ATTUARE LA COSTITUZIONE

Un largo movimento di opinioni ha accompagnato il naturale riapparire, in vista delle amministrative, del problema degli Enti Locali. Alcuni lo hanno considerato poco più di un residuo di superate tradizioni e perciò inadatto a divenire là base di una politica a livello dello Stato Socratico moderno.

Altri, commettendo l’errore opposto, si sono rifugiati in esso come per gettarsi a date scelte politiche che la situazione generale suggerisce. La posizione invece si stacca nettamente da quelle cui abbiamo brevemente accennato. Ne è insospettato testimone questo numero unico. Ci differenziamo dai primi perché crediamo nella modernità di uno Stato: che si fa dal basso, sotto la spinta di una permanente carica di libertà e attraverso l’opera delle forze politiche. Non possiamo essere confusi con i secondi perché la nostra preoccupazione più viva è proprio quella di collegare organicamente lo sviluppo dell’Ente Locale a delle precise scelte politiche di carattere nazionale Tale atteggiamento risulta a lettere dai vari articoli.

Ci sembra tuttavia opportuno riaffermarlo unitariamente.

Diremo subito che siamo convinti oziosità di un discorso sulle autonomie locali distinto da quello di un più vasto e compiuto disegno politico. Evidentemente non si tratta di rivendicare l’autonomia ed il decentramento in astratto, o di ritornare alle anguste prospettive del campanilismo municipale, bensì di promuovere tali sviluppi nell’ambito delle linee maestre della nostra Costituzione. Il che corrisponde anche ad una grande necessità dell’attuale momento politico. Basta infatti staccarsi dalla passionalità della spicciola polemica politica per accorgersi come, oggi, si vada ulteriormente allargando la tradizionale spaccatura tra lo Stato democratico e i bisogni di libertà e di sviluppo presenti nella società italiana. Anche lo scontro tra gli interessi economici pelle varie classi, sempre più rigido ed esclusivo (si pensi ad esempio all’ l’accentuarsi del rivendicazionismo § aziendale dei sindacati dei lavoratori e alla organizzazione del fronte economico degli industriali), spinge la lotta politica sul terreno della competizione corporativa e, quindi, dell’eversione dell’ordinamento costituzionale.

La valida, conquista dello Stato organico rappresentativo viene così lentamente costituita dalla pura e semplice astrazione di uno Stato ideale di derivazione hegheliana o marxista. Di questo passo rischiamo di distruggere persino il miglior risultato conseguito da De Gasperi: quello della conservazione, contro ogni sovversione o reazione, dell’ordine legale, scaturito dalla resistenza antifascista, per risolvere nel suo ambito i problemi più assillanti e operare così una progressiva saldatura tra le classi popolari e le istituzioni democratiche. La ragione di fondo di questa lenta disgregazione possiamo individuarla in una certa tendenza al rinvio nella realizzazione di tutto ciò che la Costituzione prevedeva. Come dimenticare gli eloquenti appelli del Presidente Gronchi?

Come non essere d’accordo con il giudizio di un autorevole costituzionalista, l’Esposito, il quale rileva, con onesta suggestività, che a distanza di parecchi anni «il Regno d’Italia sopravvive nella Repubblica Italiana?».

Del resto è norma comune che là stabilità di uno Stato repubblicana sia fondata sul rispetto della sua Costituzione, da parte delle classi dirigenti come della società tutta, poiché è soltanto in essa che popolo è governanti possono trovare la base della loro unità e della loro vita ordinata, libera e pacifica. Giustamente De Gasperi, nel suo discorso al congresso di Napoli, invitava al rispetto di tale fondamentale regola affermando che «mettere in forse la Costituzione in qualche sua parte essenziale significa far vacillare tutto: la legittimità, l’autorità, l’unità, il diritto storico e quello formale». Anche nella recente storia del nostro Paese troviamo conferma di quanto sosteniamo. Lo stesso passaggio di regime, dalla monarchia alla repubblica, si attuò in maniera legale e democratica nel clima rovente di visioni creato dalla violenza fascista prima e dalla insurrezione popolare poi, proprio ritrovando nel compromesso costituzionale la linea unitaria e reale della coscienza nazionale. Fu così che lo spirito della resistenza venne tradotto nelle formule giuridiche della Costituzione e liberato dalle stesse pretese assolutiste delle ideologie integraliste e totalitarie. Oggi il problema della disgregazione o dell’unità della coscienza nazionale si ripropone. Occorre contenere le tendenze eversive. Occorre sottrarre il Paese al pericolo! dei fronti popolari, come alle tentazioni di crociate maccartiste e illiberali. Per questo vediamo, nella piena ripresa del programma legalitario, che sta alla base del nuovo stato di diritto repubblicano (il quale - a differenza delle rivoluzioni borghesi o proletarie fondate sulle chiusure delle rispettive formule proprietarie - è fondato sulla libertà) una concreta linea politica. Una linea politica al coperto dalla confusione ideologica,come degli incontri sulle cosa da fare senza alcuna prospettiva storica, e capace quindi di ricreare la unità della coscienza popolare italiana e di chiudere progressivamente la frattura esistente tra il sistema politico e quello sociale. «Noi abbiamo una Costituzione deliberata in base ai risultati del plebiscito:essa è l’unica base esistente sulla quale possa oggi vivere e operare l’unità nazionale» ammonisce ancora De Gasperi nel discorso di Napoli e ci pare doveroso, specie in un momento delicato come l’attuale, fare nostra con coraggio la preziosa e lungimirante indicazione politica del grande leader popolare. Ma non basta attuare la Costituzione per attuarla. Una corretta politica per la Costituzione, se è vero che il suo successo più rilevante sta nel creare sempre più vaste solidarietà, deve poter disporre della continua adesione popolare e del concorso delle forze politiche.

