La Costituzione non va stravolta nel riformarla. Ci possono
essere modificazioni della seconda parte capaci di portare a
riduzione dei diritti dei cittadini garantiti dalla prima parte.
Giuseppe Dossetti
Mentre a Montecitorio si discutevano, con qualche frustrazione per il blocco di ogni emendamento, gli articoli 58 e 59 e la coda dell’art. 57 a seguito dell’accordo di vertice fuori dall’Aula, è venuto il grande annuncio dell’intesa tra sinistra e destra sul Senato Federale. Pochi giorni prima circolavano solo voci di dissenso e di rottura. Il Presidente della Bicamerale si era addirittura detto pronto a lasciare. Cos’è accaduto ?
La tecnica dello "stop and go" è divenuta una costante. Prima si accentua una soluzione, seguita da minacce di lacerazione, poi la si abbandona per un altra e si ritrova la pace con l’opposizione. Il merito sembra quasi diventare secondario. Nonostante i rischi di questa procedura trasformistica il delinearsi di un possibile accordo per la seconda Camera è positivo e merita attenzione.
E’ noto che le proposte in materia della Bicamerale erano del tutto insoddisfacenti. L’obiettivo di una Camera delle Autonomie, con la netta distinzione di funzioni tra i due rami del Parlamento, era assai lontano. L’annuncio politico dell’intesa, da verificare più avanti quando si discuterà l’assetto parlamentare, ha per ora rasserenato il clima ed ha anche indicato ipotesi costruttive. I Senatori dovrebbero essere eletti con voto diretto insieme ai Consigli regionali, con riferimento alla popolazione di ogni regione e con la proporzionale.
E’ prevista la loro rielezione nel caso di scioglimento del corrispondente Consiglio regionale. Questa Camera avrà competenza esclusiva sul sistema delle autonomie, da cui dovrebbe derivare anche il nome se si abbandonasse la moda federalista, e non voterà la fiducia al Governo o leggi di indirizzo politico. Restano la funzione di garanzia, con la delicata nomina di componenti della Corte Costituzionale e del Consiglio Superiore della Magistratura, e le decisioni, insieme all’altra Camera, per le leggi costituzionali e sui diritti fondamentali.
L’apertura alla valorizzazione istituzionale delle autonomie è evidente, ma non scompaiono i segni del compromesso che cerca di accontentare tutti e che farà riemergere riserve e difficoltà. Resta, sostanzialmente, al di là della demagogica definizione di Senato Federale, un bicameralismo che spinge a ricercare pari dignità più che differenziazione tra le due Camere. Emerge un contrasto obiettivo tra la rappresentanza diretta delle autonomie, eletta proporzionalmente, e la competenza mista su materie importanti con l’altra Camera eletta con il maggioritario.
Basta l’esercizio monocamerale dell’indirizzo politico e del voto di fiducia al Governo, a garantire stabilità qualora, a causa del diverso sistema elettorale, risultasse una maggioranza certa in una sola Camera ? Quali le conseguenze sull’approvazione delle leggi costituzionali e sui diritti fondamentali, sui voti a maggioranza qualificata ? Sono obiezioni che vanno esaminate anche per non prestare il fianco ai colpi di freno, ai collegamenti a modifiche di altra parte della Costituzione, che già la destra mette in campo.
Viene data per certa in Costituzione la elezione diretta dei presidenti delle Regioni. Lo stesso relatore della Bicamerale, D’Onofrio, ha detto alla Camera che per la materia elettorale ci sarà, alla fine, una norma transitoria. Ad un simile espediente si era già ricorsi anche per meglio definire le procedure per le città metropolitane. Questa grave tendenza non ha sollevato delle reazione adeguate sin o ad ora. Come troverà attuazione questa grave assurdità ? Siamo ad un rilevante strappo, sia pure solo annunciato, che immagina le Norme Transitorie della Costituzione come un decreto omnibus in cui fare entrare provvedimenti improvvisati. Ma davvero si pensa di eleggere i presidenti delle Regioni senza nemmeno predisporne la necessaria legge elettorale ? Se la competenza è delle Regioni non tocca al Parlamento decidere. Se la competenza è invece parlamentare lo strumento è la legge ordinaria e non certo una norma costituzionale. Si deve discutere. Nel metodo poi la scorretta procedura equivale sostanzialmente ad un "golpe" parlamentare e costituzionale. Non è meglio pensarci in tempo?
