine cioè a concepire
l'offerta di informazione e spettacolo come prodotto unitario di un'unica emittente. Vale in proposito quanto affermato dal presidente dell'Antitrust Giuliano Amato : il punto chiave del futuro dei media è la progressiva intermodalità e l'apertura dei mercati differenziati. Sarà cioè possibile raggiungere l'utente attraverso l'etere ma anche attraverso i satelliti, il cavo, il telefono e altri vettori di segnale.
La disciplina antitrust terrà conto di un mercato differenziato e della possibilità - che oggi non esiste nella televisione a differenza di quanto accade nel mondo editoriale - di realizzare e finanziare con profitto prodotti-programmi che hanno un target definito di utenza. la tendenza, insomma, è verso un mercato in cui diminuiranno il numero e l'importanza dei programmi "universali", "generalisti", e saranno più frequenti i programmi orientati alla personalizzazione o "gruppizzazione" di tipo specialistico.
Esistono, dunque, in prospettiva, le condizioni per il superamento della concentrazione in poche mani dell'impresa televisiva. Ma sarebbe un errore indebolire oggi la garanzia di pluralismo rappresentata dall'iniziativa pubblica, controllata dal Parlamento pur nel rispetto di una doverosa autonomia, in vista di un cambiamento della situazione e di rapporti di forza con i privati che sono tuttora solo una possibilità di domani.
Nè è ammissibile che si pensi ad un indebolimento del settore pubblico come condizione necessaria o contropartita preventiva di una legislazione antitrust che ridistribuisca tra i privati in modo più equilibrato il potere di informare. Secondo la logica liberista sin qui predominante gli spazi di potere economico e di diffusione dei messaggi lasciati liberi dall'iniziativa pubblica finirebbero per incentivare ulteriormente la tendenza alla concentrazione privata aggravando il deficit di pluralismo da cui è attualmente condizionato il sistema nazionale delle comunicazioni.
Occorre dunque por mano, unitariamente e contemporaneamente, alla riforma del sistema radiotelevisivo pubblico e privato sia per quanto riguarda la titolarità degli impianti di diffusione e delle concessioni di trasmissione che per la regolamentazione dell'uso delle risorse (pubblicità, canone, tasse di concessione).
4 - Le linee ispiratrici di una riforma dell'intero sistema.
Le linee di intervento legislativo del settore dovranno essere ispirate alle normative che regolano i sistemi di comunicazione nei Paesi europei e corrispondenti agli indirizzi in proposito dettati dagli organi comunitari. L'indirizzo politico generale deve partire dalla premessa che l'attuale situazione di duopolio "generalista" via etere non può continuare per motivi : di ordine istituzionale (norme CEE e antitrust); di ordine politico (Referendum sulla legge
Mammì); di ordine economico (risorse insufficienti a sostenere gli attuali costi, sia delle Rai che delle imprese private, Fininvest in particolare); di ordine tecnologico (blocco di ogni ingresso nel satellite, nel cavo, nella pay tv e nell'interattività).
Altre mosse gestionali significative in questa fase transitoria possono essere la valorizzazione tecnologica ed economica della rete trasmittente Rai per la successiva "cessione" alla specifica holding cui verrà demandato il controllo dell'intero patrimonio (quindi anche di quello oggi privato della Fininvest in valori reali) dei mezzi di trasmissione televisivi via etere, satellite o cavo : l'enucleazione dell'offerta per l'estero e la costituzione di una "Rai international", sull'esempio di Gran Bretagna, Francia e Germania, con adeguato finanziamento pubblico.
Già nella fase iniziale (e ancor più a regime) una Rai in fase di trasformazione potrebbe affrontare con maggiore rigore gestionale e con migliori risultati nell'offerta la sua
"mission" di azienda del servizio pubblico ma, soprattutto, verrebbe meno la motivazione attuale della Fininvest a mantenersi speculare alla Rai con tutte le sue reti, i suoi impianti, le sue quote pubblicitarie e di mercato. La molteplicità dei soggetti privati operanti nel nuovo assetto televisivo è garanzia sia di pluralismo e di competizione dell'offerta, sia di superamento dell'attuale situazione di duopolio monopolistico (oggi una delle anomalie italiane è che i primi due operatori, cioè Rai e Fininvest, occupano oltre il 90% dell'audience).
Le condizioni per ottenere questa pluralità di soggetti privati sono essenzialmente di natura normativa e si collocano su due livelli : uno "qualitativo" attinente ai requisiti dei soggetti abilitati ad ottenere concessioni e a stare sul mercato televisivo e uno "quantitativo" attinente le quote che ciascun titolare di concessione, ovvero impresa televisiva, può detenere in ciascuna rete, o programma o canale. Poiché altre due anomalie italiane sono la possibilità, per uno stesso soggetto, di detenere il 100% di una rete o, addirittura , la possibilità per lo stesso soggetto di possedere più di una rete o canale, la nuova normativa dovrà vietare a un soggetto di detenere più del 49% di una sola rete e comunque solo quote di minoranza in altre aree multimediali (esempio ; cavo, pay tv, satellite). Si tratta, anche qui, di un adeguamento alle normative vigenti nei Paesi di democrazia evoluta.5 - L'importanza di scelte a breve coerenti con la riforma
Prendendo per valida questa strategia di base e questi obiettivi di medio-lungo periodo, è assai importante definire quali sono i passaggi obbligati da affrontare a breve che non perdano di vista la successiva fase di trasformazione e siano coerenti con il disegno complessivo della riforma. Essi sono dettati dai Referendum ( legge
Mammì, pubblicità, interruzione dei film con gli spot) nonché dal caso specifico della Rai (decreto "salva-Rai" e Consiglio di Amministrazione in carica) e dal quesito referendario sulla privatizzazione del servizio pubblico.
