serie Costituzione – DOCUMENTO 5 (maggio 1998)

La Costituzione non va stravolta nel riformarla. Ci possono
essere modificazioni della seconda parte capaci di portare a
riduzione dei diritti dei cittadini garantiti dalla prima parte.
Giuseppe Dossetti

RIPROPORRE IL GOVERNO DEL PREMIER

E’ probabile che il confronto a Montecitorio sull’elezione diretta del Capo dello Stato si riduca ad un esteriore braccio di ferro, amplificato superficialmente dai media, per difendere come un’intesa equilibrata la proposta uscita dalla Bicamerale. Ma le cose a metà su questo punto equivalgono ad un imbroglio che toglie credibilità alla revisione della seconda parte della Costituzione.

Il contrasto reale è tra chi partendo dall’elezione diretta del Capo dello Stato, introdotta con un beffardo voto della Lega, vorrebbe attribuirgli ampi poteri di governo, con riferimento al semi-presidenzialismo francese, e chi, con la stessa procedura di voto, vorrebbe ricondurlo ad una funzione di garanzia come in Irlanda o in Austria.

La via di mezzo proposta, che incontra il favore di D’Alema e di Fini e scontenta molti per la sua ambiguità, può essere blindata in Parlamento, ma non risolve ed aggrava i problemi della stabilità di governo nell’ordinamento della Repubblica e si espone a posizioni negative su due fronti nel previsto Referendum finale.

Viene infatti istituzionalizzato il conflitto tra un Capo dello Stato eletto direttamente, con compiti di garanzia minori degli attuali e poteri che interferiscono nell’azione di Governo (per la politica estera e la difesa), ed un Primo ministro nominato sulla scorta del risultato elettorale e senza investitura parlamentare. L’anomalia è poi rafforzata, tra l’altro, dagli articoli 70 e 74 che prevedono le dimissioni obbligatorie del Governo che dispone della fiducia parlamentare e il possibile scioglimento anticipato delle Camere da parte del Presidente della Repubblica appena eletto.

Il partito del Presidente, che prende forma per sostenere l’elezione del proprio candidato in uno scontro politico che inevitabilmente dissolve il ruolo di garanzia dell’eletto, diventa l’attore istituzionale esclusivo che può liberarsi costituzionalmente di una maggioranza di governo non gradita senza tenere alcun conto del Parlamento.

Al conflitto che, a causa dei poteri sovrapposti, costringe allo scontro o alla "coabitazione" quando Capo dello Stato e Primo ministro sono espressione di due diverse maggioranze si aggiunge l’ipotesi della elezione di un Presidente che può candidarsi con l’obiettivo di governare e che, una volta eletto, è in grado di modificare per "trascinamento" l’equilibrio politico e parlamentare esistente al momento della sua candidatura.

Viene introdotto, per vie traverse e con ambigue definizioni di ruoli e di funzioni, un "presidenzialismo" all’italiana che ricorda certi regimi plebiscitari sudamericani. Non c’é infatti nulla in comune né con la formula americana, dove i poteri del Presidente e del Congresso sono nettamente distinti, né con quella francese, accolta a metà, con un Capo dello Stato che esercita in parte compiti di governo e continua ad essere non "responsabile degli atti compiuti nell’esercizio delle sue funzioni".

Un pasticcio più che una riforma, un "mostro giuridico", si è detto, che lascia nell’ambiguità i poteri del Primo ministro e la definizione dell’indirizzo politico di governo, base essenziale della stabilità, e attribuisce al Presidente della Repubblica eletto direttamente un misto di funzioni di garanzia e compiti di governo con prevedibili effetti destabilizzanti. Come si può pensare di correggere nei dettagli una impostazione del genere ?

