serie Costituzione – DOCUMENTO 6 (giugno 1998)

La Costituzione non va stravolta nel riformarla. Ci possono
essere modificazioni della seconda parte capaci di portare a
riduzione dei diritti dei cittadini garantiti dalla prima parte.
Giuseppe Dossetti

NON SI RIFORMA COSI’ LA COSTITUZIONE

Il progetto della Bicamerale si è arenato a Montecitorio. Un teso dibattito parlamentare, pieno di ultimatum e di accuse, dopo scontri e manovre fuori dal Parlamento, ha registrato esasperate spaccature politiche, profondi dissensi di merito, e non è nemmeno giunto a conclusioni che dignità e prassi avrebbero richiesto. C’è ora una settimana di tempo, ma la speranza di ulteriori espedienti è assai ridotta.

Una debole proposta di sospensione motivata da ragioni politiche, suggerita dal PPI per superare le incomprensioni accumulatesi con nuovi compromessi, si è tradotta, alla fine, in un rinvio tecnico sulla base di una discutibile procedura in vista della certificazione di un fallimento. Queste conclusioni confermano una inquietante attitudine agli strappi procedurali.

L’art. 3 della legge costituzionale di istituzione della Bicamerale aveva stabilito che durante l’esame in Aula non fossero ammesse "questioni pregiudiziali, sospensive, di non passaggio agli articoli, di rinvio in commissione". La norma, introdotta per contenere la discussione, è stata aggirata per rinviare all’ufficio di presidenza della Bicamerale, nemmeno alla Commissione, la presa d’atto da comunicare poi ad una Camera peraltro già al corrente di quanto è accaduto.

Perchè violare una regola solo per prendere tempo? Tanto più che si poteva aggiornare la seduta per consentire ai vari gruppi, che ne avevano il diritto, di esaminare la situazione venutasi a creare. Ma gli strappi procedurali non sono stati pochi. La singolare decisione di votare gli articoli solo alla fine, in contrasto con l’art. 72 della Costituzione, impediva la verifica dell’esistenza di una maggioranza su punti rilevanti. Era preclusa, in tale caso, persino la valutazione sull’opportunità di procedere nell’esame del progetto proposto.

La votazione degli emendamenti è servita a respingere con maggioranze differenziate, a priori, tutti quelli che potevano correggere o integrare articoli considerati non modificabili. La prassi dei relatori di riscrivere nuovi testi in sede di Comitato ristretto, nemmeno di Commissione, ha impedito l’esame puntuale degli emendamenti, disciplinato per la sua delicatezza dai regolamenti parlamentari. L’uso improprio delle Norme Transitorie è servito ad aumentare la confusione tra norma costituzionale e leggi ordinarie. Il calendario dei lavori e la drastica limitazione dei tempi sono serviti, più che a contrastare l’ostruzionismo, ad evitare approfondimenti su punti certamente meritevoli di maggiore attenzione.

La discussione è stata blindata anche con procedure inconsuete, al limite della corretezza parlamentare, per evitare modifiche non concordate. La stessa legge istitutiva della Bicamerale aveva introdotto, con l’abbassamento della maggioranza qualificata per il voto in Parlamento, il ricorso ad un Referendum confermativo finale in evidente contrasto con l’art. 138 della Costituzione. A nulla valsero la critica di Dossetti e diffuse reazioni. Anche questo nodo sarebbe venuto al pettine. Già erano insistenti inviti autorevoli a dividere per parti omogenee i quesiti di un Referendum che, contraddicendo le sentenze dellaa Corte Costituzionale, avrebbero impedito ai cittadini di esprimersi con chiarezza.

L’intento politico prevalente è apparso ancora più spregiudicato della disinvoltura procedurale. La giusta preoccupazione di favorire, in materie costituzionali, convergenze più ampie della maggioranza di governo è diventata, nei fatti, il presupposto di una destabilizzante intesa con la destra o con parte di essa a prescindere dalla questioni di merito.

Nasce da questo errore la ricerca ossessiva di accordi contradditori che hanno consentito a Berlusconi di condizionare con il ricatto ogni soluzione e a Fini di inserirsi in modo determinante. Derivano da questa scelta i pasticci verbali sul principio di sussidiarietà, un federalismo di facciata meno impegnativo di vere autonomie, il governo metà parlamentare e metà presidenziale, le improvvisazioni sulle competenze delle due Camere, la devastante contrattazione sotterranea sui problemi della Giustizia.

L’invito a non discostarsi dalle proposte della Bicamerale è così diventato, in contrasto con un effettivo spirito costituente, la negazione in partenza del diritto del Parlamento a modificare la bozza proposta. L’unico spazio reale era la ratifica. Si può riformare così la Costituzione ? La scelta presidenzialista introdotta, in Commissione, con il voto beffardo di un gruppo, quello della Lega, che ha poi cambiato posizione in Aula, era diventata intoccabile e su questa fragile ed equivoca premessa politica si pensava di cambiare la Costituzione.