Quanto alle mosse a breve, occorre cercare di ottenere l'alleanza dei
mezzi di comunicazione, cominciando dalla carta stampata, con l'inserimento nella battaglia per il rinnovamento del settore televisivo anche la difesa della stampa attraverso una più equilibrata distribuzione delle risorse pubblicitarie. Ciò può essere ottenuto sia in maniera diretta, ponendo un tetto monetario alla raccolta della pubblicità televisiva (come avviene in quasi tutti i Paesi europei) sia in maniera indiretta, più rispettosa delle regole di mercato, con la riduzione degli spazi televisivi destinati alla pubblicità (interruzione di film vietate, quote orarie e complessive più basse, ect.). L'effetto sarebbe una contrazione dell'offerta pubblicitaria televisiva, con aumento delle tariffe unitarie e cessazione dell'attuale drenaggio indiscriminato di risorse pubblicitarie risucchiate dalla tv dalla maggiore forza del mezzo e dalla crescente convenienza dei costi di accesso, anche per imprese medie e addirittura piccole.
L'unica via per evitare senza pasticci giuridici i Referendum, che creano comunque l'obbligo del legislatore ad intervenire, consiste nell'adozione di norme severe sulla pubblicità televisiva, valide per tutti e capaci di ridimensionare il sistema Fininvest nel suo punto di maggiore forza-rischio, e nell'avvio della riforma globale del sistema con modifiche significative della legge
Mammì, nuove regole per la gestione della Rai e per la nomina del Consiglio di Amministrazione. La messa in campo della concreta riorganizzazione strutturale della Rai, con l'avvio della regionalizzazione della terza rete, è una risposta non evasiva ai quesiti referendari e legittima pienamente il contemporaneo snellimento della Fininvest anche sul fronte delle risorse pubblicitarie disponibili.
In conclusione nei punti essenziali richiamati ci sono anche le indicazioni che il legislatore, tenendo conto al di là dello stesso Referendum, della sentenza della Corte Costituzionale e delle sue scadenze, non può ignorare nella fase intermedia e a regime per realizzare effettivamente un nuovo sistema:
6 - La riforma prima del voto è una condizione di libertà
Dall'analisi del presente documento e dalle proposte in esso contenute emerge la necessità , anzitutto, di comportamenti coerenti che richiedono una risposta affermativa per quanto riguarda i quesiti referendari sulla proprietà delle reti televisive, sulla pubblicità e sugli spot di interruzione dei film, ed una risposta negativa al quesito sulla privatizzazione della Rai in difesa di un servizio pubblico riorganizzato che, in una impostazione razionale e non demagogica, può essere sempre aperto dal legislatore a utili forme di partecipazione privata. Analoga coerenza richiede l'avvio senza temporeggiamenti di una riforma globale, richiesta dalla Corte Costituzionale entro l'agosto del 1996, da realizzare comunque prima delle elezioni politiche sulla base del progetto formulato dalla Commissione presieduta dall'on. Napolitano che è da considerare una realistica e positiva base di discussione. Nè può essere dimenticato che la riforma del sistema televisivo deve essere inquadrata in una generale normativa antitrust che investa tutti i mezzi di comunicazione a garanzia di pluralismo e di effettive libertà.
Da tempo si sostiene che una democrazia esposta a rischi come quella italiana deve tutelarsi dal dominio di una "telecrazia" che tende a manipolare il consenso spogliando i cittadini dei loro diritti di libera scelta nella partecipazione politica. Un sostegno esplicito a questa tesi, importante per il suo valore etico, è venuto dai Vescovi italiani che nella Nota Pastorale della Commissione "Justitia e pax" afferma : "senza una adeguata vigilanza e un'attenta valutazione della situazione e dei problemi la partecipazione rischia di divenire meramente declamatoria e il cittadino, sostanzialmente suddito, corre il pericolo di essere incanalato, specie nell'attuale società telematica e della comunicazione di massa, in una democrazia plebiscitaria che è l'antitesi di una democrazia diffusa". Tocca a chi ha responsabilità politica e legislativa
garantire per tutti i cittadini le condizioni di esercizio della libertà.
Il documento è stato redatto da un gruppo coordinato da Mario Mauri, direttore della rivista "Comunicazioni Sociali" dell' Università Cattolica del S. Cuore di Milano, e può essere riprodotto.