Anche il buon proposito, manifestato dal PPI e da altri, di eliminare le contraddizioni più vistose per ricondurre il ruolo del Capo dello Stato eletto direttamente a compiti di garanzia e di equilibrio costituzionale potrà essere neutralizzato con l’invito a respingere l’offensiva di quanti, facendo leva sul ricorso al voto diretto, tenteranno all’opposto di allargare in un modo ancor meno accettabile i poteri di un "Presidente governante" alla francese.

Il braccio di ferro non avrà via d’uscita se mancherà al PPI il coraggio di riproporre, motivatamente, la formula del governo del "premier" che anche il PDS aveva preso in considerazione prima del colpo di mano leghista. Va ricordato che la riforma della Costituzione aveva preso le mosse dall’esigenza di meglio assicurare la stabilità di governo, senza intaccare le prerogative del Parlamento e mantenendo un razionale equilibrio di poteri al vertice dello Stato.

La scelta, attraverso il voto, della coalizione di governo e del Presidente del Consiglio, convalidata dal Parlamento, unita alla mozione di sfiducia costruttiva e al potere di nomina e di revoca dei ministri che rafforza l’autorità e la durata del Governo, era ed è in grado - nella particolarità della situazione italiana - di garantire come nella Repubblica federale tedesca il massimo di stabilità e di garanzia democratica.

Cosi come la elezione da parte del Parlamento in seduta comune, allargata ad una ampia e rappresentativa partecipazione delle istituzioni locali, consente di rafforzare la funzione di garanzia e di equilibrio del Capo dello Stato e il suo ruolo di tutela dell’unità nazionale. Il richiamo di puro schieramento non vale. Sarebbe gravissimo l’invito a non mettere in discussione l’intesa tra D’Alema, che sembra avvalersi del consenso della destra per mettere fuori gioco obiezioni costruttive, e Fini che si accontenta di un presidenzialismo di facciata.

In sede di Bicamerale poteva anche essere comprensibile la tattica del far buon viso a cattiva sorte, per non compromettere la proposta complessiva, ma l’esame in Parlamento non può subire condizionamenti indebiti. E poi perchè D’Alema può sottrarsi ad impegni in materia elettorale, Berlusconi può prendere in considerazione la soluzione del "Cancellierato", mentre chi aveva originariamente proposto il Governo del "Premier" dovrebbe considerare preclusa, su un punto rilevante che mette a rischio lo stesso Referendum, ogni legittima iniziativa parlamentare ?

Né può essere taciuto che, alla Camera, il centro-sinistra dispone di una maggioranza che non deve arroccarsi in se stessa, ma non può nemmeno sottrarsi alle sue responsabilità. E’ perciò augurabile che in un passaggio di questa importanza ciascuno assuma in Parlamento posizioni chiare. Tanto più che la formula del Governo del Primo ministro è una soluzione chiara e comprensibile nel Paese rispetto alla scorciatoia di un pasticciato presidenzialismo. Può essere, per inerzie pregresse, un salvataggio in extremis, ma anche da questo doveroso tentativo può aprirsi un varco praticabile per modificare almeno le vistose contraddizioni degli articoli 70 e 74.

IL FALSO SCOPO

Le riforme della Costituzione vanno fatte alla grande, specie quando il dibattito prosegue con una certa stanchezza. Forse è per questo che di fronte alla difficoltà della elezione diretta del Presidente si è pensato di dare agli elettori la possibilità di esprimerne due. Sembra una esagerazione, ma non lo è. La proposta della Bicamerale, inventata dopo il voto a dispetto della Lega, prevede un Capo dello Stato eletto direttamente, con funzioni di garanzia e in parte di governo, ed un Primo Ministro leader della coalizione vincente nominato senza investitura del Parlamento. Per entrambi risulta evidente la fonte elettorale diretta. Se le maggioranze saranno diverse avremo un conflito o, secondo le migliori tradizioni nazionali, un inciucio. In caso contrario il Presidente eletto avrà diritto alle dimissioni del governo e potrà tentare di farsi una maggioranza a immagine e somiglianza. E’ difficile scegliere tra Presidenzialismo e Repubblica parlamentare, ma è anche penoso fare tutto a metà. Con il rischio di scontentare i più mentre si pensa di accontentare tutti. E’ così che si riforma una Costituzione? Sarebbe saggio pensarci molto prima di scatenare la convergenza degli opposti al Referendum.