Mentre si è successivamente cercato di allargare i poteri del Capo dello Stato eletto direttamente, in contrasto con la scelta del Governo parlamentare, si è preclusa ogni discussione sulle ipotesi del Cancellierato presentate alla Bicamerale. Le autorevoli preoccupazioni del Presidente del Senato per i rischi di un possibile e grave conflitto istituzionale sono state immediatamente archiviate. A cominciare dal suo partito. Le critiche di autorevoli esperti di diritto sulla dannosa ambiguità di alcune soluzioni non sono state nemmeno prese in considerazione.

Il clima si è poi avvelenato in un convulso e trasformistico cambiamento di posizioni. Chi ha sostenuto l’accentuazione dei poteri del Presidente della Repubblica era disposto a ripiegare subito dopo sul Cancellierato come se fosse la stessa cosa. Chi aveva originariamente sostenuto il Governo del "Premier" ha ritenuto di non riperendere in nessun caso la proposta. E’ tornata più volte l’idea di fare a Berlusconi concessioni sulla Giustizia per ottenere via libera ai compromessi raggiunti. L’ampia maggioranza è diventata così il pretesto per vincolare tutti ad una convergenza tra sinistra e destra frutto di calcoli politici più che di correttezza costituzionale.

Gli errori si pagano e non serve scaricare le proprie colpe su altri. Non ci saranno nuovi percorsi di revisione costituzionale senza un mutamento di rotta, nei contenuti e nel metodo, e senza il ritorno ad un limpido e libero confronto politico, anzitutto nella maggioranza di centro-sinistra, che ha il dovere di continuare a governare, e poi coivolgendo, nel Paese, anche risorse culturali e scientifiche che sono rimaste ai margini. Un severo bilancio dell’insuccesso, che non mancheremo di fare, è dunque la condizione preliminare per riformare con altri mezzi alcuni aspetti della Costituzione senza stravolgerne i valori o pagare dazi rischiosi.

IL FALSO SCOPO

La versione data dai mass media sui lavori della bicamerale e del Parlamento è stata oggetto di continue manipolazioni. Sulla stampa e soprattutto nel servizio pubblico televisivo si è dato per scontato che le riforme erano già fatte, in base ad un accordo da alcuni sostenuto e da altri criticato, e tutto si è ridotto alla ricerca di quanti sabotavano la grande intesa. Si sono dati persino per già votati i singoli articoli quando il Parlamento aveva solo respinti gli emendamenti presentati. Questa scandalosa campagna di persuasione, che ha avuto nella televisione pubblica il massimo sostegno, è servita a disinformare i cittadini su quello che è realmente accaduto in Parlamento, a non far conoscere i problemi discussi, ad evitare una opinione corretta sulle cose anche in vista di un Referendum che avrebbe poi richiesto il loro giudizio e la scelta definitiva. Anche quest a è una riflessione necessaria : la manipolazione informativa è un segnale di allarme cui bisogna porre rimedio a tutela dell diritto dei cittadini ad essere informati specie in materia diCostituzione.

POST SCRIPTUM

Un sintomo particolarmente preoccupante è emerso, alla Camera, con la discussione ed il voto su un emendamento dei popolari e dei verdi, all’art. 69, che escludeva la facoltà del Presidente della Repubblica eletto direttamente di chiedere a sua discrezione al Governo di presentarsi alle Camere per una verifica di maggioranza al fine di sciogliere il Parlamento. Si trattava di una dilatazione in senso presidenzialista, richiesta in particolare dalla destra, rispetto alle stesse intese in Bicamerale. Il PDS, nonostante l’aperto dissenso di suoi parlamentari, non ha esitato a respingerlo, con i voti della destra, anche se era possibile una maggioranza diversa. Successivamente il relatore sulla forma di Governo, Salvi, ha riscritto - per ragioni puramente linguistiche, si è detto, l’art. 70 - annullando la connessione con l’art. 74, che disciplinava i "casi" di scioglimento delle Camere ampliando virtualmente, come chiedeva la destra, i poteri del Capo dello Stato. Da ultimo Salvi ha addirittura proposto, senza tenere conto delle obiezioni dei popolari e di altri, che il Presidente della Repubblica potesse presiedere il Consiglio dei Ministri quando fossero in discussione problemi di politica estera e di difesa. Il relatore Boato, dal canto suo, ha riscritto in proprio l’ennesima "bozza" sulla Giustizia per sostenere che la distizione dei ruoli della Magistratura non era che il termine tecnico della separazione delle carriere chiesta da Berlusconi. Si poteva essere più spregiudicati nella pratica trasformista ?