E’ qui che acquista un particolare valore il discorso sulle autonomie locali. Con lo sviluppo degli Enti locali, data l’irreversibilità della conquista costituzionale, non si ritorna alle illusioni corporative della Vecchia tradizione municipale del movimento cattolico, ma si allarga in maniera moderna la sfera di libertà e si sostituisce al potere delegato della struttura centralizzata il potere democratico dei cittadini effettivamente investiti delle responsabilità dell’autogoverno. Nella misura in cui ciò avviene, la vita democratica a livello del Paese riprende vigore, mentre il popolo e le forze politiche in cui si organizza, lungi dallo scivolare in un deteriore localismo, riacquistano maggiore coscienza del nesso esistente tra i problemi dell’Ente Locale e quelli dello Stato nazionale, costituzionalmente inteso. Attraverso questa politica, che investe degli stessi problemi di sviluppo, il Parlamento ed il Paese, è inoltre possibile pervenire ad un duplice risultato. In primo luogo si riconduce il problema delle alleanze politiche alle sue giuste proporzioni di mezzo e non di fine. Anche per De Gasperi l’alleanza quadripartita strumento adatto alla sua politica, e non viceversa. Non a caso egli, dopo il 7 giugno, tentò la formazione di un governo monocolore. Oggi invece è molto diffusa la tendenza a subordinare la politica alle alleanze. Infatti si attribuisce al centrismo un valore astratto e dogmatico, si discute di aperture soluzioni pendolari, e le si teorizza viziandole di schemi illuministi.. e fantasiosi, si rimandano le soluzioni dei vari problemi dimenticando la realtà e sognando maggioranze assolute. Facciamo un esempio concreto. Non dovrebbe costituire un successo del governo democratico ottenere in Parlamento l’adesione dell’ opposizione che avanza richieste compatibili con la legalità costituzionale? A rigor di logica sembrerebbe di si. Invece, appena accade qualcosa del genere, ci si accanisce nella richiesta di verifiche della maggioranza come se si fosse incerti sulla bontà dei provvedimenti presi. Così le forze democratiche, mentre credono di garantirsi attraverso le verifiche della maggioranza, cedono di fatto l’iniziativa politica alle forze che si inseriscono nella situazione con maggiore spregiudicatezza. Per rovesciare questo paradosso non c’è che una via: riprendere apertamente l’iniziativa di Una politica per la Costituzione, così come si sforza di fare il presidente Segni, ascrivere al proprio attivo il conseguimento di sempre più vaste solidarietà, risolvere nell’ambito di quella politica il problema delle alleanze. Non ci nascondiamo che l’allargamento della solidarietà politica e la scelta delle alleanze sollevano il problema dei limiti e delle garanzie di tale operazione. Ma è proprio qui che noi intravediamo il secondo risultato della politica indicata. L’ostacolo maggiore su questo terreno è dato dall’integralismo, il quale a sua volta richiama e giustifica altri integralismi ed esaurisce la lotta politica in scontri frontali e involutivi. E’ indubbio che un’accentuazione integralista del movimento politico dei cattolici riaprirebbe in Italia la annosa questione della alternativa « guelfo-ghibellina » con conseguenze incalcolabili per la relativa confusione tra società civile e società religiosa. «Teniamolo a niente, bisogna non lasciarsi avvinghiare dalle spire dell’alternativa tradizionale» è stata l’ultima raccomandazione di De Gasperi. Ora, le linee della Costituzione Repubblicana sono aliene da qualsiasi tentazione integralista, ed una politica a loro correttamente ispirata può quindi garantire i cattolici, anche su questo delicato’ terreno, e dare un preciso significato all’allargamento della solidarietà come alla scelta delle alleanze. E se qualche cattolico ritenesse la Costituzione frutto di un periodo eccezionale della nostra storia, o di un compromesso dannoso per la sua coscienza di credente,vorremo ricordargli la significativa esperienza del Belgio.

Un eminente teologo, mons. Colombo, richiamandola in un importante saggio ha appunto scritto: «una costituzione più cattolica avrebbe diviso i belgi ed avrebbe rovesciato sulla Chiesa tutto il risentimento di aspirazioni e di ideali politici feriti. Ma mons. Stercky, Arcivescovo di Malines è Cardinale,difesee la liceità del ‘giuramento di fedeltà e riuscì a persuadere di questo i confratelli dell’Episcopato e ad ottenere da Roma una benevola tolleranza
La Costituzione Belga non era una Costituzione ideale per un popolo in maggioranza cattolico, ma era l’unica politicamente possibile in quel momento. Aver compreso ciò è stato il grande merito di mons. Stercky. E i risultati gli hanno dato ragione:il Belgio non ha conosciuto la lotta politico-religiosa della Francia nel secolo scorso ed è rimasto nella sua maggioranza un paese realmente e costituzionalmente, cattolico». (C.Colombo, Vita e pensiero, 1954).

Ogni commento guasterebbe.

Siamo certi, che, dopo le precisazioni fatte, l’atteggiamento da noi assunto, anche negli altri articoli, non possa essere frainteso.

Potrà essere discusso, ma questo è quello che vogliamo perché nessuno di noi crede di possedere delle formule miracolose e definitive.

Siamo dei politici e come tali abbiamo da tempo avvertito l’importanza di una recente affermazione dell’on. Gonella sulla necessità che la D.C. «cominci a prospettarsi sin d’ora gli sviluppi della situazione per non perdere domani l’iniziativa della impostazione politica».

In sostanza il nostro numero unico vuole soltanto rappresentare il contributo di un gruppo di democratici cristiani che si sono resi conto di quella necessità.

Democrazia Comunale – numero unico, aprile 1956