PRO E CONTRO : un rischioso presidenzialismo

Per riproporre la soluzione del Governo del Premier l’ art. 64, che prevede la votazione diretta del Capo dello Stato, andrebbe abrogato e sostituito con norme relative alla sua elezione da parte del Parlamento in seduta comune delle due Camere e con la partecipazione al voto di delegati delle istituzioni locali. L’ art. 67 sarebbe di conseguenza superato, specie per il ballottaggio e per la farraginosa procedura di presentazione delle candidature ("da un gruppo parlamentare, ovvero da cinquecentomila elettori, o da parlamentari, rappresentanti italiani nel Parlamento europeo, consiglieri regionali, presidenti di Province e Sindaci") che rinviava peraltro alla legge ordinaria per ulteriori specificazioni.

L’ art. 68 ha un puro significato di principio perchè la scelta di "evitare conflitti tra gli interessi privati del Presidente della Repubblica", che non può non valere per chiunque eserciti importanti funzioni di governo, rinvia la sua attuazione ad una futura legge approvata dalle due Camere. I rimanenti articoli, dal 65 al 66 e dal 69 al 72, dovrebbero essere riformulati, in connessione con la parte successiva relativa al Governo (Titolo III°), in modo da distinguere più nettamente le funzioni di garanzia ed i compiti di governo e meglio definire gli scopi del Consiglio Superiore per la politica estera e la difesa ed il rapporto tra esso e gli altri organi istituzionali.

Se, al contrario del cambiamento richiesto, sarà confermata la formula di un ambiguo presidenzialismo, con il rischio che sia addirittura peggiorata, si impone la modifica, opportunamente sollecitata dal sen. Elia e da altri, dell’ art. 70 e, per connessione, l’abrogazione del successivo sesto comma dell’ art. 74 ("il Primo ministro presenta altresì le dimissioni del Governo all’atto dell’assunzione delle funzioni da parte del Presidente della Repubblica"). E’ difficile definire nei dettagli altre correzioni migliorative, pur auspicabili, dei vari articoli perchè esse vanno correlate alle scelte di fondo che il Parlamento è chiamato a prendere sull’impostazione dell’intero Titolo II°.

I TESTI

articolo 64 della proposta della Bicamerale.

64 - Il Presidente della Repubblica è eletto a suffragio universale e diretto. Sono elettori tutti i cittadini che hanno raggiunto la maggiore età . (abrogare)

64 - (sostitutivo) Il Presidente della Repubblica è eletto dal Parlamento in seduta comune dei suoi membri. Partecipano alla elezione nove delegati di ogni Regione eletti dai consigli regionali in modo che sia assicurata una presenza paritaria dei rappresentanti delle Regioni, delle Province e dei Comuni. L’elezione del Presidente della Repubblica ha luogo per scrutinio segreto a maggioranza di due terzi dell’Assemblea. Dopo il terzo scrutinio è sufficiente la maggioranza assoluta. (o emendamenti di contenuto analogo da sostituire alla proposta della Bicamerale)