Il banco di prova autonomistico si avrà alla Camera, a seguito di proposte a sorpresa sull’art. 62, da esaminare con attenzione perchè non basterà l’aggettivo federale per renderlo soddisfacente, ma gli articoli 60, 61 e 63 non sono da trascurare. La prima proposta presentata da D’Onofrio alla Bicamerale prevedeva, come è noto, uno spregiudicato "contrattualismo" federale fondato su venti leggi costituzionali per ratificare, a posteriori, Statuti variamente composti e tali da aprire la via ad una Repubblica multicolore.
Se si pensa alla visione organica che ha dello Stato il costituzionalismo moderno si comprende dove avrebbe portato, in una corsa disordinata e concorrenziale, questa scelta erronea e quasi preunitaria. Il testo iniziale è stato molto emendato, anche perchè la Lega è rimasta su posizioni di contrarietà, ed ha portato ad una soluzione diversa, più autonomistica e in questo accettabile. Ma il vizio di origine è rimasto. L’armistizio non ha cancellato tracce vistose della guerra sugli Statuti.
Non è in discussione il giusto diritto a varare autonomamente, come conseguenza logica dell’autonomia, Statuti e regolamenti. Sotto questo profilo era un segno di residuo centralismo la formalizzazione mediante legge costituzionale. Come era fuorviante l’estensione secondo discrezionalità degli Statuti speciali regionali recuperati, più correttamente, con una complessa procedura ordinaria.
Con una doppia approvazione, a distanza di due mesi, l’Assemblea regionale vara uno Statuto che deve definire i "principi fondamentali di organizzazione e di funzionamento dell singole Regioni". E’ prevista la richiesta di Referendum che, se non ottiene la maggioranza dei voti validi, ne preclude la promulgazione. La indicazione della materia da disciplinare, assai ampia, va oltre la logica statutaria.
Definire di regione in regione la forma di governo, i casi di scioglimento anticipato, la formazione delle leggi, il ricorso al referendum, i principi dell’autonomia tributaria, la durata della legislatura, la normativa elettorale, la rappresentanza elettiva tra i sessi, le incompatibilità, significa conservare a metà, la impostazione iniziale. La stessa osservazione vale per la materia degli articoli art. 61 e 63, delicatissima, degli organi comuni di varie regioni e addirittura gli accordi con "Stati od enti territoriali interni", sia pure con il vincolo di un preventivo assenso del Governo o di leggi nazionali per fusione di Regioni o istituzione, con altri Referendum, di nuovi Comuni
E’ quasi impossibile proporre correzioni di dettaglio. E’ la filosofia complessiva di questi articoli, come la previsione di tempi lunghi per predisporre statuti e leggi, solo a seguito del Referendum sulla nuova Costituzione,che destano preoccupazione per l’entrata in funzione di un nuovo regionalismo condizionato da molte norme metà federali e metà no.
Da un articolo di Sabino Cassese su Repubblica (24 aprile 1998): "Rimane, irrisolto, l’equivoco di fondo della Bicamerale: quello di definire federale un assetto dei poteri che può tutt’al più essere definito autonomistico. Infatti, un ordinamento autenticamente federale è fondato su due soli poteri ; Stato e Regioni (o Stato federale e Stati federati). Se si dà pari dignità, accanto a Stato e Regioni, a Provincie, a Città metropolitane e Comuni, si adotta un ordinamento misto nel quale lo Stato finisce per svolgere un ruolo da mediatore riacquistando, così, un posto dominante."
La eliminazione, dall’art. 58, del vincolo degli "imprescindibili interessi nazionali" è da considerarsi, insieme alla semplificazione dei compiti riservati allo Stato, positiva come si era già osservato. Anche il riconoscimento di "specialità" autonomistiche con legge ordinaria, senza il gravame della procedura costituzionale, merita apprezzamento. La facoltà della Regione, del Comune, della Provincia di sollevare "questione di legittimità" per violazione di competenza davanti alla Corte Costituzionale, prevista dall’art. 59, è giusta. Ma perchè si è ceduto dopo, alla destra, quello che, per degli autonomisti, era doveroso introdurre prima ? E che c’entra il "federalismo flessibile" ?