OPINIONI A SOSTEGNO

Da interventi di Giuseppe Dossetti all’Abbazia di Monteveglio, il 16 settembre 1994, e a convegni di studio a Bari e Napoli il 13 ed il 15 maggio 1995: "La distribuzione del potere tra soggetti adeguatamente distinti e contrappesati è forse uno dei pregi più raffinati e delicati della Costituzione italiana, ne costituisce un risultato positivo e davvero meritevole della pìiù gelosa salvaguardia, al di là di ogni riforma. E’ anche un condensato perfettamente sintetico di tutta la nostra vicenda storica e dell’evoluzione istituzionale dell’ultimo secolo in Europa : potrà esigere qualche perfezionamento (al massimo una figura più stabile ed effettivamente coordinatrice del Primo ministro) ma assolutamente non può essere sull’onda di avventati presidenzialismi che precipiterebbero il nostro livello costituzionale in una regressiva catastrofe."
"L’ipotesi del semi-presidenzialismo francese può portare alla grave discrasia, come è già avvenuto, della difficile coabitazione tra un Presidente eletto da un certo schieramento e una maggioranza parlamentare antagonista : mentre i suoi possibili vantaggi possono essere assicurati da una semplice revisione del nostro sistema parlamentare. Basterebbe introdurre l’elezione parlamentare del Primo ministro, sia pure confermata dal Capo dello Stato, e soggetta solo alla sfiducia costruttiva da parte dell’Assemblea che lo ha investito e che, togliendogli la fiducia, deve designare a tempo un nuovo Primo ministro; nonchè la nomina e la revoca dei Ministri , salvo un controllo di competenza regolato da norme precise."

Critica del prof. Giovanni Sartori nell’intervista sulle riforme costituzionali ("Una occasione mancata ?", Laterza 1998 ): "Se il Presidente resta sul Colle e non interviene minimamente nel governare, francamente mi sembra che siamo punto a capo. Se invece, come io ed altri abbiamo proposto, un qualche raccordo, anche minimo, viene previsto allora cominciamo ad avere ingranaggi che ingranano. In Francia il Capo dello Stato presiede il Consiglio dei Ministri. Noi ci siamo limitati a proporre che abbia la facoltà di presiedere il Consiglio dei Ministri senza diritto di voto. A questo modo sussisterebbe un raccordo istituzionale, senza creare un dominus. Ma per ora questa proposta non è stata accolta e restiamo senza nessun contatto tra i due poteri. Il che mi sembra sbagliato."

POST SCRIPTUM

Con una decisione sorprendente non si è proceduto, per mancanza di tempo, all’esame dell’art. 62 che è di importanza fondamentale per la concreta affermazione delle autonomie in campo fiscale. Il pretesto, accolto dal Presidente Violante contrario al rinvio, è stato la proposta di collegare la materia, per connessione (?), all’assetto del Parlamento ed alla definizione del ruolo della seconda Camera. Forse si pensa a più larghe possibilità di scambio. E’ quindi prematuro un giudizio complessivo sul Titolo I°. Resta il testo degli art. 61 e 63, con la rischiosa facoltà di disciplinare con legge regionale accordi con gli Stati, le complesse procedure per la fusione o l’istituzione di nuove Regioni o Comuni e numerosi rinvii a leggi ordinarie. Il relatore D’Onofrio ha inoltre presentato a nome della Bicamerale due emendamenti a Norme transitorie, il cui testo completo non esiste, che non sono stati votati. Lo saranno alla fine. Per ora sono serviti solo a respingere gli emendamenti in materia di città metropolitane e di legge elettorale per le Regioni. Con la prima norma, oltre a stabilire alcune procedure, si corregge la legge n. 43 del 1995 per consentire, sino a quando entreranno in vigore i singoli statuti che disciplineranno la materia, l’elezione diretta del Presidente della Regione. Con la seconda, in attesa della legge relativa alla costituzione delle "città metropolitane", si stabilisce una complessa procedura che dà la facolta di istituirle, entro tre mesi dall’entrata in funzione della nuova Costituzione, in aree "comprendenti almeno un Comune con popolazione non inferiore ad un milione di abitanti". Tali "città metropolitane", una volta approvate, "sostuiscono nel proprio territorio la Provincia acquisendone le funzioni". La materia è del tutto estranea a norme di attuazione della Costituzione e sembra piuttosto una legge ordinaria o un decreto omnibus per inserire provvedimenti estemporanei. Anche se l’esame delle proposte e il loro voto sono rinviati è necessario sollevare sin da ora un giustificato allarme.